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Giorno: 26 Ottobre 2014

Concorso a tema: Cyberbulling? No like it – immagini e parole… Per prevenire il bullismo e promuovere la sicurezza nell’uso delle nuove tecnologie da parte dei ragazzi

da: Associazione di Volontariato “Oltre i Muri”

Scopo dell’iniziativa: sensibilizzare in modo incisivo e fornire la consapevolezza dell’esistenza del fenomeno del Bullismo; educare al rispetto e ad un corretto utilizzo delle nuove tecnologie.
Vogliamo porci a fianco degli insegnanti per fornire loro un sostegno concreto nel loro difficile compito di far crescere i nostri ragazzi sul piano conoscitivo, culturale e personale.
Si tratta di un problema spesso sottovalutato, dai risvolti a volte tragici e dalle devastanti conseguenze fisiche e psicologiche.
Il bullismo trova oggi nell’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione, in particolar modo nella telefonia mobile e nel web, un palcoscenico ulteriore di diffusione. La convergenza tra web e telefonia mobile sta infatti ridefinendo le modalità di gestione delle relazioni sociali e le enormi potenzialità messe a punto dalla tecnologia implicano numerosi rischi, tra cui quello, oggi molto diffuso, del cosiddetto “cyberbullismo”.
Ecco che l’Associazione “Oltre i Muri” con i suoi volontari, in collaborazione con l’Associazione Michelangelo Antonioni, Fondazione San Giuseppe (CESTA), Fondazione Don Calabria (Città del Ragazzo), “La Voce di Ferrara-Comacchio”, mossi dalla necessità di far fronte al bullismo e di educare all’uso consapevole della rete Internet e del telefonino: ha indetto un Concorso rivolto alle Scuole Secondarie di Primo e Secondo Grado della provincia di Ferrara.
I partecipanti saranno chiamati a raccontare una storia, reale o immaginaria, che dica “NO AL BULLISMO”, proprio attraverso l’uso delle “NUOVE TECNOLOGIE”, realizzando un VIDEO, scrivendo un “MESSAGGIO PER UNA CAMPAGNA PUBBLICITARIA” attraverso il DISEGNO, un RACCONTO BREVE, una POESIA o mediante il linguaggio degli SMS.
Periodo del Concorso: 5 novembre 2014, consegna elaborati presso le segreterie scolastiche entro il 7 marzo 2015.
Premiazione sabato 18 aprile 2015 Premi a Cura di “Panini”

Tre giovani cantanti ferraresi all’Ariston per le finali nazionali
di una voce per Sanremo

Alice Guerzoni ferrarese di 29 anni, Denis Mazzini 21 anni di Portomaggiore e Noemi Ragazzi 18enne di Bondeno sono i giovani cantanti ferraresi che sfideranno un centinaio di promesse canore provenienti da tutta Italia al centro Roof dell’Ariston di Sanremo, per le semifinali e finali nazionali di “Una Voce per Sanremo 2014 – sezione editi”. L’obiettivo e quello di piazzarsi nei primi 15 che darebbe loro la possibilità di tentare il passaggio alla fase delle selezioni di Sanremo Giovani. L’associazione ferrarese Merkaba Eventi mandataria del concorso per Emilia e Veneto ha selezionato durante il tour invernale 13 talenti, che si dovranno presentare alle ore dieci all’Ariston, per compiere le procedure amministrative laddove successivamente sarà comunicato l’ordine di entrata dei partecipanti e in seguito (dalle ore 11 alle ore 20) si aprirà la competizione. I semifinalisti presenteranno un brano edito in lingua italiana, della durata massima di tre minuti e mezzo, poi, il giudice unico Grazia Di Michele – vocal-coach della trasmissione Amici di Maria De Filippi – elencherà i nomi dei 30 cantanti finalisti. Alle ore 21 i ragazzi riproporranno la canzone e tre ore dopo si svolgerà la cerimonia di premiazione che stabilirà ufficialmente chi saranno i 15 cantanti nominati a partecipare, tramite la casa discografica “Bao Bello Music” di Fabio Ciacci, il “patron” della manifestazione, alle selezioni discografiche “giovani” per la 65esima edizione Festival della Canzone Italiana di Sanremo.

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Alice Guerzoni di Ferrara
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Noemi Ragazzi di Bondeno
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Denis Mazzini di Portomaggiore
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Il ferrarese Denis Mazzini con Mimmo Turone
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Martina Berneschi (assessore di Portomaggiore), Noemi Ragazzi e la vocalist Iskra Menarini

L’INTERVISTA
Rinaldi tra Don Chisciotte, Gramsci e Sancho Panza: “Al fondo di tutto c’è la persona”

Il “potere” è l’immondizia della storia degli umani
 e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,
sputeremo il cuore in faccia all’ingiustizia giorno e notte:
 siamo i “Grandi della Mancha”,
Sancho Panza… e Don Chisciotte! (Don Chisciotte, Francesco Guccini)
Sono fortunata, è un pomeriggio tranquillo nell’ufficio di via Mambro, da dove Raffaele Rinaldi coordina i servizi dell’Associazione Viale K, con cui collabora dal 2002 e di cui è direttore dal 2012. Raffaele ha tempo per quella che diventerà una lunga chiaccherata ed è di buon umore perché in mattinata sono passate a salutarlo alcune persone che sono state al centro di accoglienza e ora, passo dopo passo, stanno riemergendo da quella che lui chiama la “Ferrara di sotto, una Ferrara che non vede nessuno”.
Inizia così la nostra conversazione, e subito mi rendo conto che Raffaele nutre una passione profonda per ciò che fa, a differenza di molti ha trovato non un modo ma il suo modo di contribuire alla costruzione di una società fondata sulla persona: “Il fondamento di tutto è la persona, ognuno nel suo lavoro è chiamato a umanizzare il mondo”. Per questo la prima cosa di cui mi parla è proprio il suo lavoro: “E’ vedere i numeri, le statistiche diventare carne e ossa, uomini, donne, famiglie, giovani coppie, la faccia scavata dall’angoscia di cadere in uno stato di povertà, oppure di non riuscire più a risalire la china. Vedo volti, ascolto storie, biografie, non c’è spazio per l’omologazione. Il problema si pone dopo aver dato loro un pasto caldo e un posto dove dormire, cosa faccio ora? Bisogna lavorare sulla promozione della persona, ma prima la devi riconoscere come persona: non c’è la categoria degli immigrati, quella dei poveri, devi saper guardare in faccia le persone per accorgerti veramente della profondità del disagio”.

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Raffaele Rinaldi direttore dell’associazione Viale K

La sua collaborazione con l’associazione di don Bedin è cominciata quando ha raggiunto la sua famiglia a Ferrara dalla Puglia, più precisamente da Monte Sant’Angelo. Chiuso lo stabilimento petrolchimico di Manfredonia, il papà fra Milano, Marghera, Gela e Ferrara – queste le possibili mete messe a disposizione dall’azienda – sceglie quest’ultima perché “è una città a misura d’uomo e l’Emilia è una regione accogliente”. Raffaele si paga la specialistica di filosofia con un lavoro stagionale allo zuccherificio, con la speranza di diventare insegnante. Nel frattempo continua l’esperienza di volontariato che ha già iniziato in Puglia. “Quando hai deciso che questo sarebbe stato il tuo lavoro?”, gli chiedo. “Quando il responsabile è stato trasferito nella nuova struttura di Sabbioncello don Domenico mi ha accennato alla possibilità di prendere il suo posto. Devo essere sincero, prendermi la responsabilità di coordinare le strutture, mettermi in contatto con le istituzioni, con i servizi sociali, non mi sembrava ancora alla mia portata. Poi la cosa ha preso piede e mi ha appassionato, soprattutto quando mi sono reso conto che non è solo questione di assistenza, si tratta di costruire dei percorsi per fare in modo che, insieme o dopo l’accoglienza, si possano dare ai ragazzi gli strumenti per riuscire a venire fuori dalle situazioni di bisogno. E questo lo puoi fare solo insieme alle istituzioni”. La cosa più stimolante per Raffaele sembra essere “rispondere ai bisogni che di volta in volta arrivano dal territorio articolando la prassi della solidarietà: noi rispondiamo al bisogno della persona, non alla categoria”.
Tante le fonti da cui trae l’ispirazione per questo suo impegno quotidiano: il personalismo comunitario di Mounier, per cui esistono una trascendenza verticale e una “trascendenza orizzontale”; Dante, che non reputa gli ignavi degni neppure dell’Inferno, “sciaurati, che mai fuon vivi”; Gramsci, per il quale “chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano”. E poi l’articolo 3 della Costituzione, che al comma 2 recita “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica”. “La lotta alla povertà – chiosa Raffaele – non può essere lasciata al buon cuore delle anime belle, bisogna restituire libertà alle persone escluse, dando loro dignità, ognuno deve potersi esprimere e partecipare alla vita della comunità: se io non ho diritti, come posso partecipare?”. Infine il Vangelo, in particolare la parabola del buon samaritano: “la domanda – mi spiega Raffaele – non è chi è il mio prossimo, ma a chi tu ti fai prossimo: non è tanto avvicinarsi a chi ti è lontano, ma non allontanarti da chi ti è vicino, chinarti su quei volti, e accompagnarli in un percorso di vita”.
Ora, gli dico scherzando, passiamo alle domande difficili: cos’è per te la povertà oggi? “È non saper riconoscere la povertà come tale, ma soltanto come disordine dell’arredo urbano. Non c’è più la persona: nell’odierna cultura dello scarto se lavori e produci bene, altrimenti non sei niente, anzi devi toglierti dai piedi perché dai fastidio. Danno fastidio i senza fissa dimora che dormono sulle panchine, ma non per la loro situazione, perché sono brutti da vedere. Viviamo in una bolla di sapone, bella ma effimera, abbiamo perso l’esperienza della relazione. Come diceva don Tonino Bello, la povertà è il sacramento delle nostre miserie, cioè non la vogliamo vedere perché rimanda alla miseria che abbiamo dentro”. Per non parlare poi della strumentalizzazione della povertà: “La cultura dello scarto, come la chiama Bauman, produce una rappresentazione sociale dei poveri, degli immigrati fondata sulla paura per raccogliere consensi e distrarre dai veri problemi come il lavoro o la giustizia sociale”.
Le ultime domande sono per la sua esperienza politica come candidato di Sel, a maggio scorso alle amministrative e ora alle regionali. “Ho sentito parlare Nichi Vendola negli anni ’80 quando non ero ancora maggiorenne e il progetto di Sel mi è piaciuto in quanto marca molto sul discorso della giustizia sociale, un’alternativa per la costruzione di un welfare forte, ma fino a quando mi hanno chiesto di candidarmi sono rimasto solo un simpatizzante”. “Il mio lavoro ha già una sua forte dimensione politica, quello che vorrei fare è dare un contributo per ottenere il passaggio dalla carità alla giustizia, non più dare qualcosa per carità quando spetterebbe per giustizia. Vorrei che questa fetta di popolazione di cui mi occupo avesse una voce nelle istituzioni, perché il terzo settore può dare un grande contributo alla costruzione di una società più giusta, anzi lo sta già facendo”.

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Il Don Chisciotte di Salvador Dalì

Secondo Raffaele il punto da cui partire è il passaggio dall’assistenza al “welfare generativo” cioè “l’assistenza non come un costo, ma come un investimento sulle persone che poi con le loro capacità e per quello che sono in grado di fare a loro volta fanno qualcosa per gli altri, restituiscono l’aiuto offerto loro. Ad esempio attraverso micro-comunità che possano avere una funzione di incubatori, moltiplicatori, delle capacità e della solidarietà”. Ma Raffaele non è solo un utopista, un idealista alla Don Chisciotte, personaggio che pure ama molto, in lui c’è anche un sano realismo alla Sancho Panza, che sicuramente gli deriva dal suo lavoro. Quando parla della “macchina della politica” afferma, citando don Milani, che “è inutile avere le mani pulite se le tieni in tasca”, e aggiunge “in politica devi operare delle scelte difficili, si fa presto ad andare fuori in piazza, il difficile poi è cambiare le cose da dentro il sistema: le scelte, gli sbagli, le alleanze, però stai dentro il gioco della politica e non ti puoi sottrarre”. Insomma “le impennate utopiche” vanno bene, ma poi si ha a che fare con la sofferenza reale qui e ora: “I bei sogni senza politica rimangono miraggi, e la politica senza sogni è solo amministrazione. La politica, pur se difficile e deludente a volte, rimane l’unica strada per realizzare quei progetti a servizio dell’uomo”.

L’OPINIONE
Le belle bandiere
e gli ideali
che meritano rispetto

Ieri, nel guardare le immagini in televisione della bella manifestazione sindacale, il mio animo profondamente malinconico, per un attimo, ha rivissuto altre manifestazioni altrettanto partecipate, ho cantato con il silenzio del pensiero canzoni di lotta operaia, ho alzato il pugno sinistro chiuso ed ho aperto e sventolato la mia bandiera rossa… E’ vero, noi ex comunisti siamo così, nonostante tutto ci emozioniamo nel vedere un popolo unito in una missione di lotta, nel vedere le bandiere rosse sventolare all’unisono, si, lo ammetto, anche io, malinconicamente, lascio correre la mia anima all’emozione. In fondo non c’è niente di male, anzi, è bello essere parte di una storia condivisa ed avere condiviso con tanti compagni momenti di lotta, quindi al bando tutti coloro che guardano ciò con il disgusto del ben pensante borghese e radical chic. Poi, però, con il raziocinio dei miei 58 anni, con il peso sulle spalle della crisi economica che ha distrutto le mie certezze e che ha minato le mie residue speranze, ho lasciato in disparte la passione, ho ridotto le mie emozioni ed ho lasciato spazio ai numeri della razionalità.
Così, dopo gli attimi di pura irrazionalità mi sono ritrovato ad analizzare freddamente quanto vedevo, ma quanto, sopratutto, ascoltavano le mie orecchie, ed allora, solo allora, ho compreso che l’elemento scatenante le mie emozioni erano le stesse parole usate negli anni, gli stessi slogan, e, quasi, gli stessi visi incazzati (aggiungo giustamente incazzati), ed è stato nel duro risveglio alla realtà che ho veramente compreso la mia distanza da ambedue le manifestazioni che si sono svolte ieri, da una parte quella marea di compagni che chiedevano, magari usando parole desuete, solo di modificare un decreto pur necessario, e dall’altra quella sorta di manifestazione autocelebrativa del leader che vuole cambiare il Paese, ma che, sino ad ora, è riuscito solamente a convincere parte degli italiani che lo ha cambiato attraverso i suoi spot proclami.
Nella mia totale solitudine e senso di abbandono ho compreso come sia davvero giunto il momento di cambiare, rendendole più aderenti alla realtà odierna, le regole del lavoro, come sia necessario che tutti, e sottolineo tutti, partecipino alla stesura di una politica industriale di largo respiro, e che segni una strada da seguire per dare all’Italia ed ai suoi cittadini provati, uan prospettiva di crescita, che sia ormai urgente che persino il sindacato analizzi meglio il proprio ruolo modificando messaggi e linguaggi, proprio per evitare di essere schiacciati da questo nuovo leader schiacciasassi che vuole lasciare vittime sul suo percorso. Ora non so esattamente cosa si debba fare, ma certamente, dopo la manifestazione di ieri, il nostro segretario, premier, non può più irridere un sindacato che fa il suo mestiere (magari usando metodi e parole superate) ma sopratutto non può fingere che tutti quei suoi concittadini hanno deciso di andare a Roma a manifestare il proprio dissenso, sopratutto non può farlo utilizzando la comunicazione tipica del tycon di Arcore (lui ha a cuore 60 milioni di italiani non un milione), è giunto il momento in cui Renzi debba dimostrare di essere un vero leader e non solo un bravo piazzista, deve comprendere le ragioni della piazza e incontrare i suoi rappresentanti per vedere di trovare un compromesso al rialzo alla sua legge delega.
Vedremo se tutto ciò accadrà, vedremo nelle prossime settimane, l’unica certezza è che questo orso cinquantottenne ormai è orfano di quello che per tanti anni è stato il partito per cui ha lavorato nel tempo libero. Ma non è solo.

Arzèstula, evocando il futuro anteriore dal limitare del bosco

San Vito, 22 novembre, di nuovo verso Bologna (seconda parte) by Wu Ming 1

Agguato di un predone solitario, nascosto tra gli arbusti della pieve di San Vito. Due centimetri più a destra e mi avrebbe spaccato il naso, ma già mi spostavo all’indietro e il bastone mi ha sfiorato. Ci aveva messo tutta la forza, e ha perso l’equilibrio.
L’ho visto cadere male e battere un gomito su un sasso.
Ouch! – ha fatto, come nei fumetti che trovi nei fossi, mezzi sciolti. Storie imputridite. Ho trovato anche mazzette di euro. Consumate, e comunque inutili. Almeno qui.
Si è rimesso in piedi, ora mi fissa curioso. E’ magro (chi non lo è?), ha occhi verdi e capelli incolori. I cenci che indossa mi ricordano qualcosa. Li riconosco: divisa e pastrano da
carabiniere.
– Non sei di queste parti, si vede.
– E da cosa? Io sono nata qui, anche se adesso vivo lontano.
Sente la voce e come coniugo il verbo, s’illumina: – Ah, ma sei una donna! Non si capiva mica!
Alzo il cappuccio e abbasso la sciarpa. Vede che ho una certa età, vede le rughe e il suo sorriso un po’ si attenua, ma non scompare.
– Vivi lontano? E cosa sei tornata a fare?
– Potrei risponderti che sono affari miei. – rispondo, ma lieve, senza metterci ostilità.
Ridacchia. – Sarebbe più che lecito. E se ti chiedo come ti chiami? Va bene anche un nome qualsiasi.
Gliene dico uno, il mio. Mi porge la mano, la stringo, è fredda.
– Io sono Matteo. – mi dice.
– Sei un predone, Matteo?
Moche moche! Io pensavo che c’eri tu, predone! Proprio perché non ti ho mai vista prima.
– Sono solo una che passa.
– Viaggi da sola. Non hai paura?
– Come tutti. Né di più, né di meno. Ma tu cosa facevi tra i cespugli?
– Andavo di corpo. – risponde pronto, senza esitare. – O meglio, non avevo ancora cominciato. E adesso m’è andata indietro.
Comunque, tornerà. – E ride ancora, stavolta più sonoro.
Per un po’ stiamo in silenzio. Ci guardiamo intorno. Lungo via Ferrara non più asfaltata, i platani sono immensi. Grandi rami che nessuno ha più potato s’intrecciano ovunque e formano un tetto, là in alto. La vecchia statale sembra ormai una galleria. In basso, qualcuno continua a estirpare le erbacce, sposta i rami caduti, riempie le buche più grosse. La carreggiata è sassosa ma percorribile.
– Già che ci sono ti chiedo un’altra cosa, prometto che non ti fa incazzare, va bene?
Gli offro un cenno d’assenso.
Bon. Cosa fa il governo? Ce n’è ancora uno, dove stai tu?
– No. Lo spettro del governo è sempre a Sud.
– Lo immaginavo. Qui si fa viva solo la Commissione. – L’ex carabiniere che credevo un bandito alza le spalle. – Ci aiutano, per modo di dire. Vai a capire il perché.
– Lo fanno in cambio dei servizi che rende il governo. Dormi dentro la chiesa? – gli domando.
– Dormo dove decidono i piedi. E cos’è che fa il governo, esattamente?
– Pattuglia le coste, i confini d’Europa. Lo Ionio, il Tirreno… Ferma e respinge gli illegali.
– Cioè li ammazza. Io lo so come vanno certe cose, c’ero in mezzo. – E a questo punto ci vorrebbe una pausa, un momento pensoso, ma l’uomo tira diritto: – Pazzesco, c’è ancora qualcuno che vuole venire in ‘sto pantano?
– Parti d’Italia tirano avanti, e comunque in Africa è peggio. Ma sai, molti non lo fanno per fermarsi qui, è che l’Italia è l’anello debole. Loro arrivano, se ci riescono, e salgono, se ci riescono.
Vanno su in Europa.
– A far che? C’è ancora del lavoro? – mi chiede.
– Penso di sì, qualcosa del genere.
Poi una domanda la faccio io: – Ogni quanto si fa viva la Commissione? Sono giorni che attraverso la provincia e non ho ancora visto un funzionario.
– Dipende. Arrivano in elicottero. Sono gli unici ad avere carburante. Alcuni sembrano cinesi.
In elicottero? In questi giorni ho visto alianti e deltaplani, ho visto mongolfiere e perfino un dirigibile, ma nessun elicottero, mai. E col rumore che fanno, non mi sarebbero sfuggiti.
Forse, ho pensato ad alta voce, perché Matteo ribatte: – Ne arrivano, ne arrivano. Atterrano nelle piazze dei paesi, consegnano le razioni, fanno riunioni coi consigli comunali…
– Consigli comunali? Sono ripartite le elezioni?
– Beh, per modo di dire… I commissari non volevano, ma la gente s’organizza. Io lo so bene, son consigliere pure io.
– Ah, sì? E di quale comune?
– Gambulaga.
– Non faceva comune, ai miei tempi.
– Tutto cambia. Soprattutto i tempi. Hai qualcosa da mangiare?
Nella sacca ho le rane pescate ieri. Sono tante, le ho cotte allo spiedo, carne sciapa ma croccante. E ho un mazzo di radicchio selvatico. Matteo mi mostra una borraccia amaranto. – C’è anche da bere. Acqua pulita, depurata con l’allume della Commissione.

E così mangiamo insieme, sul limitare del boschetto dietro la pieve.
– Tira vento. – dico. – Perché non entriamo in chiesa?
– E’ pericoloso, là dentro. C’è Dio. Qui fuori siamo al sicuro.
Accetto la risposta, senza chiedere ulteriori spiegazioni.
– Stai tornando a casa tua? – domanda Matteo. Il consigliere comunale che stava per uccidermi ha voglia di parlare.
– Sì. Vicino a Bologna. Casalecchio.
– Fino a Casalecchio a piedi?
– Dopo Ferrara circola qualche mezzo. E tanti cavalli. Chiederò un passaggio, come per venire qui. In un campo ho visto mongolfiere ancorate. Vedrò se si possono usare, sarebbe ancora meglio.
– Non c’è più nessuno che spara ai palloni?
– Penso di no. Succedeva solo ai primi tempi.
– E hai soldi per il passaggio?
– Quelli ormai servono a poco. La Commissione li cambia in voucher, ne ho qualcuno. Per un po’ ci concentriamo sul cibo, le mandibole lavorano, la lingua mescola, si attivano i succhi gastrici.
– Per Ferrara sei passata?

Il sogno di qualche notte fa. Città irreale. In mezzo alla nebbia scura di una mattina d’inverno, un fiume di gente passa sulle Mura e sono davvero tanti, più di tutti i morti di ogni tempo. Tengono bassi gli sguardi e ogni tanto sospirano. Cavalcano il
Montagnone e poi giù per Alfonso d’Este, fin dove il Po di Volano passa sotto il ponte. Vedo uno che conoscevo, e lo chiamo: “Rizzi! Tu eri con me a Udine, davanti al monumento ai caduti. Il cadavere che hai sepolto nell’orto ha cominciato a buttare le gemme? Secondo te farà i fiori, quest’anno? Oppure la ghiacciata ha rovinato il giardino? Mi raccomando, tieni lontano il cane. Quello scava, gli uomini gli piacciono!”
– …per Ferrara sei passata? Io non ci vado da otto anni, e sono solo venti chilometri.
– Sì, ma non mi sono fermata. Mi hanno detto che è pericolosa.
– L’ultima volta che ci sono stato, – riattacca Matteo – la Crisi era molto recente. Al mercato nero, benzina ne trovavi ancora, e sono andato in motorino a vedere il Petrolchimico. Era tutto un viavai di funzionari della Commissione, capirai, tutte quelle sostanze tossiche, pronte a sversarsi e far morire tutto… Gli impianti reggevano, e ho sentito che resistono ancora oggi. Un po’ di produzioni erano già dismesse prima della Crisi, e quella
volta mancavano già un tot di silos, pieni di ammonio o non so che. Portati via, chissà dove.
– In Africa, mi sa.
– Eh, già. – dice, ma non aggiunge nulla.
Seguono minuti di pace, dai pori essuda la stanchezza, i muscoli spurgano tossine, e anche la mente si ritempra. La vista si aguzza e le orecchie cessano di ronzare. Il compagno di pranzo mi lancia occhiate, ma sono io la prima a riprendere il discorso.
– Hai detto che qui la gente si organizza. Raccontami: cosa fa un consiglio comunale?
Bah. – dice in un piccolo scoppio. – Non molto. Decide come distribuire gli aiuti, raduna i volontari per estirpare le erbacce dai campi… Scrive ai parenti dei morti… Io facevo il carabiniere, si vede, no? Quando è scoppiata la Crisi ero a Cosenza. Per tornare
ho preso un treno come quelli che vedevi nei documentari, tipo in India, con la gente anche sul tetto… Ci ho messo due giorni, si fermava in paesini che non avevo mai sentito nominare… Tu che lavoro facevi?

L’altro sogno ricorrente. Ho ventotto anni, sto scrivendo il mio primo romanzo. Racconta la vita di giovani seminaristi negli anni del Concilio Vaticano II. I loro amori proibiti, le dispute
teologiche, i loro conflitti, la morte di uno di loro. Vengono da famiglie contadine, devote ma non troppo, e devo dipingere uno sfondo di religiosità popolare. Mi serve la dimensione
“antropologica” dei cambiamenti avvenuti allora. In realtà sto prendendo due piccioni con una fava, perché uso i materiali della mia tesi di laurea. Non si butta mai via niente.
Nel sogno, chissà perché, incontro le persone intervistate tre anni prima. Mi raccontano tutto, di nuovo, da capo, contente come sono di vedermi. Mi congedo da loro soddisfatta, conscia che sarà un bel libro, poi… Scopro che, dietro di me, ogni volta arranca lei, la Storica. Morde la mia polvere, ma sono sempre io. Ho ancora venticinque anni e sono indietro con la tesi. Arrivo tardi e nessuno vuol più parlare con me, perché sono gia stata li.
– …lavoro facevi?
– La scrittrice. – rispondo a Matteo.
– La scrittrice? E cosa scrivevi?
– Romanzi. O almeno li chiamavano così.
– Romanzi. – E si ferma a pensare. – Ne leggevo anch’io, ma scritti da donne mi sa di no. Leggevo polizieschi, roba così.
– Sì, prima della Crisi andavano molto. Ma oggi, chi li leggerebbe?
– E’ vero. Adesso cosa fai?
Le parole precedono il pensiero: – Faccio ancora la scrittrice, in un certo senso, però non scrivo più.
– Che strana frase. Cosa vuol dire?
– Che oggi non scrivo: vedo.
– In che senso?
– Il futuro. Vedo il futuro.
Pausa.
– Sei… com’è che si dice… un’indovina?
– Non so se è quella la parola.
– Però vedi il futuro. E’ per quello che hai evitato la randellata?
E allora sai dirmi cosa ci aspetta?
– No. No a entrambe le domande. Non mi occupo di futuro spicciolo.
– “Spicciolo”. Tu parli e io non ti capisco. E che strano verbo, “occuparsi”… Non lo sentivo da un sacco di tempo.
– Sì, mi occupo di qualcosa. Del futuro anteriore. Quello che viene dopo il futuro spicciolo. Lo vedo e lo racconto.
– A chi?
– Ho una famiglia, e molto numerosa. Racconto il futuro anteriore, insieme lo vediamo, e tutti stiamo meglio. Dipendono da me, e sto tornando da loro.
– Mi sembra giusto. – commenta. – Insomma, ti sei presa, mmm, una vacanza. Lo so che la parola non è quella, voglio dire che avevi bisogno di staccare un po’, di vedere il posto dove sei nata, è così?
La semplicità che era difficile a dirsi.
– Sì. E’ proprio così. – Poi, saltando mille passaggi: – Ti ricordi come si dice in ferrarese “cinciallegra”?
Matteo non sembra sorpreso. Tace, si concentra. Guarda i rami degli alberi e il tetto della pieve. Si alza in piedi, beve un sorso dalla borraccia e cammina in tondo, lento. Lentissimo. Io non ci sono più, è perso nei ricordi d’infanzia. Nemmeno i suoi, probabilmente: quelli di sua madre. Quelli di sua nonna, e più in là. Infine si blocca e spalanca gli occhi. Punta in alto l’indice della destra, rigido e diritto come l’asta di una bandiera. Si gira verso di me ed esclama:
Arzestula! Ma perché me l’hai chiesto? C’entra col futuro anteriore?
E in quel momento la sentiamo, l’Arzèstula, e la vediamo anche, sul ramo di un frassino spoglio dietro la pieve. Gialla e nera, perfetta nella forma, struggente meraviglia dell’Evoluto.
Restiamo a bocca aperta, qui, adesso.

Racconto apparso nell’antologia “Anteprima nazionale. Nove visioni del nostro futuro invisibile.” A cura di Giorgio Vasta, Minimum Fax, Roma 2009.
© 2009 by Wu Ming 1, [vedi]

IMMAGINARIO
Anniversario Erculeo.
La foto di oggi

Buon compleanno a Ercole I d’Este, nato il 26 ottobre 1431. Il duca estense è uno dei più grandi mecenati del Rinascimento. E’ lui che introduce a corte Ludovico Ariosto e che fa del poeta Matteo Maria Boiardo un suo ministro. Ricorda l’aspetto di Ercole un giovane figurante della Contrada di San Paolo, al Palio di Ferrara. In testa il berretto nobiliare simile a quello che appare nel busto dello scultore e medaglista Sperandio, conservato al Louvre. Simile anche il profilo del duca nella medaglia realizzata da Lodovico Coradino, Raccolte numismatiche di Milano. (Giorgia Mazzotti)

OGGI – IMMAGINARIO DUCALE

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Figurante della Contrada di San Paolo del Palio di Ferrara (foto di JUDITH BALARI)
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Ercole I d’Este nella medaglia di Ludovico Coradino, 1473

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic sulla foto per ingrandirla]

GERMOGLI
Morte per legittima difesa.
l’aforisma di oggi

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

beccaria-cesareE’  stata uccisa Reyhaneh, la ragazza iraniana che 7 anni fa aveva ucciso l’uomo che aveva tentato di violentarla. Gli appelli provenienti da tutto il mondo non sono valsi a nulla.

“Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio“. (cit. Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1763)