Skip to main content

Nella vita mi sono occupato soprattutto di trasporti e mobilità essendo stato ferroviere; ho imparato che anche guardando il mondo e la società da un settore molto parziale è impossibile non confrontarsi con le politiche economiche e sociali sia nazionali che globali. À

Assieme ad amici e colleghi abbiamo vissuto i grandi cambiamenti avvenuti negli anni ‘90 che hanno visto affermarsi il modello TAV sia nei trasporti che nell’economia italiana; non abbiamo potuto fare a meno di constatare che quei profondi cambiamenti andavano assieme ad una ristrutturazione del mondo del lavoro ed a politiche che favorivano spudoratamente gli aspetti finanziari e gli interessi di una oligarchia industriale in crisi che trovava nell’invenzione dell’idea delle ‘Grandi Opere” – spesso sovradimensionate o inutili, molto diverse da quelle che hanno interessato il periodo precedente – una via sicura ed efficace di finanziarsi direttamente da risorse pubbliche.

Abbiamo constatato come la progettualità trasportistica stava passando dalle istituzioni pubbliche direttamente nelle mani delle grandi imprese collegate al sistema bancario, dove il ruolo politico diventava semplicemente quello di coordinamento e facilitazione per i desiderata del sistema privato.

La triste anomalia vista nel mondo dei trasporti era ed è solo un pezzo di una progressiva ristrutturazione economica generale; logiche simili  sono attente solo a garantire che crescita e profitti non trovino ostacoli, nemmeno quelli imposti dai limiti di un pianeta finito.

Nei decenni passati, le crisi e le catastrofi (terremoti, inondazioni, frane…) sono state sempre occasione non per risolvere i problemi, ma per smantellare pezzi di un sistema di welfare e di gestione del territorio al servizio della collettività; non che prima dell’era neoliberista fosse il paradiso, tutt’altro, ma negli ultimi decenni l’assalto dell’oligarchia è stato violentissimo.

La conferma la vediamo dalla gestione della crisi creatasi con la sindemia da covid-19; tutto pareva non dover essere come prima, ma purtroppo le speranze si sono trasformate in incubo.
Tutto il panorama politico si è piegato ai diktat degli interessi dell’élite lasciando increduli anche i più tenaci sostenitori del voto al ‘meno peggio’; le istituzioni ormai sono vuoti simulacri, il cosiddetto ‘governo dei migliori’ ha imposto la sua agenda senza alcun dibattito. Solo qualche raro mal di pancia e una falsa opposizione di destra.

Stanno nascendo le ‘riforme’ che vuole l’Europa e un programma di investimenti che, se non è scritto direttamente dalla Confindustria, certamente ne accontenta gli istinti più profondi.

Qua non si tratta di ideologia, ma dell’osservazione empirica di cosa accade anche a livello locale. Nella Toscana in cui vivo la politica del Partito Democratico – e di una opposizione che si lamenta solo di come si tutelino troppo poco gli interessi delle imprese – incarna perfettamente lo spirito di questo tempo.
Nei mesi passati, nelle sale della Regione Toscana si sono susseguiti intensi incontri tra politici, esponenti di Confindustria e fondazioni bancarie: lì si sono decise le sorti dei fondi del PNRR previsti, alla faccia della tanto sbandierata ‘partecipazione’.

In questo quadro di restaurazione sociale ed economica, la cosiddetta ‘transizione ecologica‘ non è solo un vuoto bla-bla-bla, ma una ghiotta occasione per mettere le mani su un gruzzolo fornito – poco generosamente – dall’Unione Europea. Che molti di quei soldi diventino in futuro debito pubblico non interessa, bene trasformare subito il malloppo in profitti e lasciare poi che siano i cittadini a ripagare i debiti. Intanto si prendono i soldi, poi ci rimprovereranno che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità.

Che la transizione ecologica si trasformerà in distribuzione a pochi di risorse pubbliche, lo si vede guardando ai progetti messi in campo: la “mobilità sostenibile” prevista è smentita dalla scelta di grandi progetti di alta velocità.

Sono progetti che richiedono lavori imponenti, soprattutto la linea prevista a sud; ci si affida alla retorica del trasporto su ferro, ma non si fa mai il calcolo di quanta CO2 viene prodotta nello scavare gallerie, nel fare grandi colate di cemento e nel consumo energetico per raggiungere alte velocità.

Basta una spolveratina di verde per rendere tutto ‘sostenibile’.

Che poi la maggior parte del trasporto su ferro sia su brevi e medie distanze, cioè per i pendolari, è cosa che si ignora da decenni e niente cambia in questa presunta transizione.

Non ci si vuol nemmeno ricordare che oggi le grandi infrastrutture sono uno dei comparti dove si creano meno posti di lavoro, ma si presentano questi mega progetti come meccanismi di redistribuzione di ricchezza. Niente di più falso: come ci insegnava l’ “ingegnere comunista” Ivan Cicconi [Vedi qui] le grandi opere inutili sono un keinesismo a rovescio, per i ricchi, non per i poveri.

Alla fine di settembre si è tenuta a Genova una sessione del G20 dedicata alle infrastrutture, dove la retorica è grondata doviziosamente. Si è ancora inneggiato al ‘modello Genova’, con cui è stato ricostruito il ponte crollato sulla città, da applicare a tutte le opere previste, nonostante le forti critiche di tanti movimenti, esperti e anche del presidente dell’ANAC.

Per contro,  del disastro infrastrutturale dovuto alla grave carenza di manutenzione non si parla più.
Anzi, il colosso delle costruzioni Webuild (nuovo nome della Salini Impregilovuole accaparrarsi anche la manutenzione di tutte le strade italiane; si rafforzerebbe un monopolio privato, distruggendo un gran numero di piccole imprese che oggi garantiscono il servizio, anche se in maniera insufficiente.

L’emergenza in cui viviamo ha consentito che nel DL 77/2021, all’articolo 44, si prevedessero “semplificazioni” tali da potersi definire deregolamentazione degli appalti e dei processi di approvazione dei progetti.
Nessuno vuol vedere che molti cantieri non sono fermi per la burocrazia, ma per gli errori progettuali dovuti a insufficienti controlli.

Il 30 settembre – il giorno dopo l’incontro tra il governo italiano e Greta Tunberg – un gruppo di qualche decina di giovani ambientalisti a Milano ha provato a fare un presidio al passaggio di Draghi; immediati i manganelli si sono levati in risposta per disperdere i pacifici ragazzi.
Sarà bene ricordare cosa ci dicevano persone come André Gorz e Alex Langer: se non accompagniamo la conversione ecologica con profondi cambiamenti sociali andremo verso una triste forma di ecofascismo.

Qua pare che di ecologico ci sia molto poco, forse ci rimane solo un nuovo fascismo.

Nota: questo articolo è uscito il 10.10.2021 sulla rivista online La Città invisibile dell’associazione perUnaltracittà di Firenze.

tag:

Tiziano Cardosi


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it