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Il cibo e la cucina rimangono sempre interessanti metafore dell’esistere umano: nel cibo o attraverso la sua immagine poniamo domande, cerchiamo risposte, troviamo consapevolezza della nostra identità, condividiamo vite, regaliamo sensazioni e ci facciamo travolgere da emozioni. Il cibo non è solo fonte e linfa di sostentamento: diventa anche elemento comunicativo di una forza senza pari. I luoghi letterari della narrativa, le cucine, i ristoranti, i caffè, le dimore umili e le dispense dei grandi signori, i falò nelle radure, i fuochi sulle spiagge, la strada con il pane elemosinato e i banchetti scintillanti, ospitano sempre spezzoni di storie avvincenti i cui protagonisti si muovono tra eventi, peripezie, avventure e movimento, trame e intrecci, sollevando la nostra partecipazione emotiva e la nostra curiosità.

Opulente e abitudinarie cuoche d’altri tempi servono con orgoglio gustose pietanze, moderni dinamici chef dalle promettenti carriere luminose esibiscono autentiche opere d’arte, dissoluti buongustai si avventano senza ritegno su piatti traboccanti, umili famigliole radunate attorno ad un tavolo scarno toccano il cibo come fosse un miracolo, annoiate signore sbocconcellano ciò che rimane di qualche dolce per riempire tediose giornate e anziane dagli antichi saperi ci spiegano, tra un capitolo e l’altro, il beneficio e le proprietà delle erbe officinali e delle spezie. Ciascuno instaura col cibo un rapporto particolare fatto di impressioni dove gusti, sapori, forme e colori contengono echi simbolici inequivocabili.

Nel racconto di Karen Blixen ‘Il pranzo di Babette’, i dodici sospettosi e diffidenti abitanti del villaggio, avvezzi a una spenta vita di privazioni, rimangono sedotti dalle delizie gastronomiche che Babette, grande cuoca, ha preparato loro a sue spese. Ciò che seguirà sarà un significativo e benefico cambiamento di prospettiva nei confronti della vita e degli esseri umani. Ed ecco che in letteratura compaiono le madelaine inzuppate nel tè, quei piccoli dolci morbidi che per Marcel Proust, nel suo capolavoro ‘Alla ricerca del tempo perduto’, diventano improvvisamente suggestivi mediatori col passato e gli fanno rivivere sensazioni e ricordi della giovinezza. In ‘Le anime morte’ di Nikolaj Gogol, il cibo rispecchia la primordialità, qualcosa che attira brutalmente il protagonista Chichikov e lo invita ad affrontare verdure in salamoia e abbondanti bevute di vodka, zuppe di cavolo, njanja (stomaco di montone ripieno di grano saraceno, cervella, carne delle zampe), vatrushki (focacce con ricotta). Georges Simenon riesce a descrivere in molte sue opere, quasi con nostalgia, piatti e pietanze della cucina francese e belga che rivelano l’attaccamento alle origini e il bisogno di richiamare gusti e sensazioni del passato attraverso i flan della madre, la torta di riso e le saporitissime portate di cozze e patate.

Tutti conosciamo poi ‘Chocolat’ di Joanne Harris, dove il cioccolato è il protagonista assoluto delle storie di ciascuno, in una forma o nell’altra, e riesce a produrre strane e meravigliose reazioni utili a trasformare e rinnovare vite e destini. Il cibo che compare in ‘Ulisse’ e ‘Gente di Dublino’ di James Joyce ci mostra l’Irlanda dell’autore attraverso le solide tavole di legno in grigie cucine affumicate, dove spesso c’è ben poco da mangiare e ogni pasto è una benedizione: interiora di animali e volatili, minestra di rigaglie, cuore arrosto, fegato a fette impanate, uova di merluzzo, patate. Un romanzo particolarmente legato al cibo è ‘Dolce come il cioccolato’ di Laura Esquivel, diviso in dodici capitoli ciascuno dei quali contiene una ricetta dell’antica tradizione messicana. In questo caso gli ingredienti hanno un potere taumaturgico sorprendente e inaspettato sui giovani protagonisti e coloro che ne contornano la storia, permettendo di risolvere situazioni difficili. Nei libri di Camilleri, Salvo Montalbano non si preoccupa di nascondere l’autentica forte passione per il cibo, che diventa un vero e proprio ‘oggetto del desiderio’, uno dei piaceri più intensi e importanti. Tonno arrosto, polipetti alla napoletana, arancini lavorati e cucinati a regola d’arte secondo tradizione, gioiose annaffiate di vini della Sicilia, passiti di Pantelleria e Marsala popolano le pagine dell’epopea del commissario, tra un crimine e l’altro, colpi di scena, movimento e anche romanticismo. In ‘Visto per Shangai’, l’autore Qui Xiaolong rivela l’amore per le tradizioni gastronomiche del suo Paese. Il romanzo che esordisce con un cadavere ritrovato in un parco di Shangai dà l’incipit a una storia dai contorni gialli permeata di una sottile tensione costante che diventa motivo principale per raccontare della saggezza millenaria della cultura cinese, le tradizioni, i cambiamenti nel tempo e una gastronomia che ancora oggi ci dà la possibilità di degustare squisitezze esotiche.

La cucina può diventare il cuore pulsante di un’esistenza, come ci racconta l’autrice giapponese Banana Yoshimoto nel suo ‘Kitchen’. La protagonista, la giovane Mikage, smette di nutrirsi dopo la morte della nonna, l’unica persona che aveva al mondo. Si rinchiude e vegeta tristemente nella cucina della sua casa finchè non scopre in casa di amici, l’armonia, il benessere e la serenità che un altro ambiente e un altro modo di considerare il cibo le offre. Riprenderà a mangiare ed apprezzare quel cibo che le era diventato estraneo. La cucina è apparsa improvvisamente il luogo da amare. “Non importa dove si trova, com’è fatta purchè sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.”

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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