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Giorno: 20 Luglio 2014

Giovedì 24 dibattito: Una via d’uscita dalla crisi: proposte concrete per la ripresa economica

“Una via d’uscita dalla crisi: proposte concrete per la ripresa economica” è il titolo del dibattito in programma a Ferrara giovedì 24 luglio alle 21 nella ‘sala della musica’ di via Boccaleone 19, all’interno del chiostro di San Paolo. Parteciperanno gli economisti Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi, autori del volume “La soluzione per l’euro” edito da Hoepli, e Luigi Marattin, assessore al Bilancio del Comune di Ferrara nonché docente di Economia all’Università di Bologna.

L’incontro è stato preceduto nelle settimane scorse da un vivace confronto dialettico che ha trovato spazio sul nostro quotidiano: Cattaneo e Zibordi segnalano la necessità e l’urgenza di una considerevole immissione di liquidità nel sistema (almeno 200 miliardi di euro) per determinare un positivo shock e favorire il rilancio dell’economia. Al riguardo propongono la creazione di certificati di credito fiscale come succedanei di una moneta interna: un ingegnoso compromesso per restare all’interno dell’eurozona recuperando però una sostanziale sovranità monetaria. Marattin manifesta forti riserve, connesse in particolare a paventati rischi di inflazione. Gli interventi precedenti e le analitiche considerazioni dei protagonisti sono consultabili nell’archivio di ferraraitalia [per leggere clicca qua]

Ma anche la stampa nazionale, dopo un primo momento di scarsa considerazione, sta cominciando a riservare spazio al tema. Qua riportiamo i collegamenti a un primo articolo del 2013 del quotidiano economico Il sole 24 ore [leggi], una recente recensione al volume di Cattaneo e Zibordi di Italia oggi (quotidiano anch’esso di matrice economica, principale concorrente editoriale del Sole) [leggi], che mostra molto interesse a quanto espresso. Infine lo sguardo internazionale di Ecomonitor, testata online statunitense specializzata nell’informazione economica che al caso Italia e all’originale soluzione prospettata dedica un approfondimento [leggi]

L’appuntamento di giovedì 24, organizzato da ferraraitalia con il sostegno organizzativo di Gruppo economia Ferrara, Emmaus Ferrara e il patrocinio del Comune di Ferrara, si preannuncia caldo, non solo per questioni climatiche: l’auspicio, dati i temi in discussione, è che al di là delle schermaglie verbali possa prevalere la condivisa volontà di ricerca di una possibile e concreta via di soluzione per la crisi che ci attraversa.

Giverny, l’amato giardino di Monet

È tempo di vacanze, di gite e, per chi può permetterselo, di qualche bel viaggio. Andare in giro per giardini è un modo di viaggiare che mi piace molto e che sicuramente condivido con tutti gli appassionati di giardinaggio. Non c’è video, foto, quadro che possa rendere la fisica tridimensionalità di un giardino. Poco importa se non si è fortunati e pioverà a dirotto il giorno fatidico in cui si varcherà il cancello del luogo dei nostri sogni, soltanto l’esperienza diretta ci permette di capire realmente quali sono i rapporti tra i suoi spazi e il suo contesto. Osservare con attenzione, annusare, camminare con lentezza e curiosità, farsi le proprie foto e magari un appunto scritto su un quadernino, penso che rimanga la miglior scuola di arte dei giardini. Naturalmente queste esperienze dirette possono rivelarsi entusiasmanti tanto quanto deludenti, soprattutto quando si cade nella trappola delle forti aspettative. Un esempio che faccio spesso riguarda uno dei giardini più famosi al mondo, quello di Giverny, creato e dipinto da Claude Monet. Ho potuto visitarlo qualche anno fa e, nonostante la giornata di fine aprile fosse assolutamente perfetta, la compagnia ottima e il giardino straripante di bellezza e di fiori, ogni volta che penso a Giverny ho la sensazione che mi sia mancato qualcosa. Su questo giardino penso che sia stato detto e scritto di tutto. Monet è stato un grandissimo artista, nelle sue lettere scriveva di essere stato consapevole di avere tanto amato dipingere quanto coltivare piante, riconoscendosi solo due talenti: quello di pittore e quello di giardiniere. Monet aveva capito la modernità, o forse l’aveva solo intuita, ma nei suoi comportamenti si riconoscono alcune delle azioni tipiche dei nostri tempi, soprattutto quello che riguarda l’importanza di difendere la paternità delle proprie opere. Nel caso del giardino, Monet non lasciò che altri lo dipingessero, era fondamentale che quel soggetto, in particolare la parte del giardino con lo stagno delle ninfee, fosse riconducibile solo e soltanto al suo nome. Lo stesso Monet lasciò passare una quindicina di anni prima di dipingerlo, perché il paesaggio ha bisogno di tempo per essere compreso. La fusione tra giardino e pittura, che si è realizzata proprio nella persona dell’artista, impedisce oggi qualsiasi forma di sopravvivenza del giardino al di fuori delle tele, quello che vediamo oggi è tutta un’altra cosa, bellissima ma sostanzialmente diversa. Giverny è una miniera d’oro e tutto il lavoro dei giardinieri viene impostato per dare alle migliaia e migliaia di turisti che si mettono in coda davanti al portone, fioriture abbondantissime e percorsi sicuri. Questo significa che a fine aprile non ci siano dei tulipani, ma centinaia di tulipani, di ogni forma e colore, assemblati per ricostruire quella specie di sensazione vibrante che Monet riusciva a mettere sulla tela dipingendo rapidamente un’immagine fatta di luce e colore. L’effetto nella realtà è bellissimo, ma allo stesso tempo spiazzante: la cura estrema del giardino ripaga il prezzo del biglietto, sulle prime si viene rapiti e non si riesce a controllare l’impulso di scattare centinaia di foto, in un secondo momento gira un po’ la testa, perché l’occhio non trova un angolo spento su cui riposare. Il cosiddetto giardino giapponese, dominato dalla superficie acquatica dello stagno delle ninfee, dovrebbe calmare gli animi dalle emozioni del primo giardino e lasciare spazio alla tranquillità dei verdi e dei riflessi della luce sull’acqua. Ho usato il condizionale perché questo giardino negli ultimi vent’anni è stato decisamente modificato. Il colpo d’occhio è quello visto nei quadri, ma lo spazio sembra ristretto. Si mostra per quello che è: un piccolo laghetto dai bordi sinuosi. Monet aveva creato l’illusione di uno spazio più dilatato, lasciando a prato rasato molte delle superfici che bordavano lo stagno, superfici che oggi sono state riempite con fiori e bassi cespugli che servono per impedire ai turisti di cadere in acqua. Una recinzione sarebbe stata ancora più brutta, ma in ogni caso l’effetto complessivo è diverso. Devo ammettere che in questo giardino non ho sentito schiamazzi, ma una processione continua di persone comunque fa rumore, e questo tipo di giardino ha nel silenzio uno dei suoi ingredienti più importanti. In conclusione, ho visto un giardino bellissimo, ho passato una giornata piacevolissima con una cara amica, ma non ho trovato il giardino di Monet. Monet era un vero giardiniere, sapeva che il suo giardino sarebbe stata la sua opera più fragile, ma attraverso le sue tele, lo ha reso immortale.

[Foto di Alessia Albieri]

Ero un bambino

Dove abito non c’è un bel clima ma io sono un bambino: cosa vuoi che me ne importi?
Io voglio giocare e divertirmi.
Fa caldo questo pomeriggio ma è bello stare sulla spiaggia perché la brezza che arriva dal mare ti rinfresca la pelle.
La sabbia, sotto i piedi, scotta moltissimo.
Fa proprio un caldo infernale oggi ma non c’è niente di meglio che una bella partita di pallone in spiaggia per svagarsi un po’ in questa stagione rovente.
I mondiali di calcio saranno anche finiti ma, per noi bambini, ogni partita è come se fosse la finale.
Noi la giochiamo senza portiere, a porta unica: da quella bottiglia a quell’altra.
Abbiamo fatto la conta ed io sono in squadra con Ramez; contro di noi giocano Ahed e Zakaria.
Le squadre sono venute bene perché io ho 9 anni e Ramez 11, la somma delle nostre età fa 20; Zakaria e Ahed hanno 10 anni a testa e la somma fa 20.
Tutti insieme abbiamo 40 anni, una media di 10 anni a testa.
Nella vita apparteniamo tutti alla stessa famiglia, ma nel calcio bisogna schierarsi: due di qua e due di là.
Fa un caldo terribile oggi ma, quando corri sulla sabbia prendendo a calci un pallone, senti soltanto il piacere di sfidare il vento.
E quando corri in questo modo, senti di avere un coraggio ed una forza da leone; quelli che servono per poter andare contro chi ti sembra più forte di te.
Stavamo già uno a zero per noi quando, mentre stavo scartando Zakaria e Ramez mi urlava di passargliela, ho sentito una specie di ruggito…
No, non usciva dalla mia bocca; io non mi ero fatto suggestionare troppo dalla fantasia.
Era un missile!
Li conosciamo bene anche noi bambini.
È passato sopra le nostre teste, sopra la sabbia, sopra la palla, sopra le bottiglie di plastica.
Mi sono messo il pallone sotto il braccio e, senza metterci d’accordo, insieme agli altri abbiamo iniziato a correre come se fossimo tutti della stessa squadra, avessimo appena segnato il gol del pareggio e volessimo tornare in fretta a centrocampo per vincere la partita.
Abbiamo cominciato a scappare verso gli alberghi, verso i giornalisti, verso un tetto sotto il quale ripararsi.
Poi ho sentito un altro ruggito, questa volta assordante e fragoroso quindi dilaniante e doloroso.
Sono inciampato ma ho fatto in tempo a vedere Zakaria, Ahed e Ramez cadere in terra, davanti a me, come se avessero subito un fallo tremendo, una scorrettezza inimmaginabile, una violenza inconcepibile.
Mi ricordo di aver provato a dire: “Rosso, arbitro!”… ma l’unico rosso che ho fatto in tempo a vedere era quello del mio e del loro sangue che bagnava la spiaggia di Gaza.
Mentre la sabbia mi riempiva la bocca ed il mio respiro si faceva sempre più faticoso, ho capito che l’arbitro della vita non avrebbe mai espulso i responsabili di quei falli orrendi e che nessuna punizione, nessun rigore avrebbe potuto più ridarmi il sapore di una corsa contro il vento, il profumo di una risata con gli amici o l’abbraccio fresco del mare.
Ero un bambino e ora sono diventato un piccolo respiro nel vento, uno di quelli che però riesce a far sventolare di più la bandiera della mia gente.
Volevo solo giocare e divertirmi e adesso, che non potrò più farlo, continua a rimanermi il dubbio che abbiate capito, che mi abbiate capito: IO ERO UN BAMBINO!

Ismael Mohammed Bakr di 9 anni, Ahed Atef Bakr di 10 anni, Zakaria Ahed Bakr di 10 anni e Mohammed Ramez Bakr di 11 anni sono stati uccisi da un missile israeliano sulla spiaggia di Gaza il 15 luglio scorso.
Il portavoce militare israeliano Moti Elmoz ha dichiarato: “Per ora posso solo dire che abbiamo attaccato un obiettivo sospetto sulla spiaggia”.
Il presidente Shimon Peres, in un’intervista, si è detto “dispiaciuto” e ha definito la morte dei quattro bambini a Gaza “un incidente”.
Forse un Sms gratuito, inviato poco prima a qualche utente palestinese, ha avvisato del bombardamento in arrivo; così, dietro tale ignobile alibi, gli assassini di Zakaria, Ahed, Ramez e Ismael possono continuare a lavare la propria coscienza, lurida di crimini contro l’umanità.