Skip to main content

Cammino in queste folgoranti giornate di sole tra una serie di zombies che, indifferenti alle presenze altrui ma chiusi nel loro universo tecnico, avanzano portando alla bocca il cellulare quasi volessero mangiarlo, o meglio, eseguire una specie di comunione laica celebrando una messa satanica che esclude tutti e preserva solo l’altro con cui si comunica. E nella pigrizia del dopo pranzo, in attesa del riposo riparatore, ascolto una trasmissione televisiva che invita a condividere tra persone note i loro momenti importanti di vita vissuta. Un’entusiasta platea e un certo numero di giudici a ogni, o quasi, parola dell’intervistato,. scatenano fragorosi applausi. Addirittura, la spigliata presentatrice non lascia un minuto il gesto dell’applauso, anzi, ne diventa schiava e protagonista: è l’applauso.
Così il dizionario Google lo definisce: “L’applauso è fin dall’antichità un modo per esternare la propria approvazione e il proprio consenso a una o più persone. Tale manifestazione consiste nel battere i palmi delle mani ripetutamente producendo un suono secco e forte che solitamente, unito agli applausi di altre persone, risulta simile a uno scroscio.”
Ma l’applauso, o più comunemente il battimani, diventa col tempo e nel tempo una forma di controllo del potere organizzato come rigido sistema di adesione. Le più perniciose tra queste manifestazioni ancora risuonano alle orecchie nei telegiornali delle adunate oceaniche organizzate per il dittatore di turno: Hitler, Mussolini, Stalin, e via enumerando negli infausti raduni del secolo breve, sostituiti poi dallo ‘scroscio’ di applausi che salutarono i concerti rock o qualsiasi altra forma di gradimento di massa. I più evidenti sono quelli che accolgono le ‘sparate’ dei veri e insostituibili eroi del nostro tempo: i calciatori. Il rituale che fa esplodere il boato è anche fisicamente una mimica sessuale quando il calciatore, dopo il goal o un’azione ben congegnata, scivola per terra con un urlo stampato in viso, le braccia che sembrano artigli e il ventre in avanti quasi ad offrire alla folla adorante il sogno della virilità perfetta. Altra metafora sessuale che induce all’applauso fino alla standing ovation sta nel confuso abbraccio di carni sudate che emanano odore/puzza di virilità e inconsapevolmente attraggono la folla per l’indistinguibile coacervo di corpi e odori scatenando l’applauso.

Un libro importante di Norberto Bobbio, “La democrazia dell’applauso”,  segna i momenti in cui la stessa elezione politica si compie per applauso, da Craxi a Berlusconi ad esempio, siglando in tal modo la compartecipazione al potere attraverso l’uso dell’applauso e del suo derivato più conosciuto, la standing ovation, che afferma ancor più la sua forza se eseguita in piedi, tradotto nella nostra lingua col termine ‘ovazione’. Questa formula, molto usata nel mondo anglosassone e americano, sarebbe di grande forza suggestiva se riguardasse alti e nobili momenti dell’agire umano fosse eseguita, come lo è stata, dopo il discorso di Liliana Segre al Parlamento Europeo [qui] per commemorare il giorno della memoria o alla fine di un grande concerto o di altra straordinaria esecuzione artistica. In questo caso ciò che rende convincente l’ovazione è quel momento di perfetto silenzio che la precede. Ecco allora che l’applauso raggiunge il suo scopo. Eppure il declino di questa forma di consenso comincia quando l’applauso si rivolge alle persone morte, nel qual caso, chi lo fa umilia la morte e la persona a cui è diretta. Sei tu a sostituirti al morto riconoscendone i meriti che diventano i tuoi meriti. E i più scandalosi di questi applausi sono quelli rivolti o ai morti mafiosi, o quelli che si fanno ai santi, protetti e non protettori dalla stessa mafia o imilaria.

Un caro amico mi rimprovera per la mia assolutezza di pensiero, sostenendo che comunque l’applauso dovrebbe ripagare la compartecipazione di un pensiero e di un’azione e che, inoltre, nella società di massa non si sfugge alla totalizzazione del battimani. Forse è vero, ma mi si perdoni un atteggiamento selettivo a cui sono stato abituato per tutta una vita.
Andrea Minuz sul Foglio del 28 Dicembre 2017 scrive: “Il pubblico della televisione non esiste. Ci sono i pubblici, rigorosamente al plurale, e i pubblici si riconoscono dagli applausi. Gli applausi da stadio della finale di X Factor  Amici, gli applausi inferociti di Uomini e donne, gli applausi democratici di Che tempo che fa, quelli registrati di Striscia la notizia e il lungo, solenne applauso per l’Andrea Chénier in diretta su Rai Uno dalla Scala.”.

Ecco allora che ci si pone davanti al potere malvagio dell’applauso che ti accomuna alle più spaventose formule del potere televisivo. Quello che fu un tempo un bravo conduttore televisivo, ora conduce un programma dove si elogiano forme e aspetti di vecchi simboli del sesso che, dice lui, fecero sognare intere generazioni e che l’uso dell’applauso social, likes o altro, hanno riportato agli antichi splendori. E, per ricostruirne il potere, utilizza un tremendo e ambiguo personaggio che le critica, le assolve, le spiega, vestito da suora! Cattivo gusto, povertà di pensiero, comunanza/mancanza d’idee. Quelle che restano segnano spesso la stolidità umana e ci convincono della pericolosità insita dell’applauso. Basti ricordare come di fronte a bestiali atteggiamenti di violenza, anche al limite della crudeltà, scatti l’applauso come espressione di pensiero, o meglio, della sua totale assenza. Certo, sarebbe un bene che il battimani premiasse ciò che comunque è la genuinità del genere umano: i battimani ritmati dei bimbi, il premio ad azioni eroiche e artistiche, sociali ed etiche. Ovvero il premio all’impegno, sia pure sportivo, quando non cade nel consenso acritico e disumano, ad esempio l’applauso indotto alle battute allo stadio su Anna Frank o sul colore della pelle di alcuni giocatori, fino a giungere alla conferma dei più odiosi vizi umani.

All’applauso si associa anche il nascondimento: sia per celare l’identità di Elena Ferrante o del cantante invitato a San Remo o di chi non vuole apparire per confermarsi il più grande. In questi casi l’identità è cancellata del tutto: si veda quel programma Tv dove sotto il travestimento di animali si nasconde un cantante famoso che, una volta scoperto, viene eliminato. E l’applauso viene riservato al presunto acume con cui si procede allo svelamento.

Eppure, anche conoscendone la pericolosità, sarebbe altrettanto disumano negare l’applauso a chi ha esaltato o procede ancora ad esaltare l’ingegno umano. In questo caso sarei un infame se negassi l’applauso a Martha Argerich, a Riccardo Muti, a Liliana Segre, tanto per citare qualcuno a cui riservo il mio battimani incondizionato e la mia ovazione mentale.

tag:

Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

PAESE REALE

di Piermaria Romani

PROVE TECNICHE DI IMPAGINAZIONE

Top Five del mese
I 5 articoli di Periscopio più letti negli ultimi 30 giorni

05.12.2023 – La manovra del governo Meloni toglie un altro pezzo a una Sanità Pubblica già in emergenza, ma lo sciopero di medici e infermieri non basterà a salvare il SSN

16.11.2023 – Lettera aperta: “L’invito a tacere del Sindaco di Ferrara al Vescovo sui Cpr è un atto grossolano e intollerabile”

04.12.2023 – Alla canna del gas: l’inganno mortale del “mercato libero”

14.11.2023 – Ferrara, la città dei fantasmi

07.12.2023 – Un altro miracolo italiano: San Giuliano ha salvato Venezia

La nostra Top five
I
 5 articoli degli ultimi 30 giorni consigliati dalla redazione

1
2
3
4
5

Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

1
2
3
4
5

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it