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da Raffaele Rinaldi (candidato Sel alle elezioni Regionali)

Il fenomeno del mercato “senza volto” e della speculazione finanziaria , ha segnato il passaggio dal cittadino al consumatore, e di conseguenza ha prodotto una cultura dello “scarto”. Una cultura che ha favorito la costruzione di quelle “strutture di peccato” dove albergano pratiche come quelle dello sfruttamento, dell’oppressione e peggio ancora dell’esclusione. Ciò che conta è il profitto costi quel che costi, compresa la dignità umana. C’era il mito secondo il quale il libero mercato avrebbe creato un benessere generalizzato, ma così non è stato.
Conseguenze di questa economia sono situazioni di nuove povertà, immigrazione, profughi, brutte storie di sfruttamento.
Dimentichiamo o non vogliamo capire che ci hanno convinto di aver saputo creare benessere, in realtà hanno saputo rubare a ¾ di mondo per darne benefici a ¼ di mondo. Allora si chiamava colonizzazione adesso iper-liberismo suffragato anche dalla retorica della difesa dei diritti umani e dalla democrazia da esportare con gli F 35 con costi che invece avrebbero potuto sostenere politiche di contrasto alla povertà o al miglioramento dei servizi rivolti ai cittadini (scuole, asili, ospedali. Lavoro)
Sembrano lontane questioni di geopolitica. Ma in realtà, mentre faccio queste considerazioni, ci ritroviamo persone di diverse nazionalità che scappano dalla loro terra.
La geografia non può mettere confini alla voglia di vivere, perché vivere è un diritto universale ed esigibile, perché inscritto nella natura umana. Il “tòrnatene a casa tua” non può essere detto se bombardo la casa dell’altro, non posso chiamare ladro colui al quale ho depredato la sua terra per secoli, non posso chiamare invasore chi ha subito la schiavitù con la deportazione in catene e l’appartheid perché ritenuto inferiore. Se da una parte ho sfruttato le risorse della sua terra, dall’altra gli rendo impossibile la vita qui da noi.
D’altra parte non posso chiamare “ladro” ed “invasore” colui al quale abbiamo depredato la sua terra per secoli, non posso difendere i crocifissi nelle scuole se ho l’indecenza di rifiutare il pasto mensa ai figli di immigrati meno abbienti, non posso sbraitare contro la Germania del 2014 ma desiderare quella degli anni 30.
La crisi che attraversa il Paese è anche dovuta all’incapacità della nostra politica di attrezzare il Paese – sia dal punto di vista culturale che strutturale – alle grandi sfide che pone l’Europa in materia di economia, investimenti e di scambi.
Non avendo argomentazioni rispetto alla rabbia di chi è stato colpito duramente dalla crisi, è in atto il tentativo di aprire la caccia ai capri espiatori e si monta una rappresentazione sociale dell’immigrato costruita – scientemente o per ignoranza – sulla paura del diverso.
Si mette in moto una campagna denigratoria esasperando i toni e soffiando sulla rabbia e sull’indignazione della gente vittima della crisi, additando lo straniero come causa di tutti i mali, e intanto si strappano consensi diffondendo così odio e paure.
E’ il tentativo di strappare la sostanza umana per ridurre in massa anonima e minacciosa tutto il fenomeno dell’immigrazione tourt-court, legandolo ai temi della criminalità e del degrado
E’ da questo stigma, dello straniero invasore brutto sporco e cattivo, che si fa strada il razzismo che sembrava ormai un brutto ricordo del passato. E’ da questa riduzione antropologica che si amplifica lo sfruttamento e la lotta tra ultimi e penultimi.
La proposta “risolutoria” viene restringendo i diritti, cacciando, chiudendo, respingendo, mentre il mondo e la storia vanno nel verso della caduta dei muri, dell’abbattimento delle frontiere, della costruzione d unità sovranazionali, nell’estensione dei diritti.
Dopo 2000 anni di cristianesimo e un paio di secoli di lotte per i diritti umani possiamo dire che è un’atteggiamento antistorico, anticristiano e soprattutto disumano.
Cosa fare:
Fare cultura della diversità: uscire il prima possibile da questo schema narrativo e contrapporre un’etica del volto, soffermarsi a considerare le biografie e le speranze contro quella narrazione che vorrebbe ricacciare la complessità del fenomeno nella semantica indistinta della clandestinità. Lo si fa tornando nelle scuole, nei quartieri.
Capovolgere le “voci di costo” (politiche del rifiuto e politiche dell’inclusione). Le politiche per così dire “dedicate”, gli stanziamenti per le politiche di accoglienza e di inclusione sociale dei migranti rappresentano lo 0,017% della spesa pubblica complessiva rispetto allo 0,034% di incidenza degli stanziamenti destinati alle politiche del rifiuto. Capovolgere questo rapporto dovrebbe entrare a pieno titolo nell’agenda politica nazionale, per l’interesse di tutti.
Creare nuovi modelli di intervento per l’inclusione sociale attraverso le progettazioni partecipate coinvolgendo soprattutto le seconde generazioni per e con le quali poco si sta facendo.
La strada per uscire dalla crisi economica e soprattutto morale passa attraverso la costruzione di una cultura della promozione della persona Un popolo deve la sua sopravvivenza alla capacità di accogliere, di includere, in un processo continuo di liberazione dalle paure verso una civiltà conviviale.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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