Skip to main content

Giorno: 19 Dicembre 2013

comacchio

L’addio di Comacchio, figlio della miopia politica

Con Comacchio un pezzo di storia se ne va e con esso, forse, il futuro sviluppo del territorio ferrarese. Una frase certamente dura ma piena di verità. Non capìti, sottostimati i comacchiesi si sono sempre considerati una libera repubblica: e questa scelta è la reazione a una miope politica del Castello che non ha mai affrontato i veri nodi ed è rimasta in superficie e con lo sguardo rivolto all’indietro, pensando persino che l’isolamento dal resto della regione Emilia Romagna per la nostra provincia fosse un vantaggio.
E intanto a Comacchio oltre cinquemila persone hanno detto basta e hanno scelto Ravenna, la Romagna e la costa. Sappiamo che le funzioni delle attuali Province saranno ridotte ai minimi termini, rendendole un ente di secondo grado con una Agenzia di servizi sulle infrastrutture e basta. Certo una piccola cosa e pur nel nanismo che a breve verrà, Comacchio ci ha lasciati, ci ha tolto un pezzo di geografia, forse la più bella, la più affascinante sotto il profilo ambientale e della sostenibilità, tra acque e valli, biodiversità, tanti turisti e animazione, viale Carducci, un porto, la pesca, gli ombrelloni, le barche a vela. Ed ancora: il dialetto, le tradizioni, una cultura, tantissima storia, un costume singolare, l’anguilla, i viali, i gabbiani, la gente, quella Comacchio dei canali e dei luoghi ampi e ricchi di aggregazione sociale e, soprattutto, gli odori, i profumi e i sapori che ti avvolgono con intensità. A noi restano solo le lacrime dell’addio.
Andare via però non cancella tutto quello che c’è nella cornice descritta, non lo sottrae ai nostri sguardi, alle passioni, al confronto con un milieu che ci piaceva molto, anzi, moltissimo. Quando entravi dai Tre ponti o dai lunghissimi portici tutto ti veniva incontro e ti soffiava dentro come un vento gentile. Eppure, adesso che la rottura si è consumata idealmente sarà diverso, profondamente diverso.
Ora cosa fare è e sarà un problema, un rovello, perché le piaghe sono profonde e i nuovi percorsi difficili, perché è uno strappo più culturale che politico.
Saprà il Castello capire, saprà leggere e ascoltare quello che non ha voluto intendere prima, oppure cieco e sordo si rinchiuderà nel suo ristretto perimetro, abbarbicato a strutture periferiche sia pure circoscritte, senza pensare, nuovamente, che altri territori si sono uniti, che Bologna sarà metropolitana e noi in un cantone e all’angolo, perché questo accadrà.
Qualcuno alcuni mesi fa aveva capito, pur in un’ala grigia della residenza estense, che la scelta sapeva di vecchio, di sterile, di conservazione. Ora gira chino per non aver fatto di più, ma c’è forse, ancora, una strada da percorrere. Bisogna però far presto, anzi prestissimo, prima che la nave molli gli ormeggi e salpi senza rimedio.

facolta-economia-interni

Sprechi, ora a Economia promettono che di notte spegneranno le luci

Dopo la segnalazione di ferraraitalia di un paio di settimane fa, c’è una buona notizia in tema di lotta agli sprechi: le luci della facoltà di Economia, ospitata a palazzo Bevilacqua Costabili di via Voltapaletto, che da anni restano accese anche di notte e nei giorni di chiusura, fra qualche giorno saranno quotidianamente spente al termine delle attività e riaccese alla ripresa.
Si tratta di un segnale incoraggiante e della conferma che, volendo, anche a partire da piccole avvertenze, c’è la possibilità di risparmiare senza necessariamente tagliare servizi e personale. A ben vedere in termini percentuali la riduzione dei costi sarà significativa: visto che tutte le luci finora restavano accese ininterrottamente negli spazi comuni, in futuro per quegli ambienti si spenderà la metà.

facolta-economia-ferrara
L’ingresso della facoltà di Economia in via Voltapaletto

In fondo era sufficiente un po’ di perizia. Dopo una verifica condotta fra segreteria amministrativa e addetti alla portineria, infatti, è emerso che di notte anziché accendere regolarmente il sistema di luci di emergenza a ridotto consumo veniva lasciato in funzione l’impianto di illuminazione ordinario per presunte “ragioni di vigilanza”. La direzione del comparto Manutenzione dell’Università, da noi interpellato, ha quindi comunicato che darà disposizione di spegnere tutte le luci nell’orario e nei giorni di chiusura della facoltà, lasciando in futuro attive solo quelle di sicurezza. Nei prossimi giorni verificheremo se alle parole seguiranno i fatti.

scuola-materna

Investire nell’infanzia, un dovere e un ottimo affare

di Loredana Bondi

I servizi educativi e scolastici per i bambini in Italia sono purtroppo un nervo dolente, perché quelli che ci sono (laddove esistono) sono assolutamente insufficienti. L’Europa da tempo ci sollecita l’adempimento dell’obbligo di garantire servizi diffusi e di qualità, invece siamo all’età della pietra in molte parti d’Italia. Solo in alcune regioni ci si è avvicinati ai dati richiesti dal trattato di Lisbona che chiedeva di arrivare almeno alla copertura del 30% (rapporto fra nidi e bambini nei primi tre anni di vita) entro il 2010, ma la nostra media nazionale sta ancora largamente sotto il 10% con regioni come la nostra che superano o si attestano sulla richiesta e un Sud che spaventosamente manca di ogni servizio e mediamente arriva al 3% gestito solo dal privato. Parlare della necessità di avere servizi educativi e scolastici fino a 6 anni è sempre attuale, se si pensa che lo Stato dovrebbe direttamente provvedere in fatto di scuola d’infanzia, perché così sta scritto negli ordinamenti scolastici nazionali della formazione. Perché parlarne e parlarne sempre? Perché l’educazione delle nuove generazioni (e non si tratta solo di cura) permette di investire in termini di crescita relazionale e razionale.
James Heckman, premio Nobel 2000 per l’economia, in uno studio recente ci dimostra che l’analisi dei costi e dei benefici dell’investimento in capitale umano in diverse fasce d’età mostra come l’investimento nei primi anni di vita abbia rendimenti più elevati rispetto a investimenti fatti più tardi, perché le capacità individuali sono più malleabili. Ormai tanti, troppi studi lo dimostrano. A parte questo, il vero dramma cui assistiamo in questo periodo di crisi tremenda da tutti i punti di vista è quello che non c’è un progetto scolastico educativo serio per il Paese, prova ne sia la mancanza assoluta di finanziamenti nell’ambito della legge finanziaria.

nino-di-matteo

L’anomalia di uno Stato che lascia solo chi lo onora

Nino Di Matteo è il pm di Palermo che Totò Riina vuole morto. Di Matteo è stato pm in molti processi in cui Riina era imputato: per le stragi di Capaci e di via D’Amelio; per gli assassinii dei giudici Chinnici e Saetta. Ma fin qui tutto torna: la mafia condanna a morte i suoi nemici. Ciò che, invece, fa problema sono le amare dichiarazioni di questo magistrato coraggioso e competente. “Per fortuna prevale la passione, che ha ancora la meglio sulla razionalità pura che consiglierebbe di mollare tutto. Fare il magistrato secondo la Costituzione ‘non paga’. Né in termini di serenità personale, né di apprezzamento da parte delle Istituzioni e degli uomini che le rappresentano. Ho la netta consapevolezza che, quando ti inoltri su certi crinali investigativi sui rapporti fra mafia e Istituzioni, senti – per usare un eufemismo – di non essere capito da chi rappresenta lo Stato e persino da vasti settori della Magistratura. Troppi pensano che le nostre indagini siano tempo perso, risorse sottratte alla ‘vera lotta alla mafia’, che consisterebbe soltanto nell’arrestare la manovalanza criminale, nel sequestrare carichi di droga. Invece, oggi più che mai, un contrasto serio alla criminalità organizzata deve recidere i suoi legami con Istituzioni, politica, banche, finanza, forze dell’ordine, apparati dello Stato. Ti senti additato al pubblico ludibrio come un ‘acchiappanuvole’, o peggio come un soggetto destabilizzante che rema contro le Istituzioni per scalfirne il prestigio… Ma non importa, andiamo avanti”.
“Le parole sono pietre” recita il titolo di un bel libro di Carlo Levi: e queste sono dei macigni! Fino a quando un servitore dello Stato democratico e costituzionale descrive il proprio ‘vissuto’ come espressione di una condizione di solitudine rispetto alle Istituzioni e alla politica che dovrebbero sostenerlo e valorizzarlo, non saremo mai un ‘Paese normale’… Lo Stato e la politica devono essere presenti ogni giorno a fianco di chi difende la legalità e la Costituzione, e non solo ‘post-mortem’ ai funerali… di Stato!

comune-ferrara

Beni Comuni, Ambiente e Partecipazione buchi neri del bilancio di fine legislatura

di Leonardo Fiorentini

Quello che più salta agli occhi nella presentazione del Bilancio 2014 del Comune di Ferrara è l’indubbio processo di riequilibrio dello stesso, in particolare in termini di struttura della spesa. Da ragioniere non posso che salutarlo con piacere. Non starò neanche a discutere troppo su cosa si è venduto per arrivare a questo risultato. Perché ritengo, in modo laico e pragmatico, che vendere pezzi del patrimonio pubblico “marginale” (pensiamo alle azioni svincolate di Hera) per ridurre il debito sia infatti un’operazione ragionieristicamente corretta, patrimonialmente neutra, ma politicamente nulla. Perché la vera scelta che il Comune deve fare non è quando è meglio vendere sul mercato borsistico azioni di una società, bensì se abbia senso per una istituzione pubblica detenere pacchetti azionari di società quotate in Borsa. Le domande che il Pd (maggioranza assoluta in Consiglio Comunale) si dovrebbe porre oggi sono difficili, ma fondamentali: primo, ha senso rimanere in Hera? Secondo, con il ricavato della vendita si deve solo ridurre il debito, o si puo’ dare una risposta, di sinistra, al tema dei Beni Comuni? Chi scrive – ancora nella scorsa legislatura e con ben altri valori di mercato – aveva sostenuto la proposta dei Verdi di vendere tutte le partecipazioni in Hera con un duplice fine: affrancarsi da questo rapporto insano di proprietario che non conta nulla/controllore che non sa controllare e reinvestire il ricavato nella diminuzione del debito, nella costruzione di un nucleo di controllo reale sui contratti di servizio e soprattutto nella ripubblicizzazione del servizio idrico integrato come i cittadini hanno chiesto con un referendum. In quest’ottica vendere parti del patrimonio pubblico non “marginale”, come le azioni di Hera, tutte le azioni di Hera, sarebbe stata una scelta di “sinistra” e più rispettosa del Bene Comune rispetto a mantenere una partecipazione in una SPA quotata. Oggi, anche se i valori patrimoniali sono purtroppo ben diversi, quella riflessione politica credo resti ancora valida.

Ma quello che oggi abbiamo veramente in discussione è la destinazione dei risultati del riequilibro del Bilancio sulla spesa corrente. L’Assessore Marattin ha più volte ha rivendicato come “di sinistra” la scelta di restituire il denaro ai cittadini: “meno debito – meno spese – meno tasse” il refrain delle sue presentazioni del bilancio.

Io, pur non considerandola di per sé un’operazione di destra, la considero un’operazione inutilmente simbolica. Simbolica perché “restituire” 20 euro l’anno a testa ai cittadini non incide né sulla capacità di spesa delle famiglie, né sull’effettiva competitività delle imprese in termini di diminuzione di cuneo fiscale. Inutile perché si inserisce in un quadro complessivo talmente catastrofico per le finanze degli enti locali che rischia di vedere l’anno prossimo tornare indietro quei 20 euro sotto forma di qualche altra tassa inventata in vista del prossimo passaggio parlamentare di questa o della prossima manovra.

Sinceramente non ho neanche gli strumenti adeguati per poter dire oggi come avrei speso in modo efficiente quelle risorse. Forse era anche questo l’imbarazzo della Giunta: dopo anni di tagli e tanti “no, non ho un quattrino” distribuiti a destra e a manca, diventava difficile scegliere come e dove investire ben 2.000.000 di euro senza scontentare nessuno.

Ho però delle certezze che non posso dimenticare: il bilancio dell’assessorato all’Ambiente è passato in pochi anni da circa 700.000 a poco più di 100.000 euro. In una città che, nonostante tutto qualche problema ambientale ce l’ha, non è una questione politica da poco. Poi non ci si lamenti se la “vox populi” vuole che le politiche ambientali di questo Comune le faccia Hera. Ed infatti la raccolta differenziata (un dato a caso) ha subito un imbarazzante stop dopo un incremento a doppia cifra nelle due legislature precedenti. Nonostante la riduzione complessiva dei rifiuti, siamo oggi fermi al 52%: ben lontani quindi da quel 65% che era obiettivo di legge per il 2012 (Rovigo è al 66%). Ecco, io un po’ di fondi li avrei piazzati nelle politiche ambientali, ma forse qui mancavano proprio le idee. Come, pescando a caso fra le tante istanze venute alla luce in questi mesi, li avrei posti a sostegno dell’associazione che non riesce a tenere aperta la casa famiglia per madri in difficoltà, o nell’accoglienza dei senza tetto (anche quelli clandestini), nel trasporto pubblico locale (il bus per Cona è già rifinanziato?) o in politiche sul turismo innovative.

Siamo poi arrivati al termine dell’esperienza del Decentramento. E’ colpevole il mondo politico che ha sacrificato all’altare dell’antikastismo proprio (e solo) le Circoscrizioni, perdendo un enorme capitale umano, sociale e politico in cambio di ben magri risparmi sulla spesa. E’ colpevole chi non ha saputo opporsi a questo scempio democratico (mi ci metto anche io) ma è colpevole questo Comune che non ha saputo neanche ipotizzare una transizione verso forme di partecipazione alternative. Perché, mi spiace dirlo, non basta presentare il bilancio in sala estense o mettere le slide sul sito del comune per poter dire di aver fatto partecipazione.

Sia chiaro: non sto quindi mettendo in dubbio la bontà “contabile” del Bilancio di quest’anno. Mi pongo invece dei dubbi rispetto all’operato di una legislatura che è parsa più di gestione da buon padre di famiglia che di progetto e trasformazione della città. Forse c’era bisogno di un po’ di ragioneria, ma ci sono state occasioni che non costavano nulla dal punto di vista della spesa: il RUE e il POC, ad esempio, sembravano messi lì apposta per permettere di continuare un processo di alleggerimento della pressione edilizia sul territorio cominciato col PSC, e che poteva determinare una reale svolta verso la rigenerazione urbana della nostra città. Occasioni mancate insomma, soprattutto in questo momento di stallo del mercato immobiliare.

Di fronte alla crisi, di fronte all’incapacità politica di chi governa il paese, c’è anche bisogno di segnali che vadano oltre la buona amministrazione e che diano appunto uno sguardo verso un orizzonte più ampio. C’è bisogno di vera politica, come, perché no, c’è bisogno di sinistra.

Nel mio piccolo mi sento oggi orfano non solo di un partito ecologista serio, ma anche dello spirito dell’Ulivo (quello inclusivo e rispettoso delle identità del ‘96, non certo quello fagocitatore e leaderista del PD di oggi, sia chiaro). Oggi che non esiste più nessun Centro Sinistra (forse per fortuna), fatico anche a riconoscermi nell’azione di questa giunta che pure ho sostenuto ormai 5 anni fa. Da libero battitore resto in attesa di capire se si può ricostruire qualcosa a sinistra. Almeno dal basso.