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Da: Organizzatori

In questi anni si parla, giustamente, molto di ecologia. Lo si fa perché si avverte un crescente senso di pericolo: la «casa comune» scricchiola. Non cessano neppure le voci che additano le prassi nonviolente come le uniche vie che consentiranno alle società umane di convivere. Eppure queste ultime preoccupazioni non sembrano godere di altrettanta eco. Ancora meno presente è la scelta di coniugare assieme i due fattori: nell’ambito del Friday for future non è frequente sentir parlare di disarmo o ascoltare denunce in relazione alla «terza guerra mondiale a pezzi»; fermo restando che la portata della nonviolenza è più ampia e penetrante del discorso, pur fondamentale, dedicato agli armamenti.
L’ideazione del XXIV convegno di teologia della pace è partita proprio dalla volontà di proporre qualche riflessione capace di collegare ecologia e nonviolenza. Pensare alla mitezza è apparsa la pista migliore per farlo. Agli orecchi di molti risuona il messaggio della terza Beatitudine: «Beati i miti, perché avranno in eredità la terra» (Mt 5,5). Che il senso originario del testo non avesse un significato direttamente ecologico è un’ovvietà; tuttavia nel rileggerle oggi, le parole di Gesù assumono, non impropriamente, anche questo significato. O, quanto meno, la situazione attuale ci sollecita a sollevare questioni che la ripetizione della frase evangelica ha spesso depotenziato: chi sono i miti? A loro quale terra è stata promessa in eredità? Parlare di creazione comporta individuare un punto di incontro tra l’opera di Dio e la custodia del «giardino» affidata agli esseri umani; il creato non è però una realtà che ci sta solo alle spalle, esso si colloca anche davanti a noi; l’attuazione della promessa relativa alla terra implica anch’essa una forma di cooperazione umano-divina?
I miti, i poveri, gli sfruttati, gli umiliati, gli ultimi sono soggetti di una promessa umanamente irrealizzabile? Scriveva Berthold Brecht: «Che tempi sono questi, quando discorrere di alberi è quasi un delitto perché comporta il silenzio su troppe stragi?». La nostra epoca è diversa dalla sua. Oggi si dovrebbe trascrivere la frase in questi termini: «Che tempi sono questi nei quali bisogna discorrere delle stragi degli alberi perché non cada il silenzio su altri delitti?». Il punto centrale della questione è costituito dal perno su cui ruota l’enciclica Laudato si’: la cura della «casa comune» implica in maniera inscindibile sia l’aspetto relativo al creato sia quello connesso alla società vista soprattutto in relazione alle sue componenti più deboli. Non è un caso, come ribadisce più volte papa Francesco, che siano i poveri i primi a patire le conseguenze più devastanti dei disastri ambientali.
«Casa comune» è espressione applicabile anche a una dimensione più ristretta, persino cittadina. È anche in questo spirito che il convegno ricorderà due figure, una religiosa e l’altra laica, alle quali Ferrara deve molto: mons. Elios Giuseppe Mori e Alberto Melandri.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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