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Giorno: 7 Maggio 2015

Beni Archeologici: gli appuntamenti di 16 e 17 maggio

da: ufficio stampa SBArcheo Emilia-Romagna

ALLE ORIGINI DELLA DIETA
Scelte obbligate e scelte consapevoli nella storia dell’alimentazione umana

sabato 16 maggio 2015, giornata di studio

Auditorium S. Margherita Fondazione di Piacenza e Vigevano
Via Sant’Eufemia 12
Piacenza

E inoltre, Domenica 17 maggio, visite guidate e attività dimostrative di cottura su pietra di carne e pesce al Parco Archeologico di Travo e visite guidate al Museo dell’Abbazia di San Colombano a Bobbio.

La storia dell’alimentazione, dai primi passi dell’umanità ad oggi, è sempre stata legata al rapporto instaurato dall’uomo con l’ambiente, rapporto modificato in modo sempre più marcato nel corso del tempo.

La giornata di studio “Alle origini della dieta” fa il punto sui dati archeologici del piacentino per raccontare questa vicenda dalla Preistoria al Medio Evo.

Proprio i dati della cultura materiale permettono di seguire questa storia caratterizzata non solo dalla necessità di nutrirsi ma ben presto anche dal piacere di farlo.

Il ruolo fondamentale del cibo, dato dal suo potere nutritivo, si è fin dall’inizio arricchito di altri valori, sociali e simbolici. Nel tempo, il cibo è diventato un’esperienza culturale, l’espressione della cultura di un popolo che “sceglie” cosa e come mangiare.

I diversi interventi forniscono uno stimolo a riflettere su questa tematica all’interno del più ampio dibattito che Expo 2015 si propone di sviluppare durante i mesi dell’Esposizione dedicata al “Nutrire il Pianeta”.

Nel pomeriggio sono previste visite guidate al sito pluristratificato di S. Margherita con particolare attenzione ai “contenitori” di cibi e bevande utilizzati in epoca romana, medievale e rinascimentale rinvenuti all’interno del Complesso di S. Margherita, sede del Convegno.

L’iniziativa è a cura dell’Associazione Arti e Pensieri che ha collaborato alla riqualificazione e alla trasformazione del sito in Antiquarium.

PROGRAMMA DI SABATO 16 MAGGIO 2015

Ore 10,00 Apertura dei lavori

Luigi Malnati, Soprintendente Archeologia Emilia-Romagna

Massimo Toscani, Presidente Fondazione Piacenza e Vigevano

Tiziana Albasi, Assessore Cultura e Turismo Comune di Piacenza

Simona Innocente, Vicesindaco e Assessore Cultura e Turismo Comune di Bobbio

Maria Elena Reggiani, Vicesindaco e Assessore Cultura, Urbanistica e Protezione Civile Comune di Travo

10,15: MARIA BERNABÒ BREA*, MARIA MAFFI**

(*Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna, ** Museo e Parco Archeologico di Travo)

La Rivoluzione Neolitica sulle rive del Trebbia. Significati culturali ed economici legati al cambiamento dalla caccia-raccolta all’agricoltura

10,45: MARCO MARCHESINI *, SILVIA MARVELLI **

(*Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna, ** Museo Archeologico Ambientale Bologna)

Alimentazione ed economia nei siti neolitici dell’Emilia Romagna. Una finestra sul sito di Travo

11,30: DANIELA LOCATELLI*, CRISTINA MEZZADRI **

(*Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna; **Malena snc)

Trasformare un condizionamento in risorse: modalità di organizzazione del territorio e della produzione agricola nel Piacentino dall’Età del Ferro alla romanità

12,00: ANNAMARIA CARINI

(Musei Civici di Palazzo Farnese)

Il cosiddetto gutturnium e l’argentum potorium dei Romani

12,30: ROBERTA CONVERSI

(Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna)

La svolta monastica. Relazione tra pratica religiosa cibo, tempo e lavoro nella Regola di S.Colombano e nei dati iconografici ed archeologici nell’Alto medioevo in Val Trebbia

13,00: Presentazione del Progetto Dis-Sapore a cura di Arti e Pensieri, Archeotravo, Cooltour

15-16,30: DALLE ANFORE ALLE MAIOLICHE

La cultura del cibo a Piacenza raccontata attraverso le ceramiche del sito di Santa Margherita

Visite guidate all’Antiquarium per singoli e gruppi di max 25 persone.

Partenze: ore 15-15.30. Durata: 1 ora circa. A cura di Arti e Pensieri.

Info e prenotazioni: artiepensieri@virgilio.it tel. 340 6160854 – 349 1035405

Ingresso libero

Domenica 17 maggio 2015

Nella giornata di domenica 17 maggio la sperimentazione continua al Parco Archeologico del Villaggio Neolitico di Travo. Sono previste visite guidate agli scavi con particolare attenzione alle strutture dedicate alla cottura dei cibi, eccezionalmente conservate a vista all’interno dell’area musealizzata all’aperto. I forni a ciottoli, oltre al loro uso culinario, avevano certamente un valore simbolico testimoniato dal ritrovamento di stele litiche antropomorfe all’interno delle fosse.

E’ prevista anche un’attività di archeologia sperimentale dimostrativa sull’alimentazione preistorica: la cottura del pesce nell’argilla e del maiale su ciottoli arroventati, così come documentata nel sito neolitico.

Per i visitatori stranieri gli organizzatori della Cooperativa ArcheoTravo hanno programmato attività in lingua inglese (sia mattina che pomeriggio).

Contemporaneamente, sempre domenica, sono previste visite al Museo dell’Abbazia di San Colombano di Bobbio dalle 10,30 alle 12,30 e dalle 16,30 alle 18,30 organizzate dalla Cooperativa Cooltour.

PROGRAMMA

ore 10 e ore 15: Ritrovo presso il parco Archeologico Villaggio Neolitico di Travo

ore 10,30 e 15: Visita al Parco con archeologo con particolare attenzione al tema “alimentazione”

ore 11,30 e 16: attività dimostrativa di cottura su pietra di carne e pesce

Info e prenotazioni: info@archeotravo.it tel. 320 8749216

ore 10,30-12,30 e 16,30-18: Visite al Museo dell’Abbazia di San Colombano di Bobbio

Info e prenotazioni: info@cooltour.it tel. 340 5492188

“I disturbi alimentari: un disagio contemporaneo”

da: organizzatori

Il Comitato “Insieme per la qualità della vita”, il Centro Sociale di Barco e l’Associazione Famiglie contro le droghe organizzano incontri per i genitori e ragazzi adolescenti

Venerdì 8 maggio 2015 ore 21, presso il CENTRO SOCIALE di Barco, Via Indipendenza 40 – Ferrara
Presenta e coordina G. Paolo Giberti

Interverrà la dott.ssa Chiara Baratelli, psicoanalista e psicoterapeuta, specializzata nella cura dei disturbi alimentari e in sessuologia clinica.
Si occupa di problematiche legate all’adolescenza, dei disturbi dell’identità di genere, del rapporto genitori-figli e di difficoltà relazionali.

I genitori, gli insegnanti, gli educatori, gli adolescenti e i cittadini sono invitati.
Ingresso libero

E alla Biagio Rossetti preside, genitori e insegnanti ridipingono la scuola

Sono stati giorni impegnativi per i docenti d’Italia, uniti (quasi) tutti contro la “buona scuola” del presidente Renzi. Tra il tanto parlare, cortei e minacce, ho avuto la possibilità di capire come dovrebbe realmente essere una scuola degna di definirsi buona. L’esempio di unione e cooperazione per lo svecchiamento di un edificio scolastico pubblico, per il bene dei più piccoli, è stato dato dal preside, dalle insegnanti e dai genitori della Scuola primaria “Biagio Rossetti”, in via Valle Pega. Lo scorso settembre, rientrati dalle vacanze estive, i docenti ebbero una triste sorpresa, perché, a causa di alcuni tagli comunali, i lavori di imbiancamento promessi erano stati rinviati. La maestra Laura Lodi, referente del plesso, mi racconta che, stanchi di vedere le mura imbrattate e le aule spente e senza vita, in collaborazione con le altre maestre e con il preside Massimiliano Urbinati, decisero di contattare i genitori dei bambini per trovare insieme una soluzione.

“E’ stato un progetto sviluppato in poco tempo – spiega Cristina Pellicioni, mamma e presidente del Consiglio d’istituto – ma studiato nei minimi particolari. Innanzitutto, serviva il consenso dei genitori, che sono stati subito entusiasti dell’idea, e anche tutte le autorizzazioni dal Comune, perché volevamo esser certi di fare tutto secondo le norme”.
L’ultimo fine settimana di settembre il gruppo di docenti e genitori, che si sono autotassati per poter acquistare tutti i materiali e le vernici, grazie alla gentilezza di un padre, Loris Rambaldi che le ha fornite a prezzo di costo, hanno iniziato i lavori. Donatella Rambaldi e Laura Lodi mi raccontano che i bambini, dopo i primi lavori, non avevano notato grandi differenze.
“Durante le prime due giornate ci siamo concentrati sulle grandi pulizie e abbiamo imbiancato le aule, quindi il lunedì successivo le classi erano più pulite ma sempre spoglie. I bambini forse si aspettavano subito dei risultati. La vera sorpresa per loro è stata a lavori finiti, dopo il primo fine settimana di ottobre. Erano estasiati, volevano essere accompagnati nelle aule dei loro compagni e vedere cosa cambiava. Hanno amato i nuovi colori e il loro atteggiamento nei confronti dell’ambiente è cambiato: si curano sempre che i banchi non tocchino le pareti e cercando di mantenere tutto pulito”.
Immaginate delle aule tutte uguali, spoglie, con le pareti macchiate dagli anni e tinte di un marroncino spento e cupo. Ecco, ogni stanza adesso racconta una storia: le porte colorate ti invitano ad aprirle per scoprire piccoli mondi tinti di lilla, verde, giallo e turchese, pieni di vita e di disegni. Il lavoro di coordinamento e di mano d’opera più complessa è stato gestito da Loris, esperto nel settore.
“Ci siamo occupati anche degli arredi di ogni stanza, perché volevamo che anche gli armadi e la cattedra fossero ben integrati con il resto della stanza. Io ho un colorificio e negli anni mi sono appassionato alla bioedilizia e al restauro, quindi sono stato ben felice di partecipare al progetto “Over the rainbow”, perché so bene che i bambini reagiscono ai colori in modo diverso dagli adulti. I docenti hanno scelto la tinta della loro aula con cura, basandosi sugli studi dei colori per stimolare l’attenzione dei più piccoli. E’ stato possibile acquistare una nuova libreria grazie alla donazione dell’associazione Auser e speriamo di ricevere delle donazioni anche per il prossimo progetto”.
I lavori non sono ancora terminati: dopo l’aula giardino, in cui i bambini curano le piantine portate dalla maestra o dai genitori, e l’aula “arcobaleno”, il prossimo passo è dedicarsi agli spazi comuni, come corridoi, bagni e la mensa scolastica e il preside Urbinati vorrebbe estendere il progetto al di fuori della scuola primaria.
“Io vedo la scuola come una cooperativa, in cui c’è collaborazione tra coloro che ci lavorano e i genitori, perché l’educazione che si impartisce in queste stanze ha successo solo se combacia con quella insegnata a casa. Abbiamo deciso di creare il progetto “Over the rainbow” perché ripristinare la qualità della vita nell’ambiente di lavoro significa migliorare le prestazioni. Sono compiti che spetterebbero alle istituzioni pubbliche ma o si aspettano gli enti locali o si cerca di creare qualcosa da soli. Secondo me la buona scuola è proprio quella che parte dal basso e, con questi gesti, cerca in tutti i modi possibile di migliorarla. Spero che il progetto venga accettato con lo stesso entusiasmo e partecipazione anche dai genitori del Bombonati e della Dante Alighieri”.

Tracce degli Scrovegni a Ferrara nel ‘giardino segreto’ di palazzo Scroffa

Per una curiosa come me, amante dei giardini, lo scorso fine settimana nella mia città, Ferrara, era un’opportunità troppo ghiotta. Un’occasione da non lasciarsi assolutamente sfuggire, per nulla al mondo, come si direbbe. La manifestazione sui Giardini estensi, di cui abbiamo parlato [vedi], avrebbe, infatti, avvolto la città di colori e di profumi. Le avrebbe dato quella luce che un po’ mancava, perché le nuvole passeggiavano per un cielo imbronciato che, tuttavia, si manteneva silenzioso e discreto e non osava piangere. Il tempo reggeva, qualche nuvoletta non avrebbe fermato la mia avanzata verso il verde. Fra una peonia, una margherita, una rosa, una petunia e un’orchidea, volevo assolutamente vedere uno dei giardini privati aperti per l’occasione, uno di quei posti che mi attirava come il miele un un orso, un miele dolce e profumato. Quel giardino m’incuriosiva, in tanti anni non ero riuscita mai a entrarvi. Dovevo vederlo, ora. Parlo del bellissimo giardino di palazzo Scroffa, in via Terranuova, che nel week end sarebbe stato aperto al pubblico per una mostra di quadri di Ludovica Scroffa, una dei proprietari di quella meraviglia.

Il palazzo era stato edificato fra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500, come testimonia l’iscrizione di Giovanni Bellaja, datata 2 agosto 1503, rinvenuta nel sottotetto dell’edificio durante i lavori di ristrutturazione resisi necessari dal terremoto del 2012. Si estendeva da via Terranuova a via Vecchie, includendo abitazioni e scuderie. A metà del ‘600, parte del complesso fu acquistato dal conte Giuseppe Scroffa, trasferitosi da Vicenza. Alcuni studiosi di araldica ritengono che la famiglia derivasse dallo stesso ceppo degli Scrovegni di Padova. Quello che è certo è che un ramo di essa si trasferì a Ferrara nel XVII secolo, e qui, l’8 maggio 1677, un conte Giuseppe, con deliberazione del magistrato decemvirale, ottenne la cittadinanza ferrarese. Agli inizi del ‘900, la famiglia Scroffa divenne proprietaria dell’intero stabile di via Terranuova e ridisegnò il giardino nella configurazione attuale.
Qui si possono ammirare piante secolari, il Gingkobiloba e il folto Cercis Siliquastrum (o albero di Giuda), dal diametro di oltre 4 metri e dai fiori color rosa vivace, oltre che piante di ogni tipo, amorevolmente e attentamente curate dal proprietario, il conte Francesco. Rose, iris, glicini, sicomori, peonie, agapanti, nasturzi, tulipani, camelie, plumbago, orchidee e gardenie.
In questo posto magico, incontro sia Francesco che Ludovica, entrambi molto gentili e disponibili, come solo le persone dal cuore generoso sanno essere. Francesco cura personalmente questo giardino, che lui stesso definisce il giardino segreto. E questo mi fa tornare alla memoria uno dei miei libri preferiti, l’omonimo racconto di Frances Hodgson Burnett. Come non innamorarsi subito di questo posto…

Documentandomi un po’, scopro che i due fratelli sono i nipoti di Edoardo Scroffa, penultimo Conte di Pentolina, borgo medievale a sud-ovest di Siena. In effetti, Ludovica, con la quale mi sono intrattenuta a chiacchierare nel mezzo di quel giardino magnifico, mi ha parlato di Pentolina, e di quando, da piccola, con la nonna, aveva imparato a dipingere la natura in quella tenuta estesa della campagna toscana. Nel tono della sua voce e nei suoi occhi, ho percepito la forza di quei colori e di quei ricordi. Me la sono immaginata giovane, bella, serena e tenace, intenta a dipingere i suoi fiori con la leggerezza dei suoi pensieri e il vento fra i lunghi capelli chiari. L’ho vista correre fra le colline sinuose, alla ricerca di un fiore prezioso da pressare per riprodurlo fedelmente qualche settimana dopo. Sì, perché la tecnica di Ludovica, oggi, parte proprio dalle foglie e dai fiori pressati, colorati nella parte posteriore e appoggiati delicatamente sulla tela, per lasciare un’impronta reale ma arricchita da una fantasia molto personale. Quasi una traccia leggera che vuole lasciare un ricordo di sé che può, però, variare le sensazioni dello spettatore, perché lui saprà cogliere le proprie sfumature e tracce, quelle a lui più congeniali. I quadri che Ludovica Scroffa espone nel suo giardino ferrarese, un’artista che vive tra la città estense e Firenze, sono immersi in esso, quasi a perdersi con esso. Infinitamente.

Quando si varca la soglia dell’imponente portone, si è affascinati da colonne, antichi porticati e lanterne che accolgono il visitatore e lo introducono in un mondo incantato.

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Giardino di palazzo Scroffa – Foto FeDetails

L’esplosione di colori è immediata, colpisce subito il violetto, e gli alberi imponenti che guidano verso un angolo nascosto. Rose rosse ci attraggono, quello che meraviglie è che vicino ad esse, piantine di pomodori fanno capolino quasi a volerci dire che il rosso è sempre rosso, poco importa da dove arriva. Ludovica, mentre mi parla, mi offre delle fragole (e questo mi riporta ancora al colore rosso, un gesto gentile e spontaneo che mi piace davvero tantissimo). In una bella corrispondenza di sensazioni e dolce armonia, mi confessa di avere iniziato a dipingere con la voglia di portare la natura nelle case, lei che è natura pura nelle curve di pennellate delicate che disegnano ombre di storie felici. Anche la sua piccola pronipote pare avere ereditato quella passione per la pittura, e per mano, così come avevano fatto con lei, passeggiano per il giardino fiorito, in cerca d’ispirazione. Un’ispirazione che arriva a chiunque voglia entrare in quella favola. Su un tavolino di una delle sale che si affacciano sul giardino, vi è un libro per lasciare firme e commenti. Mi sono permessa di annotare una sola cosa: “Un angolo di paradiso, dove un angelo dipinge”. Questo è, se vi pare.

Galleria fotografica a cura di Simonetta Sandri.

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L’APPUNTAMENTO
Ri-scossa: Ferrara a tre anni dal terremoto, fra ricostruzione e ripensamenti

A tre anni dal sisma che ha squassato le nostre vite, ci interroghiamo sul presente e il futuro della città. Stanno arrivando i finanziamenti per il ripristino degli edifici pubblici danneggiati e l’occasione è propizia a cittadini e amministratori per valutare le linee di intervento in funzione di ciò che Ferrara vorrà essere nei prossimi anni: spazi e luoghi, laddove è possibile, non vanno semplicemente ripristinati, ma concepiti e plasmati in coerenza con un progetto di sviluppo organico.
Con l’ausilio di esperti, lunedì 18 maggio alle 17 in biblioteca Ariostea, nell’ambito del ciclo “Chiavi di lettura: opinioni a confronto sull’attualità“, organizzato da Ferraraitalia, faremo la radiografia dello stato del patrimonio artistico e architettonico, valuteremo le oscillazioni dei flussi turistici e sentiremo il racconto di chi ancora è costretto a vivere fuori casa.

9 maggio festa dell’Europa: “Noi generazione Erasmus ci sentiamo cittadini europei”

Alzi la mano chi sa che sabato 9 maggio si celebra la Festa dell’Europa.
Ed ora alzi la mano chi festeggerà…
L’identità europea appartiene a pochi, tanti sono invece quelli che vorrebbero disfarsene. L’Unione Europea non piace perché secondo molti l’Euro ci ha portati alla crisi, le regole comunitarie di mercato ci stanno soffocando, le decisioni che vengono prese, vanno sempre a vantaggio dei più forti. Però è anche vero che la Comunità eroga preziosi finanziamenti attraverso i bandi, gli standard ambientali europei ci hanno indotti a essere più attenti all’ecologia, e la libera circolazione ha reso possibili nuove vite per tanti lavoratori, e fondamentali esperienze per molti studenti.
Eppure l’Europa è percepita con insofferenza, fastidio, quando non rabbia. Quando va bene siamo orgogliosi di essere italiani, ma europei, no.

E’ dunque con sorpresa e curiosità che abbiamo accolto la notizia che un gruppo di giovani quest’anno, per la prima volta, ha deciso di festeggiare l’Europa a Ferrara. Così abbiamo voluto saperne di più.

Chi siete?
Il progetto è stato ideato dall’Associazione Tangram, che è nata nel 2007 per sostenere il progetto di cooperazione decentrata “Dialoghi di Pace a Cipro”, che aveva l’obiettivo di migliorare le relazioni tra le comunità greco-cipriota e turco-cipriota in conflitto sull’Isola. Un vero laboratorio di culture e identità ai confini dell’Europa. Abbiamo poi continuato a occuparci di questi temi, oltre che di altre situazioni difficili ai margini d’Europa, ma allargando il taglio ad attività più prettamente culturali, secondo il principio che promuovere lo scambio culturale e la conoscenza reciproca sia un primo passaggio fondamentale per qualunque attività successiva di costruzione della fiducia.

Che cosa state organizzando?
Insieme a una rete di associazioni del territorio abbiamo organizzato l’evento “L’Unione delle culture”.
La giornata sarà divisa in due parti. La mattinata sarà dedicata a un confronto sul tema “Da dove vengono e dove vanno gli europei”, con interlocutori provenienti da settori e paesi variegati: dal genetista Guido Barbujani al regista e autore greco Michalis Traitsis, passando per l’archeologo Mario Cesarano, il pacifista Daniele Lugli e così via. Nel pomeriggio invece daremo vita al lato più divertente della mescolanza attiva di culture, con musiche, danze, libri e un aperitivo “europeo”.

Quando e dove?
L’iniziativa si terrà sabato (9 maggio, ndr), a partire dalle 10, alla Porta degli Angeli. Il tutto è stato infatti organizzato in collaborazione con l’Associazione EVArt, che non solo ha offerto gli spazi ma ha contribuito attivamente alla sua realizzazione.

Perché avete pensato a questa iniziativa?
Il 9 maggio ricorre in tutta l’Unione Europea la Festa dell’Europa, in ricordo della cosiddetta Dichiarazione Schumann: il ministro degli Esteri francese che nel 1950 fece il primo discorso politico ufficiale sull’unione degli stati europei. Fino ad ora in queste occasioni, se qualcosa veniva fatto, era solo per occuparsi di questioni para-burocratiche su bandi, finanziamenti e concorsi (che è effettivamente come viene percepita l’UE oggi): noi abbiamo voluto dare agli aspetti culturali di questa Unione una possibilità di visibilità, che altrimenti normalmente manca.
Al di là di questo, per tanti di noi della cosiddetta generazione Erasmus, essere cittadini europei è semplicemente un dato di fatto: ad esempio io sono ferrarese e mia moglie è bulgaro-cipriota, abbiamo vissuto insieme in Inghilterra e l’inglese è la madrelingua di nostro figlio, insieme all’italiano e alle altre lingue che per lui è normale parlare come per i nostri nonni lo è sapere il dialetto e l’italiano. Insomma la vera risposta, per noi, è: perché no?

Qual è l’Europa che festeggiate?
Siamo partiti dal fatto che non solo questa giornata normalmente non si festeggia, ma anzi molti si chiedono che cosa c’è da festeggiare. L’Unione Europea è un soggetto ancora incompiuto e che ha fatto errori, ma il concetto stesso di Europa si presta a infinite interpretazioni. Abbiamo allora cercato, prima di tutto, di festeggiare e far incontrare le culture europee (chiaramente in senso inclusivo: prendendo l’Europa come esempio di convivenza, non certo come nuova frontiera del nazionalismo) e di cogliere l’occasione per confrontarci su quanto effettivamente di buono ci sia nel progetto europeo. Insomma, capire insieme se e quale Europa sia da festeggiare è proprio l’obiettivo della Festa.

Cosa sperate che lasci la vostra iniziativa alla città?
Intanto speriamo che tutti si divertano. Inoltre sarà sicuramente un’opportunità per incontrare persone e culture che convivono nella nostra città. Non solo la maggior parte dei ferraresi non sa nemmeno quali comunità siano presenti, ma spesso molti cittadini europei che vivono qui non si conoscono neppure tra loro, in particolare quelli dai Paesi meno “mediterranei”! E per i bambini sarà sicuramente un’occasione per scoprire un mondo variegato a due passi da casa. Proprio per questo abbiamo previsto attività pensate su misura per loro: in fondo sono i bambini gli europei di domani.

Chi sarà coinvolto?
Oltre a Tangram ed Evart parteciperanno anche altre realtà.
Una è l’Associazione Encanto, che rappresenta l’unica comunità organizzata di cittadini europei residenti a Ferrara, quella spagnola, e organizzerà laboratori di lingue per bambini e parteciperà alle danze e allo scambio linguistico per i grandi.
Poi c’è l’Associazione Carpemira che presenterà un’edizione dedicata all’Europa dei laboratori di educazione musicale per bambini di Music Together.
E ancora sarà presente il Gruppo Danzinsieme con i suoi due gruppi dedicati rispettivamente alle danze irlandesi e a quelle folk dai Balcani e da tutta Europa.
Infine siamo contenti che abbiano aderito all’iniziativa due locali ferraresi veramente europei: il ristorante Agapimu e la gastronomia e pasticceria Acasa che offriranno rispettivamente, all’ora dell’aperitivo, specialità dalla Grecia e dalla Romania.

Durante l’iniziativa sarà anche possibile visitare la mostra “Ritorno a Babele” di Sima Shafti e Amir Sharifpour, di cui abbiamo parlato qui [leggi].

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Logo della Festa dell’Europa 2015
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La Porta degli Angeli (foto di Evart)

“Il diritto di scegliere e vivere per i propri valori”. Quel professore che ci ha aiutato a crescere

Si sta modificando l’approccio degli studenti all’università. E’ cambiata l’offerta, è cambiata la società, è cambiata la scuola. Molti indirizzi nuovi, classici e scientifici, poche garanzie di lavoro per il futuro. Anzi molti master che promettono grandi specializzazioni, ma che a elevato prezzo sembrano soddisfare più le richieste di mercato che non quelle di lavoro.
Li vedo in aula questi ragazzi: non hanno le idee chiare, non hanno un sogno da inseguire, non hanno progetti. Ascoltano e prendono appunti, sì perché nonostante siano nativi digitali usano i block notes e le penne a molti colori. Sanno tutto di informatica e di telefonini, ma in aula sono tradizionali. Se a loro viene proposto di leggere dei libri cercano i più sottili, meglio se in fotocopia. Leggono per dovere, non per piacere. Considerano il tirocinio un atto dovuto e non un’occasione per imparare. Non sanno cosa scegliere per le loro tesi, non hanno una impostazione logica di analisi e di sintesi; forse però non è colpa loro.

Eppure ho incontrato molti bravi professori che non solo conoscono la materia che insegnano, ma spesso sanno anche trasmettere il valore di ciò che spiegano. I ragazzi frequentano, ascoltano in silenzio, non dibattono; sono timidi? Non credo. Eppure si vede nei loro occhi la voglia di sapere, hanno dentro di sé grandi valori per una vita migliore. Io spero che siano dei portatori sani di miglioramento.

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Il professor Maurizio Rompani

Ritengo che il pensiero del professor Maurizio Rompani, scomparso prematuramente poco più di due anni fa, possa rappresentare il migliore spunto di riflessione:

“Canto notturno di uno neolaureato in comunicazione errante d’Italia. 25 marzo 2011 alle ore 14.23.
Ok ragazzi adesso è andata, vi siete laureati. E’ sempre un po’ triste quando si finisce una pagina della propria vita e bisogna voltarne un’altra, tutta ancora da scrivere ma questa è la vera vita, un insieme di pagine da sfogliare e su cui riflettere prima di affrontare le successive. Avete tutti preso dei voti, belli e meno belli, certo il risultato finale è stato diverso per ciascuno di voi ma questo è un anticipo di ciò che vi capiterà nella vita: raccogliere ciò che si è seminato. No, non parlo della meritocrazia: quella è solo una utopia di cui vi parleranno spesso, ma che si rivelerà presto per quella che è: una illusione. Il motivo? Semplice, molti di quelli che ve ne parleranno, soprattutto se ai piani alti, anche se non tutti per fortuna, non devono certo la loro posizione ai propri meriti. Certo vi siete laureati in un corso di laurea inerente la Comunicazione e qualcuna (molto in alto) ha detto che la vostra laurea non vale niente. Non fateci caso, imparate ad essere superiori a certe persone, anche perché ne incontrerete tante nella vostra vita. Una carica gran parte delle volte non è risultato di una cultura ma di una tessera, di esempi ne avete sotto gli occhi quotidianamente.
Comunque la verità è che una laurea vale solo in base al valore di chi l’ha ottenuta: si può non valere niente pur essendo medico, avvocato, ingegnere, commercialista. L’unica vostra colpa (sic!) è quella di aver ottenuto, con i vostri sacrifici e quelli dei vostri genitori, una laurea nuova, senza un retroterra culturale alle spalle. Bene, cominciate a costruirlo voi e automaticamente sarete superiori a chi questo retroterra l’ha solo trovato, sfruttato e, in molti casi, rovinato facendone il giardino di casa sua. Adesso dottori tocca a voi: qualcosa spero abbiate imparato. Cosa? Di vivere e combattere sempre per i vostri valori. Cercate di vincere, piuttosto perdete ma non pareggiate mai. Il pareggio è la culla di quella ipocrisia che permette a tanti mediocri di sentirsi importanti. L’Italia moderna, non quella dei padri fondatori e costituenti, ha sempre considerato il pareggio il risultato più bello e tutti abbiamo sotto gli occhi cosa siamo diventati: la patta dei furbi.
Siate diversi, costruitevi voi la vostra vita, createvi le definizioni che saranno alla base della vostra vita, non fatevele mai costruire da chi usa le definizioni per i propri scopi, vivete i vostri i sentimenti, gli amori, le amicizie, i lavori e anche i dolori ma non perdete mai la vostra dignità e urlate in faccia a tutti il vostro diritto a scegliere. Non fatevi mai costruire dagli altri la vostra vita.
Avete fatto un percorso assieme ai vostri professori, i migliori di questi vi avranno detto, salutandovi, che hanno imparato molto da voi come da ogni studente che hanno incrociato, si augureranno non di avervi insegnato qualcosa ma di avervi fatto capire quanto valete. Insomma vi saranno stati utili, non indispensabili.
Una studentessa, Silvia, ha scritto queste bellissime parole ad un suo docente ‘Una persona che per noi studenti ha dimostrato di ESSERCI, con le sue critiche costruttive, i suoi interrogativi posti per scuoterci e all’occorrenza con i suoi consigli amichevoli; che ci ha dato la possibilità di esprimerci secondo le nostre attitudini, sorvolando le nostre carenze spesso colmate con il dono della sua esperienza, che ha creduto in NOI mostrandoci come la profondità sia in tutte le cose, basta che qualcuno ti prenda per mano e a volte ti insegni a vederla. Grazie per averci fatto scegliere di essere noi stessi’. Certo quel docente in Italia non diventerà mai ministro, ma sicuramente riceve molto di più.
Ragazzi tocca a voi cambiare, non è questione di età. Fatelo assieme a tutti coloro che, giovani e vecchi, credono che il futuro sia uno scenario tutto da costruire e non una proprietà da difendere. Non fatevi irretire da chi vi spinge verso il conflitto generazionale, ricordatevi che tutte le grandi civiltà sono cresciute grazie alla collaborazione fra le generazioni. Solo questa partecipazione è sinonimo di progresso e cultura. La nostra generazione ci ha provato e ha fallito. Non è vero che non ci sia riuscita, ha fallito perché non ha voluto vincere. Si è accontentata del pareggio, affidandosi a coloro che il cambiamento lo volevano solo a parole mentre in realtà cercavano solo il proprio interesse e guadagno. Ha fallito perché ha pensato che il cambiamento fosse più facile ottenerlo stando seduti sul divano della casa di Cortina o Capalbio.
Non fate il nostro errore: qualunque sia il vostro ruolo state in mezzo alla gente e ascoltate i loro problemi, partecipate con loro, vivete con loro e soprattutto vivete i loro problemi, diventate esempio e solo così diventerete dei capi, dei leader. Autorità è il modo di guidare degli incapaci, autorevolezza quello dei grandi.
Adesso incontrerete tante persone che, credendosi intelligenti, useranno solo il pronome io, mai il tu o il noi. Tocca a voi rifiutarli e, se potete e volete, diventare il granello di sabbia nell’ingranaggio dell’apparire e del nulla in cui vogliono farci vivere. Un granello di sabbia è poco, tanti sono una tempesta di sabbia e quella fa male e paura. Auguri, ne avrete bisogno ma per favore cercate di farcela. Fatelo per quelli che come me non sopportano più il mondo che li ha avvolti e da cui non riescono più ad uscire.” [Maurizio Rompani]

Vorrei essere stato io a scrivere questi pensieri, vorrei essere più giovane per potere prendere parte a questo progetto di miglioramento, ma conosco professori più giovani che hanno le competenze e le sensibilità per fare crescere questi ragazzi.

“La buona scuola siamo noi”. Il fotoracconto della protesta degli insegnanti contro il governo

“No alla buona scuola di Renzi”. Erano più di trecento i partecipanti alla manifestazione indetta per protestare contro il disegno di legge predisposto dal governo per stabilire le nuove regole che disciplineranno l’istruzione pubblica. Il flash mob si è tenuto in piazza in occasione dello sciopero generale di martedì. Sul Listone erano presenti soprattutto insegnanti. Sui loro striscioni e palloncini un’affermazione: “La buona scuola siamo noi”.

Ecco il racconto per immagini del fotoreporter Luca Pasqualini.

Il museo vivo della conoscenza

Sono piccoli gioielli, creati da maestri artigiani a partire dalla fine del’400, e poi diventati oggetti di moda e di collezioni-culto nel corso dell’800. Poi basta; c’è stato un lungo oblio. Adesso queste opere a smalto su rame del Rinascimento italiano diventano oggetto di nuovi studi, catalogate per la prima volta in maniera sistematica grazie a una collaborazione internazionale. In campo il museo del Louvre e la fondazione Cini di Venezia. Con Ferrara – già culla del Rinascimento, dove li si modellava, acquistava e desiderava – che torna a puntare i riflettori su questi piccoli capolavori di artigianato artistico. Il salone del Restauro, dal 6 al 9 maggio a Ferrara Fiera, ospiterà infatti lo studio del progetto e il lancio di un nuovo museo che renda la conoscenza viva all’interno della comunità. Lo racconta per noi Letizia Caselli dell’Università Iuav, Istituto universitario di architettura di Venezia.
Appuntamento venerdì 8, ore 10,30-12,30 nella sala Diamanti, alla Fiera di Ferrara, via della Fiera 11.

di Letizia Caselli*
Con gli auspici del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo sarà promosso a partire da maggio 2015 il progetto internazionale “La città dei musei. Le città della ricerca”, con l’idea di un nuovo museo, il museo della viva conoscenza.
Un luogo in cui si incontrano e discutono le intelligenze di Paesi diversi legati da progetti comuni. In cui proprio le intelligenze, le persone sono il vero capitale sociale.
In un momento in cui si pone l’urgenza di riflettere assieme su un futuro possibile fatto non solo di grandi mostre e di consumo effimero, ponendo il giusto accento sullo status e il ruolo del “patrimonio comune” pressoché dimenticato o dominato dalla retorica della globalizzazione, nel più vasto contesto delle preoccupazioni politiche e culturali delle società e dei differenti Paesi.
Aspetti che dialogano con l’esigenza accademica “aperta” che cerca di ripensare i valori da tramandare, il canone scientifico da proporre proprio a partire dagli oggetti del patrimonio comune con una nuova e ritrovata funzione per l’istituto museale
Tutto questo mentre il mondo dei musei italiani ha risorse drasticamente ridotte, personale scientifico insufficiente, terziarizzazione spinta non solo dei servizi ma anche della produzione culturale drasticamente tagliata. Un mondo in cui le opere “giacciono”.
L’occasione del progetto internazionale dedicato al corpus mondiale degli smalti su rame detti veneziani del Rinascimento italiano promosso dal Département des Objets d’art del Musée du Louvre in collaborazione col Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France e la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, consente di mettere in campo sul territorio la presenza di uno dei più grandi musei del mondo insieme a istituzioni italiane di prestigio – presenza che può essere opportunamente indirizzata alla creazione di ulteriori scambi e progetti – dato il percorso già tracciato ad opera solo delle singole volontà e soprattutto dagli stessi temi e metodi di ricerca innovativi proposti ad ampio raggio, in chiave risolutamente interdisciplinare.
Testimonianza di squisita raffinatezza nel più ampio contesto della produzione culturale e sociale del Rinascimento italiano, tali opere d’arte suscitano oggi una collaborazione di alto livello tra ricercatori francesi e italiani.
Si tratta di una produzione esclusiva e rara – ci sono pervenuti meno di trecento oggetti in rame smaltato – tradizionalmente riferita a Venezia da Émile Molinier già nel 1891 e negli anni venti da Lionello Venturi, che l’ha immessa nell’asse della storiografia italiana.
Il metallo, che dà la forma all’oggetto, fa da supporto ad una decorazione riccamente colorata, formata da vetri bianchi, blu, viola o verdi, posti a strati su un fondo di vetro bianco opaco o su una miscela di colore bianco e traslucido. Il tutto è ornato da lumeggiature in rosso e turchese e la doratura assume un ruolo molto importante in questa decorazione caratterizzata da un fantasioso repertorio floreale e vegetale.
Ammirati e collezionati nell’Ottocento – periodo in cui si formarono le principali collezioni europee –, questi oggetti, la cui origine risale alla fine del Quattrocento, furono poi dimenticati.
La maggioranza dei pezzi, presenti nei principali musei e collezioni del mondo, è formata da servizi composti principalmente da coppe a volte con coperchio, piatti, bacili, saliere, brocche e fiaschette. Altre tipologie includono cofanetti, candelabri e uno specchio mentre alcune paci, ampolline e reliquari attestano anche un uso religioso.
Mai catalogati e pressoché inediti sono stati studiati scientificamente, con gli orientamenti della ricerca ora rivolti a studiare la datazione, a impostare i criteri della la cronologia, delle forme e della decorazione ripensando la questione dei luoghi o del luogo di produzione, con il ruolo di Venezia da approfondire e indagare.
Lavoro proposto per la prima volta al grande pubblico italiano insieme all’aspetto tecnico e materico che caratterizza la preziosa tipologia artistica.
Un’esperienza forte questa della ricerca sugli smalti detti veneziani, che pone alla comunità scientifica internazionale, pur senza alcuna sponsorship, la necessità e l’urgenza di porre la cultura e la conoscenza – e al massimo grado – al centro dei grandi processi di trasformazione del nostro tempo.
Si tratta di cogliere la felice ma piccola circostanza di un movimento “vivo” e nuovo di studio tra Italia e Francia, di intrecci di alto e vario livello, per lanciare e discutere un modello di sviluppo a scala più grande insieme a una contaminazione positiva e a una visione costruttiva del futuro.
Visione in cui istituzioni, università e musei devono innanzi tutto formarsi e formare per poter affrontare una realtà in cui sono richieste figure diversamente tornite da quelle di oggi, in cui vanno declinati e focalizzati nodi specifici di ricerca poi condivisi tra Paesi diversi, in allineamento con le tendenze che si stanno affermando nelle principali città europee anche in funzione di finanziamenti e progetti concreti.
Dimensioni infine che andranno ricercate e individuate singolarmente – da ognuno – per essere poi conosciute, elaborate, trasmesse in una prospettiva culturale evoluta e poste all’intera collettività sociale e istituzionale.
Una città dei musei dunque non separati dalla vita normale di tutti i giorni – “musealizzati” e “tombificati” – ma musei come elemento dinamico, essenziale del tessuto urbano animato da un movimento d’insieme alla scoperta della sua propulsione conoscitiva.

* Letizia Caselli è ricercatrice dell’Università Iuav

Programma Seminario di studio

VENEZIA E PARIGI. GLI SMALTI DIPINTI SU RAME DETTI VENEZIANI DEL RINASCIMENTO ITALIANO
MUSEI E RICERCA INTERDISCIPLINARE. UNA NUOVA ALBA DEL PATRIMONIO CULTURALE

Lancio del progetto internazionale
“La città dei musei. Le città della ricerca”
Ferrara, Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali XXI edizione
Venerdì 8 maggio 2015
Sala Diamanti – Padiglione 5
Ore 10.30-12.30

Indirizzi di saluto

Alto rappresentante del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo

Introduce e coordina Letizia Caselli, responsabile scientifico del progetto internazionale “La città dei musei. Le città della ricerca”

Françoise Barbe, Le corpus mondial des émaux peints sur cuivre dits vénitiens de la Renaissance italienne, conservatrice, Département des Objets d’Art, Musée du Louvre, Paris

Béatrice Beillard, Les altérations des émaux avec une approche détaillée sur les émaux dits vénitiens du Musée du Louvre, restauratrice al Musée du Louvre, Paris

Discussione

Introduce e coordina Ileana Chiappini di Sorio, presidente onorario Amici dei Musei e Monumenti Veneziani e Università Ca’ Foscari di Venezia

Prolusione di Tommaso Montanari, Università degli Studi di Napoli Federico II
Musei: luoghi di pensiero o di intrattenimento?

Discussione e conclusioni

Interviene Giovanni Alliata di Montereale, nipote di Vittorio Cini

Servizio di traduzione simultanea

“Alimentarsi di beni culturali, energia per il cervello”. Aperta la ‘cucina’ al salone del Restauro

“Nutrire il pianeta, energia per la vita”, questo è lo slogan di Expo 2015 che ha appena aperto le proprie porte a Milano. Marcello Balzani – professore del dipartimento di Architettura dell’ateneo ferrarese e responsabile scientifico del Teknehub di Ferrara – ha coniato per noi lo slogan “Alimentarsi di beni culturali, energia per il cervello”: ecco così spiegato il patrocinio di Expo alla XXII edizione di “Restauro. Salone dell’arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali”, che si svolge a Ferrara Fiere fino al 9 maggio.

salone-restauro“Centocinquantaquattro fra convegni, seminari e incontri in 4 giorni”, “uno dei rarissimi casi di connubio tra parte espositiva e parte convegnistica”, così descrive “Restauro” l’architetto Carlo Amadori di Acropoli srl, il capo progetto della manifestazione. Quest’anno il consueto appuntamento con il mondo del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali a Ferrara apre le proprie porte al pubblico più tardi rispetto al solito proprio in ragione dell’importante riconoscimento arrivato dalla manifestazione milanese: “Abbiamo colto questa occasione per poter avere un aumento di internazionalizzazione”, spiega Amadori.

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Lo scalone monumentale in stato di degrado del convento di Santa Maria in Vado

Il patrocinio di Expo si affianca così al sostegno che “Restauro” fin dall’inizio riceve dal Mibact, anzi quest’anno l’economia della cultura, da sempre “il nostro orientamento e il nostro programma, viene a coincidere con la linea assunta dal ministero per i Beni e le attività culturali e il turismo”, sottolinea Amadori. Proprio la riforma attuata dal Mibact troverà a “Restauro” numerosi momenti di approfondimento. Altro tema molto sentito, questa volta per quanto riguarda l’Emilia Romagna, è la ricostruzione post-sisma, a cui “Restauro” rivolge fin dal 2013 una doverosa attenzione. “Stiamo entrando nella fase di ricostruzione e rivitalizzazione dei centri storici colpiti – ci spiega l’architetto – e “Restauro” è l’occasione per fare il punto della situazione soprattutto su quest’ultimo tema che è fondamentale, dopo la prima fase della messa in sicurezza”. Per questo “ci sarà un padiglione intero dedicato al post-terremoto con una mostra specifica chiamata “Terreferme. Emilia 2012: il patrimonio culturale oltre il sisma”, curata dal segretariato regionale per l’Emilia-Romagna: la narrazione di ciò che è stato fatto e di come sono state rese più efficienti le procedure di intervento per la salvaguardia del patrimonio culturale, ma soprattutto un racconto rivolto al futuro perché la condivisione della conoscenza è lo strumento più forte per la tutela del patrimonio culturale.
Al termine della nostra conversazione non potevamo non chiedere all’architetto perché all’inizio di questa avventura, che ha portato il Salone del restauro a diventare un’eccellenza a livello nazionale e internazionale, la scelta è caduta su Ferrara. “Il primo anno tutto è partito da un’iniziativa coordinata da me e dall’Istituto dei beni culturali della Regione Emilia Romagna. Abbiamo chiesto alla Regione quale poteva essere la sede ideale per il tema che volevamo trattare e da subito l’indicazione è stata Ferrara, che in quel periodo aveva tra l’altro appena terminato il nuovo quartiere fieristico su progetto di Vittorio Gregotti. Da allora siamo rimasti anche in forza dell’importanza via via data dalla città al ruolo dei beni culturali: Ferrara è stata dichiarata patrimonio dell’Unesco non solo per il centro storico, ma anche per il territorio circostante e ha un’attività culturale di tutto rispetto. Non si può poi dimenticare l’importante presenza della facoltà di Architettura e del Teknehub, che sono partner fondamentali della manifestazione”.
Proprio con il professor Balzani, responsabile scientifico del Teknehub, abbiamo parlato di due degli appuntamenti più importanti di questa edizione: Smart museum e Inception, candidato in uno dei rami di finanziamento del programma quadro europeo Horizon 2020 e ammesso al finanziamento dalla Commissione.

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Restauro conservativo della ‘Madonna del cardellino’ di Raffaello Sanzio (150)

Partendo dalla riforma del ministero, “che sta mettendo al centro il tema del museo e una politica di riconfigurazione dei ruoli museali, abbiamo individuato questo tema trasversale dello Smart museum: “una sorta di logo per varie iniziative per comprendere la problematica museo a 360°, non solo a livello nazionale, ma anche europeo e internazionale”. Uno degli aspetti più interessanti, secondo quanto ci spiega Balzani, è che la prospettiva si allarga al sistema museo: “dalla politica conservativa alle possibilità di sviluppo nel e per il territorio”. Il tutto con l’obiettivo di uscire dal luogo comune per molti italiani che il museo sia solamente “un edificio”, una specie di “zoo dei beni culturali”, dove si ammirano per esempio quadri e pale d’altare fuori dalla loro collocazione originale e quindi, per forza di cose, risemantizzati: il museo è “un’idea”, che entra in relazione “con lo spazio, con il territorio” e, non ultimo, con la comunità e con essi può e deve trovare “intersezioni”, per esempio con il turismo e con le industrie dell’artigianato artistico, mettendo insomma “a sistema lo straordinario patrimonio artistico e culturale diffuso italiano”.

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Marcello Balzani

A questo punto Balzani rientra nel suo ruolo di professore e ci domanda: “Perché l’Italia ha un patrimonio culturale così imponente?” “La risposta che non si dà mai, ma anche la più indiscutibile, è che li abbiamo conservati e protetti, altrove li hanno abbandonati, persi, distrutti. L’Italia da almeno 200 anni percorre la strada della conservazione”, ora la nuova grande scommessa è “mettersi insieme agli altri, uscire dai confini italiani e sforzarsi di creare rapporti internazionali. Il Salone del restauro di Ferrara rappresenta un’occasione in questo senso perché crediamo che non si può essere bravi da soli, si è più bravi insieme agli altri”.
Arriviamo così a Inception. “Inclusive cultural heritage in Europe through 3D semantic model”, questo è il suo nome per esteso, si è classificato primo su 87 partecipanti alla call di Horizon 2020 per le tecnologie applicate ai beni culturali. Verrà sviluppato da un consorzio di quattordici partner provenienti da dieci paesi europei, guidato però dal Dipartimento di architettura dell’Università di Ferrara. Per questo, per Balzani, è l’“occasione per dire che gli italiani sono bravi, perché vincere una call europea non è una cosa banale: abbiamo lavorato intensamente e fatto un progetto di grande serietà. Il messaggio positivo da lanciare è: mettendoci insieme e facendo squadra possiamo vincere”.

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Elaborazione in 3D della Piazza dei Miracoli a Pisa

Tra le principali innovazioni proposte: le metodologie innovative per la realizzazione di modelli 3D e lo sviluppo di una piattaforma open standard per contenere, implementare e condividere i modelli digitali. Il progetto risponde al tema dei “contenuti” che si trovano sul web a proposito dei beni culturali, che “spesso sulla rete sono banalizzati e diventano strumenti di consumo per poi fare altro”. Per quanto riguarda la tecnologia con Inception “abbiamo spostato l’attenzione dall’idea del bene culturale come oggetto allo spazio in cui si ritrovano le persone: ci siamo detti analizziamo anche lo spazio dei beni culturali e lo spazio come bene culturale in se stesso. Pensandoci bene è un’interpretazione molto italiana: l’Italia è piena di grandi spazi d’arte non solo di grandi opere d’arte, viviamo in centri storici e vicino ad aree archeologiche, siamo sempre immersi in una qualità del paesaggio che unica al mondo”.
Tutto ciò avendo sempre in mente “un approccio inclusivo ai beni culturali”: “quando i cittadini si avvicinano alle piattaforme web affrontando il tema dei beni culturali si devono ritrovare”, in altre parole bisogna superare la dinamica dualistica banalizzazione-iperspecializzazione. “Dobbiamo trovare i significati corretti per definire i contenuti dei beni culturali”: “la cultura è sempre una scelta che non deve essere contaminata dalla superficializzazione del sistema attuale dell’on-line”. “Inception – conclude Balzani – può essere una grande opportunità per far emergere questi temi e risolverli attraverso la tecnologia stessa, orientata finalmente a dare un significato e un contenuto” che devono essere spiegati, capiti, condivisi e utilizzati, uscendo dalla logica degli effetti speciali e da “un rapporto di consumo a basso livello di interazione formativa”.
A “Restauro” saranno presentati, come da tradizione, numerosi casi di restauri eccellenti: lo stato di avanzamento del progetto di risanamento della Domus Aurea sotto la guida della Soprintendenza archeologica di Roma e il progetto di illuminazione a led della Cappella Sistina a cura del professor Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, sono solo due esempi. A questi bisogna aggiungere la delegazione scientifica costituita in collaborazione con il Louvre di Parigi, che porterà a Ferrara la presentazione ufficiale del progetto internazionaleLa città dei musei. Le città della ricerca”, promosso dal Mibact e coordinato da Letizia Caselli. Infine l’importante appuntamento con Icom (International council of museums) in vista della 24° Conferenza generale, che si terrà a Milano nel luglio 2016 e tratterà il tema del rapporto tra musei e paesaggi culturali.
Proprio in ragione della grande attenzione riservata in questa edizione 2015 al tema del museo e del suo rapporto con il territorio e la comunità, a “Restauro” non poteva mancare l’Anmli – Associazione nazionale dei musei di enti locali e Istituzionali. Sono circa tremila in tutta Italia, molto diversificati fra loro, “rappresentano l’ossatura del sistema museale italiano”, come sottolinea Anna Maria Visser, presidente dell’Associazione fino al 2006, e in ragione di questa loro diffusione capillare “hanno un fortissimo legame con il territorio, le città e le comunità, di cui sono espressione e specchio”. In altre parole il loro è un “ruolo importante, ma allo stesso tempo delicato e mutevole perché svolgono una funzione di cerniera fra diversi aspetti e istanze”.
Il convegno AnmliMuseo e comunità”, che si svolgerà nel pomeriggio di venerdì 8 maggio, arriva in un “momento molto delicato di trasformazione perché la riforma del Mibact ormai sta per partire. “Ponendo al centro i musei, anche con i poli museali regionali – spiega la professoressa Visser – offre la possibilità di integrare le realtà museali sul territorio con un mandato forte per una gestione sinergica”: insomma “può essere la chiave di volta per cercare di porre fine alla separatezza che è esistita fino ad ora”.

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Anna Maria Visser

Lo scopo dei vari interventi sarà fornire spunti di riflessione sulla partecipazione degli utenti, soprattutto quelli più prossimi ai musei, “non solo in termini di audience e turismo, ma in un’ottica più ampia di fruizione critica”. Verranno anche portati esempi concreti di musei chesono usciti dalle proprie mura, andando a cercare il territorio”: la loro “capacità di innovazione” risiede nella ricerca di “fruizione partecipata e costruzione di nuovi significati e appartenenze”. “In fondo non è che il ritorno al “museo civico” nel senso proprio di questa espressione”, conclude Anna Maria Visser.
Come avrete capito a “Restauro” il cibo per la mente a disposizione è veramente molto, al pubblico rimane la scelta se assaggiare un po’ di tutto o scegliere oculatamente alcune prelibatezze.

Il programma della manifestazione in continuo aggiornamento è consultabile al sito [vedi].

‘World fair trade week’: all’anti-Expo con ‘AltraQualità’ Ferrara è nel mondo del commercio etico

Tra due settimane inizia la World fair trade week, il ‘contraltare’ di Expo 2015 Milano. Dal 23 al 31 maggio infatti Milano diventerà capitale mondiale del commercio equo con 300 delegati da tutto il mondo, 240 espositori, oltre 100 ricercatori. A promuovere l’evento mondiale sono Wfto – World fair trade organization (Organizzazione mondiale del commercio equo), il suo corrispondente italiano Agices – Equo Garantito (Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale), in collaborazione con il Comune di Milano. Ma tra gli effettivi ideatori, promotori e organizzatori anche una delle maggiori cooperative di commercio equo italiane, AltraQualità di Ferrara. Il presidente David Cambioli ci racconta come è nato e come si svolgerà questo evento di portata internazionale che ha una forte matrice ferrarese.

E’ un caso che la Settimana del commercio equo mondiale sia stata organizzata proprio in concomitanza con Expo o è stata una scelta?

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World fair trade week, Rio da Janeiro 2013

Non è un caso, all’ultima edizione della World fair trade week, nel 2013 a Rio de Janeiro, noi come Agices abbiamo proposto di organizzare l’edizione del 2015 in Italia, affiancandola ad Expo che per i temi affrontati, il diritto al cibo e alla sovranità alimentare, si sposava particolarmente bene con il commercio equo e solidale, noi da sempre ci occupiamo di queste tematiche, anche se da una prospettiva piuttosto diversa. La nostra proposta è stata accettata e anche il periodo era perfetto perché la World fair trade week si svolge abitualmente tra maggio e luglio. Abbiamo quindi coinvolto il Comune di Milano che ha mandato un suo funzionario già a Rio de Janeiro, siglando di fatto il passaggio ufficiale delle consegne. Da allora è partita la nostra macchina organizzativa e la World fair trade week 2015 [vedi] rischia di diventare l’evento più importante che ci sia mai stato al mondo sul commercio equo.

In cosa consiste l’evento e cosa potremo trovare alla World fair trade week?

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Calendario eventi della Settimana mondiale del commercio equo e solidale

Oltre alla consueta Conferenza biennale del Wfto (24/27 maggio) [vedi] a cui parteciperanno oltre 300 delegati delle organizzazioni di commercio equo provenienti da ogni parte del mondo, abbiamo organizzato altri eventi collaterali di grande interesse: il “Fair & ethical fashion show” (spazio ex Ansaldo di zona Tortona, 22/24 Maggio) [vedi], tre giorni di esposizione dove il mondo della moda coniugherà tessuti, stili, tendenze con la responsabilità della filiera produttiva; la “Fair cuisine” (evento diffuso, 16/31 maggio) [vedi], settimana in cui una settantina dei migliori ristoranti della città e non solo proporranno menù con prodotti equosolidali; poi la “Milano fair city” (Fabbrica del vapore, zona Garibaldi, 28/31 maggio) [vedi], che è l’evento centrale della manifestazione, prima fiera mondiale del commercio equo, con circa 240 espositori di cui 70 produttori provenienti da tutto il mondo, Africa, Asia, America latina (mai tanti produttori sono stati raggruppati insieme), organizzazioni di commercio equo e associazioni di economia sociale e solidale italiane e un nutrito programma culturale. Infine, un Simposio al Politecnico di Milano Bovisa (29/31 maggio) in cui interverranno professori e ricercatori da tutto il mondo che si confronteranno su tematiche relative al commercio equo [vedi].

In che termini ha contribuito AltraQualità nell’organizzazione dell’evento?

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Locandina dell’evento

Per quanto riguarda l’aspetto organizzativo siamo completamente coinvolti, perché siamo tra gli organizzatori della World Fair Trade Week 2015. Inoltre abbiamo proposto l’evento sulla moda etica, personalmente sono anche il responsabile dell’organizzazione del “Fair & ethical fashion show”. Per quanto riguarda iniziative particolari, assieme ai nostri partner di Scambi Sostenibili (centrale equosolidale di Palermo) e a ChocoFair (organizzazione che costruisce progetti di filiera equosolidale sul cacao), abbiamo organizzato un incontro per presentare un nuovo prodotto, la crema spalmabile “Sabrosita” realizzata in Italia da Nco Nuova cooperazione organizzata con il cacao prodotto dalla Cooperativa colombiana Asoprolan. Nco lavora su terreni confiscati alla criminalità organizzata nelle aree del casertano, mentre Asoprolan si occupa di convincere gli agricoltori ad abbandonare la coltivazione della coca, sostituendola con il cacao di elevata qualità.

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Nando Dalla Chiesa

All’incontro, oltre ai rappresentanti delle nostre cooperative, abbiamo invitato il presidente di Asoprolan, una delle responsabili colombiane di Unodoc, l’agenzia delle Nazioni unite che lotta contro il traffico di stupefacenti e che sostiene i produttori in questione, e Nando Dalla Chiesa, professore associato di Sociologia della criminalità organizzata e presidente onorario di Libera.

Quindi non solo commercio equo in senso stretto, ma etica, rispetto per l’ambiente, cooperazione e legalità…

Sì, abbiamo cercato di dare un taglio ampio per mostrare tutti gli aspetti cha possono contribuire a creare un’economia alternativa. Il focus della settimana consisterà nel rendere evidente l’impegno di cooperative, imprese ed organizzazioni che a vario titolo vincolano la propria attività produttiva e commerciale al perseguimento di una giustizia economica che rispetta persone e ambiente, contribuendo alla riduzione di povertà, esclusione sociale e dissesto ambientale.

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Il logo della Fiera mondiale della moda etica

Per quanto riguarda il “Fair & ethical fashion show” l’idea è stata quella di mettere insieme a Milano, capitale della moda in Italia e non solo, diverse esperienze di moda gestite con criteri etici, secondo diverse declinazioni. Questo per capire e mostrare qual è lo stato dell’arte, quali sono gli attori che ci lavorano e quelli che se ne stanno interessando, e stimolare la creazione di una rete di rapporti tra di essi. Come AltraQualità ci siamo sentiti di lavorare all’organizzazione di questa fiera perché promuovere un discorso di moda etica è uno dei nostri interessi principali: insieme ad Altromercato, siamo le sole cooperative in Italia a sviluppare collezioni di abbigliamento e accessori equosolidali. Come AltraQualità abbiamo creato un marchio di abbigliamento etico che si chiamaTrame di storie”[vedi] creato dalla nostra stilista Maria Cristina Bergamini [vedi]. In questo senso, Milano sarà una grande vetrina per noi operatori di moda etica dato che non abbiamo molte occasioni per farci conoscere e nemmeno grosse risorse da investire in piani di comunicazione e marketing del prodotto.

Il 24 aprile scorso si è svolto il Fashion Revolution Day [vedi], organizzato a livello mondiale in occasione dell’anniversario della strage di Rana Plaza. Il tema della moda etica è di estrema attualità.
E’ così, la nostra idea è sempre stata quella di far uscire la moda etica dall’ambito ristretto del commercio equo e coinvolgere tutti gli operatori della moda e dell’abbigliamento per mostrare loro che un abito può essere bello ed etico allo stesso tempo: sono ormai passati i tempi in cui l’abbigliamento etico era considerato un prodotto per cooperative e associazioni del settore; ora ci sono invece marchi che si sono specializzati e fanno prodotti di alta qualità sia dal punto di vista del design che dei tessuti.

In un certo senso quindi ogni azienda potrebbe fare moda etica, giusto?

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Modello di Yoj di Laura Strambi, marchio italiano che utilizza tessuti di produttori di commercio equo

Assolutamente sì, tutte le aziende di abbigliamento possono fare moda etica, anche le grandi firme se lo fanno con determinati criteri, come garantire una giusta retribuzione e ambienti di lavoro decenti, evitare il lavoro infantile, porre un’attenzione particolare al fattore ambientale perché, in pochi lo sanno, ma l’abbigliamento ad oggi è purtroppo il settore che genera il maggiore impatto negativo sull’ambiente, sia a livello di produzione (colori e tinte), sia a livello di coltivazione delle fibre (utilizzo enorme di acqua), sia a livello di rifiuti: negli ultimi quindici anni la quantità di rifiuti tessili è cresciuta in maniera esponenziale, milioni di tonnellate gli scarti prodotti ogni anno. Questo perché l’abbigliamento da una trentina d’anni funziona con l’idea dell’‘usa e getta’, con collezioni che cambiano molto spesso, inducendo la gente ad acquistare e buttare, comprando e indossando capi a buon mercato, che durano poco perché di qualità pessima, prodotti senza nessun rispetto per i lavoratori e per l’ambiente. E’ chiaro che seguendo criteri etici forse alcuni dovranno rinunciare a profitti enormi così come non si potranno più vendere magliette a pochi euro. Fare moda etica è ormai un’esigenza imprescindibile per tutti coloro che lavorano nel settore, perché la sensibilità sta crescendo a livello internazionale e ci sono sempre più persone che chiedono una particolare attenzione alle modalità di produzione.

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Maglie di Yoj di Laura Strambi, stilita di grandi marche

Per concludere, penso che moda etica non sia un settore o una nicchia, si tratta di moda tout court. Forse più che di moda etica dovremmo parlare di etica nella moda. Un abito di un grande stilista può essere etico se segue i criteri di cui sopra. Ad esempio, all’interno del “Fair & ethical fashion show” saranno esposti abiti disegnati e confezionati appositamente con i tessuti di produttori di commercio equo da una casa di moda che da anni lavora nell’ottica della sostenibilità, Yoj di Laura Strambi, una nota stilista milanese che ha lavorato per grandi firme. Questo è il futuro della moda che vogliamo indicare attraverso il Fair & ethical fashion show”.

Al ‘Wftw’ c’è anche la moda: “Etica ma non per forza etnica, rispettiamo persone e ambiente”

Con Fair and ethical fashion show”, dal 22 al 24 maggioMilano diventerà capitale mondiale della moda etica. Inserita nell’ambito della World fair trade week (23 al 31 maggio) [vedi], la manifestazione di respiro internazionale metterà insieme diversi attori che a vario titolo e che con diverse declinazioni lavorano nella moda con criteri e ideali etici. Quindi non solo cooperative di commercio equo e associazioni, ma anche aziende di abbigliamento e accessori che pongono una certa attenzione alle modalità di produzione. L’evento è promosso dal Wfto World fair trade organization (Organizzazione mondiale del commercio equo), da Agices equo garantito (Assemblea generale del commercio equo e solidale), in collaborazione con il Comune di Milano, e organizzato col supporto della cooperativa AltraQualità di Ferrara.

Maria Cristina Bergamini di AltraQualità, stilista di abbigliamento etico e creatrice delle collezioni “Trame di storie” ci guida alla scoperta della manifestazione.

E’ un’occasione unica per voi di AltraQualità che avete scommesso molto su questo versante del commercio equo…

art_2858_1_fair_and_ethicalQuesto di Milano per noi sarà un evento fondamentale per farci conoscere oltre il circuito delle botteghe del commercio equo, che sono il nostro canale preferenziale. Milano sarà per noi la seconda vetrina importante a livello internazionale, la prima fu nel 2009 quando partecipammo alla prima ed unica edizione dell’ “Ethical fashion show” organizzata durante la Settima della moda di Milano, sulla scia degli eventi che si tengono regolarmente a Parigi, Londra e Berlino. In queste capitali ogni anno si ritrovano numerosi stilisti, organizzazioni e aziende che lavorano nel settore della moda etica a livello internazionale; in Italia invece questi appuntamenti non avevano ancora preso piede e il caso del 2009 era rimasto isolato. Ma quest’anno si è prospettata l’occasione giusta per riproporre l’evento anche da noi, in occasione della World fair trade week [vedi]. I luoghi saranno gli stessi dell’alta moda (zona Tortona per intenderci) ma l’evento sarà dedicato interamente a chi nella moda si ispira a principi etici di produzione: quindi ci saranno le cooperative che fanno commercio equo come noi, ma anche le aziende che utilizzano cotone biologico, materiali naturali, riciclati e artigianali, o che pongono un’attenzione particolare al rispetto delle modalità di produzione e alla giusta retribuzione dei lavoratori.

Cosa troveremo all’Ethical fashion show?

Fair and ethical fashion show a Milano, ex Ansaldo
Fair and ethical fashion show a Milano, ex Ansaldo
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Ethical fashion show, evento annuale a Berlino

Produttori da diversi Paesi che presenteranno capi d’abbigliamento e accessori. Altra Qualità presenterà la collezione estiva che è appena uscita e che si può già trovare nelle botteghe e sul nostro sito e-commerce “Trame di storie. Ethical fashion store” [vedi], poi porteremo in visione il campionario della collezione autunno-inverno in cotone biologico, presentata la settimana scorsa. La cosa interessante è che le collezioni di vestiti e accessori saranno presentati insieme ai produttori stessi: Assisi Garments, dall’India, per gli abiti in cotone biologico, i colombiani di Sapia per la bigiotteria e le borse in camera d’aria e in pelle, e gli indiani di Conserve per le borse ecologiche prodotte con materiali di recupero. Oltre alle cooperative di commercio equo e ai produttori, come dicevo il quadro sarà molto più ampio e variegato. Tra i partecipanti avremo Cangiari (in dialetto calabrese ‘cambiare’), è il primo marchio di moda eco-etica di fascia alta in Italia; Laura Strambi di Yoj, una maison italiana totalmente etica, Laboratorio Lavgon, una realtà al femminile di moda etica, sartoria creativa e artigianale che si discosta dalle logiche del grande mercato della moda e Zharif Design, un progetto di moda etica che unisce tradizione e modernità, dall’Afghanistan. Sono poi in programma incontri e conferenze importanti, la proiezione di un documentario in prima europea sui problemi della modaThe true cost” (di Andrew Morgan, con Stella McCartney, Livia Firth, Vandana Shiva) un momento per riflettere partendo anche dal Fashion revolution day, l’evento del 24 aprile scorso organizzato a livello mondiale in occasione dell’anniversario della strage di Rana Plaza [vedi].

Alcuni capi della collezione autunno-inverno “Trame di storie”. Clicca le immagini per ingrandirle.

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Insieme ad Altromercato, siete le uniche cooperative di commercio equo etico a realizzare una linea di moda etica. Come mai questa scelta?

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Maria Cristina Bergamini con i modelli della nuova collezione

E’ vero, noi puntiamo molto sulla moda etica, è un filone al quale abbiamo scelto di dedicarci fin dall’avvio della cooperativa nel 2002, perché crediamo che un approccio etico verso la moda sia molto importante in termini di giustizia economica, di rispetto delle persone e dell’ambiente. Quello della moda e dell’abbigliamento in genere è uno dei settori al mondo che ha più occupati, se consideriamo tutta la filiera, e che ha un maggior impatto sulla vita delle persone e sull’ambiente. L’idea di vestirsi in modo etico è in crescita, anche in Italia; vestirsi in un modo che rispecchi l’attenzione ad un consumo diverso sta entrando nella mentalità della gente. Purtroppo ancora non ci conoscono in molti, è difficile per noi arrivare ad una clientela più vasta; proprio per questo nell’aprile del 2013 abbiamo creato “Trame di Storie. – Your Ethical Fashion Store” un sito di vendita on-line dei nostri capi d’abbigliamento e accessori, in modo da aprire un nuovo canale di vendita e raggiungere una più ampia clientela [vedi]. Il “Fair and ethical fashion show”, sarà invece un’occasione unica per farci conoscere dagli operatori del mondo della moda e stringere relazioni e contatti con altri operatori di questo settore.

Com’è fare la stilista di moda etica e in cosa consiste il tuo lavoro?

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Una dei capi in cotone biologico realizzato con il produttore indiano Assisi Garnments

Io sono geologa ma ho da sempre avuto la passione per il disegno e per la moda. Grazie ad AltraQualità (io sono una socia fondatrice della cooperativa) ho avuto modo e mi è stata data l’occasione di trasformare una passione in un lavoro. La mia sfida è stata fin dal principio quella di realizzare capi che potessero piacere ed essere indossati anche qui in Europa, perché fino a qualche anno fa abbigliamento etico significava il berretto e il maglione peruviano, il sari indiano, ossia capi tipici dei Paesi in via di sviluppo che venivano importati attraverso i canali del commercio equo. Noi invece facciamo un discorso di moda etica, realizzando modelli di design che rispecchino gusti e tendenze occidentali, disegnati da me ma realizzati dai produttori dei Paesi con cui collaboriamo, con i loro tessuti, i loro materiali e le loro straordinarie capacità.

Stilista al lavoro, alcuni momenti del processo di creazione. Clicca le immagini per ingrandirle.

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Il disegno
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I dettagli
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La scelta delle stoffe
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La scelta dei colori
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Selezione dei campioni
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I contatti con i produttori

Come avviene il coordinamento tra te che disegni i modelli e loro che confezionano i vestiti?
Il lavoro funziona così: io richiedo ai produttori un campionario di tessuti, stampe e ricami; seleziono il materiale e scelgo le stoffe; poi disegno i modelli e definisco i colori originali per la nuova collezione; dopodiché, insieme alla nostra sarta e modellista Cristina Bizzi facciamo i prototipi e sviluppiamo le taglie con tutti i cartamodelli, tenendo presente le modalità e le caratteristiche produttive dei nostri partner; infine inviamo il tutto ai produttori. Qui comincia il loro lavoro, quello di replicare le nostre creazioni usando le loro tecniche abituali. Poi passiamo alle fase delle verifiche e della selezione che è la parte più delicata. Una volta arrivato il campionario, organizziamo la presentazione della collezione alle botteghe del commercio equo, presso il nostro show room di Ferrara, prendiamo gli ordini e partiamo con la produzione. Anche durante quest’ultima fase, seguiamo a distanza i produttori passo per passo, in modo che non avvengano fraintendimenti su colore, taglie e dettagli. L’ultimo step è l’arrivo della merce in magazzino, lo smistamento degli ordini alle botteghe e la vendita on-line. Oltre a tutto questo, visitiamo annualmente i produttori in modo da verificare il lavoro fatto e pianificare quello a venire, oltre a verificare le condizioni etiche di produzione, cosa per noi prioritaria.

Quanto tempo comporta tutto questo lavoro di ideazione, sviluppo, spedizioni, verifiche, produzione e distribuzione?
Nove mesi, ogni collezione è un ‘parto’.

Quante botteghe partecipano alla presentazione delle collezioni che organizzate qui a Ferrara?
Partecipano tra le 15 e le 18 botteghe, ma poi noi inviamo tutto il materiale anche alle botteghe che non hanno potuto partecipare e alla fine abbiamo sempre prenotazioni da 25-35 punti vendita, in prevalenza nel nord Italia, con epicentro tra Bologna, Milano, Torino, Brescia e Genova.

Quanti capi realizzate a collezione e con quanti produttori dei Paesi in via di sviluppo lavorate?
In questo senso siamo progrediti moltissimo: la prima collezione estiva del 2003 contava solo sei capi sviluppati in due colori, mentre già da qualche anno arriviamo fino a cinquanta capi realizzati in cinque colori. All’inizio avevamo solo due produttori, poi siamo arrivati a 4 o 5 da India, Bangladesh, Nepal e Vietnam. Da sette anni realizziamo sia la collezione estiva che quella invernale. Produciamo solo collezioni per la donna, abbiamo fatto qualche tentativo con capi maschili ma non è il target adatto alle botteghe.

Con che tipo di tessuti vengono confezionati i vestiti?

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Campagna internazionale del ‘Fashion revolution day’, 24 aprile 2105, ‘Chi ha fatto i miei vestiti?’

Le collezioni invernali sono realizzate con cotone biologico dai nostri partner indiani di Assisi Garments; gli abiti estivi non sono biologici ma sempre realizzati con materiali di ottima qualità, naturali e tipici della zona in cui vengono prodotti, come per esempio l’endy cotton del Bangladesh, un tessuto meraviglioso composto da un 50% seta e un 50% cotone. I colori sono tutti Azo free garantiti, ossia non tossici. Non utilizziamo materiali sintetici.
Io cerco di scegliere sempre stoffe naturali e di qualità, fatte con telaio a mano piuttosto che realizzate con telaio elettrico, in modo da creare abiti veramente unici e il più possibile artigianali. Per lo stesso motivo richiedo colori particolari che i produttori producono in esclusiva per AltraQualità e inserisco dettagli ricamati a mano o stampe fatte con tecniche come il ‘block printing’ o la serigrafia manuale rielaborate secondo il nostro gusto.

Qual è il vostro target?
Quando realizzo le linee penso ai clienti delle botteghe di commercio equo e quindi ad un target ampissimo che varia molto in base ai gusti e all’età, da zona a zona, e anche dal tipo di capo che si preferisce indossare, un pantalone largo piuttosto che un fuseaux, un vestito aderente piuttosto che ampio. Cerco di creare abiti che possano essere indossati da più persone (i nostri clienti tipo stanno nella fascia d’età che va dai 30 ai 55 anni). A questo scopo faccio molta ricerca e studio le tendenze della moda ma poi elaboro e lavoro senza condizionamenti. In generale creo linee semplici e lavoro molto sul dettaglio che è quello che fa la differenza a che rende unico e originale il pezzo.

Come sono i prezzi dei vestiti che producete?

Fair trade fashion show di Rio de Janeiro, 2013
Fair trade fashion show di Rio de Janeiro, 2013

Noi facciamo ovviamente prezzi equi che soddisfino le esigenze sia dei produttori che dei clienti finali, cercando quindi di dare la giusta retribuzione ad ogni attore della filiera, dal produttore all’artigiano al distributore. In generale, i capi della collezione invernale sono più contenuti perché realizzati in cotone; quelli della collezione estiva invece sono un po’ più costosi perché più sartoriali, realizzati con tessuti più pregiati come la seta e con inserti ricamati e a stampa. Ma nonostante questo il rapporto qualità prezzo è sempre ottimo. Rispetto a questo aspetto, dobbiamo iniziare a ragionare più in termini di valore che di prezzo: intendiamo per valore ciò che un capo, o in generale un prodotto, rappresenta sia in termini di creatività che in termini di lavoro e di conoscenze di chi lo produce e ancora in termini di impatto positivo sulle comunità e sull’ambiente. Ragionare solo in termini di prezzo più o meno conveniente è fuorviante. Già da molto si è compreso che un prezzo eccessivamente basso scarica altrove costi “occulti” a livello sociale e ambientale, nei paesi di produzione come da noi.

Amarcord: quando Ferrara era ‘caput mundi’ della pallamano

“Io la pallamano la conoscevo di nome…” comincia così l’intervista a Luciana Pareschi, ex professoressa di educazione fisica al liceo classico Ariosto” di Ferrara, artefice della straordinaria cavalcata che ha portato la sua giovane squadra a vincere tutto in ambito nazionale.

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Luciana Pareschi fonda nel ’74 il gruppo sportivo Ariosto

In un attimo riavvolgiamo il nastro della sua vita e ci catapultiamo in anni di grandi cambiamenti, anche a livello scolastico: “Al liceo Ariosto di quel periodo si sperimentava un nuovo modello di scuola con metodologie di apprendimento diverse: fu in quest’ottica che il preside di allora, Modestino, mi chiese di fare un progetto innovativo da inserire all’interno del nuovo piano di studi. Io non sapevo cosa fare perché le metodologie di base di ogni sport sono già impresse in ragazzi ormai grandi (eravamo alle superiori); pensai così ad uno sport che nessuno dei ragazzi conosceva, per sorprenderli. Il problema è che non lo conoscevo nemmeno io! – ride. Sapevo che all’Iseef di Bologna c’era un insegnante che faceva corsi di apprendimento e così andai.” Un’avventura nata quasi per caso, anche in maniera rocambolesca: “I primi tempi insegnavo con il libro sotto, con tecniche di base e avviamento. Metodologie che io intraprendevo e sviluppavo insieme alle ragazze (poi in seguito anche i ragazzi) che cominciavano con me, per cui non c’erano “fenomeni” – e questo fu un bene – erano umili e tante volte erano le giocatrici stesse che mi dicevano di cambiare qualcosa”. E’ schietta e lucidissima nel ricordare quei momenti, Luciana.
Nel luglio del 1978 a Bari, la rappresentativa di pallamano femminile del liceo, allenata da Luciana, conquista il titolo italiano nei Giochi della gioventù promossi dal Coni: “…e pensare che ci eravamo iscritti per vedere a che punto fossimo del nostro cammino, nessuno si aspettava di vincere. Le ragazze venivano da vari corsi di studi, così abbiamo fondato il gruppo sportivo, composto da maschi e femmine e successivamente una società sportiva su base liceale (anche se il contributo era minimo, circa 400 mila lire) che fu la prima in Italia. Facevamo il campionato con la scuola: cominciammo dalla serie C, poi serie B e finalmente serie A (abbiamo aspettato un anno prima di approdarci perché ci fu la revisione dei campionati) dove abbiamo castigato un po’ tutti. Nel ‘78 abbiamo vinto il primo titolo italiano, altri 3 successivi anni d’oro, poi un secondo posto e un terzo. Quando hanno capito che eravamo forti ci hanno escluso, hanno cominciato a fare regolamenti strani, però giusti secondo me, circa i tesseramenti”.

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Luciana Pareschi e Francesca Bozzi oggi, nella sede del Coni

Un’avventura che, soprattutto all’inizio, si sviluppò in modo particolare: “Loro (le sue “sportive”) provenivano da sport e discipline diverse con gesti tecnici differenti che adattavano alla pallamano, così ho fatto fare degli stage per adeguare l’atleta più competente al ruolo più appropriato. Avevo capito – intuizione di chi non è nato in quello sport e quindi lo vede in maniera diversa – che tutti i ruoli avevano caratteristiche particolari, con abilità specifiche. Così, i terzini le presi dalla squadra di pallavolo della Vis che si era sciolta, chi faceva atletica pensavo fosse portato per fare l’ala, coloro che giocavano a tennis, per affinità di movimenti, sarebbero potuti diventare buoni portieri. Provai questa “furbata ragionata” e i risultati furono soddisfacenti. Facendo la selezione dei futuri portieri venne fuori Francesca Bozzi, la più reattiva e veloce fra i pali.” Fu il primo portiere della squadra e anche lei è presente all’incontro: “ero all’ultimo anno del liceo, un pomeriggio mi chiesero se avevo voglia di provare un nuovo sport, vidi l’allenamento e di lì a poco diventai il capitano poiché ero la maggiore. Furono anni davvero incredibili, giocammo su campi innevati a -5 gradi nel Nord Italia fino ad arrivare ai grandi palcoscenici internazionali: incredibili i palazzetti di Basilea e Ankara”.
L’umiltà del gruppo insieme alle illuminazioni di Luciana furono il mix giusto per raggiungere grandi traguardi, del tutto inaspettati: “Andammo avanti con la loro intelligenza e le mie intuizioni – racconta Luciana – non venivano ad allenarsi per mettere solo il fisico a mia disposizione, ma anche e soprattutto la mente, erano aperte e mi seguivano… chissà quante cavolate gli ho raccontato! – ride di nuovo – Fu questa la chiave: la pallamano è uno sport dinamico e di testa: devi pensare e capire cosa farà il tuo compagno e il tuo avversario prima che lui lo faccia. Avendo un allenatore/insegnante poi, c’era un rapporto diverso fondato sul rispetto reciproco”. La interrompe Francesca: “il suo grande merito (indica Luciana) è stato quello di aver formato le menti delle persone, trasmettendoci la coscienza del gesto, non l’apprendimento finalizzato alla realizzazione dell’esercizio. E soprattutto, aveva creato un gruppo prima che una squadra: la condivisione della sconfitta e la gioia della vittoria era per me qualcosa di magico, venendo da uno sport individuale (giocava a tennis prima) erano sensazioni a me nuove, uniche e bellissime” – poi un elogio a Luciana – “è stata una donna intelligente, una compagna, una mamma, un’amica che c’è sempre stata, anche nei momenti più difficili”.
Luciana Pareschi ora, ricopre il ruolo di referente provinciale del Coni point Ferrara, ruolo che svolge con piacere, determinazione e tanta voglia di mettersi a disposizione: “Tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto, se non quegli anni a Roma che probabilmente hanno tolto tempo alla mia città a cui sarei stata più utile. Anche l’avventura in Nazionale non fu particolarmente entusiasmante, ma quella è una pagina che è meglio non aprire…”. E’ concentrata sul presente e non perde di vista quello che è il futuro prossimo, con un pizzico di amarezza: “Al giorno d’oggi, ci sono problematiche che ai nostri tempi non esistevano nemmeno. Pensa a noi: quale insegnante di educazione fisica si prenderebbe l’incomodo compito di allenare per formare coscienze piuttosto che per raggiungere obiettivi? Al giorno d’oggi, un gruppo sportivo scolastico è visto come un peso dall’istituto, c’è poco da fare. Oppure prova a pensare al tifo: qualcosa di vergognoso! Come fai? La società sportiva cosa può farci? Ai nostri tempi il terzo tempo, oggi tanto sventolato da qualche società sportiva ad alti livelli, lo facevamo già. E sia chiaro: mai nessuna delle mia atlete si permetteva di insultare o protestare contro l’arbitro” mi spiegano in coro Luciana e Francesca.

E’ il presente che turba la Pareschi, al punto da spingerla a dire che “in ogni giornata sportiva, a momenti, c’è un episodio negativo: gente che insulta l’arbitro, scazzottate in tribuna per decidere quale ragazzo gioca meglio… cose così! Ma dove siamo arrivati? La cosa più preoccupante è che i fautori di questi atti sono i genitori, coloro che dovrebbero dare l’esempio. Se noi adulti pensassimo prima di parlare… i ragazzi sono delle spugne”. Le chiedo perciò, quale potrebbe essere l’aiuto che il Coni, organo che intende lo sport come “palestra di vita”, potrebbe fornire in questo contesto: “Ho pensato tanto a cosa potrebbe fare: dev’esserci un’educazione a 360°, un mix tra scuola, famiglia e società che devono impegnarsi a proporre un modello di vita sano. Se pensiamo a come stanno le cose ora, c’è da essere parecchio in ansia: la società va via via sgretolandosi, la scuola non ha le condizioni per proporre tale modello e la famiglia è rilegata a una dimensione imbarazzante. Bisognerebbe riformare tutto! Noi manchiamo di una cultura di base, così è difficile portare avanti valori morali alti. Il Coni può fare ben poco purtroppo, prima spetta alle persone. Sono pessimista sul momento particolare, tutti i problemi della società vengono proiettati sulla sport. Siamo in condizioni di impotenza, servirebbero dirigenti che non pensassero solo ai soldi, ma che fossero credibili e trascinassero le persone a seguire lo sport”.
Nonostante questo però Luciana è una donna “abituata a vedere il bicchiere mezzo pieno, i giovani validi verranno fuori e si darà una svolta a questa situazione poco felice.” Conclude con un breve bilancio stagionale affermando che “possiamo essere contenti, mai come quest’anno le nostre società hanno raggiunto risultati soddisfacenti, segno che a Ferrara c’è comunque qualcuno che lavora bene, programmando e investendo in risorse sane”.

La fantasmagorica storia della fotografa che immortalava l’animo fuggente

Chi cerca trova, e John Maloof lo sapeva quando si è messo sulla tracce di Vivian Maier. John era familiare con questo modo di dire, se si considera che, fin da ragazzino, era solito scovare le cose più impensabili e originali nei mercatini delle pulci. E lui, giovane fotografo e film maker, il suo tesoro nascosto l’ha trovato, quando, nel 2007, alla ricerca di materiale inedito e particolare sulla storia del suo quartiere di Chicago, su cui stava scrivendo un libro, si ritrova ad acquistare, ad un’asta, una scatola piena zeppa di negativi fotografici ancora da sviluppare. Sperava di trovare materiale utile al suo libro, avrebbe, invece, scovato una miniera inesplorata di storie di vita, di racconti tutti da raccontare, da scoprire e da vedere. Come quando si scarta un uovo di Pasqua e ci si attende una sorpresa che in realtà è ancora più bella di quanto si sperava. Come quando si riceve un regalo tanto atteso che si rivela un regalo del tutto inedito e inaspettato, ancora più meraviglioso di quello che si voleva. E John, da curioso cercatore quale è, ha trovato una sorpresa immensa, una delle più straordinarie collezioni fotografiche del XX secolo, un mondo unico e inesplorato. Andando, qualche anno dopo, alla ricerca dell’identità del fotografo, una donna di nome Vivian Maier scomparsa nel 2009, Maloof avrebbe scoperto anche una storia da romanzo: quella di una figura dall’immenso talento artistico, che aveva scelto, per tutta la vita, di mantenere il segreto sulla sua attività fotografica, preferendo fare la tata per i bambini delle famiglie bene di Chicago. Secondo le testimonianze, questo lavoro le permetteva di non faticare troppo per pagare un affitto e poteva stare sempre in strada, suo luogo di elezione.
Ma non era finita qui. Perché il vero tesoro trovato da John Maloof è un altro ancora, e si tratta di quello che, paradossalmente, non ha scoperto. Il giovane fotografo ha trovato, infatti, un autentico mistero, un insieme di interrogativi, che resteranno per sempre legati al nome e all’opera di Vivian Maier e che perpetueranno la storia e il suo fascino negli anni a venire. Di questa incredibile e avvincente storia, Maloof, ne ha fatto un bellissimo e intenso documentario, candidato al premio Oscar 2015, il mistero di una donna che ha segretamente scattato oltre 100.000 scatti, molti mai visti nemmeno da lei. Una delle più meravigliose e toccanti street photographer di ogni tempo.
Nel film (che si può vedere anche su Sky Arte ed è disponibile nei dvd della Feltrinelli), vi sono interviste, fotografie incredibili, ricerche nel villaggio francese della famiglia di origine di Vivian, aneddoti, storie, tanti elementi che contribuiscono ad alimentare questo mistero moderno. Una bambinaia che aveva viaggiato il mondo per otto mesi, da sola, che girava sempre con la sua Rolleiflex al collo, ovunque, per non perdersi nessun attimo di un’umanità intensa e spesso sofferente. Vivian era una fotografa segreta che coglieva l’animo delle persone (si definiva una sorta di agente), e che, cambiando nome (spesso si faceva chiamare Smith), non rivelando mai la sua identità, (tra)vestendosi con abiti fuori moda, inventando un accento francese, scegliendosi un lavoro “di copertura”, ha recitato una parte, anche se il motivo di questo comportamento resta sconosciuto. Come se non bastasse, la tragedia privata (che, sulla base delle testimonianze raccolte, poteva facilmente ipotizzarsi in subite violenze o molestie) e i tratti di durezza e persino di cattiveria attribuitele da chi l’ha conosciuta, fanno di lei un personaggio degno della penna di un grande scrittore o sceneggiatore. Vivian è stata fatta uscire dall’oscurità, dalle tenebre, le sono stati riconosciuti talento e fama che magari non avrebbe apprezzato da viva, silenziosa, schiva e riservata com’era. O magari da quel buio voleva proprio uscire, sotto la luce di un proiettore e dei suoi film in super 8 leggeri e toccanti. Lei, in fondo, combattiva e forte. In una delle sue tante registrazioni, si sente Vivian chiedere ad un bambino: “E ora dimmi, come si fa a vivere per sempre?” Ecco, adesso John Maloof le ha risposto. Con affetto e riconoscenza.

Alla ricerca di Vivian Maier“, di John Maloof e Charlie Sismel, con John Maloof, Marie Ellen Park, Phil Donahue, Vivian Maier, Usa, 2013, 84 mn.

Abbiamo già scritto su questa testata di una mostra dedicata a Vivian Maier [vedi].

Film, foto, riviste, costumi… “Nella mia cineteca privata ci sono 750mila reperti”

“Il cinema è la vita con le parti noiose tagliate” (Alfred Hitchcock)

2.SEGUE – Continua la nostra conversazione con Graziano Marraffa, esperto di cinema e direttore dell’Archivio storico del cinema italiano che nella sua cineteca privata conserva 750mila reperti fra film, foto, riviste, costumi di scena, articoli…

Eravamo rimasti all’archivio, come è riuscito a raccogliere una quantità così imponente di film?
Come dicevo, le pellicole venivano distrutte di norma dopo l’utilizzo; considerato che un tempo la distribuzione dei film era molto più lunga (prime, seconda, terza visione, poi d’essai e parrocchiali), normalmente tale periodo era di 5 anni; si salvavano solo le copie in deposito alla Cineteca nazionale e qualcuna conservata a livello personale. Io ero diventato un frequentatore delle distribuzioni: ricordo una volta che, in un cortile vicino alla stazione Termini, salvai dal tritatore le ultime copie de “La tempesta” di Lattuada e “Il boom” di De Sica; ho raccolto anche una enorme quantità di trailers con scene inedite.

Ma perché è così importante vedere un film in pellicola, visto che li possiamo vedere anche in dvd, alla televisione, su Internet e ora anche su smart phone?

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Conservazione delle pellicole in una delle vecchie sedi vecchia sede dell’Archivio storico del cinema Italiano.

E’ importante che un film sia conservato nel suo formato originale; così come per un dipinto la vera visione è quella dalla tela, come per una opera musicale lo è l’ascolto in sala dal vivo, così per un film l’esperienza originale è quella della visione da pellicola su grande schermo; tutte le fasi di realizzazione e regia del film, le luci, il tipo di fotografia, la scelta degli obiettivi, lo sviluppo e la stampa, sono tutte concepite in funzione di quella resa estetica; senza considerare che il cinema su grande schermo comporta una visione collettiva e una sinergia con il pubblico. Emozionarsi, o ridere, in una platea affollata e sinergica, è esperienza diversa da una visione solitaria. Tutte le alternative di visione inevitabilmente ci allontanano dalla pura fruizione dell’opera, insomma sono un surrogato.

Cosa ne pensa della nuova tecnologia digitale?
La tecnologia attuale del Dcp (Digital compact package, ndr) è basata su una definizione in 4 K, mentre quella su pellicola era di 10 K; questa caratteristica, con altre, ha conseguenze sulla articolazione delle sfumature dei colori, sulla densità e sul risultato finale della qualità fotografica; l’immagine del cinema digitale, a mio parere, ma è opinione diffusa nel mondo del cinema, si propone in modo più piatto, con una forte attenuazione della percezione della profondità di campo. Forse col tempo questo handicap sarà superato, ma per ora c’è.
Consideriamo poi che una pellicola ben conservata ha una durata garantita di tutte le informazioni di oltre 100 anni, mentre per questi nuovi supporti i limiti non sono ancora ben noti e sperimentati; la loro conservazione richiederà una attenta attività di aggiornamento degli archivi digitali, con il pericolo che, se non ben tenuti e aggiornati, se ne possa nel tempo perdere la memoria.
Una vecchia foto da rullino messa in un cassetto resta lì anche dopo decenni; che fine hanno fatto invece le migliaia di foto che abbiamo scattato con la digitale? Questo il rischio dei film in digitale.

Ci accenni qualcosa sulla attività di restauro delle pellicole, che spesso salvano e valorizzano opere a rischio ?
Le operazioni di restauro partono sempre dal negativo originale; per il bianco e nero, basato sulla scala dei grigi, ha portato a risultati strabilianti, come nel caso del recupero quasi integrale di una copia de “La dolce vita di Fellini” o di Salvatore Giuliano di Rosi. Anche in questo caso, notiamo che il trasporto su digitale di vecchie pellicole ha dato spesso grandi problemi sulla resa cromatica e sulla grana naturale delle immagini.

E se, dopo questa chiacchierata, qualcuno fosse contagiato dalla voglia delle pizze…cinematografiche si intende ?
L’avvento del Dcp ha portato le macchine da proiezione tradizionali, e i relativi supporti, ad essere improvvisamente obsoleti; i prezzi sono divenuti assolutamente accessibili, e sono una ottima occasione per privati, enti, associazioni e appassionati di recuperare e godere di una tecnologia di grande prestigio e qualità; come per il vinile nella musica, che ha ora un grande ritorno, anche la pellicola, ne sono certo, in qualche modo vivrà.

Insomma, da sacerdote della memoria filmica, quale è la sua missione?
Vorrei realizzare un centro di studi e documentazione sulla storia del cinema italiano, aperto e fruibile con una specifica attenzione verso i giovani; anzi, invito a contattarmi per ogni esigenza o curiosità scrivendo a archiviocinemaitaliano@yahoo.it

Di seguito alcuni manifesti originali conservati all’Archivio storico del cinema italiano di Roma. Clicca le immagini per ingrandirle. Si ringrazia Graziano Marraffa per la gentile concessione.

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Leggi la prima parte

Il vino nel posto dei camosci

“Il valore di un prodotto sta nelle sue origini e nella sua storia”, afferma con saggezza l’enologo Massimo Bellocchia. Da questo punto di vista i vini della Valle d’Aosta mostrano indubbie qualità:  sono vini d’altura, coltivati sino a 1300 metri di quota. Hanno una storia che affonda le radici nell’antichità, ma una tradizione enologica relativamente recente, qualche cantina già affermata, spazi di mercato ancora da conquistare. E prodotti interessanti, caratterizzati dagli effetti di un microclima estremamente particolare.
A portare la vite fino al montuoso confine di nord ovest furono addirittura i legionari di Giulio Cesare, ma è solo da una trentina d’anni che qui si è iniziato a vinificare con l’intento di fare un prodotto di qualità destinato al mercato e non solo all’autoconsumo.

La Valle d’Aosta merita un posto a sé nella mappa italiana dei vini. Questa piccola regione, con quattro vette che superano i quattromila metri e una popolazione totale all’incirca pari appena a quella del comune di Ferrara, è resa peculiare da un paio di caratteristiche che conferiscono una nota di originalità alla propria produzione: una scarsa piovosità, superiore solo a quella della Sicilia, e due estesi versanti montuosi esposti a mezzogiorno, con un’insolazione che si prolunga sino a dodici ore al giorno. Le uve, frutto di questa terra e di questo clima, e i vini che se ne ricavano, sono decisamente particolari.

Due milioni di bottiglie è quanto mediamente si produce. Chardonay, Pinot nero, Muller thurgau e Moscato sono i vini più diffusi. Il Moscato, coltivato in zone umide con forte escursione termica, qui assume una nota lievemente amarognola che lo caratterizza e lo rende interessante. Tra i vitigni a bacca rossa svetta il Petit rouge dai piccoli acini, con tratti organolettici che per certi versi richiama i nebbioli del nord del Piemonte; mentre fra i bianchi si fa apprezzare il Prié Blanc.

L’occasione d’incontro fra Ferrara e i vini valdostani è stata propiziata dall’Organizzazione nazionale assaggiatori di vino che, grazie ai sempre attivissimi Lino Bellini e Ruggero Ciammarughi, svolge sistematica e meritoria opera di divulgazione della cultura enologica, proponendo serate conviviali con presentazioni di vini abbinati a prodotti tipici del territorio: Blanc de Morgex e la Salle, Petite arvine, Torrette, Donnas, Fumin e un eccellente Muscat Passito sono stati i protagonisti della serata valdostana.

Il prossimo appuntamento è già stata fissato per lunedì 25 maggio alle 20,30 come di consueto al ristorante Le Querce, presso il Cus. Questa volta toccherà ai vini dei Colli euganei, un prodotto a lungo sottovalutato e ora in fase di riscoperta. Serprino e Moscato la faranno da protagonisti.

 

La luce di mezzanotte all’incrocio dei ghiacci. Viaggio a Capo Nord fra fiordi, trolls e renne

Il sogno inseguito, la meta agognata di ogni motociclista? Intervistateli e in maggioranza vi diranno Nordkapp, in italiano Capo Nord, il lembo estremo superiore del mondo scandinavo, oltre il Circolo polare artico dove si incrociano Norvegia, Svezia, Finlandia.
Perché proprio Capo Nord? Da secoli, da quando nel 1533 l`esploratore inglese Richard Chancellor vi approdò nel suo viaggio alla ricerca del passaggio a nord-est verso il Pacifico, rappresenta per gli amanti della scoperta e degli avventurosi di ogni rango e appartenenza un luogo simbolo; nel linguaggio dei bikers è uno di quei posti che non possono mancare nelle mète di un uomo, di un motociclista.

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Vista aerea dei fiordi norvegesi

Noi, la mia famiglia di tre persone più il sottoscritto, nell’agosto di circa vent’anni fa non siamo partiti in moto (non siamo motociclisti), ma abbiamo percorso le tappe in aereo, in aliscafo, in pullman super lusso, di notte, noleggiato un’auto nell’ultimo tratto prima della meta, e ancora in treno con il vagone letto. Obiettivo, conquistare il luogo più a nord dell’Europa o perlomeno, dalle mappe, il luogo abitato più a nord, e così vorremmo rimanesse.
Ma andiamo per ordine. A quel tempo il volo utile era Bologna-Stavanger via Copenhagen. Stavanger è una media città di mare che si trova sulla costa sud-ovest della Norvegia, nella regione del Rogaland, sulla stessa latitudine di Oslo e Stoccolma. Bastano pochi giorni, passeggiando e curiosando, per orientarci ed ambientarci in un altro mondo fra case basse in legno colorato e tetti spioventi, fiori ovunque e candele accese alle finestre la sera, anche in agosto (nelle cantine degli abitanti vi sono scorte inimmaginabili di candele multicolori e nei dintorni molte originali fabbriche di candele).

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I fiordi, specchi d’acqua

Fra i piccoli giardini molto ben curati che contornano le case, notiamo la raccolta differenziata due decenni prima che in Italia e, con somma meraviglia e anche con invidia, osserviamo il pennone conficcato nel prato verde che porta l’immancabile bandiera norvegese. In alcune escursioni nel territorio siamo continuamente circondati da fiumi con acque limpide e ruscellanti, medie formazioni rocciose spoglie, colline basse verdi punteggiate da case rosse, alcune con un consistente tappeto erboso e alberi sul tetto, ma in maggioranza le case sono bianche, costruite con tavole di legno poste in orizzontale sovrapposte. E ci accompagna sempre durante il viaggio, l’immancabile fortissimo vento.
Visitiamo a Flekkefjord il quartiere olandese con le sue ordinatissime case dalle moltepici finestre e poi Farsund e Lindesness, il punto più a sud della Norvegia a migliaia di chilometri dal nostro traguardo, con il faro biancorosso da scalare carico di fascino.

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Il Preikestolen

È qui che arriviamo al primo fiordo, il Lysefjord. Questi bracci di mare si incuneano nell`entroterra per diversi chilometri, fino ad alcune centinaia, occupando perlopiù valli glaciali che trasformano la costa norvegese in un esteso e bizzarro pizzo di origine naturale. Impressionano le verdi pareti scoscese che circondano il lento avanzare del traghetto; in particolare segnalo il Pulpit Rock o Preikestolen in norvegese, un balcone naturale a sbalzo sul fiordo posto ad una altezza di 604 metri sull`acqua.
Incontriamo colonie di foche, case isolate, cascate e infine avviene l’atterraggio dove i traghetti terminano la loro corsa in questo imbuto naturale, per portare non solo i turisti ma anche tutto ciὸ che è indispensabile alle piccole comunità impiantate sul percorso e al terminal, Lysebotn, dove invece si è sviluppato un nucleo abitato consistente.

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Solbakk, incisioni rupestri

Da non perdere la spiaggia di Solbakk con le enormi rocce scolpite da iscrizioni vichinghe e i boschi circostanti fra i quali si muoverebbero liberamente, come vuole la tradizione norvegese, i trolls. Chi sono i trolls? La loro leggenda prende corpo nell`atmosfera fiabesca dei boschi norvegesi, quando la luna è in alto nel cielo e tutto può accadere; queste strane creature escono dai loro nascondigli solo dopo il tramonto, per ritornarci al mattino prima che sorga il sole, in quanto i raggi solari potrebbero pietrificarli. Alquanto bruttini, vagamente simili agli umani, con lunghi nasi e quattro dita per mano e piede, questi abitanti imprendibili sono di natura estremamente timidi e buoni, ma meglio rispettarli e rispettare il loro habitat.

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Sognefjord

Lasciamo Stavanger, che ritroveremo al ritorno, per la prima tappa verso nord navigando sull’aliscafo di linea destinazione Bergen, una deliziosa cittadina con case multicolori in legno e tetti spioventi. Atterriamo nel vivacissimo vecchio porto, il Bryggen, sotto un sole splendido, dove ci attende un mercato stupendo di fiori e pesci di ogni razza e colore, i giganteschi granchi, fiori e sopratutto fragole, tante fragole ovunque, per strada, nei mercati, nei costosi ristoranti. Da qui si entra con una escursione nel Sognefjord lungo 203 km, il più lungo della Norvegia.
Una nota di colore, a Bergen sono ubicate la casa di Babbo Natale e la casa dei Trolls, che rappresentano per la città una curiosa attrattiva.
La seconda tappa è percorsa in pullman granturismo di notte, il Nor-Way Bussekspress. Attraversiamo una zona impervia dove per circa 750 chilometri si entra all’interno della Norvegia. Le fermate sono diverse e frequentate anche perché il pullman pare il mezzo di trasporto più comodo e sicuro per spostarsi in questa parte del Paese. Il bus è dotato di un bar rifornito di bevande calde e fredde, di servizi igienici comodi e i sedili sono distanziati in modo tale che sia possibile potersi addormentare pur nella difficoltà della situazione.
Dopo 14 ore di curve, tornanti, strapiombi mozzafiato, caffè e un incontro ravvicinato con un’alce gigante che ci attraversa la strada all’improvviso, arriviamo a Trondheim. Sono circa le sette del mattino, quando il pullman ci lascia alla stazione ferroviaria principale e, fortunatamente, in queste città del profondo nord la vita è già in forte movimento. Trondheim, posizionata a circa un quarto del nostro percorso, è una città di origine vichinga risalente a circa l`anno Mille, possiede una università famosa in Norvegia e consiglio una visita all’imponente cattedrale.
Ci aspetta ora per la tappa successiva un’auto prenotata dall’Italia: una Volvo familiare decisamente capiente e ci auguriamo comoda. Siamo in quattro con diversi bagagli e dobbiamo affrontare un percorso lungo, armandoci di pazienza e di spirito di adattamento: più facile a dirsi che a farsi.
Guidiamo lentamente verso nord per l’impossibilità di sorpassare a causa della strada stretta (l’unica disponibile) e per i continui saliscendi.
Abbiamo perduto la vista del mare tranne che per alcuni piccoli tratti, in realtà sono le rientranze di piccolo fiordi. Dopo una notte passata a Mo I Rana riprendiamo la guida verso nord. Il panorama è cambiato: dalle gole montane passiamo alla collina in alcuni casi verde e con punte rocciose che si specchiano nei fiordi che sfioriamo, per poi apparire nel proseguo decisamente brullo e piatto.

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Polarsirkel

Intorno non si vede un albero, solo una strada stretta e diritta mentre la luce si è fatta plumbea; entriamo nella zona del Nordland, la Norvegia artica, e varchiamo il Circolo polare artico o Polarsirkel a 66° 33` 39“ di Latitudine nord.
Il primo obiettivo é centrato, ci immortala nella foto ricordo un cicloturista tirolese al quale ricambiamo il favore. Capo Nord è ancora lontano lassù in alto.

1. CONTINUA

IMMAGINARIO
Scorci di storia.
La foto di oggi…

Metti un cittadino a capo del profilo Instagram del Comune di Ferrara ed ecco che il racconto fotografico si anima di scorci suggestivi che ci fanno tornare la curiosità anche per i luoghi più conosciuti.
Oggi Silvia Nagliati ci porta al Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, e noi vi ricordiamo che ogni prima domenica del mese al museo si entra gratis. Qui i dettagli dell’iniziativa [leggi].

Questo il commento di Silvia alla sua foto.

“Oggi un tuffo nella storia.
Ve lo propongo attraverso le rose del giardino di Palazzo Costabili detto ” di Ludovico il Moro ” in via XX Settembre. Museo Archeologico Nazionale di Ferrara. Entrate ne rimarrete affascinati”.

OGGI – IMMAGINARIO MYFERRARA

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic sulla foto per ingrandirla]

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GERMOGLI
Aquile realiste.
L’aforisma di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

Ogni tanto, tra un volo pindarico e l’altro, è bello ricordarsi che la realtà è fatta anche di cose più semplici.

Realismo. Anche l’aquila per mangiare deve volare più basso”. (Guido Clericetti)

ACCORDI
La nona.
Il brano di oggi…

Ogni giorno un brano intonato a ciò che la giornata prospetta…

(per ascoltarlo cliccare sul titolo)

Ludwig van Beethoven – Sinfonia n.9

Sinfonia n. 9 in Re minore Op. 125: quanta bellezza in questa celeberrima opera musicale del maestro Beethoven, probabilmente la più famosa della storia della musica, eseguita per la prima volta al Theater am Kärntnertor di Vienna il 7 maggio del 1824. Il maestro tedesco compose quella che oggi è conosciuta in tutto il mondo come “La nona sinfonia” già completamente sordo e ultracinquantenne, consacrata nel 2011 dall’Unesco come Memoria del mondo.

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