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L’oscura morte di Pamela e il raid fascista ci raccontano il malessere degli italiani, la cattiva coscienza della politica, il voyerismo dell’informazione.

Macerata 1: Uno, anzi due fascismi
Si può essere più fascista dei fascisti? Si direbbe proprio di sì.
Forza Nuova ha un conto aperto con i cugini di Casa Pound. In questi ultimi anni la storica formazione estremista, che evidentemente si ritiene la legittima depositaria di camicia nera e saluto romano, si è sentita ‘scavalcata a destra’ dai movimentisti di Casa Pound, decisamente più moderni, molto più presenti sul territorio – non solo a Ostia e dintorni – e molto più forti, più organizzati.
Così mentre Casa Pound – che un’Italia distratta (distratta?) ha permesso di presentarsi alle prossime elezioni – si permette il lusso di prendere le distanze dal pistolero vendicatore della razza bianca, Forza Nuova sfila per le strade di Macerata.
Ma la manifestazione era autorizzata? Certo che no, ma una quarantina di militanti di Forza Nuova ci hanno provato lo stesso. Erano in pochi, ma ce l’hanno fatta, in barba a Casa Pound, alla questura e alla decenza costituzionale. E visto che chi doveva impedire la marcia fascista non ha potuto o voluto impedirla, un gruppo dell’area dei Centri Sociali e di Autonomia hanno organizzato una contromarcia. Da qui gli inevitabili scontri, tra i manifestanti e i manifestanti e le forze dell’ordine.
Dopo gli scontri è arrivato il nuovo, rigoroso, invalicabile divieto di manifestazioni pubbliche nella città di Macerata. Divieto per tutti, senza distinzioni: per chi vuole solidarizzare verso gli assalitori, come i gruppi, i comitati e le associazioni chi vogliono marciare a fianco delle vittime.
Da questa presunta decisione salomonica – ché, come noto, il vero Salomone diceva per scherzo ed era assai più saggio – verrà tutto il contrario della calma sociale. Impedire di scendere in piazza a coloro che vogliono manifestare per la democrazia, contro la violenza e per difendere i diritti degli immigrati, dei più deboli, dei senza diritti, porterà a nuova tensione e a nuovi scontri. (Articolo redatto prima del corteo, ndr)

Macerata 2 : ma di chi è la colpa?
Tutti gli altri, cioè il 90 e più per cento delle forze politiche, ha deciso che a Macerata non andrà a manifestare. Non per questo hanno seppellito le asce di guerra. Fra tre settimane si vota e la polemica non si placa.
Naturalmente tutti condannano il raid razzista, a parte i ma… Salvini attacca: l’Islam è incostituzionale e tutta la colpa è del Pd, del governo e della “invasione di migranti” che crea disagio e scontro sociale! Risponde Renzi: è la Lega che pesca nel torbido, scatena la guerra tra i poveri ed è la responsabile ultima del clima da far west!
Eppure, mai come questa volta le condanne e le accuse incrociate non riescono a chiudere la partita, anzi, lasciano a noi spettatori molta confusione e più di un dubbio. Mai come ora il reciproco rimpallo delle responsabilità, come pure gli impegni solenni a risolvere il problema alla radice non sono credibili, non riescono a convincerci della giustezza di questa o quella soluzione.
Il batti e ribatti, tutto in proiezione elettorale, tra i due Matteo, sembra in realtà nascondere un generale imbarazzo, un segretissimo senso di impotenza. Che non riguarda solo Lega e Partito Democratico, ma tutti i partiti e tutta la classe politica italiana.
E’ difficile infatti credere alle ricette proposte da una parte e dall’altra. Gli accordi e i soldi alla Libia e il foglio di via alle Ong umanitarie del prefetto di ferro Minniti? I poliziotti di quartiere e i militari a presidiare le strade invocati da Berlusconi? Le ‘deportazioni di massa’ proposte dalla Lega e Fratelli d’Italia? Non si tratta solo di strade sbagliate e illiberali (anche l’ONU ha bocciato il decreto Minniti), ma di soluzioni irrealistiche, di inutili prove muscolari che mancano l’obiettivo e rischiano di peggiorare i problemi.
La battaglia sulle cifre degli sbarchi ci ha accompagnato negli ultimi sei mesi e tutti i partiti sembrano contenti di aver ridotto i flussi e di aver pagato la Libia per rinchiudere migliaia di disperati nei lager d’oltremare. Ma senza una vera soluzione alla disperazione africana, gli sbarchi continueranno. Arriveranno da nuovi porti, troveranno nuovi approdi e nessun decreto riuscirà a fermarli.
Ma c’è molto altro che sono in pochi a voler considerare. Al di là della continua emergenza profughi, ci sono i milioni di stranieri che già vivono nel nostro Paese – proprio come quelli che camminavano per Macerata e che si sono beccati una pallottola – quelli arrivati da anni e da anni “in attesa di asilo”, quelli costretti a vivere ai margini, senza diritti, senza la prospettiva di una vita dignitosa.
Se vogliamo la pace sociale, promuovere una serena convivenza, combattere la marginalità e il degrado sociale, togliere spazio e occasioni all’estremismo e all’odio razziale, abbiamo una sola strada da percorrere. Affrontare seriamente non solo il problema dell’accoglienza degli ultimi arrivati – lo stiamo facendo troppo poco e spesso male – ma riformare in toto la nostra legislazione e le nostre norme sull’immigrazione.
La chiusura all’immigrazione legale, le strade sbarrate verso il diritto d’asilo, la mancata approvazione della Ius soli, hanno prodotto in ogni città una ‘Italia parallela’, una società parallela di diseredati, figli di un dio minore. E come possiamo offrire agli italiani – a tutti – una convivenza sicura e serena, se condanniamo i nuovi arrivati a una esistenza fuori dalla legalità?
E’ lo stesso ‘sistema italiano’, la porta in faccia alla immigrazione legale e al diritto di cittadinanza, a costringere gli immigrati a essere fuorilegge, a vivere ai margini e nelle periferie, a subire per primi il ricatto del lavoro nero e sottopagato, a diventare, in alcuni casi, manovalanza a costo zero per i mercanti della droga.

Macerata 3 : contro l’Italia guardona
“Ultime nuove sul delitto di Macerata!”
Sì perché, se la politica si interroga o finge di interrogarsi sul raid fascista, televisioni e social preferiscono occuparsi della povera Pamela Mastropietro, solo diciott’anni per morire, essere fatta a pezzi e impacchettata in due trolley.
Anch’io mi auguro che venga fatta luce, sia resa giustizia, trovati colpevoli, complici e tutto il resto. In Italia non accade troppo spesso. Ma confesso che non ne posso proprio più di Chi l’ha visto, Quarto grado e trasmissioni consimili.
Quando i mulini erano bianchi (Barilla), o al tempo delle “Porte aperte” (Sciascia), quando insomma a comandare c’era il “Predappiofesso”, il “Batrace stivaluto” – come Carlo Emilio Gadda scriveva di Mussolini – la cronaca nera non esisteva proprio. Niente furti, niente rapine, niente stupri, omicidi, delitti passionali. Niente sangue sui giornali controllati dal regime.
Ovviamente cosi non era, perché Homo homini lupus vigeva ben prima del Ventennio; nessun contratto sociale è mai riuscito a metterlo in gabbia. La censura fascista aveva solo sotterrato, reso invisibili i comportamenti e gli atti criminali. Così, appena finita la seconda guerra, la stampa libera si buttò a pesce su Rina Fort, subito soprannominata “la belva di San Gregorio”. Il Corriere della Sera del 1° dicembre 1946 titolava in grassetto: “Massacrati in via San Gregorio una madre coi tre figlioletti”.
Con Rina Fort – su di lei, sul processo, fino alla sua oscura uscita di prigione per fine pena, ha scritto pagine memorabili Dino Buzzati – nasce (ri-nasce) la cronaca nera nei media italiani. Da allora, grazie alla pertinace attenzione di stampa e televisione, ogni anno può essere intitolato a un grande delitto: una sorta di storia d’Italia attraverso la cronaca criminale. Il caso Montesi (1953), il mistero di via Veneto (1963), Milena Sutter (1971), il massacro del Circeo (1975), il mostro di Firenze (1968-1985), il delitto di via Carlo Poma (1990), quello dell’Olgiata (1991), quello dell’imprenditore Gucci (1995), le bestie di satana (1998- 2004), l’infanticidio di Cogne (2002), l’omicidio di Meredith Kercher (2007), la strage di Erba (2006), il delitto di Avetrana e quello di Yara Gambirasio (2010).
Ogni “efferato fatto di sangue” – ne tralascio volutamente almeno una trentina – è passato agli annali e alla rete con un nome evocativo, un inconfondibile marchio di fabbrica. Intanto, la passione per il delitto, la vivisezione televisiva del dna, la chiacchiera (idiota) tra improbabili esperti, avvocati rampanti e ‘giornalisti criminalisti’ ha letteralmente invaso i palinsesti.
Il prodotto evidentemente funziona. Le storie si assomigliano tutte ma con un po’ di fiction, qualche modellino, e pugnali, rivoltelle e provette lo spettacolo e gli ascolti sono assicurati. Non c’è pietà per Sarah Scazzi o Pamela Mastropietro, il loro destino è morire altre cento volte per il piacere di un’Italia trattata come un popolo di guardoni.
Davvero ci meritiamo questa vivisezione morbosa e criminale, questa becera istigazione al voyerismo? E cosa c’entra questo commercio con il dovere di cronaca e la libertà di informazione?
Hanno deciso di non mandare in onda le teste mozzate dall’Isis. Giusto, ma date un taglio, una regola, un minimo di misura, un confine anche a questo stillicidio di sangue mediatico. Non per dar ragione alla censura, non per tornare al Ventennio, ma per minimo di buongusto. E per chi, dopo il sangue, dopo l’orrore, ha diritto a un po’ di riposo.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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