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Giorno: 26 Marzo 2015

Aldo Manuzio che nel ‘400 si inventa i libri tascabili

Un pezzetto dell’editoria moderna passa da Ferrara. La principale e antica biblioteca cittadina – che è l’Ariostea – dedica una mostra al padre degli editori: Aldo Manuzio. Un legame molto stretto, infatti, quello tra la città estense e l’editore-letterato che si inventa il concetto di stampa popolare in pieno Rinascimento. L’ambizione principale di Manuzio è quella di preservare e diffondere i capolavori della letteratura e della filosofia greca, nonché il grande patrimonio della letteratura latina, rendendoli il più possibile accessibili. Da questa idea di uomo appassionato di cultura nasce, quindi, il progetto editoriale. Manuzio riproduce a stampa opere e basi del sapere classico antico, in modo che si riesca a leggerli con facilità e acquistarli con prezzi meno proibitivi di quelli applicati fino ad allora.

“I preziosi volumi e le carte autografe che si possono vedere – racconta Mirna Bonazza, curatrice dell’esposizione e responsabile del settore manoscritti e libri rari dell’Ariostea – sono di proprietà della biblioteca comunale e sono arrivati qui, nei secoli, perché acquisiti direttamente da quella che era la biblioteca dell’antica università o perché oggetto di lasciti”.

Le edizioni aldine sono le prime che, negli ultimi dieci anni del 1400 e i primi del ’500, vengono realizzate in un formato quasi tascabile e con dei caratteri diversi dal gotico, appuntito e astruso, in uso fino a quel momento. Manuzio punta a far sì che il libro sia maneggevole e quindi piega in tre parti il foglio standard creando le edizioni dette “in ottavo”. Poi vuole che le parole stampate siano simili a quelle con cui si scrive e si legge abitualmente, che assomiglino insomma alla scrittura in corsivo. Perciò coinvolge un incisore tra i più qualificati dell’epoca, Francesco Griffo. Il professionista artigiano è già un affermato disegnatore di caratteri tipografici che dalla città natale di Bologna si è trasferito a Padova e poi a Venezia. Manuzio gli commissiona dei caratteri che si possano leggere con facilità. E Griffo glieli fa, creando le matrici per quelli che ancora oggi sono noti come caratteri aldini. A partire dal 1494 Griffo disegna per Manuzio almeno sei serie di caratteri tondi e quattro serie di caratteri greci, che vengono utilizzati per la stampa. Svariati tipi di quei libri antichi li possiede la Biblioteca comunale Ariostea di Ferrara, che ora li mette in mostra.

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Aldo Manuzio, padre dell’editoria moderna, è protagonista con le sue opere a stampa della mostra alla Biblioteca Ariostea di Ferrara

Vedere questa raccolta è un po’ un pellegrinaggio nel cuore della letteratura classica che la città estense ha coltivato. La tomba dell’Ariosto fa da sfondo alle teche con i primissimi esemplari di libri di Manuzio editore. C’è un “Alphabetum Graecum” stampato nel marzo del 1495 con una prefazione dello stesso Manuzio. Sempre con i caratteri greci, si possono ammirare l’opera del poeta greco Museo Grammatico intitolata “Opuscula de Herone et Leandro” e dedicata alla tragica vicenda degli amanti Ero e Leandro; l’opera di Esiodo “Erga et Himerae”; poi “Ethica ad Nicomachum” di Aristotele. In latino c’è la “Omnia opera” del Poliziano, edita nel 1498. Ma ci sono anche capolavori in volgare e – tra questi – la prima opera scritta nella lingua italiana pubblicata da Manuzio e considerata dagli storici come il libro più pregiato dell’arte tipografica rinascimentale: è la “Hypnerotomachia Poliphili” di Francesco Colonna. La stampa del sogno del combattimento amoroso di Polifilo è datata dicembre 1499, suddivisa in due parti e con il testo arricchito da centosettanta xilografie. Sempre in lingua volgare è l’incunabolo – cioè il volume stampato con la tecnica dei caratteri mobili – delle “Epistole devotissime” di Santa Caterina da Siena, del settembre 1500, con dedica autografa dello stesso Aldo Manuzio. Il prezioso esemplare è arrivato qui dopo una serie di passaggi, che la curatrice racconta. “A comprare l’opera e portarla a Ferrara – spiega Mirna Bonazza – è Celio Calcagnini, umanista, scienziato e diplomatico italiano, al servizio del Ducato di Ferrara, che poi lo dona al convento di San Domenico. Il volume arriva nella biblioteca pubblica in seguito alle soppressioni conventuali della fine del ’700”.

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“Hypmnerotmachia Poliphili”, particolare della stampa del libro in volgare edito da Aldo Manuzio ritenuto tra i più pregiati del Rinascimento

Il legame con la città estense, comunque, non è solo con gli acquirenti di questi libri. Manuzio a Ferrara si è formato, ha studiato alla sua università con Guarino Veronese come professore di greco e la città estense resta un punto di riferimento per tutta la vita. A testimoniarlo un documento particolarmente pregiato: il testamento olografo, scritto da Manuzio stesso a Ferrara nell’agosto 1511. Al notaio cittadino Simone Gillini Manuzio consegna il documento compilato di suo pugno, dove dispone la suddivisione dei beni tra i tre figli, quello che va alla moglie e la gestione dell’azienda. Tra i commissari incaricati di vigilare sul rispetto di queste indicazioni è chiamata in causa niente meno che la duchessa di Ferrara, Lucrezia Borgia. Buona visione e buona lettura.

La mostra “Aldo Manuzio: umanista, tipografo ed editore nelle collezioni antiche della biblioteca comunale Ariostea” è visitabile a ingresso libero tutti i giorni di apertura della Biblioteca comunale: dal lunedì al venerdì ore 9-19, sabato ore 9-13. Fino al 30 aprile in Palazzo Paradiso, via Scienze 17 a Ferrara.

Food design, l’arte nel piatto

Piccoli quadri e bocconi che fanno bene alla vista, oltre che al palato. Opere d’arte. Creativi di tutto il mondo e di tutte le tavole unitevi! Per dare colori a pasti a volte silenziosi, per rallegrare occhi e papille gustative, per sorridere un po’ di più di fronte a un piatto. Per piacere, per divertire, per invitare, per cambiare, per creare, per invogliare (i bambini saranno, sicuramente, d’accordo), per giocare. Per perdersi un po’. Non parliamo dei cuochi, che abbondano su tutti i canali televisivi nostrani, più o meno bravi, più o meno urlanti, più o meno star, ma dei “food designer” o dei “progettisti del cibo”. Preparare bei piatti e pietanze per ogni occasione può essere una vera arte.

food-designfood-designNei mesi che precedono l’Expo 2015, se ne parla sempre di più, tanto che partono corsi e master sul tema. Basti pensare a quello organizzato dall’Italian Genius Academy di Roma [vedi], durante il quale si approfondiranno tutti gli ambiti del food design: ad esempio, il ‘design con il food’, ovvero come presentare meglio il cibo dal punto di vista estetico attraverso la sperimentazione e la combinazione di forme, colori sapori e odori, ‘il design per il food’, che studia il packaging e gli utensili per la preparazione e il consumo o il ‘design dei luoghi del food’, dedicato alla progettazione di spazi per produzione, vendita e consumo di cibo. O al primo master universitario in Food design, tutto in inglese, della Scuola politecnica di design e Iulm (www.masterfoodesign.com), due istituzioni milanesi storicamente dedicate alla formazione nei settori design e progetto. Si combinano, in maniera abile e intelligente, due settori nei quali l’Italia eccelle, il cibo e il design. Nuovi sapori, magari, ma anche, e soprattutto, nuovi modi di preparare il cibo, di renderlo disponibile.

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Lenti a contatto di caffè di Carlo Cracco
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La basilica di San Basilio di Mosca

Così, incrociamo le simpatiche e originali “lenti a contatto” di caffè di Carlo Cracco o il caviale di melone di Ferran Adrià e ci avviciniamo al mondo dell’arte, sia perché le opere proposte spesso ricordano monumenti sia perché, talora, si tratta di oggetti che si vedono solamente in mostre e esposizioni d’arte contemporanea. Per rifarci gli occhi, ecco, allora, un colorato San Basilio moscovita (che potrebbe anche essere la Cattedrale di San Pietroburgo), fatto di dolci promesse e croccanti canditi o allegri piatti spensierati che ricordano l’amato e simpatico Arcimboldo o l’eclettica Frida Kahlo, dove verdure e fantasia si mescolano allegramente. Ci piacciono anche un vivace Magritte o un memorabile Leonardo, avvolti da una cascata di fresche verdure sminuzzate e sapientemente decorate.

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Arcimboldo
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Frida Khalo
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Magritte
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La Monnalisa di leonardo

Arriviamo poi a un simpatico gufo che saluta dalla sua scena variopinta e fiorita, fino ai dolcetti dai mille colori e sapori che portano aria di festa. Possiamo poi capire che ore sono e fissare un orario preciso per pranzare con gli amici..

 

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E arrivare alle uova di Pasqua che sembrano statuine trasparenti artigianali o a un simpatico serpente di fragole che scivola via silenzioso e curioso.

food-designLa fantasia ci porta a mangiare buono e sano ma anche bello. Una disciplina che rende i cibi attraenti, soprattutto quelli freschi e salutari. Perché è bello essere creativi con i colori, i sapori e i profumi della terra. Perché’ e fantastico plasmare, con genio, una semplice fragola che, in un attimo, sprigiona tutta l’energia del suo intenso colore rosso. Rosso come l’amore, rosso come la passione, rossa come l’energia della vita. Sprigionate fantasia e tanta energia vitale, allora! Mordete la vita, divertitevi, decorate le vostre giornate, disegnatele, saltellate con un buon piatto accanto, non esitate.
E buon appetito colorato, cari amici, oltre che buon divertimento, tanto.

Per saperne di più Dario Mangano, “Che cos’è il food design”, Carocci, 2014, 139 p.

Viaggio nel mondo del Palio. Santa Maria in Vado, l’eccellenza nelle coreografie

Ogni anno, durante la cerimonia di iscrizione dei campioni, meglio conosciuta come Giuramento al Duca, viene premiata con il Nives Casati la rappresentazione e la coreografia più bella (assegnato ufficialmente il giorno del Palio). Fino agli anni ’70, questa cerimonia si svolgeva la mattina delle corse ma, con l’espansione delle contrade, il corteo ferrarese ha acquisito una tale importanza da meritarsi più spazio, il sabato della settimana precedente alle corse. Le origini di questo premio si perdono nel tempo, ma da quando è ripreso il Palio dopo la sospensione secolare e quella dovuta agli eventi bellici del Novecento, la tradizione è stata recuperata nel 1988 ed è il premio è stato vinto per ben 12 volte dalla contrada di Santa Maria in Vado. E’ un premio d’eccellenza, istituito per dare valore al grande lavoro che le contrade svolgono ogni anno per confezionare abiti, creare cortei e spettacoli elaborati. Grazie alla rigidità storica del regolamento di assegnazione di questo premio, oggi Ferrara può vantare una delle rievocazioni storiche più maestose e fedeli alla propria epoca di riferimento di tutta Italia.

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Premio Nives Casati del 2010
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Premio Nives Casati del 2012

“Noi siamo la contrada più rinomata per quanto riguarda la preparazione dei giuramenti, sia per le nostre coreografie, per i vestiti e per la semplicità delle scenografie. Il premio Nives Casati è stato vinto dalla nostra contrada nel ’96, ’99, ’01, e ininterrottamente dal 2006 in poi. Abbiamo collaborato con una coreografa, Bruna Goldoni, e ogni anno cerchiamo di trovare un equilibrio tra semplicità e innovazione. Il nostro gruppo di danza rinascimentale è stato fondato più di vent’anni fa, siamo stati la prima contrada a Ferrara. A questo è seguito il gruppo di teatro, che si è esibito anche nel mese di febbraio in un’opera chiamata “Calandria”. Questi due gruppi sono una delle nostre punte di diamante, infatti anche nello studio delle scenografie cerchiamo di eliminare tutti gli eccessi: a volte abbiamo utilizzato solo un telo nero, altre volte un albero o qualche decorazione floreale”.

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Santa Maria in Vado vince il Premio Nives Casati 2013
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Spettacolo a corte del 2013

Valentina mi spiega che loro sono gli ultimi ad essere informati sulle rappresentazioni da portare al Palio, i coreografi e il gruppo teatro preparano tutto in gran segreto. “Non lavoriamo mai con tanto anticipo, infatti solo in questi giorni abbiamo iniziato a preparare il giuramento. E’ una competizione, non vogliamo che le notizie filtrino, sia perché non vogliamo esser copiati sia perché le nostre rappresentazioni lasciano sempre tutti piacevolmente colpiti. La preparazione che abbiamo alle spalle è tanta, per questo per noi non è difficile lavorare in poco tempo. Chi lavora tutto l’anno, invece, sono i coreografi e i sarti, che studiano le opere nel dettaglio: ad esempio, un anno rappresentammo l’Annunciazione e i costumi dei due angeli erano talmente fedeli agli originali che anche gli intrecci dei lacci sui corsetti erano identici al dipinto”.

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Sala dei pali nella sede temporanea

La sede in cui ci troviamo oggi è molto bella, ma non è quella storica della contrada di Santa Maria in Vado, non più agibile dalla notte del 22 maggio 2012, quando il terremoto ha provocato ingenti danni alla chiesa e agli edifici che la circondavano. “A causa del terremoto, non abbiamo più potuto utilizzare la nostra sede in via Borgo Vado , infatti ancora oggi è in atto un’operazione di recupero, grazie alla quale sono stati già messi in sicurezza il chiostro e la basilica. I danni sono stati molti, la statua della Madonna posizionata in cima alla basilica è caduta, distruggendosi in mille pezzi. La nostra fortuna è stata l’ora tarda: se non fosse accaduto di notte, ci saremmo trovati tutti lì fuori. E’ successo nella notte del corteo storico e noi, per fortuna, non eravamo tornati in sede. Adesso è tornata agibile anche la parte della sede che affaccia verso Borgo Vado, mentre per quanto riguarda la zona che occupavamo noi ci vorrà più tempo, perché quando hanno iniziato le operazioni, sono stati ritrovati degli affreschi sotto l’intonaco, e bisogna occuparsi del recupero di questi beni culturali”.
Alessandra fa parte dei musici e insegna alle chiarine under, le giovani contradaiole tra gli otto e i quindici anni. “E’ molto faticoso far combaciare i miei impegni, lavorativi e di studio, con quelli di tutto il gruppo under, che oltre all’impegno in contrada praticano altri sport. Se non ci fossero loro, però, non ci sarebbe futuro per la contrada ed è giusto ritagliare del tempo da dedicare a tutti i bambini. Dopo i quindici anni passeranno alla categoria dei grandi e toccherà a loro impegnarsi come facciamo noi ora”.

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Costume

Alessandra e il fratello, Alessandro, sono tra quelli che si possono definire i “nati” in contrada. Il padre è uno degli sbandieratori, la madre frequentava la sede e loro hanno vissuto gran parte della loro vita all’interno di questo mondo, ereditando la passione del padre. “Per me la contrada è LA famiglia, se non potessi farne parte mi mancherebbe un pezzo molto importante di me stessa. I tuoi amici diventano fratelli, le persone più grandi sono degli zii acquisiti. Chi non la vive non la comprende. Credo che avvicinarsi ed avere la fortuna di entrare in contrada è una delle cose più belle che possa capitare a chi vive in una città dove si gareggia per il Palio. Perché non è solo allentamenti, ma è luogo in cui socializzare, in cui fare tante cose diverse, perché si sta in un gruppo eterogeneo di persone e ci si ritrova a passare serate tra bambini appena nati e persone che vivono la contrada da 60 anni. Ti dona una ricchezza personale non indifferente”.

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Stemma di Santa Maria in Vado

Mentre le ragazze mi parlano, una delle bandiere della sala viene mossa dal vento: rappresenta, su uno sfondo giallo e viola, un albero ed un unicorno, seduto su uno steccato, con il corno rivolto verso le acque. L’animale, massimo simbolo di purezza, è intento a purificare le acque, ridonando la vita (che l’albero rappresenta). Anche questo è uno stemma appartenente agli Estensi, che è rappresentato anche sul portone di palazzo Schifanoia. La contrada di Santa Maria in Vado ha sempre rappresentato l’antica nobiltà ferrarese e questo è ancora presente nella scelta dei colori: il rosso è molto presente nei vestiti, poiché era una tinta molto costosa che in pochi potevano permettersi.

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Bandiera con l’unicorno

La storia e l’emozione che traspare mentre mi raccontano la loro esperienza in contrada, non sembra riuscire a superare la barriera, formatasi nel corso degli anni, che separa queste attività dalla maggior parte dei cittadini. “La mia generazione – inizia Alessandra, che ha ventun’anni – non ha voglia di intraprendere un percorso così impegnativo, perché questa non è un’attività che impegna poco tempo, si deve avere la voglia di scoprire cosa comporta questa scelta di vita. In più, non puoi partecipare senza averne veramente voglia, perché proviamo sempre, spesso all’aperto anche quando fa freddo. Credo ci sia una disinformazione generale, ci capita di essere presi in giro perché anche gli uomini indossano la calzamaglia e questo è un chiaro esempio di ignoranza, perché se si conoscesse l’amore che mettiamo in tutto quello che facciamo qui, si rivaluterebbero tante cose. E’ anche vero che il cittadino inizia a tollerare il Palio e tutto ciò che ne fa parte. Dopo il bruttissimo incidente avuto nel 2006 durante il Palio dei cavalli (alcuni caddero durante la gara, probabilmente per un buco sulla pista, e furono abbattuti), l’opinione pubblica ci ha addossato molte colpe, ma noi abbiamo sofferto per quell’avvenimento. Da quel momento, le regole sono state modificate, i controlli sono aumentati e sono più severi, in modo che incidenti del genere vengano sempre evitati”.
Proprio per allontanare l’idea generale che la contrada viva solo durante il periodo del Palio, sono stati creati eventi distribuiti nell’arco dell’anno, aperti a tutti i cittadini. “Da un paio d’anni sono state intraprese diverse attività in contrada, come il carnevale rinascimentale, per riavvicinare i ferraresi alla vita di contrada. Vogliamo far capire che il Palio è fondamentale ma non è l’unica cosa. Non dobbiamo dimenticare che è un valore che la città non dovrebbe sottovalutare o sprecare, riconosciuto dai turisti e non dai cittadini. L’8 marzo è stato fatto l’omaggio al Duca e sono stati nostri ospiti tre turisti, venuti da Roma, che curiosando su Internet hanno scoperto le nostre attività di contrada e hanno chiesto di partecipare, pranzando con noi. Credo che il problema sia sempre lo stesso: ciò che abbiamo in casa non ci fa impazzire, ma chi viene a visitare Ferrara apprezza i nostri eventi, come tante altre attività che dai cittadini sono criticate ma sono un vero richiamo per i turisti”.

Campanili che pendono

Per pendere pendono, così a occhio anche tanto si direbbe. Al punto da far temere per la loro stabilità. Ma pericoli reali al momento sembra non ce ne siano. Questo almeno sostengono gli “strutturalisti”, i tecnici specializzati appunto nel calcolo della stabilità degli edifici. I campanili delle chiese di San Giorgio, San Benedetto, San Francesco però inquietano il passante.
L’impressione che desta la loro vista è notevole, anche se ci si presta poca attenzione, perché come tutte le cose che sono parte del panorama quotidiano sfuggono all’attenzione vigile. Invece, soffermando lo sguardo, ci si accorge di questa loro anomalia. In particolare i campanili delle chiese di San Giorgio e di San Benedetto mostrano con evidenza la loro peculiarità. Assai inclinato è anche quello di San Francesco, ma lo si nota meno perché resta celato dal prospetto della chiesa e della struttura architettonica che la cinge. Per apprezzarne la silhouette bisogna entrare nella sala conferenze e di lì affacciarsi nell’area cortiliva interna.
Infine c’è la torre campanaria della chiesa di San Cristoforo alla Certosa che pure evidenzia la sua accentuata e non virtuosa inclinazione. E’ nella norma che la massa imponente delle chiese, nei loro progressivi cedimenti strutturali, trascinino i contigui corpi di fabbrica, spiegano gli esperti.
La situazione è comunque costantemente monitorata. Il livello è di attenzione, ma al momento non c’è allerta. Interventi di consolidamento sono stati fatti in passato e saranno ripetuti laddove si rendesse necessario. Per ora dunque non c’è da temere, solo da osservare con un po’ di meraviglia questo anomalo spettacolo.

[Fotoservizio di Aldo Gessi]

“Il gruppo prima del risultato”. Dai gloriosi anni ’70 alla rinascita attuale attraversando l’eclissi: il Ferrara Baseball si racconta

Ci fu un tempo, qualche decennio fa, nel quale il baseball a Ferrara era in grande evidenza e veniva considerato tutt’altro che uno sport di “nicchia”, lontano inoltre, a suo modo, dalla tradizione che lo vuole uno sport esclusivo per americani. La storia del baseball in terra estense inizia nei primi anni ’70, siamo a Ferrara e i protagonisti sono un folto gruppo di amici che, mossi da tanta passione e voglia di fare, decidono di “incominciare a dare qualche colpo a una pallina piuttosto che un calcio ad un pallone”. A raccontarlo sono due colonne portanti di questo gruppo, Edmondo “Bibi” Squarzanti e Fabio Abetini, insieme a un giovane americano, John Rotondo, simbolo di un’altra storia, più recente, quale è la rifondazione di quella stessa società che con il tempo era andato perduta.

10384742_10202225317254002_5639214506089623301_nMa andiamo per ordine.
Negli anni ’70 nacque quindi il Ferrara Baseball Club, società sportiva sorta da zero e senza precedenti, destinata in poco tempo ad allargarsi e raccogliere sempre più adepti. Le figure chiave in quel contesto furono due: Renzo Polelli, professore di educazione fisica al Dosso Dossi, e la ditta “Autoricambi Masini”.
“Il professor Polelli fu un po’ il nostro mentore, colui che ci fece appassionare a questo sport – affermano Squarzanti e Abetini – ed è stato soprattutto grazie all’attenzione che dava al baseball nelle scuole, oltre alla sua caparbietà nel farsi sotto con l’amministrazione di allora, se siamo riusciti a concretizzare il progetto”.
E fu così, con una personalità di rilievo ed uno sponsor (che dava il nome alla squadra), che le cose iniziarono a svilupparsi. “Il ritrovo per gli allenamenti era in quello che noi chiamavamo “campo della Vis”, vicino al Liceo Roiti e al Bachelet – raccontano – mentre per le partite riuscimmo a farci concedere il motovelodromo”. La curiosità aumentava anche tra le ragazze che, dopo aver visto vari allenamenti, decisero di creare una squadra di softball (al tempo in Italia sport diffuso solo tra le donne).
Ed in questo modo la società andò strutturandosi: dalle giovanili ai cadetti fino ad arrivare ai senior della prima squadra, arrivata a disputare addirittura la serie C. “Al motovelodromo potevamo contare su un grandissimo seguito. Si era lanciata in qualche maniera una vera e propria moda. Al tempo, infatti, solo noi giravamo per strada con i cappellini da baseball e questo faceva scalpore, suscitava interesse”. Tutto quindi andava nella giusta direzione, il baseball si diffondeva (i tre ricordano la particolare attenzione dopo i mondiali del ’78 disputati per la prima volta in Italia, a Roma) e i ragazzi incominciavano a giocare già da piccoli. Si aprì inoltre una porta per un luogo fisso di ritrovo, individuato all’interno del Parco Urbano, dove Fabio e Edmondo ricordano di aver piantato con le 580555_532220186812076_1786299481_nloro mani sei pali, ad oggi ancora nella stessa posizione.
Ma quella che sembrava essersi consolidata come una solida realtà, al contrario, fu solo l’inizio di una lunga “pausa” terminata un paio di anni fa, poiché “nel 1984 nessuno seguiva più le categorie giovanili, incominciarono i primi problemi e la squadra andò sciogliendosi”.
Dopo più di un decennio di attività, quindi, il baseball a Ferrara cessò di esistere. Un fatto in controtendenza all’interno di una regione come l’Emilia Romagna, storica “roccaforte” del baseball nazionale, poiché in tutte le province risultava (e risulta tutt’oggi) essere attiva una società di baseball. Tranne a Ferrara, appunto.

Ma sul finire del 2012, dopo un giro di telefonate tra i vecchi amici, attraversando ricordi e legami indelebili ma soprattutto grazie ad una passione rimasta intatta nel tempo e alimentata da tanta voglia di mettersi ancora in gioco, oggi il Ferrara Baseball Softball Club è rinato letteralmente. Troppa era la voglia di tornare ad indossare guantoni ed impugnare mazze al punto che, oltre a Fabio e Edmondo, hanno risposto positivamente alla proposta anche altre “vecchie glorie” della storica “Autoricambi Masini” come Roberto, Michele, Alberto e Leonardo. Fondamentale è stato l’inserimento di giovani interessati e coinvolti nel progetto come John, ma anche l’ingresso sulla scena di “coach” Emmanuel Herrera, storico giocatore e allenatore dominicano e ad oggi colui che ha costituito ed allena la nuova squadra.
554049_480990111935084_1428948676_n (2)“Il desiderio comune era quello di tornare a diffondere quei valori e quelle sensazioni che solo uno sport come il baseball ti può dare”, racconta Bibi che, divenuto educatore sportivo sotto la Fibs (Federazione italiana Baseball Softball), si trova spesso a viaggiare nelle varie scuole del territorio. “L’aggregazione è il concetto fondamentale nella disciplina del baseball, poiché valori come il rispetto e il senso della squadra sono caratteristiche imprescindibili per giocare a questo gioco. Il gruppo deve rimanere unito, le eventuali assenze devono essere segnalate per tempo, alla partita si viene con le famiglie”, su questo si basa la rinascita delle giovanili del Baseball Ferrara.
Il baseball come modello educativo quindi, prima di tutto e prima di tutti. Mi parla dei tempi moderni Bibi, di come i giovani non si avvicinano più allo sport e di come “dispositivi come la Wii non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. I giovani si ritrovano oggi a giocare a baseball nel salotto di casa e davanti ad una televisione, non escono più. Questo crea evidenti lacune a livello psicomotorio, e questo nelle scuole lo si vede eccome.”
Trasversale a ciò è la proposta “Filo Conduttore Sportivo”, che mi descrive Fabio Abetini. 1013236_10204118718840895_5704258347839054618_nUn’iniziativa lanciata dal Baseball Ferrara e dal Centro Sportivo Italiano dedicata ai bambini che, avvalendosi degli insegnamenti teorici e pratici di sport come il baseball ma non solo, ha come scopo dare continuità all’educazione dei più giovani tramite lo sport. “L’educazione per un bambino inizia nelle mura di case e si sposta all’interno della scuola – afferma Abetini – il nostro obiettivo è continuare questo percorso anche all’interno dell’attività sportiva extra-scolastica. Da qui l’idea del filo conduttore”.
Tra le altre cose, durante la chiacchierata, è emersa inoltre la fondamentale importanza del linguaggio originario nel gioco del baseball, poiché “oggi tendiamo ad italianizzare troppo alcuni termini che in questo sport andrebbero pronunciati nella loro lingua d’origine. Ecco perché agli allenamenti insegniamo ai ragazzi anche in spagnolo ed in inglese”. E ancora l’importanza del dualismo squadra/singolo che, dice John, “è una delle cose che più mi fanno apprezzare questo sport. Il fatto che devi cercare di emergere allo stesso modo sia da singolo sia da squadra è una delle cose che ti spingono a dare sempre il meglio, in ogni circostanza. Nessuna delle due parti va tralasciata, se una di queste viene meno il gioco non sta in piedi”.

Ma quali sono i numeri della nuova società? Oggi gli iscritti al Baseball Ferrara sono più di 1979649_10204118752561738_1200882737304920763_ncinquanta; le categorie giovanili si compongono in gruppi di più annate che periodicamente disputano tornei e frequentano regolarmente gli allenamenti, mentre la prima squadra disputa il Lab (Lega Amatoriale Baseball), una lega amatoriale molto ben organizzata che spazia i territori emiliano-romagnoli e veneti.
Il baseball a Ferrara è dunque assolutamente ripartito a pieno regime, il passaparola è via via sempre maggiore e le nuove tecniche di comunicazione tra social e web permettono una diffusione delle attività sempre più ampia. Ma quello che, infine, è emerso più forte tra le tante parole scambiate con gli amici “baseballer” è una cosa sola: il desiderio di avere un luogo fisso dove trovarsi, una vera e propria casa per il Ferrara Baseball e non più solo soluzioni temporanee senza panchine o spogliatoi. Un appello, una richiesta, un desiderio che sarebbe anche il coronamento di un sogno incominciato tanti anni fa e che, dopo un lungo e tortuoso percorso, meriterebbe di avere il suo giusto riconoscimento. Un impegno preso (per ora solo a parole) anche dal Comune di Ferrara che ci rende fiduciosi.
Intanto, nell’attesa di trovare il “diamante” ufficiale, auguriamo lunga vita al Baseball Ferrara. Questa volta per davvero.

Contatti:
Pagina Facebook: https://www.facebook.com/FerraraBaseballClub
Web: http://www.csiferrara.it/baseball.php

Foto gentilmente concesse da Edmondo Squarzanti

Mondiali 2022 in Qatar, la Fifa decide di giocare a palle di neve

Ebbene sì, i mondiali in Qatar del 2022 si giocheranno in inverno: questa la decisione presa dai “paperoni del calcio”. La Fifa, organo istituzionale che dirige il futuro del calcio mondiale, ha stabilito che in quell’occasione le partite si giocheranno a partire da novembre e che la finale si terrà il 18 dicembre, giorno che ricorda l’indipendenza dello stato asiatico.
La decisione ha suscitato parecchie polemiche sia fra le federazioni dei vari Paesi, sia dai milioni di tifosi che in tutto il mondo si appresteranno a guardare, con stupore, una competizione che da sempre accomuna calcio, temperature calde e passione all’aria aperta. Per i più romantici, un vero colpo al cuore. Ma andiamo con ordine.
La candidatura del Qatar come Paese ospitante alla 22sima edizione dei campionati mondiali di calcio venne captata dall’opinione pubblica (e non) come manovra poco trasparente da parte del presidente in carica, Josip Blatter. Il sospetto avanzato dai detrattori era quello, e lo è tutt’ora, di aver pilotato le elezioni favorendo tale designazione a discapito di Paesi più attrezzati, con infrastrutture già esistenti e con temperature estive che avrebbero facilitato lo svolgersi di una manifestazione che fa dello spettacolo la sua arma migliore. Il tutto, senza considerare che in Qatar le temperature estive possono arrivare a 50°C con valori di umidità altissimi. Da qui, il colpo di genio: giocare in inverno. Alla faccia di chi ha sempre guardato i mondiali con una birra in mano, all’aperto, insieme a tanti suoi connazionali presi dall’entusiasmo di una delle poche manifestazioni che ancora riesci a far sentire noi italiani un’unica grande nazione.
Nel 2022 no, non sorseggeremo più la nostra amata birra, non potremo più stare all’aperto nelle meravigliose piazze italiane a godere tutti assieme delle avventure della nostra nazionale, non potremo più indossare le maniche corte e condensare quella spensieratezza tipica del periodo estivo con la passione che da sempre il popolo italiano ha manifestato nei confronti di questo sport; ecco allora i cambi, come nelle migliori partite: una bella tazza di cioccolata calda, ampi spazi al chiuso dove far diventare “caldo” l’ambiente e dove patire e gioire per le gesta degli “azzurri” e poi giacconi pesanti e magari, nell’intervallo, una bella partita a palle di neve, giusto per entrare in clima natalizio visto che esattamente una settimana dopo sarà Natale. Signor Blatter, è vero che nella ricorrenza siamo tutti più buoni e che i regali piacciono a tutti, ma questa è un pacchetto avvelenato…
Di una cosa sono certo: il calcio riuscirà comunque a scaldare i cuori e le anime di milioni di tifosi sparsi in tutto il mondo ancora una volta, anche se probabilmente sciarpa, guanti e cappello ci saranno d’aiuto.

L’amore ai tempi della guerra fredda

Torniamo indietro negli anni, ai tempi delle spie, quando si spiava e si lasciava spiare, quando, nei primi anni della glasnost, si aprivano speranze per un cambiamento politico nell’Europa dell’Est, votato all’apertura e alla trasparenza verso i cittadini. E rivediamo “La casa Russia”, tratto dall’omonimo romanzo di John Le Carré, con occhi diversi.

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La locandina

Siamo a una fiera di Mosca, dove i libri fanno da padroni, dove l’inglese Nicki Landau (Nicholas Woodeson) riceve dall’affascinante Katya Orlova (Michelle Pfeiffer) tre quaderni e una lettera da consegnare, segretamente, all’editore inglese Bartholomew ‘Barley’ Scott Blair (l’affascinante e brizzolato Sean Connery). Rientrato a Londra, Nicki non riesce a trovare Barley e consegna tutto ai servizi segreti britannici, i quali li analizzano a lungo: si tratta di importanti dati scientifici, che testimoniano l’incapacità dell’Unione sovietica nel condurre una guerra nucleare e, quindi, l’inutilità della corsa agli armamenti da parte del blocco occidentale. Incredibile e importante scoperta. Barley viene, successivamente, ritrovato a Lisbona, dove vive tranquillo, da agenti inglesi della cosiddetta ‘Casa Russia’, il cui capo è Ned (James Fox), e da agenti statunitensi, con a capo il deciso Russell (Roy Scheider), che lo interrogano a lungo.

L’editore dichiara di non conoscere Katya, affermando però di aver incontrato pochi mesi prima, nel piccolo villaggio di scrittori chiamato Peredelkino, un intellettuale russo che tutti chiamavano Dante (Klaus Maria Brandauer), con il quale si era intrattenuto a discutere sulla pace mondiale e il tradimento verso il proprio Paese che potrebbe essere necessario per ottenerla. Dante aveva fatto promettere a Blair che avrebbe collaborato lealmente con lui, se egli avesse trovato il coraggio di agire. Dante, in realtà, è Jakov Saveljev, un fisico geniale, amato da Katya in gioventù, che ora lavora a Leningrado, dove aspetta l’editore, al quale consegna il quarto e più importante quaderno, rifiutando, però, di incontrare le autorità occidentali e chiedendogli ancora di pubblicare il suo manoscritto. Da un semplice e banale equivoco, Barley si trova, quindi, coinvolto dalle autorità inglesi e americane in un programma di spionaggio tra Stati uniti e Russia, con ascoltatori che ascoltano tutto, sempre, e in ogni momento. Una sorta di grande fratello onnipresente e onnisciente.

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Michelle Pfeiffer e Sean Connery

La storia dell’editore, infatti, si legherà così a doppio filo a quello del misterioso uomo e di Katya, che conquisterà anche il suo cuore. Il rischio di innamorarsi esiste e Barley cederà all’amore, tradirà il suo paese e salverà Katya, che porterà con sé nell’affascinante, ricca e bella Lisbona. Amore che trionfa. Come merita. “La casa Russia” racconta una storia di ‘spionaggio alla fine dello spionaggio’, in una Mosca di altri tempi, dove comunque si riconoscono strade e palazzi, con una forte e intensa alternanza di momenti di tensione e poetici e un’apertura di speranza per un mondo in cui è possibile far valere le leggi umane e sentimentali su quelle giuridiche. Perché molte strategie sotterranee sono spesso fallaci e bisogna diffidare. Perché all’amore non si comanda e a esso ci si deve, inesorabilmente, arrendere.

La casa Russia, di Fred Schepisi, con Sean Connery, Michelle Pfeiffer, Klaus Maria Brandauer, Roy Scheider, James Fox, John Mahoney, USA, 1990, 122 mn.

Le luci di Massenzio fra le ombre dello stragismo

2. SEGUE – E’ il 1979: è trascorso un anno dall’uccisione di Aldo Moro, e la pressione del terrorismo e dello stragismo è ancora forte; lo Stato democratico ha tuttavia retto e ha dimostrato la sua fermezza; si ha la sensazione che la scelta di uccidere Moro sia stato un grave errore strategico da parte delle Br, e che da qual momento sia iniziata la sua parabola discendente.

Quell’estate, Massenzio, la grande arena cinematografica ideata da Renato Nicolini, riapre e propone due sezioni, “Visioni”, e a seguire “Prometeo – I miti della ragione della conoscenza e del dominio”, che fu curata, tra gli altri, da Massimo Forleo che ci racconta di quel periodo e dell’importanza delle iniziative culturali della cosiddetta Estate Romana.

Com’era quella estate del 1979, che clima si respirava?

Erano ancora anni difficili: il ’79 era l’anno dell’arresto dei leader di Potere operaio e Autonomia operaia Oreste Scalzone, Toni Negri e Franco Piperno; era anche l’anno dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli il liquidatore della banca di Sindona; a Palermo veniva ucciso dalla mafia il commissario Boris Giuliano; si formava il primo governo “Kossiga”, come fu battezzato dalla estrema sinistra. Ma tra la gente c’era voglia di vivere, di uscire, di rompere l’assedio della paura, e Massenzio era ormai un mito.

Ti occupasti della programmazione di settembre denominata Prometeo; come fu concepita?

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Massenzio, la prima arena cinema estiva in Italia
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Le proiezioni duravano intere notti

Erano serate a tema, in cui contaminavamo cinema diciamo alto con altri generi; lo schermo era diventato gigante, circa 30 metri di larghezza; inserito tra i monumenti della basilica lo spettacolo era fantastico. Ispirandosi all’idea di fare intere notti di cinema, per cui a qualsiasi ora si poteva fare un salto e trovare gente e lo schermo acceso, le maratone divennero una abitudine: ricordo ad esempio una serata con “Barry Lindon” di Stanley Kubrick e “L’uomo che volle farsi Re” di John Huston, circa 6 ore di proiezione, si fecero le 4 del mattino.

Se non sbaglio, faceste un grande colpo con un mito del calcio…

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Migliaia di persone al cinema durante gli anni dello strgismo

Beh, in quel caso facemmo davvero un gran colpo. Eravamo ragazzi nati intorno agli anni ’50, e tutti avevamo nella testa la prima diretta televisiva vincente, dopo la sconfitta con la Corea nel 1966: i Mondiali Messico ’70, Italia-Germania 4-3. A quei tempi non c’era internet né le tante tv, e nessuno aveva più visto quella partita; cercai inutilmente la copia, finché un usciere della Fgci di Roma mi disse che il mitico dottor Fini, medico degli azzurri, ne aveva una copia che utilizzava per gli stage; andai a Coverciano, e ricevetti da lui una pizza in bianco e nero, che fu custodita per tutto il tempo da un suo addetto, per dire quanto era preziosa.

E come andò?
All’apertura del botteghino c’era una fila mostruosa; arrivati a 5.000 spettatori, i vigili intimarono la chiusura: quelli restati fuori premevano, ricordo uno che diceva “vengo da Frosinone”, un altro “da Firenze” e tutti “entriamo o con le buone o con le cattive”. Momenti difficili, alla fine tutto andò bene, erano tempi fantastici. Riuscii a tenerli tutti intrattenendoli con “Nashville” di Robert Altman, oltre 3 ore con cori bandiere e trombe. Passando dal 35 mm. al 16 mm., mandammo “Mexico e Nuvole” di Jannaci e poi partì la pellicola: un boato indimenticabile, una festa.

Altri aneddoti?

Dovete pensare che al tempo eravamo ragazzi di 25 anni, alle prime esperienze; una sera con tema “Il mostro” in cui programmavamo “Psyko” di Alfred Hitchcock, “Il collezionista” di William Wyler e “L’inquilino del III piano”, non so se mi spiego, alla cassa si presentano Isabella Rossellini e Martin Scorsese e chiedono due biglietti; era troppo, tutto doveva essere un sogno, e Massenzio dei primi anni era davvero un sogno.

E siccome tutti i sogni finiscono all’alba, come finì?

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Estate Romana, Basilica di Massenzio, Festival delle letterature 2012

Il 19 settembre, durante la proiezione di “West Side Story”, a Roma fu avvertita una scossa di terremoto; in sala non fu percepita, ma in via dei Fori Imperiali gli sfollati dalle case si incontrarono con gli spettatori, le due maree si fusero e sciolsero la tensione. La scossa però lesionò la volta della Basilica, che così non poté più ospitarci. Il cinema si trasferì al Colosseo, con il super evento della proiezione di “Napoleon” di Abel Gance su tre schermi e l’orchestra diretta dal padre di Coppola, poi a Circo Massimo e altre location; ma l’incanto era finito, e pian piano una eccessiva commercializzazione portò al declino della manifestazione.

Cosa resta di questa esperienza?
La consapevolezza che il cinema è amato dalla gente, che il buon cinema può essere per tutti e non solo per le élites; a Massenzio, forse, dobbiamo i mille schermi di cinema che ogni estate illuminano le nostre città…

La foto in evidenza è di Chiara Visconti ©

Per leggere la prima parte clicca qui

L’EVENTO
Il Drone Show si presenta

“Si dice che a Ferrara non succede mai niente ed è sempre tutto uguale, questo evento dimostra il contrario”, ha affermato l’assessore allo sport Simone Merli in apertura della conferenza stampa di presentazione del Drone Show, la manifestazione che si terrà questo fine settimana presso la Fiera di Ferrara, di cui vi abbiamo già parlato qui [clicca].

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“Per i visitatori sarà possibile provare i vari modelli. Sarebbe bello poter riprendere le nostre iniziative sportive dall’alto con i droni – auspica Merli – questo evento servirà anche all’amministrazione per capire tutti i possibili impieghi di questa nuova tecnologia”.

Il maestro di cerimonie della conferenza è Filippo Parisini in rappresentanza del quartiere fieristico, di cui è presidente: “E’ un’esposizione unica perché punta molto sul lato convegnistico. La materia in fatto di
utilizzo dei droni è ancora confusa, questa due giorni servirà a fare chiarezza. Ci aspettiamo grandi numeri di visitatori. Questa tecnologia può essere trainante per i posti di lavoro e per il PIL della nostra nazione. Una parte importante l’avranno le aziende ferraresi all’avanguardia nel settore”.

Roberto Cucinelli è l’organizzatore di Tecnoelettronica, che si svolgerà in parallelo al Drone Show, “sarà una mostra dal taglio tecnico, dove abbiamo selezionato solo makers e inventori che saranno a disposizione dei visitatori per spiegare le loro innovazioni. All’interno ci sarà anche uno spazio ludico, chiamato Game Challenge, dove ci saranno varie piattaforme di videogiochi on line e i giocatori che normalmente si incontrano virtualmente, potranno sfidarsi guardandosi in faccia. Ce ne sarà per tutti i gusti, dall’ultimo Mortal Kombat al primissimo gioco del tennis per gli amanti del vintage”.

“I droni sono una sorta di robot volanti, acquatici o terrestri, pilotati sempre in remoto da almeno un pilota – spiega Marco Robustini, uno dei più esperti piloti istruttori di droni civili, spesso chiamato a testare nuovi esemplari – ad oggi non si registrano in tutto il mondo eventi catastrofici provocati da questi aeromobili, eppure ENAC, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, ha normato questo mondo inserendo “paletti alquanto castranti” pregiudicandone l’impiego dove effettivamente potrebbe servire, un funzionario dell’Ente sarà presente in Fiera e sarà l’occasione per poter ascoltare il loro punto di vista in ambito sicurezza legato a questi velivoli”.
Tra le aziende di cui Robustini testa i modelli, c’è anche l’americana 3D Robotics, il cui CEO Chris Anderson, considerato lo Steve Jobs dei droni, sarà presente in Fiera.

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Tra le aziende ferraresi presenti, uno dei fiori all’occhiello è Innova. “Un’azienda specializzata nella lavorazione delle fibre di carbonio – spiega Claudio Bottoni, uno dei soci – impiegate nell’aeronautica, ma anche in ambito navale ed automobilistico”. Ora hanno anche aperto un settore di sperimentazione sui droni, brevettando una configurazione a decollo verticale. “Speriamo – aggiunge Bottoni – di ridare a Ferrara il lustro che aveva quando i nostri aeroporti ospitavano i dirigibili”.

A metà tra il Drone Show e Tecnoelettrionica, c’è Tryeco 2.0 azienda di scansione laser e stampa 3D applicata in particolare ai beni culturali, che in fiera mostrerà però un’applicazione più giocosa delle proprie tecnologie: il selfie 3D. I visitatori, come ha spiegato uno dei soci Matteo Fabbri, potranno avere una scansione del loro corpo e, se vorranno, gli verrà mandato a casa il loro mini-me.

Una versione più casalinga della stampa 3D è quella proposta da Futura Informatica di Paolo Tocchio, che offre una buona qualità di stampa a prezzi contenuti per chi, invece di un uso professionale, ne fa un uso domestico.

Sono circa sette anni che i droni si sono diffusi anche in ambito civile, oltre che militare. Volano sulle nostre teste e ci osservano dall’alto, con scopi più o meno pacifici a seconda di chi li pilota. E’ dunque importante che non solo gli amatori o i professionisti, ma anche i cittadini possano approfondire la materia.

Clicca qui per il link alla manifestazione.

IMMAGINARIO
Gioiello floreale.
La foto di oggi

Il villino stile Liberty di Viale Cavour, il gioiello che arricchisce e trasforma il tratto di strada grigio e triste che dalla stazione porta cittadini e turisti ai piedi del Castello Estense, è Monumento nazionale, ma non c’è nessuna targa che riporti la dichiarazione di bene storico culturale. Ovvero, c’è un cartello scritto a mano, in bella calligrafia, con pennarello indelebile su un cartello di plastica gialla. Sarebbe bello invece che venisse ufficialmente riconosciuta e valorizzata, quella splendida villa con giardino che affascina il passante e il visitatore, portandone lontano l’immaginazione, facendolo sognare… e introducendolo con garbo verso il centro storico della città.

OGGI – IMMAGINARIO MONUMENTO STORICO E CULTURALE

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Segnale di Monumento nazionale scritto a mano
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L’entrata a Corbeille floreale

TESTO DEL SEGNALE – “Segnale di Monumento Nazionale. Questo villino della Belle Époque (1902), voluto dal floricoltore Ferdinando Melchiori con estrosa entrata a Corbeille floreale e sobrie decorazioni di motivi è opera grande di insigni ferraresi ing. Ciro Contini architetto, prof. Arrigo Minerbi scultore e Augusto de’ Paoli, artista del ferro battuto. “Per la sua rara e originale espressione in stile Liberty floreale, per la sua rara e originale espressione in stile Liberty floreale è ritenuto un simbolo delle versioni nostrane dell’Art Nouveau” (Bruno Zevi) e, come tale, dichiarato bene storico e culturale e vincolato alle Belle Arti.”
[clic sulla foto per ingrandirla]

GERMOGLI
L’amore.
L’aforisma di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

CloudBiography-LudwigVanBeethovenBiography434-62Il 26 marzo 1827 moriva uno dei più grandi compositori tedeschi, Ludwig Van Beethoven.

“L’amore vuole tutto e ha ragione”. (Ludwig Van Beethoven)

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