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Qualcosa si è spezzato, dopo non sarà come prima. È l’effetto delle crisi, di ciò che ‘separa’, per stare all’etimologia della parola. Solitamente non ce ne accorgiamo, o non ci pensiamo, ma tutta la nostra vita è costellata di crisi, fin da subito. L’equilibrio si rompe e noi cerchiamo un nuovo ordine. Siamo organismi omeostatici, per questo in continuo adattamento con l’ambiente che ci circonda. È che le crisi hanno una diversa scala di intensità, tanto che di alcune fatichiamo a intravedere il punto di equilibrio, così ci investe l’ansia, l’insicurezza. La paura è sempre il campanello d’allarme di un equilibrio che si spezza.

Per uscire da una crisi prima di tutto bisogna riconoscerla. Imparare a guardare in faccia alle cose. La crisi si riconosce in virtù dei suoi moltiplicatori. Scriveva Charles Bukowski: “Passai accanto a duecento persone e non riuscii a vedere un solo essere umano”. Ora che si è spezzata la nostra sicurezza, che l’incertezza ci soffia sul collo, ci accorgiamo degli altri con cui condividiamo l’impasto umano. Bisognava prendere atto che la sirena d’allarme non suonava per via di un cortocircuito, ma per il pericolo che è giunto tra noi a restituirci la nostra l’identità. L’identità fragile che ci accomuna agli esseri che brulicano sulla Terra, quel camminare in equilibrio su un filo sospeso, che si svela solo quando la corsa si arresta. Ammettere la crisi significa certificarne l’esistenza. Può darsi che non ne siamo responsabili, ma lo diventeremmo se non facessimo nulla per cambiare. Grosso modo era questo il senso di una frase di Martin Luther King.

Accettare la responsabilità personale è il passaggio più difficile. La responsabilità che ci chiama in causa anche quando i responsabili non siamo noi. Ma la responsabilità che qui è in gioco è quella nei confronti non solo di noi stessi ma soprattutto degli altri. Ecco che ‘gli altri’ non sono un concetto astratto, ma una massa concreta. Non sono il popolo, non sono la gente. Sono i vicini prossimi, con un nome e un cognome. Sono la riscoperta delle persone dietro la maschera. Quelli di cui abbiamo la responsabilità di salvaguardare la salute come la nostra. Essere insieme ma distanti, una pluralità che si singolarizza in virtù del valore della vita, che è quello che tiene vivi insieme. La responsabilità è, etimologicamente, l’abilità di rispondere, e in questo caso,  di dare risposte alla crisi che stiamo vivendo. È una responsabilità di atti compiuti o mancati, la responsabilità di prevedere gli effetti delle nostre azioni, di modificarle e correggerle in base a tali previsioni. C’è un’etica della responsabilità che chiama tutti all’appello, che ci ricorda, se l’avessimo dimenticata, che è ora di praticarla se vogliamo uscire dalla crisi. L’altro è tornato ad esistere, è quello da cui dobbiamo tenere la distanza di almeno un metro, non per ignorarlo come accadeva prima, ma perché ora abbiamo bisogno del suo aiuto, dell’aiuto di tutti quelli che ci sono ‘altri’.

Occorreva vivere un momento di rottura, la durata di una sospensione, l’emergenza delle vite per tornare a riconoscere limportanza di aver bisogno dell’altro, il valore della reciprocità, del bisogno degli uni e degli altri. Il ritorno al mutuo soccorso. Offrire accoglienza all’altro nel nostro pensiero e nella prudenza delle nostre condotte. Forse ha ragione Ernst Bloch, le crisi vengono a cambiare il nostro mondo fino a renderlo riconoscibile. Avevamo dimenticato com’era, troppo impegnati a difenderci dall’altro che pretendeva d’essere accolto. La forza dell’io non ci è sufficiente. La buona considerazione di noi stessi non è più sufficiente a misurare la nostra capacità di tolleranza, il nostro attaccamento alla vita.

Quanto siamo capaci di resistere alle condizioni dello stress, si affaccia come un nuovo interrogativo. Abbiamo bisogno di cercare il sostegno emotivo nella catena che ci unisce all’altro, ai tanti anelli che gli altri insieme formano. Improvvisamente, è come se la vita fosse sempre e solo adesso, sempre e solo qui, e noi né là né dopo, come se avessimo fatto ritorno “Nel guscio” di Ian McEwan. Dovevamo scoprire che il solo senso della vita è nella sua finalità: “Vivere per vivere”, come ci ricorda Edgar Morin. E anche questa è una lezione a non affannarsi a ricercare finalità di cui non si può trovare un senso.

“A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro”, è l’inizio della Lettera sulla felicità di Epicuro, che dovremmo riprendere in mano, per fare in modo che questi giorni speciali servano almeno a procurarci l’immunità dai nostri virus quotidiani, che passata la crisi potrebbero tornare a circolare.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
direttore responsabile


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