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Giorno: 31 Gennaio 2015

L’Opera al Cinema in diretta dal MET di New Tork

da: ufficio stampa Apollo Cinepark

Martedì 3 febbraio alle 19:00, la grande lirica torna all’Apollo Cinepark con la fantasmagorica produzione del MET de “I Racconti di Hoffmann” (Les Contes d’Hoffmann), opera fantastique di Jacques Offenbach.
Padre dell’operetta francese, Offenbach morì lasciando incompiuta quella che poi divenne la sua opera più conosciuta e rappresentata, I Racconti di Hoffmann, messa in scena per la prima volta pochi mesi dopo la sua scomparsa, a Parigi, città che tanto amò. L’opera è ambientata a Norimberga, nella taverna di Luther, accanto al teatro dell’Opera dove si sta svolgendo la rappresentazione del Don Giovanni che vede come protagonista femminile Stella, ultima infatuazione di Hoffmann, che assiste all’opera. Al termine del primo atto, Hoffmann, accompagnato dal suo servo Nicklauss, entra nella taverna dove lo attende Lindorf, consigliere di Norimberga, con Andrés, paggio di Stella. La cantante ha incaricato il suo servitore di consegnare una lettera ad Hoffmann, con le chiavi della sua camera. Ma Lindorf ha un altro piano in mente e si fa consegnare la lettera da Andrés. Accerchiato da un gruppo di studenti desiderosi di ascoltare i racconti delle sue tre grandi storie d’amore, Hoffmann, comincia a narrarle, tra un sorso e l’altro di punch. Incurante dell’inizio del secondo atto Hoffmann inizia a raccontare partendo dal suo amore per Olympia, la bambola meccanica, passando per quello verso la delicata e soave Antonia, fino alla passione per l’astuta Giulietta. Al termine del Don Giovanni finiscono anche i suoi racconti, quando Hoffmann è ormai completamente ubriaco, tanto da non riuscire a rispondere al richiamo dell’affascinante Stella. Hoffman, ancora una volta ha concesso la vittoria al genio del male, personificato, nella storia con Stella, da Lindorf.
Vittorio Grigólo interpreta il ruolo del protagonista dell’opera. Al suo fianco sul palcoscenico del MET il soprano georgiano Hibla Gerzmava nei panni delle Quattro eroine dell’opera, la bambola meccanica Olympia, Antonia, l’artista malata di tubercolosi, la cortigiana Giulietta, e la cantante lirica Stella. Kate Lindsey interpreta Nicklausse e Thomas Hampson aggiunge ancora un ruolo al suo ampio repertorio al MET, con l’interpretazione dei Quattro Servitori (Andrès, servo di Stella, Cochenille, servo di Spallanzani, Frantz, servitore di Crespel, e Pittichinaccio, ammiratore di Giulietta), dirige Yves Abel.

L’INTERVISTA
Andrea Bergamini: “La qualità paga, anche in libreria”. La scommessa vinta di Playground

Andrea Bergamini, cresciuto a Ferrara e naturalizzato romano, fonda Playground nel 2004, oggi è considerato uno dei migliori editori nell’ambito delle piccole-medie case editrici italiane. In catalogo solo ed esclusivamente titoli e autori notevoli nell’ambito della narrativa di qualità. Solo per citarne alcuni del 2014: “L’ultimo dio” di Emidio Clementi, “Non abbiate paura” di Allan Gurganus e “L’uomo seme”, manoscritto della seconda metà dell’800 di Violette Ailhaud. Tutti libri che hanno avuto ottime recensioni sulla stampa nazionale e che sono stati presentati in tutta Italia e oltre. Di grande successo anche la collana Syncro High School, testi di genere “young adult” dedicati agli adolescenti. Dal 2011 Playground entra a far parte del gruppo Fandango di Domenico Procacci, scelta che ne consolida il successo.

Abbiamo incontrato Andrea Bergamini a Roma, negli uffici della Fandango Libri dove Playground ha sede, per farci raccontare da lui questa avventura che, da ferraresi, ci onora e ci fa ben sperare.

Da ferrarese e da ex-studente del liceo Ariosto come te, non posso fare a meno di partire da lì, perché mi ricordo di te e perché gli anni del liceo solitamente sono irreversibili. Quanto ha inciso la tua formazione nel percorso editoriale intrapreso? E quanto il contesto ferrarese?

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Una frase di Paul Valery ‘Il vento si leva! Bisogna provare a vivere!’ sulla porta dell’ufficio di Andrea

Per me il liceo Ariosto è stato centrale, una stagione meravigliosa. L’Ariosto negli anni Ottanta era in pieno fermento, era una scuola prestigiosa ma allo stesso tempo molto libera, non c’era la rigidità formale tipica dei licei della provincia. Ho avuto ottimi insegnanti e ho conosciuto la persona che nella mia adolescenza e giovinezza è stata il mio riferimento più significativo: la professoressa di greco Giuliana Berengan. Lei era, ed è, l’intellettuale che ti apre alla cultura, a una dimensione culturale ampia, europea ed extra-europea. Per fare un esempio, mi ricordo che ci portò a vedere Pina Bausch quando ancora non era così nota in Italia. Con lei ho cominciato a immaginare che la cultura fosse una casa in cui si può abitare in modo confortevole. Lei si rapportava a noi come fossimo degli adulti e ci induceva a immaginare cose che avessero un senso, per abituarci a creare, sperimentare, fare delle scelte, a pensare che ‘è possibile’. Ed è stato al liceo che ho capito che la narrativa era la mia strada.

Parliamo allora di Playground, che tipo di editore sei?

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La redazione, Andrea Bergamini e Guendalina Banci

Se parliamo di Playground (il discorso per la collana High School è diverso) io mi considero tutto sommato un editore del Novecento, ossia abbastanza tradizionale perché organizzo e imposto il mio lavoro secondo il criterio della ‘politica degli autori’, che mi piace spiegare con una definizione di Truffaut: un autore quando fa un film, anche se non è tra i suoi più riusciti, è comunque più interessante di un film medio riuscito. Edmund White, per esempio, non scrive mai romanzi perfetti ma le sue pagine sono sempre più interessanti di un romanzo perfetto medio, perché hanno una ricchezza, uno stile, una capacità di raccontare la vita e un rapporto con la realtà che è di molto superiore rispetto alla media. Playground pubblica quindi solo libri di autori molto selezionati, di altissimo livello internazionale, tant’è che poi non li abbandona dopo un libro ma tende a pubblicarne l’intera opera, perché è l’intera opera di un autore a essere significativa.

‘L’uomo seme’, un piccolo caso letterario Playground del 2014, oggi alla terza ristampa, è di una scrittrice sconosciuta. Come mai questa scelta?

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Copertina de ‘L’uomo seme’ di Violette Ailhaud

‘L’uomo seme’ [leggi] in effetti rappresenta un unicum, una novità rispetto al catalogo Playground. Ma pur non essendo l’opera di un’autrice, ci abbiamo creduto molto e abbiamo fatto una scommessa, essenzialmente per tre ragioni: perché il libro incarna e racconta una storia vera e incredibile, successa a metà dell’Ottocento e vissuta in prima persona; perché Violette Ailhaud ha dimostrato una capacità di racconto davvero fuori dal comune; e, infine, perché è un testo potente, intenso che ha dell’ancestrale e del fantascientifico allo stesso tempo, sembra uno di quei romanzi che parlano di “un mondo senza uomini”, in realtà questa ipotesi fantascientifica si è verificata realmente a metà dell’800 in una società arcaica. La scommessa è stata vinta perché il libro ha avuto davvero un successo strepitoso, è in ristampa e la terza edizione dovrebbe uscire a inizio febbraio. Questo libro ha avuto ottime recensioni, è stato letto a Radio 3 da Sonia Bergamasco e Piera degli Esposti con una presentazione di Concita de Gregorio, Valeria Parrella è rimasta molto colpita dalla storia tanto da voler scrivere la postfazione a quest’ultima edizione, ma la cosa che ci gratifica di più è che ha colpito soprattutto i lettori.

Come l’hai trovato questo testo dell’800?

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La sede della Fandango con le locandine dei film alle pareti e il poster de ‘L’uomo seme’

Me l’ha proposto la traduttrice, Monica Capuani, che se ne era innamorata, l’aveva tradotto e stava tentando di proporlo alle case editrici italiane. Questo testo non aveva avuto i giusti riconoscimenti in Francia perché era stato pubblicato da una piccolissima casa editrice della Provenza, e si sa che in Francia un libro ha fortuna solo se pubblicato a Parigi. Però, non si sa come e per quali vie traverse e oblique, è comunque finito in molte mani nel mondo e ha avuto un tale riscontro che addirittura ne è nato un festival in Provenza. Il libro ha ispirato nel tempo una coreografia, due graphic novel, sono già state fatte diverse trasposizioni teatrali in Francia, in Italia andrà in scena a breve la trasposizione a cura di Sonia Bergamasco. Inoltre, la produttrice Sylvie Pialat, una delle produttrici francesi indipendenti più interessanti, ha acquisito i diritti del libro e presto ci sarà la trasposizione cinematografica. Tutto questo ci fa dire che, pur non essendo l’opera di un’autrice, questo testo sta penetrando nel solco della letteratura d’autore in maniera carsica.

E’ diventato un caso letterario quindi, un fenomeno…
Sì, rischia di diventare un piccolo fenomeno.

Quali sono quindi le qualità che un editore deve avere?
Coerenza e flessibilità. Io appunto pubblico solo libri di autori, ma rimango dell’idea che un editore deve essere sempre molto flessibile, nel momento cioè in cui individua un libro che ha qualità, anche se non corrisponde esattamente alla linea editoriale, deve avere la flessibilità per riconoscerne le qualità e pubblicarlo. E poi deve anche capire quando un testo può arrivare al lettore, perché un libro si pubblica perché venga letto.

Ecco, appunto, che tipo è il lettore di Playground?
Ho sempre pensato che il lettore di Playground mi assomigliasse, che quindi fosse un cosiddetto ‘lettore forte’, che ha una passione per le storie e per lo stile, perché una storia per essere efficace deve essere raccontata bene, con uno sguardo diverso. Io credo ci debba essere un equilibrio molto forte tra stile e racconto, per questo personalmente non amo la letteratura sperimentale e nel mio catalogo non c’è la letteratura cosiddetta d’avanguardia. Nel mio catalogo la narratività e le storie sono sempre centrali.

Età, sesso e preferenze dei vostri lettori…
In media l’età va dai 30 ai 50 anni ed è un lettore tipo femminile. Ma poi dipende anche dagli autori: la Humphreys ha un lettore donna, White un lettore prevalentemente gay, O’Neill un lettore maschile. Ma tutti i lettori di Playground apprezzano qualità della scrittura e passione per le storie.

Quale tra i vostri autori rappresenta di più la narratività di cui parli?
Gurganus. E’ un esempio molto tipico del narratore, per la sua straordinaria capacità di raccontare le storie e di delineare i personaggi.

Gurganus come l’hai individuato? E, in generale, come li trovi gli autori?

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Copertina di ‘Non abbiate paura’ di Allan Gurganus

Gurganus mi è stato segnalato, come anche altri, da un agente letterario, ma per l’80% gli autori che scelgo sono frutto di mie ricerche o di mie letture precedenti. Io opero soprattutto in termini di ‘ripescaggi’ ossia di riscoperte a livello internazionale, di autori che per vicissitudini editoriali sono finiti sotto un cono d’ombra. Gurganus è un caso tipico anche in questo: autore internazionalmente riconosciuto, negli Usa era stato un best seller, finì in un cono d’ombra perché la casa editrice italiana che lo pubblicò negli anni ’90 (Leonardo) fallì poco dopo e anche perché la sua notorietà in quegli stessi anni andò scemando tanto da non renderlo più abbastanza interessante per le maggiori case editrici italiane. E questa è stata la nostra fortuna: abbiamo capito la qualità dell’autore, la possibilità di pubblicarlo e a quel punto abbiamo preso accordi con l’agente. Con Edmund White, uno dei più grandi scrittori statunitensi del dopoguerra, tradotto in tutte le lingue, una storia simile: Einaudi lo pubblica negli anni ’90 ma forse con aspettative commerciali troppo ambiziose e quindi lo abbandona; viene ripreso da Baldini e Castoldi che però fallisce, e a quel punto mi inserisco io che pubblico “My lives” nel 2007; con gli anni White diventa un autore consolidato di Playground, che pubblichiamo regolarmente e di cui ora stiamo anche ritraducendo la tetralogia. Questo è il tipo di operazioni che fa Playground.

Quanto lavoro di ricerca e selezione c’è dietro alla pubblicazione dei vostri libri?
Un enorme lavoro di ricerca su internet, di esame dei cataloghi on line, dei premi, dei blog e, infine, di lettura delle opere in lingua originale, che è la parte più impegnativa.

Chi seleziona i testi e li legge in lingua?

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Alcuni dei titoli del catalogo Playground e High School

Lo faccio io. E ci tengo a dire che leggere le opere in lingua è una regola imprescindibile della casa editrice, i libri che pubblichiamo sono sempre stati letti in lingua facendo particolare attenzione alla cura editoriale: i nostri traduttori sono tutti eccezionali, ma la traduzione è un lavoro difficilissimo che va sempre rivisto, sulla traduzione deve essere fatto un lavoro redazionale che supporti il traduttore nel verificare laddove ha perso un po’ la mano, ha tirato un po’ via, perché può sempre capitare un momento di stanchezza, e una traduzione fatta male può veramente rovinare un ottimo libro, come una bella traduzione non può riscattarne uno brutto. I nostri traduttori sono consapevoli che la qualità la si raggiunge col dialogo tra la redazione, che conosce testi e autori, e il traduttore stesso.

Quante riscoperte pubblicate all’anno?
Playground fin dalla sua nascita ha sempre pubblicato tra i sette e i nove libri all’anno. Scelta importantissima, propria della linea editoriale, scelta che premia.

Perché non di più?

Perché io ritengo che per mantenere alta qualitativamente l’offerta è impossibile, per noi che siamo una piccola casa editrice con risorse economiche ridotte, pubblicare più di 7/8 libri l’anno. Noi riusciamo a farlo solo ed esclusivamente facendo una selezione altissima, puntando su pochissimi titoli, sull’eccellenza.

Vuoi dire che di più non ne trovate?
Esatto, di eccellenze se ne trovano al massimo 7/8 l’anno, è impossibile pubblicare 20 libri di livello in un anno.

Quali i temi privilegiati?
Io tendo a scegliere i temi legati alla famiglia. I nostri libri generalmente hanno a che fare con i rapporti familiari perché la narrativa ha a che fare con le nostre storie, e siccome i rapporti familiari restano centrali nelle nostre vite, i nostri drammi e le nostre gioie sono tutti lì. Io non faccio narrativa di tipo sociale tradizionale, che a mio avviso rientra più nell’ambito della saggistica, e rimango dell’idea che la narrativa ha quella capacità straordinaria di raccontare i misteri dei rapporti e delle relazioni familiari.

Passiamo all’originalissima High School, perché dicevi che si differenzia da Playground?

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Copertina di ‘Rainbow boys’ di Alex Sanchez

Mentre con Playground mi ritengo, come dicevo, un editore del Novecento perché mi occupo di ‘literary fiction’ ossia di ‘narrativa autoriale’, con High School divento un editore del XXI secolo perché mi occupo di un sottogenere della narrativa che in America si chiama ‘young adult’, una narrativa senza pretese letterarie, per ragazzi dai 14 ai 19 anni, rivolta ai liceali e dedicata all’adolescenza. Questa narrativa in America esiste dagli anni ’60, è diffusissima e ha un grande riscontro commerciale; in Italia non esisteva finché non sono arrivate le serie di “Twilight”, “Colpa delle stelle”, “Noi siamo l’infinito”. Ma il punto è che negli Usa lo stesso genere esiste anche per adolescenti gay fin dagli anni ’80, ed è una realtà ormai consolidata che vende centinaia di titoli l’anno. Quando nel 2004 do vita alla Playground, mi accorgo che quella narrativa non esiste in Europa e decido di importarla. Pubblico “Rainbow boys” di Alex Sánchez, che in America era già considerato un classico, e subito diventa un caso editoriale anche in Italia. Da noi c’era una narrativa gay ma intellettuale e per soli adulti; non si era capito che esisteva una narrativa facile destinata agli adolescenti gay.

Fiore all’occhiello delle vostre pubblicazioni, oggi la collana High School si allarga e diventa un marchio autonomo, Syncro High School. E’ il naturale sviluppo di un percorso o c’è dell’altro?

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Copertina di ‘Quei giorni a Bucarest’ di Stefan B. Rusu

La collana si è trasformata perché ho deciso di raccogliere la sfida fino in fondo: fare una produzione europea ‘young adult gay’ che non esisteva in Europa, ossia commissionando romanzi di quel genere ad autori del luogo (Francia, Grecia, Romania), chiedendo loro di adattarli al contesto europeo, sfatando in buona sostanza alcuni tabù del politically correct americano. I nostri libri quindi sono più audaci, più europei (anche se ora il politically correct si sta ridimensionando anche negli Usa) e vanno anche a comprendere quella fascia di lettori dai 19 ai 28 anni e anche molto oltre, che negli Usa viene chiamata ‘new adult’ (universitari e giovani adulti). Quindi, in sostanza, nel 2011 quindi Syncro High School è diventato un marchio separato da Playground perché completamente differente come operazione editoriale.

Nel 2011 Playground entra nel gruppo Fandango. In un’intervista di qualche anno fa spiegavi le ragioni di tale scelta: la crisi generale del mercato del libro spingeva nella direzione di entrare in un gruppo che offrisse maggiori garanzie di crescita, evitando naturalmente rischi di snaturamento, cosa che Fandango e la persona di Domenico Procacci rappresentavano per te. Puoi fare un bilancio di questa scelta ora, a quattro anni di distanza?
Assolutamente sì, entrare in Fandango è stata una scelta molto azzeccata: il mercato da tre anni è in difficoltà gigantesche e noi invece siamo in buona salute perché ci troviamo in un contesto più grande.

Come sei entrato in contatto con Fandango e come è avvenuta la fusione?

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Sede della Fandango, alle pareti le locandine del film
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Dal 2011 Playground entra nel gruppo Fandango

Nel 2010 Playground tocca il picco, sia sul piano commerciale che in termini di risalto, in particolare in seguito al successo di “A cosa servono gli amori infelici” di Gilberto Severini che si qualifica tra i finalisti del Premio Strega. Ma in un contesto di crisi dell’editoria, di librerie che funzionano soprattutto con la rotazione delle novità e non sul catalogo, ho capito che dovevo difendere il successo raggiunto. I casi erano due: o cambiava Playground cominciando a pubblicare più novità, in modo da essere sempre visibile nei punti vendita, rischiando però di snaturare la linea editoriale; oppure dovevo trovare un contesto più grande in cui la nostra pratica di editoria venisse difesa, il che equivaleva a dire vendere Playground.

 

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logo fandango playgrounbd

Decido per la seconda ipotesi, comincio a stabilire relazioni e conosco Domenico Procacci che dimostra interesse perché era nel momento in cui stava costituendo il gruppo editoriale. Procacci però ci teneva che Playground conservasse il marchio e quindi non ha acquistato la casa editrice ma è diventato socio di maggioranza.

Una scelta lungimirante la vostra…
Non vorrei peccare di presunzione, ma… sì.

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Guendalina Banci

Si ringrazia Guendalina Banci per averci fornito il materiale, aver organizzato l’incontro e l’intervista e, soprattutto, averci concesso il pdf della terza edizione de “L’Uomo seme” di Violette Ailhaud e di “Non abbiate paura” di Allan Gurganus prima ancora che venisse ristampato e distribuito nelle librerie.

Per saperne di più sulla casa editrice Playground visita il sito [vedi]  e la pagina Facebook in cui si trovano recensioni e link a letture e video [vedi]
Per saperne di più sulla collana High School visita il sito [vedi]
Per saperne di più sul marchio Syncro High School visita la pagina Facebook [vedi]

Marco Tani, pentaversi dopo Pound

Dopo diversi anni dall’esordio fine anni Ottanta, Marco Tani ha dato alle stampe una nuova raccolta letteraria “Diario a Rovescio” (La Carmelina edizioni, 2014) opera scansione poetica ulteriormente raffinata. La parola come Nuova Forma, con la brillante prefazione di Mirella Scorsonelli (alias Esse).
Certa cifra poundiana, originaria nell’autore, esita accentuata e minimalizzata: frammenti di frammenti che fioriscono in micro-combinatorie mai ridondanti: come un funambolo del verso, il verso stesso quasi olografico, in-visibile. Sorprende la tecnica, appunto sonora e musicale tradotta in parola, la parola però verso il suono. Non facile fare sperimentazione e produrre pennellate verbo-visive per il sublime.
Certa rinnovata visibilità, strettamente letteraria, trova riscontro recente nelle collane “Urfuturismo” e “La Grande Guerra Futurista” (eBook, La Carmelina, 2014), attraverso brevi saggi/interviste a/del Poeta, che confermano certa levatura extra local, una particolare auto-ritrattistica consapevole e lucida, certa potenza discorsiva anche sociologica, sempre intrisa di alti input estetici su temi anche culturalmente scorretti (ad esempio su Italo Balbo trasvolatore).
In ogni caso, altre composizioni e contrappunti di Tani, come rare pennellate alla Berlioz, figurano pure nelle collection di “Sinopia” di Roberto Pazzi, “Luci della città” di Stefano Tassinari, “L’Ozio”, “Contrappunto”, e poi nell’antologia govoniana, “Elettriche poesie” (Poeticamente, 1996).
Inoltre, Marco Tani nel 2005 ha sperimentato a Parma, presso la Galleria d’arte contemporanea, “Imagina” di Giuliano Viveri mostre poetico-visive, “Indizi di reincarnazione”, singolare traduzione dei suoi pentaversi nella cifra sperimentale cara a Lamberto Pignotti, Adriano Spatola e Michele Perfetti (Gruppo 70 e affini) e inoltre altre modulazioni poetico visual di perturbante intensità sensuale, la femme fatale dopo l’amore moderno.
Infine l’opera d’esordio, “Altana d’Oriente”, edita dalle Edizioni del Leone, a cura di Paolo Ruffilli, come tutta la poesia autentica e pura, magari d’argento se non d’oro… a tutt’oggi – anni Duemila – resta tra le raccolte poetiche più belle e raramente eguagliate del panorama neo-estense: tra Ermetismo e soprattutto Modernismo alla Ezra Pound, Marco Tani, oggi come allora, in pieno feticcio della parola, con operazione nietzschiana recupera il ditirambo in chiave elettronico musicale, la Musica al di là appunto delle parole giustamente (relativamente) azzerate dalla Poesia.

RITRATTI
La mia Street Photography

“Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere”. Robert Doisneau

Andando a zonzo per le strade del mondo, sola con i miei pensieri, prendendo centinaia di aerei che hanno attraversato mille misteriosi e diversi cieli, solcando mari e sedendomi rannicchiata su treni ad alta velocità o su lenti ma pittoreschi regionali, spesso mi sono ritrovata a osservare le persone, immaginando le loro storie, le loro emozioni, le loro vite. Spesso mi domandavo se partivano, se arrivavano, se qualcuno li aspettava, se dietro una finestra illuminata che scorgevo dai finestrini di vagoni vocianti vi era una tavola apparecchiata o una candela solitaria dove nessuno aspettava nessuno.

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Algeria, Tipaza, una coppia di innamorati che sognano

Mi chiedevo se quelle vite pensavano, godevano, piangevano, ridevano, amavano, trepidavano, sognavano, soffrivano o se, in fondo, erano felici. Osservare la gente per strada, di spalle, spesso da lontano, aiuta a immaginare i loro sogni, i nostri sogni. A volte vorremmo condividere con forza pensieri che corrono liberi verso l’orizzonte. In certi momenti basta osservare con amore le persone e sfiorare i loro pensieri per condividerli: sogni di libertà di uomini e di donne di ogni etnia e religione, voglia di scappare via lontano, di vivere un amore difficile e impossibile, non vincolato da culture, tradizioni e limiti. Ecco allora che, passeggiando per le affollate strade di Mosca, aspettando la settimana in cui ad attendermi a casa ci sarebbe stato qualcuno, non un qualcuno qualunque ma Lui, mi viene un’idea. Quella di ripensare alla strada percorsa e di rivedere cosa ho percepito anche attraverso le mie fotografie e le immagini di coloro che, ben più illuminati e noti di me, della strada avevano saputo cogliere la vera essenza e il reale profumo. Un paio di mesi fa, quindi, quando ancora l’aria era tiepida, vicino alla fermata della rossa metropolitana Lubyanka, entravo alla libreria Globus, luogo di ritrovo di ogni curioso lettore che cerchi ispirazione o che semplicemente voglia tuffarsi nel profumo unico della carta stampata e delle incisioni antiche appese alle pareti. Al piano terra si trova lo spazio magico della fotografia – libri per lo più in russo ma c’è anche qualcosa in inglese -, luogo per me davvero ristoratore e mistico, oltre che fonte di genuina e quasi inaspettata felicità, tanti piccoli tunnel illuminati dove cercare come arrivare a toccare e sfiorare il sole che brilla al di fuori della caverna di Platone. Conoscevo la Street Photography e uno dei sui fondatori, Robert Doisneau, per averne visto un’esposizione a Parigi e a Milano, ma volevo saperne di più. Chi di voi non ricorda la foto in bianco e nero del “Bacio” davanti all’Hôtel de Ville, famosa se pur scattata nel 1950, di questo genio dell’anima che aveva trascorso la sua vita nella periferia parigina di Montrouge, fotografando strade e volti sempre diversi? Sono famose le sue foto di bambini vocianti, i cui giochi scherzosi rimangono alla fine sempre seri e degni di grande rispetto. Anche se il padre della Street Photography è considerato Eugene Atget, che lavorò a Parigi dal 1890 fino agli anni venti, e sulla cui vita resta un’aura di mistero, mi ricordavo bene di Doisneau e di alcune foto che io avevo fatto a Parigi nel 2000, oltre ad altre successive dell’Algeria e ad alcune scattate recentemente nella stessa Mosca.

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Mosca Giardino Botanico, signore che legge

Forse, senza saperlo e con modestia, avevo seguito anche io quella corrente, appassionandomi alla strada. Decidevo, quindi, di approfondire, per parlarvene e condividere con voi questo modo di fotografare che sicuramente molti di voi praticano, più o meno inconsciamente. L’idea magari mi era in realtà venuta osservando un signore dalla candida barba che leggeva nel verde Giardino Botanico di Mosca e che avevo immortalato da lontano. Ma mi piaceva. Basta seguire la strada e prima o poi si fa il giro del mondo. Non può finire in nessun altro posto, no? Si può sempre andare oltre, oltre – non si finisce mai. La strada è vita. Stiamo (ri)leggendo alcuni passi di “Sulla Strada”, di Kerouac. Vero. La strada è imprevedibile e vitale. Passatemi il termine un po’ forte e forse non del tutto appropriato, essa può essere straordinariamente ed eccezionalmente ‘eccitante’. Di fronte a quello che mi piace definire il carnevale della strada, si può rimanere senza parole.

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Mosca Parco Sculture, guardando verso il cielo
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Parigi, Champs Elysees, il riposo del guerriero della luce

S’incrociano venditori di ogni cosa e di ogni sorta, pattinatori, donne vestite come diavoli o angeli leggiadri, muratori arrampicati come ragni, pompieri, carpentieri, spazzini, suonatori, cantautori, giardinieri, portieri, gente comune seduta a parlare, tutti con una forte voglia di libertà di essere di esistere, di vivere, respirare, pensare e non pensare, parlare, discutere, litigare, fare pace e poi ancora di correre, mangiare, bere, sognare, volare. Si vede una signora di spalle con il suo zaino colorato pieno di libri e merendine per il nipotino. Si sorride anche a una statua che guarda verso il cielo, come vorresti fare tu, con il naso curiosamente all’insù. Originale, simpatica e accattivante.

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Mosca Giardino Botanico, a spasso col nipote

Ma cos’è allora la Street Photography? Credo che non sia facile ricondurre tale arte a una definizione ma, per semplificare, si potrebbe dire che si tratta di un genere fotografico che riprende situazioni reali e spontanee in luoghi pubblici al fine di evidenziare in maniera artistica alcuni aspetti della società, dove il termine strada si riferisce ad un luogo generico in cui sia visibile l’attività dell’uomo e le sue interazioni sociali. Può trattarsi quindi di un ambiente, un luogo alieno dalle persone, una situazione particolare. Personalmente, preferisco la riflessione del fotografo dell’agenzia Magnum, Bruce Gilden, quando dice che, “If you can smell the street by looking at the photo, it’s a street photograph”. Il potere quindi di riuscire a far “odorare la strada”, il buttarla pesantemente nel vostro quotidiano con un’immagine, rimane, a mio avviso, il valore aggiunto di un’azione che altrimenti chiunque, oggi, con i mezzi digitali disponibili, potrebbe facilmente realizzare. Ci vuole anima, sentimento, pathos nello scattare una bella immagine. Non è facile riuscire a trovare un momento di sincronizzazione fra elementi non correlati fra loro, catturare momenti significativi di espressioni o gesti, di attitudini e pensieri, in una sorta di risposta al mondo quasi viscerale di chi sta cogliendo l’attimo nell’immagine.

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Mosca, Parco Sculture, pensando al mio amore, lo dipingo sui muri

Diventa difficile capire se il tuo scatto ha queste caratteristiche. Ma si prova a condividerlo per vedere se odora, come per me riesce a fare questo riposo parigino di un guerriero che fantastica su un passato glorioso. Un giocoliere. O come forse riesce a fare anche questo cappelluto signore moscovita di spalle che sembra riflettere…. pensando al mio amore magari, quasi quasi, lo dipingo sui muri…

Ci era sicuramente riuscita Vivian Maier, incredibile bambinaia-fotografa nata a New York nel 1926 e morta a Chicago nel 2009, una donna che silenziosamente aveva creato stupendi ritratti che documentavano la vita di uomini, donne, bambini e anziani, di tutte le classi sociali, raccolti lungo le strade di Chicago. Sempre sola e taciturna. Sola con la sua macchina fotografica e i suoi pensieri.

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Mosca, Parco Kolomenskoe, dipingendo nel blu

Volevo farvi partecipi di questa meravigliosa storia di strada, scoperta per caso, volevo dirvelo. Con questa chiudo. Dalle sponde del nord Africa ai parchi fioriti della Russia, passando per le panchine di Parigi, ho voluto condividere con voi momenti e colori, prendendo per mano tante storie umane che ci chiedevano di unirci a momenti di felicità e di voglia di volare insieme. Non ho la pretesa di voler essere un grande fotografo di strada ma volevo percorrere con voi un piccolo tratto di questo cammino. Perché anche tenendosi per mano, dipingendo alle spalle di un parco e di una chiesa ortodossa dalle cupole scintillanti si resta giovani e leggeri e si può disegnare il proprio destino, con forte tratto e decisione.

Fotografie di © Simonetta Sandri, scattate fra Algeria (Tipaza), Russia (Mosca) e Francia (Parigi)

Copparo – Commemorazione vittime del bombardamento campanile

da: ufficio comunicazione Comune di Copparo

Si è svolta ieri mattina (venerdì 30 gennaio) la commemorazione delle vittime del bombardamento del campanile, nel settantesimo anniversario della tragica ricorrenza che ha fatto 93 vittime innocenti. Come sempre molto toccante la cerimonia e le parole del sindaco Nicola Rossi, che stringendosi a superstiti, famigliari e parenti ha detto che «Ricordare questo lutto contribuisce a fare di noi persone migliori, contribuisce a rendere più unita e coesa la nostra comunità, a non spegnere mai i riflettori su temi come pace e fratellanza, in memoria di quelle donne e di quegli uomini deceduti sotto il bombardamento del campanile. La memoria collettiva non è solo ricordare, ma è l’affermazione che quella cosa è importante.» Don Cesare Concas ha accolto in chiesa invitando i tanti famigliari delle vittime nei primi banchi; moltissimi i cittadini presenti e una folta rappresentanza di studenti delle scuole elementari e medie accompagnati dagli insegnanti.
Oltre ai consueti brani sacri interpretati magistralmente da Elena Bellettini e Carla Cenacchi, accompagnati dai musicisti Gianmaria Raminelli, Alberto Zamboni e Romano Tacchini. Due le novità di quest’anno, l’orchestra giovanile della scuola di musica Varos Zamboni e l’intonazione dell’inno nazionale, al termine del discorso del sindaco e cantato dai molti partecipanti alla cerimonia.
L’intenzione dell’amministrazione comunale è quella di fare di questa ricorrenza un appuntamento per i cittadini di Copparo. «Ci sentiamo tutti più vicini a voi, – ha concluso il sindaco rivolgendosi ai famigliari delle vittime – che oggi con la vostra presenza favorite questa comunanza; che va oltre le convinzioni politiche, i credo religiosi e i personalismi di ogni natura, perché essere qui oggi ci fa sentire parte della nostra comunità. Certamente composita, e composta da diverse convinzioni politiche e religiose; ma è così che deve essere una comunità. I nostri princìpi di convivenza si devono basare sull’integrazione, difendendo le nostre identità e le nostre tradizioni, e accogliendo le identità di chi ha diverse abitudini; ma nessuno può permettersi di fare violenza, di uccidere in nome di una diversa convinzione, sia essa politica o religiosa.
E lo dico in questo luogo, perché i luoghi di culto, di qualsiasi fede essi siano devono essere luoghi dove si professa la pace, la tolleranza e non l’odio.»
Il corteo si è poi recato al Sacrario per la deposizione della corona d’alloro accompagnato dalle note del silenzio fuori ordinanza.

Ferrara su Rai News con il concerto per Abbado

E’ un approfondito servizio televisivo di cinque minuti quello che Rai News, il canale all news della Rai visibile sul canale 48, ha dedicato al concerto in ricordo del maestro Abbado che si è tenuto lo scorso lunedì nel Teatro Comunale di Ferrara a lui dedicato. Nel filmato ci sono l’intervista al direttore d’orchestra Daniele Gatti, quella a George Edelman, direttore artistico di Ferrara Musica, e le testimonianze degli orchestrali della Mahler Chamber. Tra un contributo e l’altro, le suggestive immagini della città, una bella promozione per Ferrara. Il racconto è di Paolo Pacitti.

Il servizio si può vedere qui.

claudio abbado - teatro comunale -  concerto - ferrara
Claudio Abbado nel servizio di Rai News

IMMAGINARIO
Castello di arte.
La foto di oggi…

Da oggi apre al pubblico la mostra “L’arte per l’arte”, il riallestimento delle collezioni di Giovanni Boldini e Filippo De Pisis nelle sale del Castello Estense dopo il terremoto che ha reso inagibile Palazzo Massari.

Orari di apertura
Da gennaio a maggio e da settembre a dicembre: 9.30-17.30 (ad esclusione dei lunedì non festivi di gennaio, ottobre, novembre e dicembre). Da giugno ad agosto: 9.30-13.30 / 15.00-19.00 (ad esclusione dei lunedì non festivi di luglio e agosto). Chiuso 25 dicembre.

Informazioni e biglietteria
Tel. 0532 299233
castello.estense@provincia.fe.it
www.castelloestense.it

Prenotazioni gruppi e visite guidate
0532 244949
diamanti@comune.fe.it

Qui il sito con tutte le informazioni.

Qui l’articolo di Federica Pezzoli con l’intervista alla curatrice della mostra Maria Luisa Pacelli.

OGGI – IMMAGINARIO ARTE

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic sulla foto per ingrandirla]

quadri di Boldini nella Sala del Governo  (foto di Dino Buffagni)
quadri di Boldini nella Sala del Governo (foto di Dino Buffagni)
arte - castello - ferrara - de pisis - boldini - mostra
quadri di De Pisis nei Camerini del P rincipe (foto di Dino Buffagni)
arte - castello - ferrara - de pisis - boldini - mostra
quadri di Boldini nella Sala del Governo (foto di Dino Buffagni)

GERMOGLI
L’uditore.
l’aforisma di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

William_Howard_TaftAspettiamo di sapere chi ascolterà gli altri parlare.

“Che sia dannato se non mi sto stancando di questo. Sembra che il mestiere di Presidente sia semplicemente quello di ascoltare gli altri parlare.”  (William Howard Taft)