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Torino – Ci risiamo! I mezzi di informazione per convincere della necessità della vaccinazione facendo riferimento a un sistema organizzativo unico nazionale riguardo alla pandemia e chi ci governa presentano le loro argomentazioni usando un linguaggio tipo ‘siamo in guerra’. Ancora una volta un linguaggio bellico, un pensiero di aggressione e prevaricazione, per affrontare problemi che esigono invece collaborazione e coordinazione.

Il virus non è un nemico alieno che invade la terra, ma è il risultato di nostre scelte, la conseguenza dell’aver posto il profitto e i privilegi di alcuni al di sopra della qualità della vita umana per tutti. Realizzare una buona qualità di vita richiede un ambiente che abbia altrettanta qualità; non si può prescindere dal rispetto delle risorse naturali, per realizzare una vita dignitosa non solo per pochi ma per tutti.

L’aver messo il profitto al vertice dei valori a cui l’umanità tende è all’origine della pandemia. Il privilegio di pochi su molti corrisponde allo squilibrio con cui è stato trattato l’ambiente. L’inquinamento è il terreno di coltura di virus e batteri. La terra non può diventare il contenitore dei nostri scarti: se non la pensiamo come il luogo da abitare, e abitare piacevolmente, invece che come terreno di conquista, questi effetti pandemici si susseguiranno a ritmo sempre più frequente, con le conseguenze disastrose che stiamo vedendo e possiamo immaginare.

Le tante morti che la nostra nazione ha subito sono anche conseguenza dello smantellamento del sistema democratico avvenuto negli ultimi anni. La distribuzione dei servizi alla totalità dei cittadini, base della democrazia, è stata una prerogativa italiana distribuita su tutto il territorio efficiente ed efficace. La sua realizzazione aveva richiesto anni di lavoro civile a partire dal secondo dopoguerra e il suo obiettivo era ottenere una eccellente qualità del servizio accessibile a tutti.

È importante ricordarlo, perché nelle democrazie i governi sono eletti dai cittadini. Non dobbiamo dimenticare quali sono state le scelte che hanno portato a questo disastro, perché in una democrazia siamo tutti corresponsabili delle azioni sociali. Ricordiamocelo al momento di tornare alle urne: quante persone sono morte perché tanti hanno votato chi proponeva la supremazia di alcuni su altri e ha trovato consenso? E chi ha dato questo consenso sono stati proprio quelli che, per primi, si sono visti togliere i servizi pubblici che garantivano la loro qualità di vita e la loro salute.

L’Italia è riuscita a restare al passo con lo sviluppo della società occidentale perché ha costruito la propria unità politica e, dopo il blocco dello sviluppo conseguenza al fascismo, ha scelto la via democratica, l’unica forma di governo a garantire sviluppo umano e sociale. Ora la sta distruggendo per seguire le sirene, prima della secessione, ora dell’autonomia. E questo anche grazie ai nuovi mezzi di comunicazione che indiscriminatamente propugnano la cultura del vacuo. In questa ultima fase di gestione della pandemia si può vedere bene fino a che punto sia inefficiente questo sistema di frammentazione amministrativa. Spero che quanto succede in Italia, con le autonomie regionali che lavorano l’una contro l’altra, anziché all’unisono, sia un monito per l’Europa. Nelle due realtà il problema è lo stesso: la necessità di mettere d’accordo un puzzle di territori reciprocamente diffidenti rallenta qualunque procedimento. Un esempio lampante è la distribuzione dei vaccini per il Covid-19 che, tanto in Italia quanto in Europa, sta procedendo così a rilento.

Il mondo è ormai organizzato in potenze dalle dimensioni di continenti: le piccole nazioni sono destinate a contare sempre meno nelle relazioni internazionali fino a sparire del tutto. Il comportamento dell’Egitto nei confronti dell’Italia, mi riferisco ai casi Regeni e Patrick Zaki, è emblematico – come pure quello del caso del ricercatore scientifico Ahmedrez Djalali in Iran – l’Italia in quanto nazione singola, senza l’appoggio dell’Europa non ha forza sufficiente a esigere il rispetto delle norme diplomatiche.

Finalmente, con la Next Generation EU abbiamo fatto un primo passo necessario per rispondere ai problemi creati dalla pandemia, però non è sufficiente: ci vuole la costituzione dell’Unità europea politica, un unico governo forte e presente che non esiste ancora: siamo in ritardo di 70 anni nella realizzazione del progetto d’Europa promesso da Schuman, De Gasperi e Adenauer e ne stiamo pagando le conseguenze.

Molti problemi del bacino del Mediterraneo, da quelli legati alle migrazioni alle tensioni con la Turchia, sono diretta conseguenza dell’atteggiamento passivo dell’Europa, che non ha la forza di uno stato unitario; i flussi migratori sono connaturati alla natura umana, la storia dimostra che ci sono sempre stati, non si possono frenare, ma vanno governati: se non lo si fa in modo democratico, alcune nazioni stanno già progettando l’unione delle democrazie illiberali che danno al concetto di democrazia un valore solo quantitativo di maggioranza e non qualitativo di libertà.

Ma come è possibile una democrazia senza libertà? Cosa stiamo aspettando ancora? Oppure vogliamo che altri casi come quello del dittatore turco Erdogan e la Presidente della commissione europea von der Leyen si ripresentino nella prevaricazione e nella mancanza di rispetto e decenza nei riguardi di governanti europei pienamente accreditati, solo perché donne? E non finisce qui. Se l’Europa finalmente riconoscesse, lei per prima, il valore di essere nazione unita chiederebbe a Charles Michel le dimissioni immediate.

Bloccare la costruzione dell’Europa politica ci condanna a diventare terra di conquista di tutte le grandi potenze e non è solo una sconfitta territoriale: è la stessa democrazia a essere messa a rischio, perché molte di queste potenze sono dittature. Vogliamo proprio distruggere la più bella conquista del Novecento: la democrazia basata sul benessere e la giustizia sociale?

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Grazia Baroni

Grazia Baroni, è nata a Torino nel 1951. Dopo il diploma di liceo artistico e l’abilitazione all’insegnamento si è laureata in architettura e ha insegnato disegno e storia dell’arte nella scuola superiore durante la sua trentennale carriera. Ha partecipato alla fondazione della cooperativa Centro Ricerche di Sviluppo del Territorio (CRST) e collaborato ad alcuni lavori del Centro Lavoro Integrato sul Territorio (CELIT). E’ socia e collaboratrice del Centro Culturale e Associazione Familiare Nova Cana. Dal 2016, anno della sua fondazione, fa parte del gruppo Molecole, un momento di ricerca e di lavoro sul bene, per creare e conoscere, scoprendo e dialogando con altre molecole positive e provare a porsi come elementi catalizzatori del cambiamento. Fra i temi affrontati dal gruppo c’è lo studio e dibattito sulla Burocrazia, studio e invio di un questionario allargato sulla felicità, sul suo significato e visione, lavori progettuali sulla felicità, in corso.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
direttore responsabile


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