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Giorno: 15 Febbraio 2015

LA RIFLESSIONE
Il viaggio della vita di Severgnini sbarca a teatro e porta speranza

Un lieve velo di ironia che fa riflettere e per una volta apre la mente alla speranza. Si è svolto venerdì 13 febbraio, nella splendida cornice di un affollatissimo Teatro Comunale “De Micheli” di Copparo, lo spettacolo La vita è un viaggio, con protagonisti Beppe Severgnini e Maria Isabella Rizi, le musiche originali dal vivo di Elisabetta Spada e la regia di Francesco Brandi.

Liberamente ispirato agli ultimi due libri di Severgnini (“Italiani di domani” e l’omonimo “La vita è un viaggio”), lo spettacolo è il racconto di una notte passata all’aeroporto di Lisbona da un uomo di mezz’età (Beppe Severgnini) e da Marta (Maria Isabella Rizi), una ragazza ventottenne, ambedue in attesa della fine dello sciopero che impedisce ad entrambi di partire per le rispettive destinazioni: lui in viaggio verso Boston a tenere conferenze; lei verso il Brasile dove, dopo aver abbandonato la carriera di attrice poiché poco riconosciuta, si è decisa ad aprire un chiringuito insieme al fidanzato surfista. Sarà proprio una litigiosa chiamata in lingua inglese tra quest’ultimo e Marta ad attirare l’attenzione dell’uomo, il quale non solo non si fa alcun problema a bombardare la scontrosa ragazza di domande, ma si dimostra inoltre incurante del suo disinteresse e della sua chiusura nell’instaurare un qualsiasi dialogo. Ecco però che questo insolito incontro, nel bel mezzo della notte, in un aeroporto apparentemente vuoto, diviene un pretesto per i due di conoscersi meglio e di interrogarsi sulle rispettive vite. Le prime interminabili e a volte anche presuntuose domande dell’uomo serviranno alla ragazza per ripensare bene al suo passato, alle sue scelte, al suo futuro. Ma serviranno nel medesimo modo all’uomo, perché non è poi così scontato che un divulgatore di innumerevoli consigli di vita sia poi così sicuro di ciò che vorrà fare da “ancora più grande”. Alla fine quindi i viaggi dei due, probabilmente, non saranno più gli stessi.

Beppe Severgnini sceglie il teatro per dare continuità al successo dei suoi ultimi libri. Uno spettacolo leggero ma estremamente profondo, interpretato dai due attori con quel godibilissimo filo d’ironia che rende il tutto veramente piacevole da guardare e, allo stesso tempo, un pretesto per pensare e riflettere. Ed è così che dubbi, perplessità, debolezze, arrabbiature sono i tristi sentimenti che emergono dalle risposte alle tartassanti domande dell’uomo da parte della ragazza, la quale si trova ad incarnare gli stessi sentimenti di un’intera generazione italiana, rimasta senza fiducia nel proprio paese e pronta, se necessario, appunto, a partire. Il tutto impreziosito dalle musiche di Elisabetta Spada (nei panni di una “terza incomoda” passeggera, anch’essa in attesa) che intervallano lo spettacolo scandendone i vari capitoli.

Seguo spesso Severgnini, leggo i suoi articoli ed il blog che tiene da tempo per il Corriere della Sera, i suoi libri, e ho partecipato a vari eventi che lo hanno portato in giro nei vari festival di tutta Italia. E come spesso avviene, anche questa volta ma nell’insolita veste di attore teatrale, è riuscito ad entusiasmarmi ma soprattutto a suscitare in me qualcosa di speciale: speranza. E chi conosce Severgnini sa bene che in Italia sono pochi i personaggi noti così attenti alla questione giovanile del nostro Paese e, ancora più importante, pochi sono quelli che riescono a fare dell’ottimismo un vero e proprio marchio di fabbrica. Esattamente come nei suoi libri, Severgnini anche in questo spettacolo mette i giovani al centro, senza preoccuparsi di apparire presuntuoso ed essere etichettato come il solito borioso adulto saccente. Al contrario, dall’alto della sua esperienza, l’unico suo intento è trasferire i suoi consigli (frutto di una vita spesa tra molti viaggi in giro per il mondo e la scrittura) ai giovani d’oggi, sempre più demoralizzati e senza alcuno stimolo, senza prospettive, al punto di intraprendere un viaggio per non si sa bene dove e nemmeno veramente il perché; l’unico pensiero è andarsene. Ecco invece che il noto giornalista ci ferma, ci parla e si preoccupa di farci pensare più intensamente a noi stessi e alle nostre capacità, sottolineando il fatto che soprattutto noi giovani italiani abbiamo potenzialità da non sprecare per nessuna ragione; potenzialità ben più forti delle difficili barriere che la triste situazione del giorno d’oggi ci mette davanti. Le regole per riuscirci in fondo sono poche ma fondamentali: tenacia nell’inseguire i nostri obiettivi, tempismo perché di treni ne passano molti e la difficoltà sta nel prenderli, ma soprattutto la ricerca profonda del nostro vero talento, quell’elemento che ci contraddistingue e incanala in quello che siamo veramente portati a fare. Il tutto senza screditare l’importanza del viaggiare e del conoscere il mondo, perché a detta sua solo chi viaggia è in grado di superare quel sentimento di intolleranza che dilaga in quantità sempre maggiori, oltre al non scordarsi mai che la conoscenza del mondo che ci circonda è la prerogativa fondamentale per viverci bene. Quello che importa è non dimenticarsi della propria terra e, se possibile, tornarci. Tornare in questa Italia per ricostruirla e riportarla in alto tramite le sue eccellenze e le sue bellezze delle quali proprio noi giovani dobbiamo essere portabandiera.

Ecco quindi quel bellissimo concetto, oggi quasi scomparso, di nome speranza. Ascolto Severgnini e mi accorgo sempre di più come a noi servano più personalità come la sua, in grado cioè di parlare apertamente di un futuro migliore ma per davvero, senza slogan o manifesti ma solamente ritornando a farci credere in noi stessi. E ancora, qualcuno in grado di sapersi aprire ad una pura autocritica, capace cioè di ammonire la generazione degli “anta” circa il fatto che “arrivati ad una certa età, non saper diffondere consigli ai più giovani è da cretini più che da irresponsabili”.
Impariamo tutti quindi, grandi e meno grandi, da questi preziosissimi consigli; impariamo a valorizzare nel modo giusto noi stessi; impariamo a (ri)valorizzare la nostra bellissima Italia.

La metà dell’amore

Da una separazione imposta, da uno strappo nasce la ricerca di unità e ricomposizione del tutto. Lo sosteneva anche Platone, nel Simposio, che le due metà cercheranno sempre quell’interezza che chiamiamo amore. Questo spasmo verso una cosa che è stata negata, lo vive la donna protagonista del racconto “L’uomo seme” di Violette Ahilaud, edito da Playground e che ha ricevuto numerose segnalazioni anche sulla stampa nazionale.
Lei, privata del suo uomo, rimane monca, le si azzera la proiezione di futuro che con lui poteva avere. Chiamati alle armi, gli uomini del villaggio se ne vanno, l’amore delle loro donne diventa dolore e poi odio, l’odio dell’impotenza. Senza uomini, la vita non può generare altra vita, che destino potrà mai esserci davanti?
Le donne del villaggio sono compatte, devono essere pronte se mai dovesse, un giorno, arrivare un uomo che sarà l’uomo seme, con nessun’altra funzione che inseminarle, loro così “gravide di dolore”. Come delle Ecclesiazuse, ma senza il comico, le donne governano il villaggio, stabiliscono regole, pianificano l’arrivo dell’uomo seme: se lo divideranno, niente amore né sentimenti, solo un atto meccanico, uno scambio per non scomparire.
Lei è la prima donna che lo incontra e, quindi, avrà il diritto di essere la prima anche di fronte alle altre, sarà come Eva, con un diritto di precedenza, tutte le altre dopo.
L’uomo seme si chiama Jean, assolve il suo compito, ma con lei, solo con lei, quell’atavica ricerca di completezza non può rimanere fine a se stessa, l’amore è più forte e s’annida, assieme al seme. La felicità si mette dentro alla disgrazia, una felicità spuria perché genera in lei turbamento e senso di colpa: l’amore non può essere cristallizzato verso Martin che non c’è più e chissà se tornerà dal fronte, l’amore chiama ed è chiamato, va verso l’uomo seme.
Jean ha la capacità di amare, i suoi gesti lo confermano, Jean legge e con lei parla, tra loro nasce una condivisione complice che non si spezza.
Ma la vita gira, i cammini proseguono e la felicità vissuta non si dimentica.

“L’uomo seme”, Violette Ahilaud, Playground, Roma, 2014, pp. 64

Ferraraitalia ha di recente pubblicato un’intervista al fondatore e direttore editoriale della casa editrice Playground [vedi] che racconta anche la scoperta del manoscritto francese: Violette Ailhaud (1835-1925) racconta una storia vera vissuta in prima persona nella seconda metà dell’800; scrive il romanzo all’età di 84 anni, nel 1919, che viene pubblicato in Francia postumo nel 1950.

SETTIMO GIORNO
Follia e crudeltà
(aspettando un altro Eliogabalo)

ELIOGABALO – Eliogabalo (o Elagabalo, o Marco Aurelio Antonino, o Vario Avito Bassiano), di nobile famiglia siriana, cugino di Caracalla, divenne imperatore di Roma nel 218. Aveva 14 anni, mi pare sia da ricordare come il più giovane imperatore dell’Urbe. Troppo giovane. Sua madre lo guidava bene e, tutto sommato, oggi possiamo dire in modo non del tutto convenzionale, visto che il ragazzino è stato, nella storia del nostro Paese, il governante più democratico tra quanti lo avevano preceduto e quanti lo avrebbero seguito. Quando, poverino, lo innalzarono alla massima carica dell’impero più potente del mondo erano in piena effervescenza le lotte per il potere tra Occidente e Oriente, ma lui pensò che fosse suo dovere togliere un po’ di boria lussureggiante ai romani potenti, boria e danaro, per riequilibrare la società e donare alle masse popolari qualcosa del maltolto ai signori. Ma non si limitò soltanto a questo: il ragazzino imperatore pensava in grande, pensava addirittura a uno stato precomunista, limando la proprietà privata e rafforzando quella statale, insomma cercando di realizzare, sia pure con forme paternalistiche, un proto socialismo di stato, provvidenze sempre crescenti (humiliores) per le classi meno abbienti, mentre l’imprenditoriato e la grande proprietà privata venivano sottoposti a una pesante pressione fiscale. Una cosa del genere in Italia? Figuriamoci! Il ragazzino, dopo quattro anni di follie sociali venne ucciso con sua madre, sì che non fosse più possibile per lei mettere al mondo un altro sciamannato. E così è stato fino a oggi, se un dittatore populista c’è stato a Roma in poco tempo si è trasformato in monarchico baciapile. Crediamo nella democrazia? Allora informiamoci sull’etimologia della parola: demos, popolo, e kratia, potere, potere al popolo. Ma quando mai?

FOIBE – Giustamente è stata celebrata giorni fa una giornata della memoria dedicata alla tragedia delle foibe, quei pozzi carsici entro i quali venivano gettati, vivi o morti, i nemici, ma non soltanto gli italiani, come una storia distorta malandrina ci insegna: gli assassini non sono stati soltanto gli slavi finito il secondo conflitto mondiale, le foibe, intese come sepolcri, le abbiamo inventate noi italiani alla fine della prima guerra mondiale, quando la follia fascista ci portò a compiere dei massacri mai visti. Bisognava “italianizzare” le popolazioni slave, costringerle a parlare italiano, a cambiare il proprio nome, a pensare italiano, altrimenti… giù nelle foibe. Un poetastro triestino di sana fede fascista coniò anche il verbo da usare in questi casi: “infoibare”, verbo che è rimasto nel linguaggio locale. Non meravigliamoci, gli italiani ne hanno combinate di tutti i colori là dove pensavamo che Dio ci avesse fatto padroni, chi non crede vada a leggersi la storia delle nostre colonie, a cui molto modestamente ho contribuito avendo raccolto in Somalia, in Etiopia, in Eritrea le testimonianze dei vecchi, gli ultimi ad aver subìto la nostra indecorosa ferocia (non la racconto qui), ferocia che abbiamo sperimentato dovunque siamo arrivati. L’abbiamo esportata in America, abbiamo insegnato come si fa a “incaprettare”, verbo che i dizionari della nostra bellissima lingua colpevolmente si dimenticano di inserire tra le loro voci, incaprettare significa prendere un uomo nostro nemico, legarlo mani e piedi dietro la schiena, tagliargli i testicoli, ficcarglieli in bocca e farlo morire così; oppure fare al nostro nemico il piedistallo, cioè mettere il prigioniero ritto con i piedi dentro un secchio di calce, lasciare che la calce si solidifichi e poi gettare questa statua umana in mare; oppure immergere, sempre il nostro prigioniero, dentro una vasca di acido solforico, lentamente, molto, molto lentamente… la fantasia italiana non conosce limiti. Gli jiadisti? Dilettanti, la mafia non li prenderebbe mai in considerazione. Noi siamo i veri maestri della crudeltà più spietata. Viva l’Italia!

il plauso di Ascom Confcommercio Ferrara per il ricnooscimento all’Holiday Village Florenz del socio Gianfranco Vitali

da: ufficio stampa Ascom

“Voglio esprimere tutto il mio personale plauso e quella di Ascom – prosegue il presidente provinciale di Ascom Confcommercio Ferrara Giulio Felloni – per il recente e prestigioso riconoscimento conferito all’Holiday Village Florenz del nostro socio ed imprenditore Gianfranco Vitali premiato proprio pochi giorni fa alla Bit di Milano, a cura di Legambiente, per il suo impegno sociale a favore delle persone con difficoltà motorie. Si tratta del secondo premio nel giro di pochi mesi ed è la conferma indiscussa della professionalità e dell’entusiasmo di Gianfranco che ricopre inoltre la carica di vicepresidente provinciale di Ascom oltre che quella di presidente Ascom Comacchio. Ed ovviamente ci vogliamo congratulare anche con Roberto Vitali, anch’egli componente della nostra giunta per il suo impegno e preparazione nell’ambito del turismo accessibile che lo rendono davvero uno dei massimo esperti internazionali. Il nostro lavoro come Ascom sui temi del turismo ed in particolare di quello accessibile in vista sopratutto dell’Expo mondiale in partenza tra poche settimane potranno avere concreto giovamento da queste esperienze prestigiose”

Un’ esperienza quella dell’Holiday Village Florenz del Lido degli Scacchi costruita tramite appunto la consulenza di Roberto Vitali – presidente di Village 4 All, realtà che opera dal 2008 sul tema del turismo accessbile: “Se esiste Village 4All è merito anche di Gianfranco Vitali che ha creduto fin dall’inizio in questo mercato nel quale la sua struttura turistica agli Scacchi è una delle migliori a livello internazionale – aggiunge il presidente di Village 4 All – a giugno del 2014 la stesso Florenz aveva ricevuto anche il premio d’eccellenza dalla Commissione Europea come migliore struttura nazionale sul tema dell’accesso ai disabili. Guardando l’esempio di Gianfranco ci auguriamo davvero che tanti altri imprenditori si muovano in questa direzione con la stessa passione che sta dimostrando”

Leggendario Arnoldo Foà nel ‘Novecento’ di Baricco

STANDING OVATION: I PIU’ ACCLAMATI SPETTACOLI TEATRALI DEL XXI SECOLO
“Novecento” di Alessandro Baricco, con Arnoldo Foà, Teatro Comunale di Ferrara, dal 12 al 14 novembre 2004

Monologo di enorme successo, “Novecento” di Alessandro Baricco, interpretato dal nostro celebre e illustre concittadino Arnoldo Foà. Com’è noto, grazie anche all’adattamento per il grande schermo, dal titolo “La leggenda del pianista sull’oceano” ricavatone da Giuseppe Tornatore nel 1998, la vicenda narra di un suggestivo personaggio, che ha nome appunto Novecento, vissuto senza mai scendere a terra sul piroscafo Virginian, suonando il pianoforte e guadagnandosi la leggendaria fama di più grande pianista del mondo. Il protagonista ripercorre la sua straordinaria vita e ne affronta l’epilogo con stoica determinazione e soprattutto con incrollabile fedeltà e coerenza.
L’autore, il quarantacinquenne torinese Alessandro Baricco, scrittore affermatissimo ed esperto musicologo, ha scritto vari romanzi di largo successo, fra cui “Castelli di rabbia”, “Oceano mare” e “Seta”. Ma è con “Novecento” che ha colto il successo internazionale: tradotto in tutta Europa nonché in Giappone, Brasile, Israele, il testo ha fatto breccia nella sensibilità di innumerevoli registi e attori di teatro e di cinema, i quali lo hanno via via adattato per la radio, per il cinema e messo in scena, oltre che in Italia, in Francia, Spagna, Belgio, Svezia, Russia, Canada, Brasile, Giappone, Argentina, Inghilterra e negli Stati Uniti.
L’interprete, Arnoldo Foà, nato a Ferrara da famiglia di origine ebraica, è una delle voci più importanti del teatro italiano. Ha lavorato con “mostri sacri” come Cervi, Pagnani, Stoppa, Ninchi, Orson Welles, è stato diretto fra gli altri da Majano, Visconti, Strelher, Montaldo, si è cimentato anche nella regia di opere teatrali e liriche. Il suo nome è legato a famosi sceneggiati televisivi: “La freccia nera”, “Giamburrasca”, “David Copperfield”, ecc. Foà è inoltre scrittore, pittore, scultore, giornalista.

NOTA A MARGINE Informazione e violenza alle donne, un rapporto a ‘Doppio taglio’

E’ con alcune riflessioni su pagine e titoli di giornali usciti all’indomani dell’omicidio dell’attrice Marie Trintignant, colpita con 27 pugni letali dal compagno Bertrand Cantat, leader della rock band Noire Désir, che si apre lo spettacolo “Doppio Taglio” di Marina Senesi, attrice e autrice dell’affresco sul rapporto tra informazione e violenza sulle donne. Mai titolo di un monologo fu più azzeccato: alle ferite spesso letali, si aggiungono quelle provocate da notizie il cui linguaggio è irrispettoso delle vittime. Esiste un cliché, un pensiero comune, un modus operandi talmente radicato da non risparmiare nessuno e niente, neppure l’obiettività dei giornalisti. La faccenda, purtroppo, è culturale.

Solo analizzando nel dettaglio gli articoli, smontandoli un pezzo alla volta come ha fatto la ricercatrice Cristina Gamberi il cui lavoro ha ispirato la Senesi, emerge con chiarezza la “violenza” delle parole. Ci sono pezzi di cronaca più taglienti di un coltello, sprofondarli insieme con tutto il giornale in una bacinella d’acqua come ha fatto in scena la Senesi per trasformarli in cartapesta buona per le maschere, risulta persino un gesto generoso. Certi virgolettati, alcuni sommari sono come rifiuti tossici, avvelenano l’anima di chi resta, infangano la memoria e non aiutano un cambiamento culturale doveroso. L’omicidio Trintignant è un caso emblematico. Marie, è stato scritto, aveva una vita sentimentale intensa e tre figli con compagni diversi. E allora? Il giudizio è implicito: se l’è cercata. Sui piatti della bilancia mediatica ci sono una donna assassinata e un cantante rock di successo, politicamente impegnato, la cui carriera, dice la stampa, viene travolta da un imperdonabile errore. Un errore replicato 27 volte: una contraddizione in termini.

Doppio Taglio prosegue analizzando tra gli omicidi quello di Barbara Cicioni per il quale è stato condannato il marito Roberto Spaccino. Quest’ultimo durante il processo fu descritto come una persona stimata, un grande lavoratore al quale qualche volta scappava la mano, ma sua moglie in ospedale, dichiarò, non c’era mai finita. Come dire, botte ma non troppo, cose sopportabili per amor di famiglia.
Al momento della morte Barbara era incinta di otto mesi e il giudice, racconta la Senesi, dispose l’esame del Dna del feto perché il marito sospettava fosse frutto di un tradimento. Se così fosse stato, ma non era, si potevano creare le basi per una possibile attenuante all’assassinio. Attenuante? Il peggio poi sta in due passaggi scoraggianti: la notizia della morte di Barbara Cicioni tiene le prime pagine solo fino a quando il delitto sembra essere stato opera di una banda di stranieri. Fugati i dubbi di un’emergenza sociale, scivola nelle retrovie; infine il nome della vittima scompare per lasciar posto alle istanze dei genitori e a quelle dell’assassino a cui si impediva di incontrare i figli in carcere.

Esempi di scena, ma purtroppo realtà incarnate da parole e foto d’accompagnamento agli articoli, immagini dalle quali non compare mai un “lui” fatta eccezione per qualche particolare, un pugno, un braccio alzato, ma si vede sempre una “lei” massacrata, impaurita, arresa. Forse è arrivato il momento di cambiare registro, di capovolgere la situazione, di studiare il fenomeno della violenza sulle donne, di usare con consapevolezza i termini femminicidio (sociologico) e femmicidio (criminale). E’ il minimo. Ed è un po’ questo il messaggio di Doppio Taglio, andato in scena grazie a teatro Ferrara Off, UDI, Centro Donna Giustizia insieme all’Assessorato alle Pari Opportunità. Lo spettacolo, accreditato dall’Ordine del Giornalisti dell’Emilia-Romagna nell’ambito della formazione professionale obbligatoria, è stato seguito da un dibattito moderato dalla giornalista di Telestense Alexandra Boeru nel quale sono intervenute la ricercatrice Cristina Gamberi, Paola Castagnotto, presidentessa del Centro Donna Giustizia e Stefania Guglielmi di Udi Ferrara. L’incontro ha avuto il merito di aprire una riflessione sul ruolo e linguaggio dell’informazione rispetto a un fenomeno ben lontano dall’essere sconfitto anche nella nostra regione.

il dibattito dopo lo spettacolo Doppio Taglio (foto di Giorgia Mazzotti)
il dibattito dopo lo spettacolo Doppio Taglio (foto di Giorgia Mazzotti)
il dibattito dopo lo spettacolo Doppio Taglio (foto di Giorgia Mazzotti)
il dibattito dopo lo spettacolo Doppio Taglio (foto di Giorgia Mazzotti)
il dibattito dopo lo spettacolo Doppio Taglio (foto di Giorgia Mazzotti)
il dibattito dopo lo spettacolo Doppio Taglio (foto di Giorgia Mazzotti)

IMMAGINARIO
Ferrara, Montréal.
La foto di oggi…

Alle ore 18, il Teatro Comunale ospita i danzatori di Les Ballets Jazz de Montréal che proporranno in prima nazionale Kosmos, nuova coreografia di Andonis Foniadakis, seguita da Harry di Barak Marshall e da Zero in on di Cayetano Soto

Qui il collegamento alla pagina del Teatro Comunale dedicata allo spettacolo.

OGGI – IMMAGINARIO DANZA

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic sulla foto per ingrandirla]

Les Ballets Jazz de Montréal
Les Ballets Jazz de Montréal

ACCORDI
La fine del nastro.
Il brano di oggi…

Ogni giorno un brano intonato a ciò che la giornata prospetta selezionato e commentato dalla redazione di Radio Strike.

[per ascoltarlo cliccare sul titolo]

Papa M – Turn! Turn! Turn!

Me ne stavo sdraiato a letto riflettendo sulla domenica quando dal profilo Facebook di un amico scopro che David Pajo, chitarrista di Slint, Papa M e mille altri gruppi/progetti ha tentato il suicidio. Per fortuna non ci è riuscito e sua madre dice che “se la caverà”. Ci sono rimasto un po’ secco. Il biglietto che ha lasciato è ancora visibile sul suo blog e mi chiedo se ha senso lasciarlo lì. Non l’ho letto tutto e non so se sia il caso di leggerlo. Io mi sono fermato quando ho intuito che ha fatto ‘sta cosa pare, per una storia d’amore finita male.
Sono un po’ fatti suoi secondo me.

Se penso a Pajo non penso più a quando ho visto gli Slint riformati nel 2007 ma penso a quel mio amico.
Avevo perso interesse da un po’ per gli Slint e per i suoi altri progetti quando quel mio amico mi ha passato due cose che mi hanno in un certo senso cambiato la vita.

1) “Scream with Me”, il disco di cover dei Misfits con lui da solo, voce e chitarra a cantare quei pezzi grondanti sangue con questa vocina placidissima. Neanche una settimana ed era già uno dei miei dischi preferiti di sempre.

2) questo pezzo domenicalissimo per me, in cui i Papa M si lanciano in una rilettura strumentale di Turn Turn Turn rimodellata sulla versione classica dei Byrds.

Tutto questo solo perché restavano 15 minuti scarsi di nastro da finire. Questa cosa mi ha sempre divertito molto.
Come mi ha sempre divertito parecchio che il tipo che suona l’organo venga accreditato come “un tipo all’organo” perché neanche loro si ricordavano chi fosse.
Sicuramente Pajo non si ricorderà di quel tipo che gli ha stretto la mano a Bologna nel 2007 ma spero che il mio abbraccione gli arrivi.

il messaggio di David Pajo alla fidanzata
l’album Hole Of Burning Alms dei Papa M

Selezione e commento di Andrea Pavanello, ex DoAs TheBirds, musicista, dj, pasticcione, capo della Seitan! Records e autore di “Carta Bianca” in onda su Radio Strike a orari reperibili in giorni reperibili SOLO consultando il calendario patafisico. Xoxo <3

Radio Strike è un progetto per una radio web libera, aperta ed autogestita che dia voce a chi ne ha meno. La web radio, nel nostro mondo sempre più mediatizzato, diventa uno strumento di grande potenza espressiva, raggiungendo immediatamente chiunque abbia una connessione internet.
Un ulteriore punto di forza, forse meno evidente ma non meno importante, è la capacità di far convergere e partecipare ad un progetto le eterogenee singolarità che compongono il tessuto cittadino di Ferrara: lavoratori e precari, studenti universitari e medi, migranti, potranno trovare nella radio uno spazio vivo dove portare le proprie istanze e farsi contaminare da quelle degli altri. Non un contenitore da riempire, ma uno spazio sociale che prende vita a partire dalle energie che si autorganizzano attorno ad esso.

radio@radiostrike.info
www.radiostrike.org

GERMOGLI
Galileo.
l’aforisma di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

Galileo_Galilei(3)Oggi è il compleanno del grande Galileo Galilei: nasceva il 15 febbraio 1564.

“Parlare oscuramente lo sa fare ognuno, chiaro in pochi”. (Galileo Galilei)