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Giorno: 20 Aprile 2015

LA SEGNALAZIONE
Il museo della Frutta, un tuffo nel passato per riflettere sulla biodiversità

dalla redazione di Fuoriporta

Dal momento che l’alimentazione e la biodiversità saranno fra degli argomenti centrali dell’Expo di Milano, può valere davvero la pena fare una piccola deviazione fino a Torino, distante solo un’ora di treno: nel capoluogo piemontese, infatti, c’è un museo davvero particolare. A pochi passi dal parco del Valentino che costeggia le rive del fiume Po, infatti, la città sabauda ospita il museo della Frutta. Un luogo davvero unico che conserva la collezione di 1021 “frutti artificiali plastici” – 39 varietà di albicocche, 9 di fichi, 286 di mele, 490 di pere, 67 di pesche, 6 di pesche noci, 20 di prugne, 44 di uva, 50 di patate e un esemplare ciascuno di rapa, di barbabietola, di carota, di pastinaca, di melograno e di mela cotogna – modellati a fine Ottocento da Francesco Garnier Valletti, geniale ed eccentrica figura di artigiano, artista, scienziato. E così i visitatori possono fare un vero e proprio tuffo nel passato riflettendo, contemporaneamente, su un tema attualissimo come quello della biodiversità. All’interno della struttura la ricostruzione dei laboratori d’analisi, delle sale della collezione pomologica, della biblioteca e dell’ufficio del direttore, valorizzano il prezioso patrimonio storico-scientifico della Stazione di Chimica Agraria dal 1871 ad oggi, nel contesto dell’evoluzione della ricerca applicata all’agricoltura a Torino tra l’Otto e il Novecento.

Per saperne di più visita il sito FuoriPorta [vedi]

L’INTERVENTO
Ma il debito pubblico è ricchezza per i cittadini

Mark Blyth è professore di Politica economica alla Watson institute per gli Studi internazionali, Brown University, e ha scritto diversi libri tra cui “Austerity: the history of a dangerous idea” in cui analizza gli effetti negativi che i tagli alla spesa hanno storicamente prodotto e stanno producendo in tempi recenti in diversi paesi europei come la Grecia. Di recente, l’ 11 marzo, ha tenuto una interessante audizione alla Commissione bilancio del senato degli Stati uniti, dove ha fatto delle affermazioni piuttosto forti soprattutto per noi europei dell’eurozona. Ha affermato: “The result [of austerity] in Europe has been plain to see – a massive contraction in economic activity, with those that cut the most seeing the steepest collapse in growth and, paradoxically, the biggest build-up in debts”. Cosa ha detto? Semplicemente che l’austerità ha creato un collasso della crescita e un aumento del debito.

Ci riesce difficile immaginare che la nostra Commissione bilancio possa essere disposta ad ascoltare un intervento del genere. Ma siamo in America, dove certe cose si possono dire liberamente, e persino Mario Monti si sentì libero di dire ad un importante network televisivo americano che in Italia “si stava distruggendo la domanda interna” perché potessero crearsi le condizioni per un miglioramento della bilancia dei pagamenti con l’estero, operazione non più possibile per l’Italia attraverso il cambio dopo l’adozione della moneta unica. Di certo in quei momenti tragici non avrebbe potuto dire le stesse cose a “Il Sole 24 Ore” o sul “Corriere della Sera”.

Ma il professor Blyth va ben oltre nel suo rapporto e si spinge ad affermare che la moneta non è altro che “bits of paper” (pezzi di carta) che vengono prodotti al bisogno e ben venga quando si crea debito pubblico. Già carta colorata e debito che gli Stati uniti sono ben felici di vendere alla Cina che ne detengono circa 1,4 trilioni di dollari e anche di pagarci sopra un interesse, per ringraziarli del fatto che in questo modo sostengono la loro economia. Quindi, sono ben felici di dare alla Cina altra carta colorata. In cambio gli Usa chiedono beni reali come televisori, computer e tanto altro con una utilità di sicuro maggiore della carta colorata. E il debito pubblico? Blyth dice che non è un gravoso problema per le future generazioni bensì un investimento oggi per migliorare il futuro dei nostri figli domani. E aggiunge: “Come avreste mai avuto il vostro splendente iPhone se non ci fossero stati gli investimenti statali nel protocollo Tcp/Ip, nella rete Gps e nel touch screen? Vogliamo parlare dei soldi investiti in Ricerca e sviluppo?” Quindi ben venga il debito pubblico perché non è altro che un investimento. Ripagarlo? Perché dovrebbe essere ripagato e a chi? Per gli Stati uniti significherebbe semplicemente stampare altra carta colorata, ma poi chi richiederebbe una cosa così folle! Immaginate che la Cina richieda indietro l’ammontare del debito americano acquistato. Succederebbe che si svaluterebbe di colpo e tac! La Cina si ritroverebbe con il 20, 30, 40 percento in meno del suo valore originario. Certo noi siamo in Italia, qui avere un debito è un problema. Non decidiamo noi se ripagarlo, se alimentarlo, se monetizzarlo. Lo decide la Germania attraverso la Bce. Quindi si, noi abbiamo un problema reale di debito pubblico. Ma è solo perché abbiamo deciso che lo sia.

Ma se negli Stati uniti sanno bene che il debito pubblico non è un problema perché possono emettere la loro moneta e loro lo hanno fatto attraverso le operazioni di quantitative easing dal 2008 (come del resto ha fatto l’Inghilterra) perché la nostra Bce non lo ha voluto fare allo stesso modo dal 2008 e decide di fare solo adesso nel 2015? Quanti disoccupati abbiamo creato dal 2008 ad oggi? E quante aziende sono chiuse che potevamo invece salvare? E quanti bambini e anziani in Grecia avrebbero potuto avere pasti regolari? Perché della semplice carta colorata deve regolare le nostre vite, decidere quante volte al giorno dobbiamo mangiare o se possiamo essere curati in un ospedale che abbia il giusto numero di letti e di medici?

La Bce oggi ha deciso di emettere nuova moneta attraverso il ‘quantitative easing’, ovvero sta stampando più moneta perché finalmente si è resa conto che serve farlo. Una operazione semplice, di buon senso per la quale abbiamo dovuto aspettare sette anni non perché prima non si potesse fare. Semplicemente la Bce e la nostra amata Europa della burocrazia indefinita e dei grandi interessi decide che l’interesse generale non è quello del bisogno, della necessità ma quello dei “pezzi di carta” che ha i suoi tempi e i suoi modi che in questo mondo dannosamente globalizzato non coincidono con i desideri dei cittadini che lo abitano.

Ma qui bisognerebbe ancora, purtroppo, fare un’operazione di lealtà nei confronti di questi cittadini. Bisognerebbe dirgli che c’è un’enorme differenza tra un’emissione monetaria (emettere) e un’immissione monetaria (immettere). La Bce sta emettendo moneta, è vero, ma non sta facendo in modo che questa moneta emessa venga immessa nel sistema. Una differenza non da poco perché la nuova moneta, sotto forma di bit elettronici perché oggi la moneta è solo contabilità e impulsi (o qualcuno pensa che dalla Bce escano camion di banconote?), viene data alle banche e le banche la useranno per comprare debito dagli Stati e quel debito continuerà ad essere per la finanza internazionale la base sulla quale costruire altri miliardi di derivati, inutili ai più (in particolare all’economia reale), che continueranno invece ad avere i loro problemi di disoccupazione e di mettere insieme il pranzo con la cena.

Il professor Blyth parla di ‘quantitative easing’ e di emissione monetaria al Senato americano, certo lo fa da americano, da possessore della moneta di riserva mondiale. Ma lo dice, dice che è così ed è questo il punto, che la moneta è “bits of paper” pezzi di carta, che se serve si stampa, che il pareggio di bilancio è una stortura nel sistema economico, che deprime l’economia, che il debito pubblico è un investimento per il futuro.

Afferma ancora “sembra intuitivo che non puoi spendere di più di quello che incassi, è chiaro che alla gente piace avere più soldi nel suo portafoglio piuttosto che meno soldi…argomenti intuitivi ma sbagliati… quando si crea un’analogia tra famiglie o imprese e stati e quando si dice che spendere è sempre sbagliato e risparmiare è sempre un bene”. Gli Stati non hanno entrate allo stesso modo di una famiglia e spendere per uno Stato è un bene perché diventa la ricchezza dei cittadini; una famiglia ha delle entrate che necessariamente devono venire da una fonte esterna.

Nell’Europa di oggi tutti si professano liberisti, ma lo sono in maniera meschina, per che decide significa solo privatizzare e dipendere dalla finanza internazionale. Svalutare e umiliare il lavoro dipendente e distruggere le piccole imprese per dare più spazio alle grandi. In Europa se solo accenni alla possibilità che il denaro si possa stampare ti urlano “Weimar!”, “Zimbawe!”, “inflazione!”. Ma se dici invece quantitative easing allora è tutta un’altra cosa, è in inglese e chissà cosa vorrà dire!

Quindi stampare si può, ma bisogna dirlo in inglese! Poi, fatto in questo modo, se sia benefico o meno per i cittadini è tutta un’altra storia che quasi nessuno racconta.

* Claudio Pisapia fa parte del Gruppo cittadini economia Ferrara

IMMAGINARIO
Mamme in forma.
La foto di oggi…

“MammaFit – La ginnastica col bimbo al seguito”. Una sorta di palestra a cielo aperto per chi ha un bambino piccolo e vuole tornare in forma, acquistando energia fisica e mentale in compagnia. E’ il senso del ciclo di lezioni in programma al Parco urbano Bassani di Ferrara. Da oggi, 20 aprile, fino all’11 giugno ogni lunedì e giovedì mattina e il mercoledì al pomeriggio. Promossa dall’associazione sportiva BenEssere Mamma, l’iniziativa è stata presentata dall’assessore comunale allo Sport Simone Merli con la presidente dell’associazione sportiva BenEssere Mamma e istruttrice Elena Vacchi insieme a due frequentatrici del corso. Informazioni su CronacaComune e iscrizioni su mammaf.it.

Al Parco urbano Giorgio Bassani, via Bacchelli a Ferrara, il lunedì e giovedì alle 10.30 e il mercoledì alle 17.

OGGI – IMMAGINARIO SPORT

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Ginnastica per chi è neo mamma (foto da MammaFit)

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic sulla foto per ingrandirla]

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Tutti a scuola di felicità

Quando mai scuola e felicità hanno fatto rima. Anzi la nostra tradizione è quella della scuola della fatica e del sudore sui libri! Cosa succederebbe, allora, se la ricerca della felicità e il benessere delle persone entrassero nei programmi scolastici, fino ad orientare la scelta dei contenuti da apprendere sui banchi di scuola?
Non si tratta della fantasia di un sognatore, di un inguaribile utopista dell’educazione. Almeno da quando, nel 2000, il potente gruppo editoriale Springer lanciò il Journal of Happiness Studies, evidenziando un crescente interesse per le ricerche relative alla felicità e la vasta letteratura accumulata intorno a questo argomento.
È sufficiente navigare in internet per scoprire l’esistenza del “Worlddatabase” della felicità (http://www1.eur.nl/fsw/happiness/), registro costantemente aggiornato sulla ricerca scientifica relativa alla soddisfazione personale per la propria esistenza.
Padre e organizzatore ne è Ruut Veenhoven professore dell’Erasmus University, pioniere e autorità mondiale della ricerca scientifica sulla felicità.
Sostiene che la rilevanza della felicità come obiettivo sociale è crescente, che fame e epidemie saranno sconfitte con maggiore successo, se a muoverci sarà l’obiettivo di perseguire la felicità. Una dimostrazione di tutto ciò sarebbe il fatto che oggi le persone attribuiscono sempre maggiore rilevanza alla “qualità della vita”, piuttosto che alla quantità degli anni da vivere e delle cure sanitarie.
La salvaguardia della vita umana e il perseguimento della felicità, in opposizione ad una crescita economica a scapito dell’ambiente e della salute delle persone, possono guidare la scelta dei contenuti dei curricoli scolastici di scienze, storia, educazione civica, matematica, educazione alla salute, educazione ambientale, fino all’educazione fisica di un sistema formativo rifondato nell’organizzazione, nei curricula e nei metodi di insegnamento.
Questo nuovo modello di istruzione dovrebbe sostituire quello dominante, ormai globalizzato, creato dagli stati-nazione a partire dal diciannovesimo secolo, ancora focalizzato intorno alla crescita economica, allo sviluppo militare, alla formazione del cittadino. Dove più del 90% dei fanciulli del mondo, circa il 20% della popolazione mondiale, è quotidianamente irreggimentato, per una estensione di tempo che varia, a seconda dei sistemi scolastici nazionali, in classi aggregate per età, dall’istruzione primaria a quella secondaria.
Ormai da diverso tempo l’assunzione della crescita economica come misura del progresso umano viene contestata, ci sono economisti e sociologi i quali ritengono che la felicità umana o, come alcuni ricercatori dicono, il benessere della persona, dovrebbe essere il fine delle politiche sociali. L’economista britannico Richard Layard, direttore del Centre for Economic Performance alla London School of Economics, consigliere di Tony Blair, nominato Lord dalla regina, nel suo libro Felicità. La nuova scienza del benessere comune (Rizzoli, 2005) sostiene che esiste un paradosso al centro della nostra vita: desideriamo tutti più soldi, ma le società più ricche non diventano per questo più felici. Sulla scia della tradizione degli economisti “umanisti” come Keynes e Amartya Sen, Richard Layard pone le basi di una vera “scienza della felicità”, fondata sui saperi combinati della psicologia, della sociologia, dell’economia applicata e della politica. Layard propone il perseguimento della felicità come base della convivenza sociale e come scopo delle politiche pubbliche.
Egli osserva: «La società moderna necessita disperatamente di concepire un bene comune intorno al quale unire gli sforzi dei suoi membri. La Felicità è l’idea giusta».
D’altra parte la pedagogista statunitense Nel Noddings, nel suo libro pionieristico pubblicato in Italia da Erikson, Educazione e felicità, sostiene che la felicità dovrebbe essere l’obiettivo primario e dichiarato di ogni progetto educativo. Oggi, di fronte alle conquiste del pensiero sociale e della tecnologia, è più che mai importante considerare perché non promuoviamo certi obiettivi nell’istruzione e perché continuiamo a trascurare l’educazione al progetto di vita personale e alla felicità nel lavoro.
Educare a salvaguardare la vita umana propria e altrui, a massimizzare il benessere di ogni essere umano, alla cultura della difesa dell’ambiente e del diritto di ciascuno a vivere per esser felice anziché ricco, sono obiettivi davvero culturalmente molto distanti da quelli tradizionali a cui siamo abituati dai nostri sistemi scolastici che, in premessa ai loro programmi nazionali, spendono pagine e pagine sulla formazione della persona e del cittadino, ignorando poi totalmente la sua felicità e il suo benessere.
Certamente, qualcuno potrebbe argomentare che uno stato deve educare i suoi cittadini al lavoro e al rispetto delle tradizioni, perché questo garantisce la crescita economica e l’ordinata convivenza di tutti. Sappiamo ormai benissimo che non è così. Non è stato così nel passato, quando culture apprese a scuola hanno alimentato nazionalismi estremi, sono state fonte di guerre e di pericoli per la sopravvivenza della specie umana mai conosciuti prima.
Non è così per il lavoro. Mai come oggi, di fronte all’estensione assunta dalla disoccupazione giovanile, abbiamo assistito a una tale disfunzione tra scuola e mercato del lavoro. Inoltre, le pianificazioni che hanno combinato istruzione e obiettivi economici si sono forse dimostrate funzionali alla crescita economica ma non certo alla crescita del benessere dell’umanità.
Forse è davvero tempo di cambiare passo. Forse è tempo che la nostra scuola nell’esercizio della sua autonomia, a proposito di felicità, applichi l’espressione: «Penso globalmente, ma agisco localmente».

GERMOGLI
700 di noi.
L’aforisma di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

DE_GREGORI700 morti, 49 superstiti (forse). Persone morte all’inseguimento di una speranza. Erano vite. Donne. Uomini. Bambini. Ci somigliano. Siamo anche noi.

Ieri notte sono morti 700 di noi. A stento ce ne ricorderemo domani.

“La Storia siamo noi / siamo noi queste onde nel mare / questo rumore che rompe il silenzio / questo silenzio così dura da raccontare” (una citazione da La storia siamo noi, Francesco De Gregori)

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