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Quante volte in questi mesi, soprattutto all’esordio dell’epidemia da Covid-19, abbiamo detto o ci siamo sentiti dire che questa sarebbe stata un’occasione storica per cambiare i paradigmi dell’economia e del rapporto con l’ambiente? Tante. Quante volte abbiamo declamato “nulla sarà più come prima” , intendendo che il mondo avrebbe utilizzato la moderna peste per cambiare le priorità economiche e sociali in senso solidale? Tante. Naturalmente era un auspicio. Il dato di fatto, per adesso, è che tutto è come prima, peggio di prima.

L’eurodeputata Marion Aubry ha denunciato, in un discorso diventato virale, che l’Unione Europea si è piegata agli interessi delle multinazionali del farmaco, firmando protocolli segreti e penalizzanti, con il risultato di non avere a disposizione sufficienti dosi di vaccino per far fronte alle necessità della popolazione, per la semplice ragione che le aziende titolari dei brevetti non hanno una sufficiente capacità produttiva per far fronte, da sole, alla domanda dei farmaci che immunizzano dal Coronavirus. Aubry ha indicato una strada: “L’unico modo per recuperare il tempo perso è rilasciare il brevetto dei vaccini così che chiunque ne abbia la capacità possa produrlo”.

Il brevetto è il titolo in forza del quale al titolare viene conferito un diritto esclusivo di sfruttamento della sua invenzione, in un territorio e per un periodo determinato, e che consente di impedire ad altri di produrre, vendere o utilizzare l’invenzione senza autorizzazione. In una situazione quale quella attuale, in cui i brevetti che insistono sui farmaci vaccinali anti-Covid non sono liberalizzati, governa la legge del denaro: chi ha più soldi si accaparra dosi del vaccino prima degli altri e in quantità maggiore, perchè chi detiene il brevetto vende la sua invenzione al miglior offerente. Se ci trovassimo in una banale situazione commerciale, la legge privatistica del più forte prevarrebbe senza troppe storie. Peccato che non ci troviamo in una banale situazione commerciale, ma dentro una epidemia mondiale: da una parte abbiamo le multinazionali del farmaco, che vogliono massimizzare il guadagno privato (soldi) loro derivante dall’aver realizzato il vaccino che salverà la vita a milioni di persone; dall’altra abbiamo gli Stati sovrani, che dovrebbero massimizzare il vantaggio pubblico (salute) di immunizzare i loro cittadini. Ebbene: come ci è capitato altre volte di notare, questa vicenda mostra in maniera didascalica chi è che comanda oggi nel mondo: non gli stati sovrani, ma alcune multinazionali private.

Non è la prima volta che succede. Nelson Mandela condusse una battaglia contro il WTO (L’Organizzazione Mondiale del Commercio), perchè il 35% del suo popolo (in particolare donne) tra i 15 e i 40 anni era sieropositivo. Diede mandato al suo Congresso di approvare una legge che permettesse ad aziende sudafricane di produrre farmaci contro l’Aids senza chiedere l’ autorizzazione ai titolari dei brevetti d’invenzione, che peraltro l’avevano negata, così come avevano rifiutato qualunque accordo economico col Sudafrica per la semplice, feroce ragione che pretendevano molti più soldi di quelli che Mandela poteva permettersi. Mandela subì la denuncia delle multinazionali senza arrestare la produzione indigena del farmaco, tenne duro fino a che la denuncia si trasformò prima in una trattativa, poi in una norma, la clausola di garanzia sulle licenze obbligatorie, che stabilisce che in una situazione di pandemia e difficoltà economica i Paesi hanno l’autorizzazione a produrre direttamente i farmaci salvavita, scavalcando il brevetto.

Lo scorso 11 marzo Sud Africa e India hanno chiesto all’Organizzazione mondiale per il commercio di valutare la sospensione dei brevetti sui vaccini che impediscono ai due Paesi di produrre su scala mondiale le dosi anti-Covid. Un’approvazione dell’istanza consentirebbe di contenere ovunque l’epidemia realizzando le necessarie dosi di vaccino in tempi relativamente brevi e a costi accessibili per tutti. Ma molti Stati si sono schierati contro questa richiesta: Australia, Brasile, Canada, Giappone,  Norvegia, Regno Unito, Svizzera, Stati Uniti e Unione Europea.

Nel frattempo Mario Draghi ha bloccato l’esportazione in Australia di 250.000 dosi di vaccino AstraZeneca prodotto in uno stabilimento di Anagni. Le dosi sono state redistribuite tra i Paesi Ue. L’ 8 marzo gli Stati Uniti hanno annunciato per bocca del responsabile nordamericano della campagna vaccinale di Biden che tutti i vaccini prodotti negli Usa rimarranno negli Usa. Prima gli americani, prima gli europei, prima gli italiani. Siamo ad un paradossale sovranismo senza sovranità: il sovranismo è quello dei paesi più “avanzati”, che hanno talmente poche dosi da bloccare ogni forma di condivisione delle stesse col resto del mondo. La sovranità è quella delle multinazionali private, che hanno stipulato accordi vantaggiosi per loro e capestro per gli Stati. L’ annuncio di Draghi dell’avvio di una produzione su suolo italiano del vaccino anti-Covid non inverte la direzione, anzi la conferma, trattandosi di un contratto stipulato con una azienda detentrice del brevetto (che quindi lucrerà dalla concessione del medesimo).

Infine abbiamo una sovranità senza sovranismo, orgogliosa e (quasi) solitaria. La sovranità è quella di Cuba, che con una propria tecnologia ed un proprio know-how, del tutto autonomi e diversi da quelli delle grandi aziende della cosiddetta Big Pharma, sta sperimentando alcuni vaccini da somministrare prima alla sua popolazione (e ci mancherebbe altro, per una nazione che fa ancora i conti con l’embargo americano), poi al resto del mondo e in forma gratuita. Non vivo a Cuba, non ci sono mai stato, non la conosco e sono quindi altrettanto lontano dall’idea di considerarla un paese perfetto o una dittatura che affama la sua gente. Però credo di poter affermare che ci sono eventi nodali, nella storia del mondo, che fanno capire quali sono i valori che una nazione mette in cima alla sua scala. In cima alla scala dei valori di Cuba c’è una sanità pubblica e all’avanguardia. L’Unione Europea e gli Stati Uniti non hanno investito sull’idea di una sanità pubblica e a portata di tutti, e pensano coi soldi di comprarsi tutto quello che serve, ma che non hanno coltivato in termini universalistici. Peccato che non abbiano nemmeno la forza di liberalizzare i brevetti, dimostrando che il potere sta tutto da un’altra parte, in mani private.

 

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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