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Giorno: 16 Dicembre 2013

matteo-renzi

Renzi senza portaborse trascina il suo trolley

Come era facilmente prevedibile il “modello papa Francesco” sta facendo proseliti. Ieri, al termine della direzione Pd che ha sancito l’insediamento di Matteo Renzi alla segreteria del partito, il neoeletto ha conversato con i giornalisti mentre lasciava la sala, trascinandosi dietro il proprio trolley senza l’aiuto di una figura che ha iconograficamente segnato decenni di vita politica italiana: il portaborse. Gli inviti alla sobrietà e alla semplicità del nuovo pontefice non solo fanno breccia fra le gente comune, ma in qualche modo impongono anche ai notabili (siano essi politici o dirigenti d’altro tipo) di rivedere i loro comportamenti. Per Renzi non è una novità assoluta, ma ora pure tanti suoi colleghi, per convinzione o per opportunità, si stanno adeguando. Ben vengano, dunque, quei gesti simbolici, fossero anche consapevolmente ostentati (la borsa, appunto, portata a mano; la vecchia auto in luogo dell’ammiraglia; lo scardinamento dei protocolli) se servono una buona causa: quella di ricondurre tutti a una dimensione di normalità e dunque, in un certo senso, di uguaglianza.

Ascanio Celestini riporta in scena l’operaio e la sua “Fabbrica”

Pochi elementi sul palco, per la precisione due: una scenografia minuta e un attore che lo è altrettanto. Tutto il resto è riempito dalle parole, un fiume in piena. Siamo al Teatro dei Fluttuanti di Argenta e le parole sono quelle che tessono il testo teatrale di Fabbrica, lo spettacolo datato 2002 che Ascanio Celestini oggi riporta nei teatri. Lo fa da solo e lo fa raccontando perché, come spiega lui stesso ai ragazzi di Share for Community e agli spettatori di un “aperitivo fluttuante” che anticipa la rappresentazione, “il ‘teatro di narrazione’ non è un genere a sé, tutti gli spettacoli narrano storie e non c’è tanta differenza tra quello che faccio io e chi porta in scena Molière. Quel che ci differenzia veramente è che nel mio spettacolo non c’è una compagnia di attori, ci sono io”.

Autore, regista e attore appunto, per un monologo della durata di un’ora e mezza, ma che scorre via in un battito di ciglia. Una fabbrica di inizio ‘900, di quelle storiche e stoiche, è la vera protagonista. Una “istituzione” vissuta attraverso la biografia quotidiana di tre generazioni di operai personificati nei tre Fausto di cui si narra: lo stesso nome per un nonno, un padre e un figlio, primi attori di vicende di vita bizzarre, che si intrecciano con la Storia, prima quella con la S maiuscola e poi quella della Fabbrica. La voce invece è di un narratore esterno che di quell’enorme edificio di produzione ha vissuto la decadenza e ascoltato gli aneddoti: è lui che dedica alla madre (e ai presenti) quell’unica lettera che non ha potuto scriverle il 17 marzo 1949. Lo spettatore è rapito nell’ascolto, tanta è l’autenticità trasmessa, perché “l’attore deve entrare nel proprio oggetto, deve avere esperienza di quello di cui sta parlando. Anche se il teatro è finto anche quando è vero” – afferma lo stesso Celestini.

Un teatro che mescola invenzione e realtà dunque, per un autore che, interrogato su una posizione politica che spesso gli viene attribuita, specifica: “Mi hanno sempre affibbiato una voce partitica, non è così. Sempre che oggi si possa parlare di ‘partiti’: negli anni ’50 si votava ad esempio quello Comunista, ma non si votava la persona, si votava un’idea, una visione del mondo. Ora non è più così”.

Riferimenti:
Teatro dei Fluttuanti di Argenta
Share for Community

Voltini castello

I voltini del castello, “un’indecenza”. Ma la Provincia prende tempo

“Il problema è lampante. I voltini così come sono risultano indecenti”. Davide della birreria Giori non fa giri di parole. “Servirebbe un intervento urgente. E’ uno dei passaggi più centrali e caratteristici della nostra città, così conciati sono anche un cattivo biglietto da visita per i turisti”.
Della questione, ferraraitalia si è occupata nei giorni scorsi segnalando la stato di degrado dello storico attraversamento che mette in comunicazione piazza Savonarola con piazza Castello.
“Sono vergognosi” aggiunge un altro commerciante della zona che però preferisce mantenere l’anonimato, ma non manca di segnalare che le bici posteggiate lì sotto sono preda quotidiana dei ladri che, specialmente d’estate, prendono di mira preferibilmente quelle lussuose dei turisti, “roba da migliaia di euro in qualche caso: ho visto gente piangere per questo”, afferma.
“Personalmente sarei anche disposto a contribuire al risanamento e all’illuminazione, per un fatto di decoro e di amore per la città” assicura Ilario Milani della tabaccheria che ha la vetrina proprio sotto il voltino di sinistra, quella “della biscia”. “Qui accanto – ricorda il tabaccaio – un tempo c’era la vendita di trippa e di là il mercato del bestiame. E’ un patrimonio storico della nostra città, è un peccato che siano ridotti così”.

Voltini castello
Voltini castello

“In effetti è sorprendente tanta trascuratezza in pieno centro in una città così bella – dichiara il veronese Pierluigi Massagrande, di passaggio a Ferrara – devo ammettere che Verona è più curata, situazione del genere da noi c’erano forse 20 anni fa, ma ora sono state tutte risanate”.
“C’è pure il problema dell’illuminazione – conferma Simona Sivieri dell’Hostaria Savonarola – di sera è tutto buio, qualche luce rallegrerebbe la piazza rendendo suggestivo l’effetto architettonico”.
Al riguardo l’assessore Aldo Modonesi riconosce che il problema c’è e che l’Amministrazione comunale sarebbe disposta a contribuire, ma la competenza è della Provincia. Davide Nardini, che ne è l’assessore ai Lavori pubblici, da noi interpellato la scorsa settimana ha promesso una risposta. La città l’attende.

Voltini castello
Voltini castello
Pci-Ds

L’oro del Pci, Lodi: il futuro dipende dal Pd, se sarà partito ‘pesante’ avrà il patrimonio

L’incontro con Bracciano Lodi si rivela una tappa fondamentale del nostro viaggio alla ricerca dell’oro del Pci. Lodi è da un anno amministratore delegato della fondazione L’Approdo che gestisce il patrimonio dei Ds, congelato al momento della nascita del Pd. La sua carica è a scadenza triennale, a differenza di quelle dei cinque componenti del comitato di indirizzo della fondazione (il presidente Cusinatti e i membri …) che invece sono a vita, e di quella di Attilio Torri che, al di fuori della fondazione, opera come liquidatore dei Ds (per la partita contabile, sostanzialmente i debiti del vecchio partito) e ricoprirà quel ruolo sino a esaurimento del compito.

Lodi, che ha ancora due anni di mandato, ci riceve nella nuova sede dalla fondazione, in piazzetta Righi, poco distante dallo storico stabilimento Moccia. Ha ovviamente letto tutte le puntate dell’inchiesta e gli interventi che ne sono scaturiti. E’ affabile e ci propone un’organica ricostruzione dell’intera vicenda, fino dalle sue origine. E’ evidentemente animato dalla volontà di fare chiarezza e riconosce che intorno alla questione ci sono stati in passato troppi silenzi che qualcuno può avere scambiato per reticenza. Invece, dice, non c’è nulla da nascondere. “Poi il giudizio naturalmente spetta ad altri, non a me”. Ecco allora la sua versione dei fatti, cadenzata dai nostri interrogativi posti a scandagliare il senso dei passaggi più delicati.

“Parto dall’inizio, come è doveroso – annuncia con voce piana – La fondazione L’Approdo nasce nel luglio 2007, all’epoca segretario dei Ds provinciali è l’indimenticabile Mauro Cavallini, tesoriere Attilio Torri. La vicenda locale è conseguenza di quella nazionale, ricordo che allora il segretario era Fassino e il tesoriere Sposetti, che tuttora preside la fondazione nazionale. Si decise di non trasferire al Pd il patrimonio e la liquidità dei Ds e si individuò nella fondazione privata lo strumento giuridico più corretto per la gestione. C’era diffidenza rispetto agli esiti di quell’operazione politica che metteva insieme due formazioni espressione di mondi diversi”.

A Ferrara come fu vissuto il passaggio?
“Da principio ci fu una grande consultazione per dire cosa sarebbe successo…”.
Se fu per dire cosa sarebbe successo la definirei un’informativa più che una consultazione…
“No! Perché come è successo altrove gli iscritti avrebbero anche potuto decidere di disporre diversamente del patrimonio locale. Quindi ci fu dibattito e si votò. La proposta passò a maggioranza in tutte le sezioni provinciali, con l’eccezione di Filo che, capeggiata dall’ex presidente di Lega Coop Egidio Checcoli, scelse di non confluire nell’Approdo e costituì una propria autonoma fondazione”.
Allora ha ragione lei, fu una consultazione. E cosa si decise programmaticamente?
“Triplice obiettivo. Concorrere alla costruzione del Partito democratico, dare vita alla fondazione che prese il nome L’Approdo, dare un po’ di soldi al Pd (circa 70mila euro ci ha riferito in una precedente intervista Attilio Torri che della fondazione fu il primo presidente, ndr) e donare al nuovo partito le attrezzature per fare le feste dell’Unità (stand, stufe, tavoli, frigo) depositati nell’enorme centro feste di Vigarano – settemila metri quadrati – lasciato in comodato d’uso gratuito al Pd di Ferrara”.

La prima pietra della ricostruzione è solidamente posata e Lodi sorride compiaciuto. Quella del “Pd poverino” – riprende – è una storiella che non regge: un po’ di soldini, le attrezzature, i capannoni, gli affitti delle sedi ai circoli a costi irrisori, come poi dirò meglio… Non li abbiamo mica fatti nascere in miseria!”.

Nel frattempo che succede? – si interroga il presidente del CdA e riprende il filo della sua ricostruzione – Nel frattempo il nuovo partito, dopo discussioni pesanti, decide di non riconfermare Cavallini e sceglie Marcella Zappaterra come segretario. L’ex tesoriere Attilio Torri diventa presidente della fondazione e nomina un consiglio di tesoreria con l’impegno di gestire la liquidazione dei Ds, che giuridicamente restano attivi anche dopo la cessazione dell’attività politica e lo sono tuttora”.

“La designazione delle persone che dovevano fare parte della fondazione e del Cda fu basata su due criteri: provata capacità e appartenenza territoriale; la decisione fu presa dai dirigenti ds dopo consultazioni interne. Furono equamente rappresentate città e territorio. Si può quindi affermare che la scelta del gruppo dirigente dell’Approdo fu fatta democraticamente. Le persone individuate erano oneste, competenti e rappresentative. Per il loro operato non sono stati corrisposti né compensi né rimborsi spesa. Anch’io nel corso di quest’anno sono stato più volte a Roma ma non ho mai chiesto il rimborso che pure per statuto sarebbe previsto. Per noi questo impegno costituisce un prosieguo volontario dell’attività politica”.

E anche il secondo mattone è posato. A questo punto Lodi affronta direttamente il nodo del patrimonio. “Gli immobili che costituiscono il patrimonio erano esclusiva proprietà dei Ds. Il problema si pose la prima volta nel 1991 a Rimini come giustamente ricorda Alfredo Valente nell’intervista che vi ha rilasciato. In quella sede infatti si decise che tutto ciò che era del Pci andasse ai Pds. Il successivo passaggio, fra Pds e Ds, fu cosa tutta interna e non creò problemi.
Nel 2007 le perplessità in ordine al futuro del Partito democratico indussero a mettere in sicurezza nelle fondazioni il patrimonio. Oggi però quella diffidenza è superata”.
E’ dunque tempo che le fondazioni si sciolgano?
“Il tema dello scioglimento non è attualmente all’ordine del giorno né a Roma né a Ferrara”.
Qual è il problema, oggi?
“Capire come sarà gestito il Pd, che tipo di struttura organizzativa vorrà assumere, se deciderà di essere partito liquido, pesante o leggero…”.
E a voi che cambia, scusi?
“E’ fondamentale per valutare le necessità. Un partito pesante ha bisogno di sedi, un partito leggero no. Ma prima lasci che le dica un’altra cosa”. A questo punto il presidente Lodi ci porge un foglio con l’elenco dettagliato dei trenta immobili di proprietà dell’Approdo con la specifica per ciascuno della destinazione d’uso.
“Quel che vorrei risultasse chiaro è che noi già ora siamo quasi esclusivamente al servizio del Pd, loro sono il nostro punto di riferimento, il nostro interlocutore privilegiato: gli affitti ai circoli sono calmierati, calibrati sui costi di mantenimento; calcoliamo in sostanza le tasse e quel minimo di manutenzione necessaria e su questa base determiniamo il canone. Ecco perché un patrimonio stimato in circa sei milioni di euro rende solo 170mila euro l’anno, appena il 3 per cento. E ricordo il comodato gratuito del centro di Vigarano, che da solo rappresenta quasi la metà del valore dei nostri immobili. Appena tre immobili sono affittati a privati e dunque a prezzi di mercato”. Ora, però, – facciamo notare – con il trasloco della federazione si sono liberati i locali di viale Krasnodar… “Già vedremo cosa fare, sono tempi difficili anche per il settore immobiliare.”
Qualcuno però adombra (lo ha fatto anche Enzo Barboni intervenendo su ferraraitalia) che in questo modo le fondazioni esercitino un potere di condizionamento, svolgano attività di lobby.
“Trattiamo il patrimonio immobiliare che abbiamo in consegna con più rispetto che se fosse nostro. E non vogliamo abusare di nessuna rendita di posizione, non esercitiamo alcuna pressione né pratichiamo alcuna forma di ingerenza”, afferma con decisione Bracciano Lodi.

Dunque par di capire che l’approdo… dell’Approdo sia il Pd: però non mollate! Date l’impressione di rapportarvi al partito come un genitore con un figlio scapestrato: gli offrite un tetto ma non gli consegnate le chiavi di casa. Lodi ride. “In effetti il Pd ha solo sei anni, eppure è già riuscito a fare fuori quattro segretari e ha appena eletto il quinto!”. Quindi aspettate che maturi e si dimostri assennato? “Aspettiamo di capire – e qui Lodi si ricompone e assume il tono austero – se vorrà gestire il patrimonio in proprio o se come la Spd o il Labur party si doterà di una fondazione.” E in quel caso eccovi a disposizione, giusto? Sorriso e ammiccamento.
“D’altra parte – riprende Lodi – il problema non è stato posto neppure da parte del Pd, evidentemente anche loro hanno bisogno di fare chiarezza e decidere in che direzione andare. Ma prima o poi a Roma il nostro tesoriere Sposetti e i dirigenti del Pd si siederanno attorno a un tavolo e decideranno il da farsi. Questa è una scelta che maturerà e dovrà essere compiuta a livello nazionale. Intanto a Ferrara noi proseguiamo la nostra attività. Lo statuto ci impone due obiettivi: tutela e valorizzazione del patrimonio, e promozione dei valori della sinistra. Devo riconoscere che il primo obiettivo è quello sul quale abbiamo lavorato di più. Alla promozione riserviamo gli utili di gestione, circa 20mila euro annui. Dovremo fare di più, anche a livello di idee. L’anno prossimo attiveremo finalmente il sito (che ora è poco significativo) rendendolo un’autentica vetrina, con i dati di gestione, l’elenco del patrimonio, le iniziative. Abbiamo già avviato e porteremo avanti con l’Istituto di storia contemporanea un progetto di valorizzazione della storia del Pci ferrarese, che si avvarrà anche di un supporto online accessibile a tutti. Poi se qualcuno vorrà contribuire, lo statuto prevede la possibilità di integrare nuovi soci e di ricevere donazioni”.

Me ne vado con una convinzione: leggero o pesante che il Pd scelga di essere, le fondazioni resteranno comunque. Se il Pd sarà partito pesante è probabile che mantenga le fondazioni come strumento gestionale. Quelle attuali magari cambieranno statuto (gli uomini chissà) ma resteranno nella funzione. Viceversa se il Pd sarà leggero o liquido come si usa dire, quindi non necessiterà di una struttura organizzativa capillarmente diffusa, è probabile che le fondazioni ritengano di dover preservare il proprio ruolo di promozione dei valori della sinistra e per questo trattengano il patrimonio (che è fatto di immobili) per impiegarlo a supporto della propria attività, continuando a sviluppare, come già ora in parte capita (o dovrebbe capitare), un autonomo progetto culturale. E continuando a elargire al proprio figlioccio le caramelle.

6 – CONTINUA

Sarah-Dunant

Il best seller di Sarah Dunant illumina Ferrara, inattesa perla d’Italia

Piccola, segreta città che finisce tra le pagine del best-seller di un’autrice inglese. Succede a Ferrara, città ispiratrice del libro di Sarah Dunant “Sacred Hearts”, tradotto in italiano con “Le notti di Santa Caterina” per l’editore Neri Pozza. Anziché l’invito terribile a bruciare i libri uscito nei giorni scorsi dalla manifestazione di protesta dei forconi, un libro illumina il centro storico alla libreria Ibs di piazza Trento Trieste in collaborazione con Wall Street Institute . E l’inquietudine di quella notizia si dilegua nel racconto che la scrittrice fa della sua avventura ferrarese. Perché, come il libro, è un modo di leggere la città dal di fuori, un modo che rende per incanto degne di essere raccontate storie antiche, ma anche dettagli di tutti i giorni, stra-noti, eppure all’improvviso interessanti come se fossero pettegolezzi su gente che conosci. Strade, palazzi e fatti sono riletti attraverso la storia, ma con una confidenza che gli dà la forma di aneddoti accattivanti.
Intanto, con la tipica ironia britannica, la scrittrice racconta come il suo primo problema – una volta che si è decisa ad ambientare qui il romanzo – ce l’abbia avuto con il correttore ortografico del suo computer. Perché continuava a modificarle il nome del la città in quello di un’auto. Come dire che il mondo anglofono, più che Ferrara, ha in mente la Ferrari. E così l’autrice si è resa conto – ha dichiarato pure a un’autorevole testata come “The Observer” – che tra i tesori nascosti d’Italia c’è proprio “questa città, ricca di storia, che si trova sulle rive del Po”.
Sarah Dunant vive tra Londra e Firenze. E quando arriva qui dal capoluogo toscano, per prima cosa viene colpita dal fatto di trovarsi in quella che definisce “una città medievale e rinascimentale perfettamente conservata”, dove però “a fatica si vede un turista” e dove la colonna sonora che ti accoglie è prevalentemente scandita da campane e campanelle: quelle dal suono grave provengono dalle chiese e quelle con un registro più squillante tintinnano sui manubri delle centinaia di biciclette, “linfa vitale del trasporto” per i ferraresi di oggi. Il contrasto tra la capitale del turismo e la città dai tesori segreti è ancora più grande, perché lei arriva dalla stazione di Firenze Santa Maria Novella dopo una corsa ad ostacoli tra comitive di turisti “talmente intenti ad aggiustarsi nelle orecchie gli auricolari delle loro audio-guide, da riuscire a malapena ad alzare gli occhi per vedere i capolavori del Rinascimento che la voce registrata cerca di far loro apprezzare”.
Secondo la Dunant il nord-est italiano è una miniera d’oro per chi abbia voglia di uscire dal percorso turistico obbligato di Roma-Firenze-Venezia. Ma Ferrara, per lei, ha qualcosa in più. La descrive come “una città-stato vivace fino all’avvento del potere pontificio che la inghiotte nel 1597”. Per secoli alla guida della città padana gli Estensi, che si presenterebbero “inizialmente come un clan di teppisti appena malcelati, per trasformarsi poi in sofisticati mecenati rinascimentali, con un occhio per l’urbanistica e un orecchio fine per la musica”.
Il castello – dice Sarah Dunant – divide il quartiere medievale dal lato cittadino rinascimentale e “nasconde storie di potere cruento”. Qui, nel 1425 Niccolò d’Este fece eliminare la sua seconda e giovane moglie e il suo pressoché coetaneo figlio illegittimo Ugo – per vendicarsi di una presunta relazione tra i due. Uno sfogo che l’autrice di romanzi storici definisce “comprensibile forse per l’irascibilità medievale, fino a quando non si apprende come Niccolò si vantasse di andare a letto con ottocento donne e come i cronisti del tempo lo considerassero il padre di bambini disseminati ovunque, tra la sponda sinistra e quella destra del Po” .
Alloggiata in una camera in corso Porta Reno con vista sulla facciata del Duomo, la Dunant ricorda di essersi svegliata trovando “il mercato in pieno svolgimento , come è successo per secoli” e di come si sia sorpresa a scoprire tutti i negozi costruiti sul fianco della grande cattedrale. Per lei la maggior parte dei vestiti a buon mercato in vendita “ora può venire dalla Cina, ma verdure , salumi e formaggi rotolano ancora qui dalla campagna circostante”.
Ma brava Sarah Dunant, che al posto dei forconi brandisce penna e tablet tra chiostri e chiese, ciclisti e bancarelle.