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Giorno: 27 Settembre 2014

Inaugurata la mostra dedicata a Giglio Zarattini nel settecentesco ex-ospedale degli infermi

da: ufficio stampa Comune di Comacchio

Durante l’affollatissima inaugurazione della mostra-omaggio all’artista locale, Giglio Zarattini, il primo cittadino comacchiese Marco Fabbri nel pomeriggio ha preannunciato che sarà istituito il 6 dicembre prossimo il “Premio Giglio Zarattini”, iniziativa culturale, che ben si inserisce tra quelle volute per commemorare l’ex-sindaco a dieci anni dalla sua scomparsa. “Grazie a questa mostra – ha sottolineato Fabbri – conosceremo Giglio come artista, sindaco e come persona comune con ansie e dubbi. Credeva fortemente nell’arte, nel futuro e voleva che la sua Comacchio si aprisse al mondo.” La mostra, allestita al piano terra del settecentesco ex-ospedale degli Infermi con opere provenienti da collezioni private è stata inaugurata in presenza della mamma di Zarattini Luciana, della moglie Linuccia, del figlio Giuliandrea e di un pubblico numerosissimo. Al taglio del nastro hanno assicurato la loro presenza anche la presidente della Provincia Marcella Zappaterra, il Sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani, il presidente dell’Ente di gestione per i parchi e le biodiversità – Delta del Po Massimo Medri, l’ex-sindaco Alessandro Pierotti, le autorità militari locali, oltre agli assessori e ai dirigenti comunali, rappresentanti della società civile e del mondo politico. Ancora una volta si è rivelata preziosa e proficua la collaborazione con gli studenti dell’Istituto di istruzione secondaria “Remo Brindisi” del Lido degli Estensi, guidati dal dirigente scolastico reggente prof. Massimiliano Urbinati e dalla sua vice prof.ssa Carla Castaldi, per la cura degli aspetti legati al cerimoniale e all’accoglienza dei numerosi ospiti. Dalla mostra, aperta sino al 27 ottobre prossimo, emerge la figura di “un artista equilibrista – ha commentato il sindaco Marco Fabbri – sospeso tra responsabilità civile e politica e poesia.” L’idea della mostra dedicata a Giglio Zarattini nel decennale della scomparsa è nata 10 mesi fa, quando erano in fase di ultimazione i lunghi lavori di restauro, che hanno interessato il settecentesco ex ospedale degli Infermi ed è stata da subito condivisa con la famiglia dell’artista. “Si è pensato all’ex-ospedale – ha precisato il sindaco Fabbri -, perché questo è il luogo centrale, simbolico di Comacchio. Tutti i sindaci ci hanno lavorato intensamente, lasciandoci un pezzo di vita istituzionale.” Ringraziando Alessandra Felletti e Andrea Samaritani, curatori della mostra e tutti i dipendenti comunali per mesi impegnati giorno e notte per restituire il museo alla comunità, il Sindaco Fabbri ha anche ribadito che “si sta lavorando con tutte le Istituzioni e con la Soprintendenza perché il patrimonio archeologico torni qui e si integri con quello cittadino.” Il saluto che ha preceduto la visita alla mostra è stato quello della presidente della Provincia Marcella Zappaterra, la quale, rinnovando “i ringraziamenti all’Amministrazione Comunale e a tutti coloro che hanno collaborato per la realizzazione dell’evento” ha posto l’accento sul fatto che “oggi si arricchisce il nostro patrimonio culturale e museale.” Zappaterra ha avuto poi parole di stima e riconoscenza per Giglio Zarattini, rilevando che “ce lo ricordiamo tutti, sempre disponibile a tutte le ore, come sindaco al servizio di una comunità che amava e che ha servito con grande senso di responsabilità.”

Partigiani oggi, Giuseppe Gattino: “L’individuale assunzione di responsabilità può essere rivoluzionaria”

Giuseppe Gattino, imprenditore

In tempi “liquidi” come i nostri, in cui gli schieramenti difficilmente possono essere ricondotti ai valori della tradizione politica del Novecento, credo sia giusto lottare per difendere il valore della responsabilità individuale. La battaglia da combattere non è banale, perché chiedere alle persone – qualunque potere esse abbiano – di rispondere di ciò che fanno e di riconoscere la propria responsabilità nei processi in cui sono coinvolti, può essere rivoluzionario.

Non si tratta di cercare capri espiatori o di inseguire slogan che esorta(va)no alla rottamazione della vecchia classe dirigente: riconoscere le proprie responsabilità è il primo passo verso il cambiamento. Pensiamo alla lunga crisi che stiamo vivendo e alle sue conseguenze sulla vita di ognuno di noi: ancora oggi non sappiamo chi ringraziare e le responsabilità per i disastri di questi anni si perdono in un mare di alibi.

I nemici da combattere sono coloro che si nascondono nei corridoi del potere, delle clientele e della viltà organizzativa. I nuovi partigiani sono le persone che non hanno paura di decidere, che fanno quello che dicono e che se ne fregano delle appartenenze e delle rendite di posizione.

Tutto questo è poco poetico: sarebbe più facile parlare della fame nel mondo e degli abusi delle multinazionali, o della finanza barbara e delle mafie. Ma anche lì il male attecchisce perché le persone non hanno il coraggio di rispondere di ciò che fanno. Ed ecco perché lottare per trovare quel coraggio è un dovere al quale non possiamo sottrarci.

LA STORIA
Detenuti in attesa di giudizio. Non solo marò in India

di Valerio Lo Muzio

Succede che, durante un viaggio in India, tre amici decidano di assumere dell’eroina prima di addormentarsi insieme in un grande lettone di una stanza d’albergo, succede che all’indomani malauguratamente uno dei tre non si svegli più, succede che i due amici vengano accusati di omicidio e condannati in primo grado all’ergastolo. Sarebbe l’incipit di un possibile film, ma questa purtroppo è la vera storia di Tomaso Bruno, trentenne di Albenga, che insieme con l’amica Elisabetta Boncompagni da oltre 4 anni e mezzo scontano una condanna di primo grado all’ergastolo nel carcere indiano di Varanasi.
Sulla loro vicenda un film uscirà. ‘Più libero di prima’ è il titolo, a dirigerlo sarà Adriano Sforzi, la produzione è di Articolture Bologna e Ouvert di Torino. Il giovane regista, già vincitore di un David di Donatello per il cortometraggio ‘Jody delle giostre’, dovrà affrontare una sfida non facile: non solo la storia è tortuosa da raccontare, ma le maggiori difficoltà sono date dai costi davvero ingenti: le trasferte in India costano, e i numerosi rinvii del tribunale indiano per emettere la sentenza definitiva (il processo è stato rimandato ben tre volte) mettono a repentaglio il budget. Ora la data finale della sentenza programmata dalla Corte indiana, quella che dovrebbe decidere la sorte dei due ragazzi è programmata per metà ottobre (del resto, non stupisce la lunghezza dei tempi della giustizia indiana, vedi il caso dei due marò italiani), per finanziare il viaggio finale di Sforzi ed il suo team è stata indetta una campagna di crowdfunding.
Questa triste storia inizia il 28 dicembre 2009, quando Tomaso, Elisabetta ed il suo fidanzato Francesco Montis, si recano in viaggio in India. Il giorno prima della partenza i tre giovani decidono di consumare della droga, la mattina dopo, Francesco Montis non si sveglierà più. Il referto post mortem, redatto da un oculista e non da un medico legale, parla di morte per strangolamento, nonostante non ci siano segni evidenti e nell’autopsia si faccia cenno ad un’emorragia cerebrale, alla quale non viene dato assolutamente alcun peso. Per la polizia indiana e per i giudici non ci sono dubbi: è un omicidio passionale, nonostante la sentenza affermi che non ci sono abbastanza prove per dimostrare l’omicidio: il fatto che i tre dormivano nello stesso letto (cosa inconcepibile per la cultura del luogo) è di per sé una prova valida. Ecco che impressione si è fatto il regista Adriano Sforzi.

In meno di un mese avete raccolto il 92% dei fondi per il film. Te l’aspettavi?
No, assolutamente no, non ne ero neanche convinto, perché sono ligure e conosco i liguri (scoppia a ridere, ndr) però, un po’ lo speravo perché so che i liguri sono anche persone molto di cuore. La campagna di crowdfunding, serve a finanziare quest’ennesimo viaggio in india. La produzione, Ivan Olgiati di Articolture di Bologna e Stefano Perlo di Ouvert di Torino, hanno finanziato i primi viaggi, assumendosi anche il rischio che il film non si girasse. Lo scorso anno quindi, abbiamo iniziato le riprese e c’è stato il primo rinvio in tribunale con un anno di attesa. Attorno alla storia di Tomaso ed Elisabetta si è creata una vera e propria comunità, si è pensato quindi di coinvolgerli soprattutto per tenerli uniti. Infatti una delle cose più positive che sono successe in questa storiaè che un piccolo paesino della Liguria come Albenga, si è scoperta comunità, cosa molto difficile negli anni Duemila.

A cosa serviranno questi soldi, che spese andranno a coprire?
Sul nostro sito (www.indiegogo.com) è specificato chiaramente, a cosa servono i finanziamenti. Siamo andati lì con un direttore della fotografia professionista, attrezzature professionali, ci sino da coprire le spese dei viaggi, degli spostamenti, il vitto e l’alloggio, le assicurazioni. Purtroppo tutte queste spese dovremo affrontarle di nuovo, a causa dell’ennesimo rinvio decretato dalla Corte indiana.

Ecco, parliamo di questo rinvio, il 16 settembre era prevista l’ udienza presso la Corte Suprema, poi è tutto è saltato in quanto mancava l’avvocato difensore, come affronterete queste vicende nel film?
Tutte queste vicende avranno un ruolo marginale nel film, perché vorrei rappresentare la crescita di Tomaso. Sarà principalmente un romanzo di formazione, scritto a mano da Tomaso, in quanto il film è soprattutto tratto dalle lettere che Tomaso ha scritto in questi lunghi 4 anni passati in carcere.

Cosa scrive Tomaso ai suoi genitori in queste lettere?
Nelle prime lettere, Tomaso descrive gli avvenimenti di quei giorni, ma la cosa che più mi ha colpito è che ogni volta scrive ai genitori :“State tranquilli perché questa storia finirà”. E’ sorprendente come questo giovane, rinchiuso in un carcere da 4 anni, senza acqua, senza elettricità e con altri 150 detenuti, dice agli altri di stare tranquilli. Tomaso chiude spesso le sue lettere con un “Forza Inter”, è tifosissimo e si fa spedire dalla mamma dei pacchi da 100 copie de ‘La gazzetta dello sport’ per tenersi informato sul campionato italiano. Sul muro della cella ha disegnato una classifica della serie A, questo lo tiene in Italia, lo tiene vivo, ancorato alle sue radici, e lo rimanda a quel bar dove noi vedevamo ’90 minuto.

Nella homepage del sito piùliberodiprima.it c’è una citazione di Tommaso, che recita: “Sono entrato in carcere in India come un ragazzo in perenne conflitto con se stesso. Oggi sono talmente tranquillo che non provo nemmeno un pizzico di odio verso i responsabili di questa vergognosa ingiustizia”. Insomma Tommaso pare aver acquistato una consapevolezza, cosa ha trovato secondo te? Perché è così sereno nonostante sia in carcere?
Cosa ha trovato veramente non lo so, ma credo che sia giusto raccontare come ci sia arrivato a questa serenità. Tomaso è arrivato a questa frase dopo aver passato 4 anni e mezzo in carcere per un delitto che non ha commesso. Credo fermamente che questa sua evoluzione può essere utile a tutti. Mi sono convinto a realizzare il film quando ho capito che questa, poteva essere una storia universale, utile davvero a chiunque. Mi chiedevo cosa potessi fare per Tomaso, di fronte quest’enorme ingiustizia ti senti impotente, l’unica cosa che potevo fare era raccontare in un film la sua storia.

Se nella sentenza definitiva dovessero essere condannati che farete, girerete lo stesso le scene?
E’ un’ipotesi che non prendo neanche in considerazione, il mio film finisce con Tomaso che ritorna a casa, non voglio pensare a nient’altro, perché è talmente assurda tutta questa storia, che non voglio credere che continui. Quindi ora attendiamo altro tempo, ma poi gireremo il finale come dico io, non come dicono loro.

Nel 2012 Le Iene, sono andate a Varanasi, in carcere con le telecamere e i due ragazzi hanno ammesso l’assunzione di droghe, pensi che quest’ammissione abbia contribuito a far spegnere i riflettori su questa vicenda?
Purtroppo è così, proprio in quel filmato, la serenità con cui Tommy ha ammesso di aver provato per la prima volta l’eroina è la serenità con cui io affronterò questo racconto. La droga fa parte della storia di Tomaso e purtroppo anche quelle persone che pensano che chi si droga è per forza un assassino fanno parte di questa storia. Anche perché nel referto dell’autopsia redatto da un’oculista si fa cenno ad un ematoma interno nella testa di Francesco Montis, che non è causato da nessuna botta, quindi è molto ma molto probabile che la causa della sua morte sia quella. Bastava che un qualsiasi medico valutasse quell’autopsia per dire che Checco è morto di overdose e mandare a casa quei due ragazzi.

(ha collaborato Sirio Tesori)

[www.lastefani.it]

Versailles e la Tempesta

Nel dicembre del 1999 due violenti uragani devastarono il nord della Francia. Furono eventi atmosferici straordinari e lasciarono alle loro spalle un regalo indesiderato di morte e distruzione. Una delle due fu particolarmente memorabile e i francesi quando ne parlano, non l’hanno battezzata con un nome proprio, ma usano semplicemente le maiuscole, quella è semplicemente, La Tempesta. I danni provocati dal suo passaggio furono enormi, fra i tanti, la distruzione di una quantità considerevole di alberature storiche e monumentali. Il parco della reggia di Versailles fu devastato, circa 10.000 alberi furono sradicati dalla violenza del vento, ma se guardiamo questo disastro da un altro punto di vista, si può dire che mise fine a una lunga discussione che animava il dibattito sulla sua gestione. Mi rendo conto che fare una considerazione del genere è come definire un terremoto come un nuovo piano regolatore, ma ci sono dei casi in cui l’eccesso di discussione, porta inevitabilmente ad una immobilità che può essere controproducente. Il governo francese, anche in tempi di crisi, stanzia fondi pubblici per la conservazione e il mantenimento del suo patrimonio di giardini storici che a noi italiani può sembrare fantascienza, di conseguenza il dibattito sulla gestione dei grandi parchi, anche se non diventa argomento da Bar Sport, è comunque al centro dell’attenzione pubblica e della stampa, anche per i non addetti ai lavori.
Nel caso di Versailles, il dibattito sulla sua gestione scatena sempre delle grandissime polemiche e all’avvicinarsi del cambio di secolo erano relative ad un fatto specifico: mantenere le grandi siepi che delimitavano la grande prospettiva centrale del parco o sostituirle con una nuova piantagione?
In Francia non c’è un problema di manutenzione del Verde, i nuovi impianti, soprattutto nei giardini di grande richiamo turistico, sono curati come principini, quindi la discussione riguardava i possibili cambiamenti dell’immagine storicizzata del parco. Sostituire le grandissime siepi che fiancheggiavano il “Grand Canal”, significava perdere per più di un decennio l’immagine ormai stabilizzata del parco e dare in pasto alle migliaia di turisti una cartolina diversa. La Tempesta ha messo fine alla discussione e verificare come il parco abbia cambiato la sua immagine, prima e dopo la catastrofe, è molto semplice, basta fare un giro su internet e curiosare nelle foto delle vacanze messe in rete.
È bene ricordare che nei grandi giardini formali creati da Le Nôtre nel 1600, ai tempi del Re Sole, queste lunghissime siepi potate erano una delle caratteristiche di questi luoghi, in cui la Natura, per diventare bella e degna di chiamarsi Giardino, doveva perdere ogni spontaneità ed essere regolata e dominata dalle mani e dalla ragione dell’uomo. Attraverso potature continue le piante assumevano forme geometriche e artificiali, per esempio alcune specie di alberi e arbusti di buon carattere, come i carpini e il bosso, perdevano il loro aspetto per diventare ricami, sculture e quinte di una scenografia teatrale complessa. Decenni di potature però indeboliscono le piante e in passato la loro sostituzione, per esempio nei labirinti, era considerata una prassi nella gestione della forma del parco, oggi invece, ovunque si tende a monumentalizzare le piante e a considerare il giardino storico o le cosiddette alberature storiche, come qualcosa di intoccabile. Questa vicenda mi ha sempre fatto riflettere, i giardinieri dei giardini formali, curavano le loro piante seguendo l’estetica dell’epoca, ma erano perfettamente consapevoli di maneggiare materia viva, una materia che nel tempo si ammala, cresce, invecchia, muore e rinasce, noi con la nostra cultura, sempre alla ricerca di una naturalità perduta, trattiamo i giardini come oggetti, li vogliamo eterni, come una cosa già morta.

IMMAGINARIO
La città metafisica
La foto di oggi…

Un intero paese costruito come un quadro metafisico: è Tresigallo, una ventina di chilometri da Ferrara. A celebrare la bellezza e il sogno di un insieme di architetture ed edifici costruiti apposta per creare un’armonia urbana tutta nuova – su impulso di Edmondo Rossoni negli anni ’30 – è la mostra “Fotografie di armonie”. Oggi alle 18 all’Urban center Sogni, in via del Lavoro, la presentazione degli scatti dei soci del Fotoclub Ferrara. Fino a domenica 5 ottobre. (Giorgia Mazzotti)

OGGI – IMMAGINARIO BELLEZZA

Tresigallo-Fotoclub-Urban-center-sogni-mostra
Tresigallo come esempio architettonico omogeneo del sogno di una città nuova nella mostra del Fotoclub (foto di ANNA MARIA MANTOVANI)

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic sulla foto per ingrandirla]