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Mi sento sempre più distante, di un’altra generazione, dicono che è il trauma della vecchiaia, io pensavo di poterne esser esente, ma ogni giorno mi porta la sua conferma che non è così. Ora il senso della distanza mi viene per via della sentenza del tribunale di Torino che sancisce il diritto di portarsi da casa il pasto da consumare a scuola. Non so se valga anche per l’asilo nido il diritto all’omogeneizzato fatto in casa con prodotto biologico a chilometro zero o per la scuola dell’infanzia il panino vegano della sindaca Appendino, che qualcuno mi deve spiegare bene che cosa sia. Distante perché io sono di quelli, comunisti sporchi brutti e cattivi, che credevano che andare a scuola senza essere costretti a portarsi il cestino da casa o al lavoro in fabbrica o in cantiere con la gavetta fosse una conquista sociale. Le mense, il welfare, le mense di quartiere, quella roba lì, che liberava anche le donne dalla schiavitù domestica. Adesso c’è un giudice che sentenzia che sul diritto alla mensa prevale il diritto al panino fai da te, perché prima di tutto viene il singolo, l’individuo, la persona. Insomma al diritto alla mensa corrisponde specularmente il suo contrario ed opposto. È un po’ come il diritto al vaccino, altro tema caldo di questi giorni, un’altra conquista, faticosa per di più, della scienza e della società, il diritto alla tutela della salute tua e degli altri che viene contestato. Non vorrei estremizzare, ma a me viene così, è come rivendicare il diritto di fare il bagno con il burkini, nonostante le conquiste sociali in tema di emancipazione della donna, in nome della libertà individuale. I paladini del liberalismo dovrebbero essere tutti schierati a difendere anche questi diritti negativi, se non fosse che si tratta di un liberalismo medievale. Per i più distratti o troppo giovani potrei rinfrescare alcune date: 1968: legge 444 istitutiva della Scuola materna statale, fino allora in mano ai privati, soprattutto privato confessionale. 1971: legge 1044 istituzione degli asili nido comunali; 1971: legge 820 nascita del tempo pieno nella scuola elementare. Tutte istituzioni ad orario prolungato che prevedono la mensa per funzionare. Istituzioni al servizio dei diritti dell’infanzia e dei diritti delle donne. La mensa non come accessorio, ma come momento integrante del progetto educativo, del progetto di crescita, la mensa che garantisce un’atmosfera famigliare, di calore e di accoglienza, di relazione e di affettività al nido come alla scuola dell’infanzia, come alla scuola elementare. Lascio agli psicologi spiegare l’importanza del momento del pasto per la crescita emotivamente equilibrata di ciascuno di noi, quanto i bambini apprendono con più piacere e motivazione mentre nutrono il loro corpo e in questo sentono l’attenzione e l’affetto degli adulti che si prendono cura di loro. Del resto mica ce la siamo inventata noi la scuola con la mensa, la migliore tradizione pedagogica da Dewey a Freinet, dalla Montessori, a Lorenzo Milani è lì a dare buona testimonianza di come la mensa per importanza formativa sorpassa e avanza ogni lezione d’aula. Certo la sentenza di un giudice tutto questo non lo può considerare, perché non ci sta scritto e neppure si può estrapolare dalle righe di un testo di legge. Solo, insinuo un sospetto, se a ricorrere al giudice fosse stato un paziente d’ospedale, che rivendicava il diritto di portarsi il pasto o il panino da casa, l’esito sarebbe stato lo stesso? Ogni sistema per funzionare rispetto al suo compito deve attenersi alle regole che gli consentono di raggiungere lo scopo, se si altera solo una di queste tutto il sistema ne risulta modificato. L’ospedale è un sistema delicato, la scuola che educa, pure. Un “sistema educativo” è appunto un “sistema”, sottostà alle leggi dei sistemi complessi, non a quelle dei giudici, come tutti i sistemi, del resto. Che si voglia o no, se si introduce il principio che il momento del pasto, non fa parte integrante del progetto educativo, del sistema scuola, allora ognuno se lo gestisce come vuole e non è necessaria la presenza di personale professionalmente preparato come quello scolastico, come ormai accade nella scuola media di primo grado dove una congerie di modelli orari settimanali ha ridotto la mensa ad un fatto puramente accessorio. Ma attenzione, ora si rivendica il diritto di portarsi il panino da casa, domani si potrà rivendicare il diritto di censurare questo o quel contenuto, questo o quell’insegnante in nome del superiore valore della libertà individuale. Il sistema educativo sarà sempre più gestito dall’esterno anziché trovare al proprio interno la forza d’essere quello che è. Nessuno metterebbe in discussione la terapia prescritta da un’équipe di medici, sebbene i detentori del progetto educativo siano professionisti dell’istruzione, questo nelle nostre scuole accade. Capisco anche che le mense nelle scuole muoiono per via della “cooperativite” che le ha colpite. Dagli entusiasmi dei primi tempi con cucina interna alle scuole e con la partecipazione dei genitori alla gestione, si è passati agli appalti, al precotto, alle diete talebane, tutte cose che non hanno fatto bene alla scuola e al suo progetto educativo. Allora è la scuola che non si può chiamare fuori, perché evidentemente è la scuola che non ha convinto. Sono i professionisti della scuola che per primi debbono spiegare l’importanza della mensa all’interno del curricolo scolastico, dalla materna alla media, se non sono in grado di farlo c’è poco da stupirsi per la sentenza dei giudici di Torino, è inevitabile che mensa o panino siano indifferenti come ogni altro break dal lavoro, ma degli adulti non di fanciulli che crescono.

 

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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