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Occorre avere un corpo per trovare un’anima (Ian Twardowski)

Un manifesto sulla bellezza della danza e del corpo che danza “a partire dalla cosa più immobile che esista, il marmo”. È “I am beautiful”, la nuova creazione del coreografo Roberto Zappalà e della sua compagnia Zappalà Danza, che debutterà in prima nazionale questa sera al Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara. Ispirato a “Je suis belle” dello scultore Auguste Rodin, a sua volta è ispirata al primo verso di una poesia di Baudelaire “La Beauté”: “Je suis belle, ô mortels! comme un rêve de pierre”. Con la compagnia Zappalà Danza il sogno di pietra non è più immobile, si trasfigura nel movimento e la danza prende la parola in prima persona, afferma se stessa, la propria autonomia. “I am beautiful” è il quarto step del progetto Transiti Humanitatis, nel quale il coreografo siciliano studia il corpo che diventa così la mappa per decrittare la società perché è attraverso la corporeità che l’uomo si rivela e rivela il suo posto nella società. I gesti e il corpo, la loro storia, la loro trasformazione nel tempo e nello spazio, o al contrario la loro permanenza immutabile, l’intenzione è provare con la danza a raccontare la corporeità e l’identità umana, e cosi la sua bellezza. L’umanità che Zappalà vuole mettere in scena è al contempo quella di ogni giorno e quella universale, parlando “di tutte le difficoltà dell’umanità”. Lo abbiamo intervistato alla vigilia della prima nazionale di Ferrara.

zappalà danza

Partiamo dal titolo: “I am beautiful”…
Sì, precisiamo subito: non sono io che lo dico a me stesso – scherza Zappalà – è una suggestione che ho avuto durante una tournée della compagnia visitando la villa dello scultore Auguste Rodin, dove sono custodite alcune sue opere: ho rivisto questo capolavoro, “Je suis belle”, piccolo di dimensioni, ma meraviglioso. La cosa che mi ha affascinato è stato ideare un lavoro sulla danza a partire dalla cosa più immobile che esista: la pietra. E poi c’è il titolo stesso che lascia aperte molte porte. In questo lavoro c’è molta scultura in generale: c’è Gormley, uno scultore contemporaneo che ha ispirato alcune immagini, mentre altri quadri sono ispirati a Giacometti.

Come lei e la sua compagnia avete animato questo sogno di pietra con il movimento?
Questa è una delle cose più affascinanti, ma bisogna dire che Rodin è uno degli scultori più ‘in movimento’, le sue opere hanno già una propria plasticità.

Al centro della creazione ci sono il corpo e la danza…
Sì la mia intenzione era di fare un lavoro che, all’interno del progetto Transiti Humanitatis, parlasse della bellezza dei corpi e della vita, del piacere nel senso della possibilità di poter piacere agli altri in quanto forma scultorea in movimento, quale è il corpo.
Dopo tanto lavoro drammaturgico e attenzione al sociale, ho voluto concentrarmi sulla danza, dedicare un momento della mia riflessione coreografica alla danza nella sua purezza, farla emergere sopra ogni altra cosa, e il risultato è che la danza dice ad alta voce: “Io sono bella così come sono, non ho bisogno di orpelli”. E a eseguire la danza è un corpo, quindi anche questo doveva essere protagonista, anche lui può e deve dire “I am beautiful”.

Lei parla di quattro direttrici principali per la sua scrittura coreografica: rigore, incertezza, visceralità, semplicità, può spiegarci meglio?
Queste parole, scelte da colui che potremmo chiamare il mio alter ego drammaturgico, Nello Calabrò, sono le parole chiave del mio linguaggio coreografico che abbiamo chiamato modem, movimento democratico, perché la costruzione dello spettacolo avviene in modo democratico, coinvolgendo tutti gli interpreti. Queste parole accompagnano tutte le coreografie e in tutto l’ambito creativo della compagnia c’è l’idea dell’istinto, dell’ancestralità, della visceralità. La nostra danza proviene dalle viscere della terra e si esprime nel corpo: attraverso i piedi la visceralità della terra arriva alla carne, alle ossa e determina la qualità del movimento, la sua forza, a tratti anche violenta.

La coreografia si svolge su musiche originali eseguite dal vivo dai Lautari, anche loro catanesi come voi…
Sì il 90% dei miei lavori si servono di musiche dal vivo perché, anche in questo caso, si crea un legame viscerale. In realtà, non c’è una separazione rigida o una gerarchia fra danza e musica: quest’ultima è una colonna sonora per le mie coreografie e proprio come una colonna è un supporto fondamentale. Uno spettacolo è bello anche perché è stata scelta, o ideata, quella particolare musica: è bello, è unico nella sua interezza. I Lautari sono un gruppo popolare folk-rock, molto famosi nella nostra Sicilia. Per “I am beautiful” hanno ideato musiche molto accattivanti e trascinanti, musicalmente parlando sono molto innamorato di questo lavoro.

“I am beautiful” è il quarto stadio del progetto Transiti Humanitatis – i precedenti sono stati “Invenzioni a tre voci”, “Oratorio per Eva” e la “Nona”, ndr – è l’episodio finale o la sua ricerca coreografica andrà avanti?
All’inizio avevamo pensato che sarebbe finita qui, invece poi con Nello Calabrò abbiamo pensato che non è possibile perchè parlando dell’umanità è impossibile non avere più nulla da dire. Abbiamo in cantiere già altri due progetti: uno più piccolo, più intimo, più di ricerca, che probabilmente verrà fatto già nel 2017, è una sorta di proseguimento del discorso sulla bellezza del corpo; l’altro più ampio, di largo respiro, una vera e propria opera-balletto, che potrebbe prendere esso stesso il nome di “Transiti Humanitatis”.

zappalà danza
Roberto Zappalà

L’ultima domanda riguarda il pubblico delle sue creazioni, qual è il tipo di pubblico a cui si rivolge?
Non ho un pubblico che preferisco a un altro, certo ci piace dedicare molto spazio agli amatori, anche facendo lezioni e dimostrazioni, mettendo in pratica con loro la conoscenza del proprio corpo e il nostro linguaggio, che anche per questo è movimento democratico. In un certo senso vorrei quindi che il mio pubblico fosse un pubblico ‘normale’, non per forza esperto di danza, ma interessato all’arte in senso ampio. Quando qualcuno mi dice “non vengo perché non capisco niente di danza”, io gli chiedo se vanno in museo e poi domando “quando sei davanti a un’opera, per esempio di Rodin, ti chiedi cosa vuol dire o godi di quell’immagine?”. Quasi tutti pensano di dover capire, ma se si ascolta una sinfonia, l’importante non è tanto capire come l’autore l’ha costruita, ma si ascolta e si gode della bellezza di quella musica. Il nodo è la bellezza che deve arrivare al cuore e al sistema nervoso, che ha lo scopo di rendere lo spirito più organico al corpo, non di dare una spiegazione a tutto. Insomma vorrei che il mio pubblico fosse il più vasto possibile e non venisse a vedere lo spettacolo per cercare di capire a tutti i costi, ma perché ha bisogno di provare qualcosa, possibilmente piacere.

Foto Compagnia Zappalà Danza. © Serena Nicoletti

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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