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Giorno: 1 Maggio 2014

Ultimo Omaggio al Duca 2014: è il turno di Santo Spirito

da: ufficio stampa Ente Palio città di Ferrara

Grande successo giovedì 1 maggio per l’ultimo degli Omaggi al Duca, proposto nel primo giorno del “mese del Palio” dal Rione di Santo Spirito. Approfittando dell’inaspettato sole tantissimi turisti hanno affollato il cortile di Castello Estense per assistere allo spettacolo, animato dalla contrada giallo-verde e dai gruppi amici giunti per questa bella festa: la Compagnia del Borgo del Diavolo (Argelato – Bologna), il Rione Crusar (Associazione dei Rioni – Palio di Copparo), il Rione Mota (Associazione dei Rioni – Palio di Copparo), gli Sbandieratori Città Murata (Montagnana – Padova) e gi Sbandieratori Corte Gonzaga (Castiglione delle Stiviere – Mantova).

“ A dì primo de Mazo. Lo excellentissimo duca nostro, dopo’ Messa, andò a cavalo armato e ornato como l’hera el dì de San Zorzo a tuore li mai e verdure con tuta la Corte: fra li quali ge hera lo illustrissimo messer Sigismondo e messer Raynaldo Da Este, el quale hera armato tuto excepto la testa, e cusì fra loro concorseno con dicte frasche per alegreza e piacere per tuta la Piaza.”, raccontava Bernardino Zambotti nel “Diario ferrarese”.

E di tanta “allegrezza” hanno raccontato i contradaioli “spiritosi” : alla fine del medioevo, nelle usanze popolari, il maio era un ramo d’albero che i contadini piantavano la notte delle calende di maggio avanti l’uscio delle loro innamorate, appendendovi ciambelle, arance, confetti e altre cose dolci. In città, brigate di giovani si spostavano nei vari rioni cantando strofe di liriche ben auguranti, ricevendo in cambio doni tradizionali, quali dolci e vino.

Il duca Ercole I, durante gli anni del suo ducato, introdusse a Ferrara l’usanza del maio, dando a questa festività, con la propria partecipazione, dei suoi fratelli e dei suoi cortigiani, un carattere quasi ufficiale. Principi e gentiluomini a cavallo si recavano a prendere, fuori delle mura, rami verdi con i quali giostravano giocondamente in Piazza come con altrettante lance. Nei giovani la tradizione di celebrare il 1° maggio con omaggi floreali alla porta delle innamorate si è mantenuta viva, in particolare nelle campagne ferraresi, fino alla prima metà del secolo scorso.

Un festoso corteo di dame e cavalieri, paggi e damigelle, armati e popolani ha quindi rallegrato gli astanti, continuando lo spettacolo con la funzione magica e propiziatoria del Calendimaggio e con l’esibizione del proprio gruppo di danza antica “Spirito di Danza”.
Non sono mancate le evoluzioni degli Sbandieratori, accompagnati dal Gruppo Musici del Rione Santo Spirito, assieme ai gruppi ospiti.

La Festa del Libro Ebraico in Italia: un evento di successo che diventerà permanente

da: ufficio stampa Festa del Libro Ebraico

“Tutti gli appuntamenti in programma sono andati benissimo: dai concerti, sempre affollati, ai convegni. Seguitissimo, ad esempio, quello su marrani e conversos, di cui pubblicheremo presto gli atti. E, nonostante una leggera flessione dovuta al maltempo, molto bene anche le vendite alla libreria del Chiostro di San Paolo, che hanno raggiunto il picco nelle giornate di Sabato e Domenica”.
È di segno assolutamente positivo il bilancio che Riccardo Calimani, Presidente della Fondazione MEIS (Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah), traccia della quinta edizione della Festa del Libro Ebraico in Italia, organizzata proprio dalla Fondazione, con il supporto di Ferrara Fiere.
E sulla stessa lunghezza d’onda sono le considerazione di Nicola Zanardi, Presidente della Fiera: “Sono molto soddisfatto dell’impatto che la città ha avuto nei confronti della Festa. La mia percezione è che, quest’anno, l’abbia sentita più sua, con una maggiore partecipazione e attenzione ai contenuti proposti, agli incontri con gli autori, ai concerti. Malgrado le condizioni meteorologiche non ci abbiano certo favoriti, l’obiettivo della Festa, che era quello di trasferire contenuti importanti, impegnativi, e di approfondire la conoscenza della cultura ebraica presso il pubblico più ampio, può dirsi completamente centrato”.
Esaurito il capitolo dei bilanci, Calimani guarda anche al futuro della Festa: “Di sicuro andrà avanti fino a quando non verrà aperto il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah. I fondi per completare il primo lotto ci sono e, una volta inaugurato il MEIS, si tratterà di ragionare sulla programmazione museale. A quel punto – prosegue –, la Festa dovrà necessariamente ‘cambiare pelle’. Non potrà più essere un evento estemporaneo, annuale, ma dovrà diventare in un certo senso permanente, in linea con il duplice carattere del Museo: in parte esposizione, in parte – soprattutto – laboratorio di idee, in cui convogliare tutte le energie che finora sono state assorbite dalla Festa”.
Energie che trovano riscontro nei numeri della Festa del Libro Ebraico 2014: diciassette conversazioni e tredici incontri con gli autori, che hanno coinvolto complessivamente circa cinquanta tra scrittori, giornalisti e studiosi. Undici convegni su temi di grande interesse, quali – solo per citarne tre – i già citati conversos e marrani, lo stato dell’arte del MEIS e il dopo Shoah, con la partecipazione di figure di profilo internazionale (basti pensare alla presenza di esponenti delle università di Gerusalemme, Lisbona e Ramat Gan). La mostra “Vita, colore, fiabe. Il mondo ebraico di Emanuele Luzzati”, a cura di Sergio Noberini (Museo Luzzati, Genova) e Michela Zanon (Comitato Scientifico della Fondazione MEIS), che proseguirà fino al 27 Luglio presso la sede del MEIS (Via Piangipane, 81). Otto esibizioni tra concerti e spettacoli teatrali, con artisti di spicco come Miriam Meghnagi e il Ben Goldberg Trio, spaziando dalla musica classica al modern jazz, dalla musica sefardita a quella yiddish, senza contare il cortometraggio “Nel silenzio” di Andrea Barra e Carlo Magri. Venti escursioni culturali e visite guidate nella Ferrara ebraica, dal ghetto al MEIS, dal cimitero di Via delle Vigne fino al quartiere ebraico di Cento. Dieci degustazioni di piatti di ispirazione ebraico-ferrarese. Due premi: il “Pardes”, per la valorizzazione e diffusione della conoscenza della cultura e tradizione ebraica in Italia e in Europa, è andato a Lizzie Doron per la letteratura, a Enrico Mentana alla carriera e a Gioele Dix per la saggistica; in memoria di Aron di Leone Leoni, studioso e autore di opere fondamentali sulla storia della diaspora sefardita, sono stati, poi, conferiti tre riconoscimenti a Laura Graziani Secchieri, Myriam Silvera e Pier Cesare Ioli Zorattini.
Non meno impressionanti i dati ‘virtuali’ riguardanti la Festa: ottimi risultati in termini di accessi (anche dall’estero, specie Stati Uniti e Francia) li ha, infatti, ottenuti il nuovo sito web del MEIS e della Festa del Libro Ebraico (www.meisweb.it) che, configurato come un portale, ha raccolto tutto quello che poteva servire per la fruizione online della manifestazione: informazioni sul programma e sugli ospiti, variazioni, news, la rassegna stampa completa, notizie su Ferrara e sugli appuntamenti paralleli, fotografie e video degli interventi. Da segnalare, inoltre, che dieci tra gli eventi in programma sono stati trasmessi in diretta streaming e che, sempre in tempo reale, immagini, commenti, persone e fatti della Festa sono stati puntualmente rilanciati su twitter.

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Caso Aldrovandi, le ‘tricoteuses’ ovvero il mal riposto senso dell’onore

Nei vecchi film la cattiveria delle tricoteuses che, insediate sotto la ghigliottina sferruzzavano in attesa che la lama calasse sul collo dei nobili francesi lasciando solo un momento il lavoro a maglia per applaudire freneticamente, erano un classico dei film di genere fatti per soddisfare la “pancia” (e termine più giusto e più volgare non si potrebbe inventare) di chi crede che solo al sopruso si possa rispondere con la violenza e la derisione. Questo è stato il primo pensiero che mi è venuto in mente alla notizia dei cinque minuti di applausi ai tre agenti implicati nella morte di Federico Aldrovandi.

Non ho mai volontariamente preso posizione pubblica nella vicenda Aldrovandi per rispetto al dolore della famiglia e per una concessione d’appello etico verso quelle forze dell’ordine che, come ben aveva identificato il pensiero di Pasolini, rappresentano mediamente la classe sociale più umile. Ma è ora chiaro che qualsiasi forma di giustificazione cede di fronte alla violenza cieca di quell’applauso che uccide per un malinteso concetto del “servizio d’ordine”, per una malvagia idea di giustizia che plaude alla violenza e alla soppressione della vita umana. Una violenza moralmente condannabile quanto la riprovazione per la morte stessa provocata al giovane Aldrovandi proprio perché nata da una falsa giustificazione morale, da una violenza ideologica ed etica. A sua volta resa più bieca dalle parole terribili espresse dal vertice del Sap, il sindacato autonomo di polizia, e delle sempre più inaccettabili dichiarazioni dell’onorevole Giovanardi. Penso alla voce untuosa di un capo del Sap che parla di “ossequioso” rispetto del dolore della famiglia. Ma sa l’illetterato signore cosa significa l’aggettivo “ossequioso” e il suo sostantivo “ossequio”?
Siamo nella più bieca tradizione di un formalismo per cui la retorica si fa strumento di falsità. Si pensi alla frase un tempo così usata dalla piccola borghesia: “porga i miei ossequi alla sua signora” che diventa un modo terribilmente retorico per significare un concetto così semplice come “mi saluti sua moglie”. Tutta la retorica di cui si ammantava un tempo nella sua vacuità chi si credeva deputato all’uso di parole inutili. Si risponde così a un atto eticamente rivoltante con il formalismo di piccoli funzionari, per fortuna pochi, dal pensiero miserevolmente pericoloso.

Del resto, a esclusione dei soliti noti presenti al congresso del Sap, o al commento del già citato Giovanardi, lo scatto morale dei vertici politici e istituzionali è stato unanime e questo consola: da Napolitano, alla Boldrini a Grasso, a Renzi, ad Alfano fino a Pansa capo della Polizia e per li rami fino al sindaco di Ferrara Tizano Tagliani. Una quasi unanimità che almeno conforta nella tenuta di certi valori non commerciabili con il risentimento e la protesta di chi si crede offeso nei propri diritti nonostante l’inequivocabile giudizio della magistratura e del comune senso etico. Non si possono applaudire coloro che hanno applicato la violenza sia pure – lo si conceda pur non condividendolo – per un travisato senso del proprio compito. La mancanza di un dignitoso silenzio, l’insistita reiterazione di un pensiero eticamente non condivisibile fanno regredire coloro che hanno applaudito e che purtroppo fanno parte delle forze dell’ordine a tempi bui di cui ancora il nostro tempo non sembra essere immune. Ho ammirato e ammiro l’indomito coraggio della mamma di Federico Aldrovandi ma anche la dignità silenziosa del padre e mi commuove la stanchezza di una madre coraggio che vorrebbe ritornare nella vita di ogni giorno e non viverla come un evento ogni giorno eccezionale.

Eppure da questa tristissima vicenda una luce di speranza si è accesa. E quella proviene proprio dalla condanna dei politici e delle istituzioni a un atto tanto inaudito quanto non necessario. Questa è la vittoria più clamorosa della famiglia Aldrovandi.

Spagna-Italia solo andata, Alvaro e Javier in direzione ostinata e contraria

di Barbara Diolaiti

Alvaro Gàmez Martinez e Javier Esteban Carbonell. Ventisette anni l’uno, ventotto l’altro. Spagnoli entrambi.
Il primo, laureando in Giurisprudenza all’Università di Ferrara, è di Huelva in Andalusia, la città delle fragole e da cui partì il viaggio iniziale di Cristoforo Colombo; il secondo, con doppia laurea (Archeologia in Italia, Storia in Spagna) e Specialistica in Archeologia Preistorica ottenuta alla Facoltà di Scienze Naturali dell’Università di Ferrara, è di Saragozza, in Aragona.

S’incontrano per la prima volta nella città estense nel 2009, all’Ostello della Gioventù di corso Biagio Rossetti, e si osservano diffidenti. Alvaro è appena arrivato, Javier andato e tornato, a partire dal 2005. Nessuno dei due vuol fare “vita da spagnolo”, nessuno dei due frequenta gli altri Erasmus per i quali, mi spiegano, “quell’anno in Italia è, in genere, poco più di una vacanza”.
Per questi due ragazzi, invece, è il primo passo verso il sogno di una vita. Non è la nazionalità ad avvicinarli, anzi, ma la comune, irrinunciabile, non negoziabile decisione di vivere per sempre in Italia, “di diventare italiano”, precisa Alvaro. Una scelta che non può essere scalfita da alcuna delle tetre riflessioni alle quali siamo abituati parlando di ragazzi e di futuro in questo Paese. Alvaro e Javier ti ribaltano la prospettiva: la decisione di vivere in Italia è priva di “nonostante”, è un’altra prospettiva. Trovare un lavoro coerente con il percorso di studio è per loro marginale, centrale è appunto l’Italia; Ferrara per Alvaro, il Chianti per Javier.

Ho conosciuto Alvaro e Javier alcuni mesi fa, grazie ad amici comuni; colpita da tutta questa allegria, serenità e determinazione, ho chiesto loro di ricostruire le vicende e le riflessioni che li hanno condotti in una direzione apparentemente “ostinata e contraria”. La nostra chiacchierata, alla fine, è lunga quattro ore.

“Ho sempre desiderato vivere in Italia – racconta Javier – ma quando mi iscrissi a Storia, a Saragozza, nemmeno sapevo cosa fosse l’Erasmus; per caso scoprii che un amico era in partenza e feci anch’io domanda”.
All’inizio del terzo anno accademico viene indirizzato a Siena. “Scelsi di non assumere alcuna informazione sulla città, di non guardare nessuna foto per potermi stupire come un bambino”.
Il 16 settembre 2005 Javier arriva a Siena e resta folgorato da piazza del Campo. Un colpo di fulmine, un anno meraviglioso, ricorda, al termine del quale è però costretto a tornare in Spagna: “E’ stato come tornare in gabbia”. Non si rassegna e alla fine trova un bando per una borsa di studio dell’Unione Europea destinata ai territorio svantaggiati a causa della cessazione dell’attività mineraria.
“Una borsa di studio seria, che non esiste più – spiega – copriva le tasse universitarie, due viaggi andata e ritorno dalla Spagna all’Italia e prevedeva 800 euro al mese per nove mesi”.
Uno strumento essenziale per Javier, la cui famiglia (padre metalmeccanico, madre casalinga, due figli) non avrebbe certo potuto permettersi di mantenerlo agli studi all’estero. E così Javier può finalmente iscriversi ad Archeologia all’Università di Siena, anno accademico 2007/2008, dove si laureerà il 16 settembre 2009.
Anche per Alvaro, dopo l’anno di Erasmus, arriva la decisione di trasferirsi all’Università in Italia, a Ferrara.

E’ stato complicato trasferire gli studi?
“L’ iter burocratico per il trasferimento da un’università all’altra di Paesi comunque dell’Unione Europea – spiegano all’unisono – è veramente sconcertante, ti rendi conto che l’Unione Europea non esiste, esiste solo un progetto economicista che nulla ha a che vedere con le persone. L’unica differenza con un trasferimento da Università extra UE è che non devi sostenere un test di italiano, ma tutto il resto è uguale: devi recuperare ogni documento, produrre l’intera documentazione del tuo percorso scolastico in traduzione con costi elevati (circa 2.000 euro), compresi i contenuti dei corsi, la programmazione dalle elementari in poi. E a questo aggiungi la mancanza di informazioni, l’incapacità del personale dei consolati e delle ambasciate. Sono stati necessari circa sei mesi”.

Quando Alvaro e Javier s’incontrano, il primo sta iniziando l’Erasmus mentre il secondo è iscritto alla Specialistica di Archeologia Preistorica. Nel 2011 Javier sarà costretto a rientrare all’improvviso in Spagna a causa di due diverse gravi malattie, poi felicemente risolte, che avevano colpito entrambi i genitori. La sua casa ferrarese passa ad Alvaro, iscritto a Giurisprudenza.

E’ allo zio che Alvaro deve questo amore assoluto per l’Italia; uno zio spagnolo che parla però l’italiano e “anche un po’ di napoletano”.
” Il mio – chiarisce Alvaro – è un grande amore per l’arte e la cultura del passato. Non ero mai stato in Italia prima del 2009. Tutto quello che sapevo l’avevo letto e fin da bambino ascoltavo praticamente solo musica italiana, Modugno, Carosone. Volevo vivere qui e nessuna delle mie aspettative è stata delusa. L’Università stessa è diversa: in Spagna di fatto ti limiti a consumare l’Università più o meno come accadeva alle scuole superiori; in Italia, invece, l’Università è un mondo a parte, una realtà ancora viva e stimolante”.

Eppure noi italiani tendiamo a vedere la Spagna, specie negli ultimi anni dopo la nascita del movimento degli Indignados, come un Paese molto più vivace e avanzato…
“Credo che la riflessione sulla possibilità di trasformazione della società sia invece molto più consapevole in Italia – interviene Javier – Per me il vero punto di svolta è stata l’uscita dall’ambito esclusivamente studentesco, conoscere persone più grandi e con interessi simili ai miei: il movimento degli orti condivisi, della decrescita. E sono proprio questi amici che mi hanno convinto a riprendere gli studi dopo la malattia dei miei, a giungere alla Laurea specialistica”.

” Il movimento spagnolo del 15 maggio ha certo rappresentato una piccola speranza – incalza Alvaro – e all’inizio era davvero forte e spontaneo, poi il tentativo di strumentalizzazione da parte dei politici ha allontanato moltissime persone e ora si è frantumato in una miriade di iniziative e movimenti legati alle specificità come quello contro i pignoramenti o per la sanità pubblica o per il diritto alla casa, il che va comunque bene, ma credo che manchi una riflessione complessiva e approfondita. Diciamo che in Spagna ci sono poche idee ma molto sangue, mentre in Italia è il contrario”.

E voi preferite l’Italia anche se qui sarà ancora più difficile trovare un lavoro coerente con i vostri studi…
“Non è importante – chiarisce deciso Javier – Mi è molto chiaro che il mio lavoro non potrà essere quello di archeologo della preistoria. Intendo continuare a studiare, a ricercare, ma senza assegnare a tutto questo un valore economico. A più riprese negli ultimi anni ho lavorato nel Chianti in aziende agricole ed è lì che vedo il mio futuro, credo che l’agricoltura biologica offra possibilità reali. Preferisco vivere in un luogo che amo anziché impazzire nel tentativo di ottenere, che ne so, un qualche dottorato in una qualsiasi Università in una lotta, una competizione continua. Non avrebbe alcun senso, non sarebbe positivo per la mia vita”.

Anche per te, Alvaro, un futuro da agricoltore dopo la laurea in Giurisprudenza?
“No no – ride – ma nemmeno un futuro da avvocato, che ce ne sono fin troppi e con sempre meno lavoro. Ho la fortuna di parlare la seconda lingua più diffusa al mondo e penso ad un lavoro di consulenza legale per aziende che abbiano rapporti con la Spagna o con il Sud America. Sono comunque in grado di adattarmi. L’aspetto fondamentale è trovare un lavoro che mi consenta di restare in Italia e, meglio ancora, a Ferrara. Amo questa città e la vita del mio quartiere. E’ davvero una città a misura d’uomo ed è questo che cercavo, assieme alla bellezza, e qui ho trovato anche quella. L’idea di Biagio Rossetti di unire città e natura è per me straordinaria. Inoltre mi piace lo stile di vita italiano; probabilmente sono affezionato a un’Italia che non c’è più, eppure riesco ancora a trovarne traccia. Huelva non mi manca anche perché la mia famiglia è di origine galiziana e in Andalusia non ho mai sentito di avere radici”.

Avete scelto l’Italia, siete fidanzati con ragazze italiane e non intendete tornare in Spagna. Le vostre famiglie come l’hanno presa?
“Mio padre – risponde Javier – era molto perplesso e quando partii per l’anno di Erasmus mi disse: ‘vedi almeno di imparare la lingua’. Ora hanno capito che non cambierò idea e hanno accettato la mia scelta”.

“Sono figlio unico – spiega Alvaro – e questo avrebbe potuto complicare le cose, ma ho sempre pensato che ciascuno abbia il diritto di trovare un proprio percorso. I miei hanno accettato la mia scelta”.
Mentre trascrivo questa nostra conversazione, Javier è già alla ricerca di lavoro nel Chianti e Alvaro ha imparato a condurre una gondola e a fare i cappellacci alla zucca alla ferrarese.

Javier e Alvaro (a destra) in direzione ostinata e contraria (foto di Nicolò Ferrara)

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Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…
 
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” (Costituzione della Repubblica Italiana, Art.1)
 

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Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura.

Il lavoro (foto di Luca Pasqualini) – clicca sull’immagine per ingrandirla

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Lavoro (foto di Luca Pasqualini)