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Giorno: 23 Dicembre 2013

turismo-italia

Renzi e la leggenda metropolitana del turismo in saldo passivo

di Lanfranco Viola

Gentile direttore,
ho atteso che si allontanasse nel tempo l’esito scontato degli scrutini delle primarie del Pd, prima di scrivere qualcosa che dimostra come i politici spesso parlano di cose che non conoscono, o forse solo per sentito dire (e spesso in modo errato).
Il politico a cui faccio riferimento è nientepopodimenoche Matteo Renzi, il sindaco di Firenze, non uno dei nostri amministratori Signor nessuno, come potrebbero testimoniare le 2.700 persone che erano presenti all’Unipol Arena di Casalecchio lunedì 3 dicembre.
In mezzo al lungo discorso che seguivo in diretta sulla televisione locale “è TV” ad un certo punto, nell’elencare le molte cose che non funzionano in Italia a cui avrebbe messo mano se fosse stato nominato segretario generale del Pd affermò: tante cose sono da cambiare, a cui è necessario mettere mano, tra cui il turismo, che ci porta 10 miliardi di entrate, ma che ha purtroppo 20 miliardi di uscite, per le spese dei nostri connazionali all’estero.
Già sentire pronunciare la parola “turismo” da un politico, mi aveva fatto sobbalzare e anche se queste non sono forse le parole esatte, questo è il senso della frase che è stata pronunciata, e che ho memorizzato per poterne riferire. Il che mi ha lasciato allibito, proprio in quanto pronunciata dal primo cittadino di una città come Firenze che ha oltre 12 milioni di presenze turistiche in un anno e che quindi di turismo ne dovrebbe masticare. Nonostante tutto, spero per questa segnalazione di non essere accusato di “lesa maestà”.
Ovviamente lo ritengo incolpevole proprio in quanto anche in questi anni di crisi, in quella città le presenze turistiche hanno continuato ad aumentare, quasi certamente per merito di altri personaggi illustri del passato (magari Michelangelo e Brunelleschi) e quindi perché occuparsene? Ho voluto segnalare questo micro-episodio a conferma della tesi che nessuno si occupa seriamente dell’industria turistica in quanto non sembrano neppure conoscerene i dati macro-economici, poichè: “dal 1970 il saldo della Bilancia dei pagamenti, tra le entrate portate dai Turisti stranieri (che per la Banca d’Italia sono registrate come Esportazioni) e le uscite dei nostri connazionali all’estero, la Bilancia è sempre stato in attivo”. Quindi si tratta di uno dei pochi settori che ha funzionato e che continua a funzionare.
Ora sono certo che nessuno glielo avrà fatto notare e che anzi corriamo solo il rischio che inizi a girare un’altra favola metropolitana, che finirà per essere di auto-giustificazione in città come Ferrara, che pur auto-dichiarandosi ad ogni piè sospinto “Città d’Arte e di Turismo”, in realtà dal 2008 nel turismo sta andando indietro come i gamberi. Tanto a chi gliene frega qualcosa? Non certo ai consiglieri di opposizione nelle varie amministrazioni (ma esistono? o sono ectoplasi?) Né tanto meno alle innumerevoli associazioni di categoria.
L’ignoranza è una gran brutta cosa.
Cordiali saluti
Arch. Lanfranco Viola

Pci-Ds

Oro del Pci, Calvano: “Sulle fondazioni dibattito tardivo ma utile, ora decidiamo che fare”

Sulla vicenda fondazioni abbiamo sentito il parere il Paolo Calvano, attuale segretario provinciale del Partito democratico di Ferrara, in odore di promozione al regionale. A lui, che ha letto con attenzione tutte le puntate della nostra inchiesta sull’ “oro del Pci”, abbiamo chiesto innanzitutto se la “messa in sicurezza” del patrimonio dei Ds, decisa nel 2007, oggi, a sei anni dalla nascita del Pd, abbia ancora un senso.
“La scelta è stata fatta, al momento della creazione del nuovo soggetto, dai due partiti che l’hanno costituito: i Democratici di sinistra e La margherita. Entrambi hanno deciso di non conferire il loro patrimonio. Io su questo non esprimo giudizi”.
Non ritiene ragionevole che un’unione politica fra gli eredi della tradizione comunista e di quella democristiana suggerisse qualche cautela? Non era proprio scontato che le cose funzionassero…
“Spero che la scelta non sia dipesa da timori circa la capacità del Pd di decollare, perché questo avrebbe significato avere coltivato riserve mentali insidiose. Ma io guardo al presente e dico che ora il Pd ha una sua chiara fisionomia. In questa logica sarebbe sensata la cessione del patrimonio al Partito democratico”.
Il presidente della fondazione L’Approdo, Cusinatti, però ha insistito su un punto previsto dallo statuto: la continuità con i valori propri della sinistra…
“In questo senso, per quanto riguarda la collocazione del Pd, mi pare che i dubbi siano già stati sciolti e la recente volontà di iscrivere i nostri rappresentanti in Europa al gruppo parlamentare socialista sono la conferma della vocazione di una forza che è espressione di una sinistra moderna e riformista”.
Altri, più o meno velatamente, ritengono invece che le fondazioni intendano perpetrare se stesse per operare un potere di condizionamento esterno, agendo alla stregua di lobby.
“E’ l’idea del vecchio che vuole influenzare il nuovo, certo. Ma per quanto ci riguarda devo dire che il rapporto è molto chiaro: la fondazione affitta, a condizioni privilegiate, direttamente ai circoli i locali dei quali è in possesso; inoltre assieme a loro condividiamo alcuni progetti dei quali loro si prestano ad essere partner o sponsor, come è accaduto di recente con la scuola di formazione politica o in altre simili circostanze”.
La fondazione peraltro si regge su uno statuto che prevede cariche a vite e non impone specifici obblighi di informazione, tant’è che sino ad ora i responsabili si sono limitati agli adempimenti di legge, ma di quel che è stato fatto e speso, in precedenza, s’era saputo poco. Le che ne pensa?
“Credo che questi caratteri siano scarsamente compatibili con le nuove forme che la politica sta cercando di assumere e penso che la sussistenza di cariche a vita sia espressione e retaggio di una stagione precedente. Una cosa del genere è paradossale quando, in parallelo, ci si interroga sulla possibilità di svolgere più di due mandati politici”.
E’ quindi una situazione anomala che va affrontata.
“Certo, avendo però chiarezza su cosa si vuole fare. Anch’io mi domando se sia opportuno che il partito gestisca direttamente il proprio patrimonio. Ma questa è una decisione che esula dall’ambito locale”.
E a livello nazionale ne state parlando?
“Renzi è appena arrivato, il nuovo tesoriere si è insediato adesso anche lui. Il tema va affrontato tenendo conto delle modalità di finanziamento dei partiti, profondamente modificate dal governo Letta, e dovrà considerare le capacità di autofinanziamento dei soggetti politici”.
Ma in passato ne avevate discusso?
“A mia personale memoria, nel corso degli ultimi quattro anni no”.
Che idea si è fatto leggendo l’inchiesta di ferraraitalia?
“Ho l’impressione che si sia sviluppato un dibattito che si sarebbe dovuto fare prima, quando quelle decisioni sono state prese. Ma io ora devo guardare avanti e pensare al partito che vogliamo”.

7 – CONTINUA

anziani-povertà

In provincia di Ferrara oltre 80mila persone vivono con meno di 750 euro al mese

Sono 53.694 i ferraresi che percepiscono meno di 499 euro al mese di assegno pensionistico, e poco più di 30 mila hanno una pensione da 500 a 749 euro. Sommando, sono circa i due terzi della popolazione anziana. Con una media tra i 700 e i 750 euro, Ferrara è con Rimini la provincia a più basso reddito pensionistico dell’Emilia-Romagna,: le donne sono le più penalizzate, per numero di trattamenti erogati e per gli importi, più bassi rispetto a quelli degli uomini.
I dati, di fonte Inps, sono stati diffusi negli scorsi giorni dallo Spi, il sindacato pensionati della Cgil, che sta entrando nella campagna congressuale in preparazione del congresso provinciale previsto il 27 e 28 febbraio 2014.
Come si vive con queste pensioni? È chiaro: male. Un dramma soprattutto per chi è solo e non può contare sull’aiuto dei famigliari o di una badante (se non ci fossero le badanti …).
Ferma restando la sacrosanta battaglia per vedersi riconosciuti trattamenti più equi dopo aver lavorato una vita, per pagare meno tasse e per correggere le storture di chi pretende di mandarci in pensione tutti a settant’anni (negando posti di lavoro ai giovani), bisogna cominciare a rispondere a qualche altra domanda.
Ad una su tutte: reggerà, e come, una società che invecchia? E che cosa questa società che cambia sarà capace di offrire agli anziani?
Lo sappiamo, sull’argomento si sono scritte intere biblioteche. Nello scenario centrale delle stime Istat, in Italia l’età media aumenta da 43,5 anni nel 2011 fino ad un massimo di 49,8 anni nel 2059. Dopo tale anno l’età media si stabilizza sul valore di 49,7 anni, ad indicare una presumibile conclusione del processo di invecchiamento della popolazione. Particolarmente accentuato è l’aumento del numero di anziani: gli ultra 65enni, oggi tra il 20 e il 21% del totale, nello scenario centrale aumentano fino al 2043, anno in cui oltrepassano il 32%, per poi consolidarsi su questa percentuale.
Questa è una delle rivoluzioni culturali del futuro. Né più ne’ meno. Si tratta di scegliere: o l’anziano è cosa da buttare – scusate la crudezza – o è un essere umano che ha diritto a vivere fino alla fine un’esistenza dignitosa. Se vale, come si spera, questa seconda ipotesi, allora bisogna davvero rimboccarsi le maniche. Cominciando a vedere come modificare il funzionamento dei servizi, dai trasporti alla sanità, dalle strutture di socializzazione alle iniziative in cui l’anziano possa essere attivo e interagire con il resto della popolazione, in primis con i giovani. Pubblico e privato possono collaborare. Ci sono esempi a bizzeffe.
Si deve avere il coraggio di sperimentare rapidamente nuove soluzioni, senza pretendere di risolvere tutto e subito, ma anche senza smettere per un minuto l’impegno. Anche in provincia di Ferrara, dove più di 80 mila anziani faticano a vivere. Senza contare gli altri.

futuro

Il futuro in tempi di incertezza

Alla decima edizione della Web Conference di Parigi (10-12 dicembre) imprenditori e start up hanno cercato d’indovinare quali saranno le ulteriori trasformazioni di internet. Scott Huffman, dice: “Stiamo lavorando all’idea di una interazione con Google passando dalla tastiera all’uso della voce naturale con cui chiedere, per esempio, come va il tempo a Parigi e ottenere una risposta vocale”. Loic Le Meur aggiunge:“ Adesso c‘è la voce, digitare diventa una cosa superata e i giovani possono anche non imparare a digitare perché adoperano i loro iPads o i tablet. Il futuro è la voce”.
Sono tutti certi sul fatto che le tecnologie sapranno parlarci e che aumenteranno ancora la loro importanza nella nostra vita. James Siminoff afferma: “Ci aspettiamo questo: il telefono portatile sarà sempre più il nostro compagno quotidiano. Credo che l’internet ad alta velocità sarà come l’elettricità e l’acqua corrente nelle case”.
Il capo di Apple, Guy Kawasaki, propone una questione di prospettiva rilevante, affermando: “Vogliamo vedere le cose veramente di rottura e sapere quello che cambierà, come sarà il prossimo Google, il prossimo youtube. La risposta è: non lo so, so che investirò in questo settore”.
Questo il punto che mi interessa sottolineare: non si può aspettare la garanzia del ritorno per investire nel futuro. Si tratta di abbandonare l’idea delle previsioni, una gabbia inutile che spesso giustifica la pigrizia, soprattutto un’illusione infondata, in un mondo complesso come il nostro.
Investire nel futuro significa investire nella ricerca, investire nello studio, avviare nuovi progetti e sperimentare. Certo, è giusto sostenere che il Governo italiano dovrebbe investire una quota del PIL ben superiore al misero attuale 1,25%. Ma ciò non toglie che dovremmo trasmettere ai giovani il gusto per la scommessa. Investire nello studio è responsabilità di ognuno. Questo è l’unico messaggio possibile: non ci sono certezze (se mai ci sono state), viviamo in un tempo durissimo e abbiamo, però, la possibilità di coltivare la nostra intelligenza, con una quantità di stimoli in passato inimmaginabili. Gli esperti di mercato del lavoro argomentano, dati alla mano, che investire nello studio paga ancora, in termini di opportunità e di qualità del lavoro. Ma, a parte questo, studiare, è in sé gratificante e fa bene.