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Giorno: 28 Maggio 2015

IL PROGETTO
“Adotta un’aiuola”, un piccolo impegno per ribadire grandi valori

Adotta un’aiuola” è il titolo di un progetto che tiene insieme la concretezza di un impegno da realizzare materialmente e un valore da riaffermare: è anche partendo dalle piccole cose e avendone cura che si contribuisce a migliorare la qualità della vita comunitaria. Secondo questo spirito, la grande area verde pubblica compresa tra via Barlaam, via dello Zucchero, via Leati e via Bulgarelli, è stata oggetto di un significativo intervento di riqualificazione urbana pensato e gestito dalla classe 3^B dell’istituto Aleotti, la cui sede dista pochi metri dall’area. Il percorso è durato tutto l’anno scolastico e proseguirà anche nel prossimo, impegnando sempre gli stessi alunni mossi da grande entusiasmo e felici di mettersi in gioco in un progetto che, oltre che utile, è divenuto anche estremamente formativo.

"Adotta un'aiuola" (foto di Marco Caselli)Questo progetto è stato denominato “Adotta un’aiuola” e inserito nel percorso partecipato Ferrara Mia, come ben spiegato nella giornata di presentazione di venerdì scorso nell’aula magna dell’Aleotti. Durante l’incontro, si sono succeduti gli interventi dei docenti della 3^B Bertelli, Di Stasio e Ghesini, che hanno seguito gli alunni nelle varie fasi del lavoro. Poi è toccato proprio agli studenti, emozionati, illustrare il lavoro svolto e le proposte progettuali.
Il progetto è iniziato dalla consegna di un censimento in forma di questionario ai residenti, strumento utile per ogni iniziativa di cittadinanza attiva che si rispetti ma anche per le prime rilevazioni topografiche portate avanti dagli alunni, oltre che come cassa di risonanza per far conoscere a tutti l’iniziativa.

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L’area da riqualificare (foto pubblicata da Occhiaperti.it)

Molte le segnalazioni e le esigenze dei cittadini raccolte dai ragazzi: dal desiderio di nuovi arredi urbani ai percorsi pedonali, dai campi da calcio da sistemare alla possibile introduzione di illuminazione fotovoltaica, tutte possibili soluzioni che potrebbero rivitalizzare un quartiere dal grande potenziale ma troppo spesso poco sfruttato. Si è inoltre riflettuto sulla vicinanza al polo scientifico-tecnologico dell’Università di Ferrara, i cui frequentatori potrebbero diventare utilizzatori dell’area verde. Durante la presentazione  è stato anche ricordato come la riqualificazione dell’intera area urbana debba essere ragionata in modo tale da trasformare questo luogo in un punto di ritrovo piuttosto che di solo transito, una zona che di notte “muore” letteralmente e che dovrebbe tornare ad essere utilizzata anche da quella fascia di giovani che la frequentano ma non la vivono.

Dopo queste fasi preliminari e l’accordo trovato dai ragazzi con il comune, l’Urban center e l’Ufficio "Adotta un'aiuola" (foto di Marco Caselli)verde, il materiale raccolto ha fornito gli spunti necessari per individuare come e dove agire. Sono stati proprio i ragazzi a spiegare le problematiche principali sulle quali si è concentrato il lavoro: i percorsi pedonali (ne è stato individuato solamente uno in tutta l’area) che necessitano di manutenzione e considerati come barriera architettonica, così come gli attraversamenti pedonali, le strade a rischio collisione negli incroci pericolosi, la mancanza di reti e altre strutture nel campo da calcio che diventa inoltre spesso fangoso, panchine poste in maniera non adeguata così come tutto l’arredo urbano, bidoni della spazzatura insufficienti. Tutto ciò in un area di quindicimila metri quadri. Alcune di queste problematiche sono già state poste sul tavolo dei partecipanti al progetto, i quali hanno specificato come si siano già messi al lavoro nel trovare soluzioni come la creazione di rampe alternative, una pista ciclopedonale, nuovi arredi urbani con sistemi ad-hoc anche per i disabili e un punto di ristoro con zona wi-fi libera, utile soprattutto agli studenti che potrebbero così utilizzare l’area verde come luogo di studio.

I ragazzi della 3^B dell'istituto Aleotti
I ragazzi della 3^B dell’istituto Aleotti

Tanta insomma è la carne al fuoco, che si compara con la determinazione di questi giovani alunni a prendersi cura del quartiere che frequentano quotidianamente, senza tuttavia tralasciare l’importanza del coinvolgimento di tutta la cittadinanza, poiché la finalità ultima del progetto non è solamente la rivitalizzazione di una zona ma soprattutto un patto condiviso tra scuola, cittadinanza e pubblica amministrazione. Un bell’esempio di come la cittadinanza attiva non abbia età.

Per seguire l’evoluzione del progetto e interagire con i ragazzi per nuove proposte e collaborazioni, c’è il blog di Adotta un’aiuola [vedi].

Foto gentilmente concesse da Marco Caselli

ASD SPace Ferrara: novità di giugno

da: SPace Ferrara

L’Associazione Sportiva Dilettantistica SPace per il mese di GIUGNO segnala le seguenti iniziative:
•danza del ventre raddoppia: oltre all’appuntamento del giovedì sera, sarà possibile provare i laboratori creativi con Elena Mellai anche al martedì sera, sempre dalle 20.30 alle 22

•si prova la zumba: con Brigida Orefice, Lunedì 15 e 22 Giugno alle ore 20, lezioni gratuite su prenotazione

•parte il progetto “estate in danza.FORM”: lezioni di danza gratuite, tecnica modern/modern-jazz, con Federica Massa (date e orari da definire)

•yoga: il prossimo ciclo di tre incontri con Maria Chiara Santi si concentra sull’energia del sole

•SPace evento: il 6 giugno il corpo “si sposa” con i 4 elementi, una mattinata dedicata al benessere con la partecipazione di Elena Paliotto (Olodanza), Maria Chiara Santi (Yoga) e Rosa Anna Iorio (nutrizione), in collaborazione con FEshion eventi

SPace a.s.d
Corso Isonzo angolo via Piangipane (cortile interno) – Ferrara

cell. 370.3151027
email: space.ferrara@gmail.com
facebook.com/spaceferrara
www.spaceferrara.it

Nuove multe per decine di milioni, è ancora allarme quote latte anche a regime finito

da: ufficio stampa Coldiretti

Nuove multe per il superamento delle quote di produzione assegnate all’Italia, nell’ultima campagna lattiera prima della fine del regime delle quote latte. Dopo cinque anni senza sanzioni, summit di Coldiretti ad EXPO venerdì 29 maggio alla presenza del Ministro Martina e del presidente nazionale Moncalvo.

Sono in arrivo nuove multe per decine di milioni di euro per il superamento da parte dell’Italia del proprio livello quantitativo di produzione assegnato dall’Unione Europea, dopo cinque annualità in cui nessuna sanzione è stata pagata dagli allevatori italiani.
E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia che il dato aggregato dei 12 mesi di produzione della campagna 2014/2015 elaborato da Agea risulta in notevole aumento rispetto alla campagna scorsa (+2,23%) con un incremento in valori assoluti che si posizione a 2,409 milioni di quintali, per un totale di 110 milioni di quintali.
L’ultimo anno di applicazione del regime delle quote lascia dunque un pesante ricordo poiché trovano purtroppo conferma – sottolinea la Coldiretti – le previsioni di splafonamento rispetto alla quota nazionale che saranno oggetto di approfondimento nella giornata ufficiale dedicata al latte promossa da Expo 2015 e dal ministero delle Politiche Agricole che inizia alle ore 10,00 di venerdì 29 maggio al Padiglione della Coldiretti all’inizio del Cardo sud.
In attesa che AGEA avvii la fase di calcolo della compensazione/restituzione, nel rispetto delle priorità previste, si svolgerà proprio ad Expo l’incontro sul futuro del latte italiano dopo le quote, le esportazioni e la difesa delle eccellenze con la partecipazione tra gli altri de Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, il Presidente nazionale della Coldiretti Roberto Moncalvo, il Presidente della Granarolo Gianpiero Calzolari e il Presidente della Coldiretti Lombardia Ettore Prandini, preceduto da un inedito “cheese test” con la prima storica sfida tra i grandi formaggi italiani delle diverse regioni come il Grana Padano, l’Asiago, il Provolone e il Pecorino e gli incredibili tarocchi venduti con lo stesso nome in tutto il mondo e smascherati con il contributo dell’Osservatorio Agromafie.
L’arrivo delle nuove multe, il bilancio del regime delle quote latte e le misure per affrontare il futuro previste dal decreto agricoltura, i primati e le minacce per il settore lattiero caseario ma anche le iniziative di finanza innovativa per salvare la filiera Made in Italy sono al centro dell’incontro.

Consegna di un veicolo antincendio al Corpo Forestale dello Stato, Progetto Ipa Adriatico Holistic

da: Parco Delta Po Emilia-Romagna

Venerdì 4 giugno, presso il Camping Village Ramazzotti – Lido di Dante, alle ore 10.00, il Presidente dell’Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità – Delta del Po, Dott. Massimo Medri, consegnerà al Comandante Provinciale del Corpo Forestale dello Stato, Dott. Giovanni Naccarato, il veicolo completo di modulo antincendio acquistato nell’ambito del Progetto HOLISTIC – Adriatic Holistic Wildfire Protection, finanziato dal Programma di Cooperazione Transfrontaliera IPA-Adriatico.

Nell’ambito della Componente di progetto “Applicazione di strumentazioni ICT per la prevenzione e protezione degli incendi“, l’Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità – Delta del Po, in quanto coinvolto nel progetto pilota per l’integrazione di strumenti ICT e sistemi/veicoli antincendio per il monitoraggio, la sorveglianza e il primo intervento, ha acquistato un veicolo da destinare a servizio di mezzo antincendio – soccorso

Obiettivo specifico del progetto è ridurre il numero e l’impatto degli incendi boschivi al fine di tutelare le persone, l’ambiente e le proprietà, promuovendo principalmente la prevenzione tra le comunità rurali delle regioni adriatiche con interventi specifici di salvaguardia delle risorse naturali e di armonizzazione delle competenze professionali.

Il progetto, le attività previste e gli interventi che verranno finanziati nell’area delle pinete ravennati, nonché le possibili ricadute sulle altre aree pinetali costiere del Parco Delta del Po, saranno presentate da Massimo Medri, Presidente dell’Ente, da Francesco Natale coordinatore Progetto Holistic (Naxta S.r.l.).

All’incontro interverranno l’Arch. Guido Guerrieri, Assessore all’Ambiente e Sport del Comune di Ravenna, Giovanni Naccarato, Comandante Provinciale del C.F.S., Giovanni Nobili, Capo Ufficio territoriale per la Biodiversità del CFS- Punta Marina, Sergio Nannini, Responsabile del Servizio Geologico e Protezione Civile del Comune di Ravenna, Paolo Rigoni, Studio Silva e Gianumberto Accinelli, Eugea

Al termine dell’incontro e della consegna del mezzo antincendio verrà offerto un aperitivo.

Il Rapporto 2015 sul Profilo dei laureati dell’Ateneo di Ferrara

da: ufficio Comunicazione ed Eventi Unife

Presentata la XVII indagine di Alma Laurea che ha coinvolto 270mila laureati del 2014 di 72 Atenei italiani. Sono stati analizzati i profili di 2.891 laureati dell’Università di Ferrara.
Il rapporto conferma l’ottimo livello formativo offerto. Ma vediamo alcuni dati.
La proiezione all’internazionalità. I laureati a Ferrara di cittadinanza estera sono complessivamente il 4,4%, contro il 3,3% del dato nazionale, da segnalare il 6,4% dei magistrali a ciclo unico (media nazionale 3%).
Età media alla laurea: A Ferrara il dato è in linea con la media nazionale, pari a 26,4 anni.
Durata degli studi. La permanenza media degli studenti a Ferrara è pari a 4,8 anni (media nazionale 4,6 anni) mentre su 100 laureati, 49 (contro i 45 dato nazionale) terminano complessivamente l’università in corso: nel dettaglio il 50 % dei laureati triennali, il 38% dei laureati a ciclo unico e il 61% dei magistrali
Provenienza geografica: Ferrara città universitaria è attrattiva ed è amata dai fuori sede: ben il 52% dei laureati proviene da fuori regione, dato più che doppio rispetto alla media nazionale.
A favorire il dato, la presenza di servizi e strutture fra loro legate, un servizio bibliotecario ad unico accesso, sale studio aperte fino a notte e una buona offerta di posti letto.
Tirocini e lavoro.
Elevato il numero di coloro che effettuano tirocini: il 72% (media nazionale 57%). Il 65% dei laureati 2014 dell’Ateneo di Ferrara ha svolto un’attività lavorativa durante gli studi.
Esperienze all’estero.
Le esperienze di studio fuori Italia coinvolgono l’11% (media nazionale 12%) . 13 i corsi a doppio titolo con università straniere, in aumento la mobilità internazionale e sempre più numerosi gli insegnamenti impartiti in lingua inglese.
La soddisfazione. Infine, domanda fatidica: quanti, potendo tornare indietro, si iscriverebbero di nuovo? Il 70% dei ferraresi conferma la scelta del corso e dell’Ateneo contro il 67% della media nazionale.
Un quadro più che positivo – sottolinea Lorenzo Pareschi, delegato alla didattica di Unife – e che conferma alcune caratteristiche fondamentali del nostro Ateneo.
In particolare, la grande capacità di attrazione: più della metà dei nostri laureati proviene da fuori regione e circa il 4,5% hanno cittadinanza straniera. Circa il 50% degli studenti, inoltre, si laurea in corso, percentuale che supera il 60% nei corsi di laurea magistrale.
Dati significativamente superiori alla media nazionale, che evidenziano l’impegno che il nostro Ateneo ha profuso in questi ultimi anni nell’ambito della didattica e la sua capacità di interazione con il contesto sociale e territoriale.

How I met Science!

da: ufficio Comunicazione ed Eventi Unife

Sabato 30 maggio, con gli Scienziati Irriducibili di Unife

Appuntamento con gli Scienziati Irriducibili, Associazione studentesca dell’Università di Ferrara, sabato 30 maggio, dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 16 alle ore 20, presso il Polo degli Adelardi (via degli Adelardi, 33), per l’evento conclusivo del progetto How I met Science!, realizzato con il sostegno del Bando delle Attività Culturali e Sociali degli Studenti a.a.2014/2015 dell’Ateneo.
L’iniziativa, aperta agli studenti di tutte le età e alla cittadinanza, sarà un’occasione per partecipare gratuitamente ai laboratori didattici realizzati durante il progetto, con l’aggiunta di altri stand dove sperimentare nuovi giochi matematici, esperimenti scientifici, laboratori di fisica e sfide di intelligenza. Previste anche presentazioni divulgative da parte di dottorandi del Dipartimento di Matematica e Informatica, in merito al loro lavoro di ricerca.
Spiega Alessandro Spagnuolo, dottorando del Dipartimento di Matematica e Informatica di Unife, responsabile dell’Associazione Scienziati Irriducibili: ” Il progetto How I met Science! nasce dall’idea di un gruppo di studenti dell’Ateneo, denominatisi ironicamente Scienziati Irriducibili, interessati alla divulgazione della matematica e delle scienze”.
Prosegue Spagnuolo: “Grazie al contributo del Fondo culturale di Unife, che sostiene iniziative e attività culturali e sociali promosse da studenti iscritti all’Ateneo ferrarese, è stato possibile progettare e realizzare, in collaborazione con la società di formazione ForMATH, alcuni laboratori didattici divulgativi, perseguendo in questo modo molteplici finalità: formare studenti universitari iscritti a corsi di laurea scientifici riguardo tecniche di divulgazione scientifica e mostrare loro svariati materiali didattici innovativi in tale campo; a partire dai risultati delle ultime ricerche in campo scientifico-educativo, mostrare alcuni strumenti utili all’elaborazione e progettazione di attività rivolte agli allievi delle scuole primarie e secondarie, al fine di interessare e motivare gli studenti all’apprendimento della matematica e delle scienze; avvicinare la cittadinanza ferrarese alle bellezze e stravaganze di queste materie scientifiche”.

Gli interessati a portare classi di alunni in visita (anche guidata) ai laboratori, possono rivolgersi a spglsn@unife.it .
L’iniziativa è realizzata con la collaborazione di: Fisici Senza Frontiere, Dipartimento di Matematica e Informatica di Unife, Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra di Unife, La Terra dell’Orso, INFN.

Tutti i laboratori in programma sabato 30 maggio:

Ore 10.00, ore 12.00, ore 16.00 e ore 17.00 (under 10). E luce fu. Perché vediamo? Che cosa è e di che colore è la luce?

Ore 10.00, ore 11.00 e ore 12.00 (under 10). Probabilità o azzardo? Testa o croce? Su quale scommetteresti?

Ogni ora, con partenza dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 16.00 alle ore 19.00 (under 10). Matematica in bolle. Maggior risultato con il minimo sforzo: il fascino delle bolle di sapone.

Ogni ora, con partenza dalle ore 10.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 17.00 (per tutti). Probabilità o azzardo? Se giocassi a dadi con Fermat e Pascal, chi avrebbe più probabilità di vincere?

Ore 11.00, ore 17.00, ore 18.00 e ore 19.00 (under 10). Che caldo che fa. Perché sentiamo il caldo e il freddo? Che cosa misura il termometro?

Ogni ora, con partenza dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 16.00 alle ore 19.00 (under 10). Le Sfere di Lenàrt. Girovagando sulla sfera: alla scoperta della sua sorprendente geometria”!

Ore 16.00, ore 18.00 e ore 19.00 (under 10). Com’è fatto il vuoto? Che cosa è il vuoto? Cosa succede in sua presenza?

Ore 18 e ore 19 (per tutti). Stiamo forse dando i numeri? I numeri ci circondano: esploriamo la matematica nella vita di tutti i giorni.
Le carte geografiche. Viaggio attraverso i secoli: l’evoluzione della Cartografia.

Ogni ora, con partenza dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 16.00 alle ore 19.00 (per tutti). Il Gioco e la Scienza. Scopri la magia della scienza attraverso i giochi.

Ogni ora, con partenza dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 16.00 alle ore 18.00 (under 10). I giochi giganti. Intuito o abilità? Inizia la sfida.

https://www.facebook.com/scienziatirriducibili?fref=ts

Durata dei laboratori: 50 minuti

L’evento rientra in Aspettando Unifestival, il cartellone di iniziative divulgative e scientifiche che, a partire da aprile, si terranno in città, per anticipare Unifestival, la tre giorni che si svolgerà nel centro storico di Ferrara dal 25 al 27 settembre, per presentare e promuovere le diverse attività dell’Ateneo nel suo 625° anno di vita, a testimonianza del radicamento sempre più forte tra comunità universitaria e cittadina.

“Dentro le mura. Trekking urbano tra orti e giardini dell’Addizione Erculea” a cura d’ Arch’è

da: organizzatori

Sabato 9 maggio 2015, in concomitanza con l’iniziativa di Arch’è “Cancelli aperti”, a conclusione del progetto “«Food security. La sicurezza alimentare sul Territorio Emiliano Romagnolo» destinato alla classe IV Q del Liceo Ariosto, Silvana Onofri, presidente di Arch’è, ha organizzato un trekking urbano tra gli orti e i giardini dell’Addizione Erculea.

Il trekking, questa volta aperto a tutti, verrà riproposto in data da destinarsi nel mese di Giugno,

Il contributo richiesto dalla prof,ssa Rita Casarotti al progetto sulla “food security”, collega il tema attualissimo della sicurezza alimentare alla storia dell’ampio spazio verde attrezzato a laboratorio di archeologia urbana che si trova sulle antiche pertinenze del rinascimentale palazzo da Castello-Prosperi-Sacrati.
L’area è stata a lungo caratterizzata da ampi spazi coltivati e alcune strutture di servizio del palazzo erano state usate anche come deposito di granaglie. Alla fine del ‘700 inoltre, la Congregazione dell’Abbondanza e Annona di Ferrara aveva fatto costruire su parte degli orti il Granaio pubblico, un monumentale edificio a tre piani che conteneva fino a 3000 mogie di grano tra cui il “Gentil rosso”, una specie di grano antico la cui coltivazione è stata riproposta recentemente proprio dentro le mura di Ferrara.

Da qui è nata l’dea di concludere il lavoro di ricerca storica con un trekking urbano attraverso quella “campagna dentro la città” che caratterizza il quadrante nord est dell’Addizione Erculea. Usciti dal cancello di Corso Ercole I d’Este, dopo aver costeggiato l’immaginario ”giardino” di Giorgio Bassani, siamo saliti sul terrapieno delle mura degli Angeli per poi scendere sotto il terrapieno di San Giovanni e sostare a Terraviva Bio, L’ azienda agricola ha recentemente sperimentato la coltivazione del “Gentil Rosso”, l’ antico grano ferrarese selezionato tra ‘700 e 800 e in uso prima che l’agricoltura subisse gli effetti progressivi delle trasformazioni industriali dei primi anni del ‘900. Si tratta, ci hanno spiegato, di una varietà di grano adatto anche alla filosofia “slow” perché richiede metodi di coltivazione a basso, se non bassissimo, impatto ambientale. Dopo aver percorso un suggestivo sentiero tra i campi coltivati, siamo arrivati in via delle Erbe e, attraversato il quadrivio rossettiano, siamo rientrati nel laboratorio.

Il trekking si è concluso con una conversazione sul tema di food security europeo ed emiliano-romagnolo tra gli studenti e i consiglieri della Regione E.R. Alan Fabbri e Marcella Zappaterra.

Continua l’iniziativa ”Cancelli Aperti” a cura di Arch’è anche venerdì 29, sabato 30 e domenica 31 maggio dalle ore 11 alle 18,30 con ingresso da corso Ercole I d’Este 25a e da Corso Biagio Rossetti 4. Aggiornamenti sul “laboratorio in progress” alle ore 17.00. Chiuso in caso di pioggia.

INFO: arche.ferrara@gmail.com; cell. 3311055853

Alcune riflessioni sulla crisi della città

da: organizzatori

La fase politica che si è appena conclusa con la manovra di aumento IRPEF e IMU approvata in Consiglio Comunale dalla sola maggioranza, merita una riflessione che va oltre la preoccupazione per le conseguenze legate alla fase depressiva che sta attraversando la città ; va oltre alle considerazioni politiche su un’amministrazione che sceglie la via più semplice e sicura per affrontare spese mal programmate e incassi mancati dichiarati, elencati e quantificati con precisione dai revisori dei conti, gli stessi che poi si precipitano a smentire e a spiegare ,con tuffi carpiati lessicali, che ”tecnicamente” non si tratta di un buco, ma di una necessità di far cassa per affrontare le prossime spese correnti.
La manifestazione di piazza, evento senza precedenti per la città, ha avuto scarsa partecipazione, ma è stata ugualmente capace di veicolare il messaggio. Se nemmeno un tema così forte e concreto come l’aumento tasse ha fatto suonare la sveglia ,ci si deve chiedere il motivo : la pigrizia estense e l’avanzata età anagrafica dominante, criticità ormai croniche per Ferrara, non bastano a spiegare il vuoto di partecipazione. La motivazione va cercata anche nella diffusa difficoltà di una grossa fetta di popolazione ad esporsi contro l’amministrazione perché Ferrara è una città che, più o meno a sua insaputa, vive sotto ricatto.
Non c’è componente del suo tessuto sociale,culturale ed economico che non sia in modo diretto o indiretto legato alla politica locale; è una realtà ben nota a tutti e va inquadrato come un fatto ineluttabile e fisiologico laddove il potere viene saldamente tenuto per decenni dalla stessa forza politica. E magari spiega anche la tiepidissima contrapposizione e indignazione da parte delle associazioni che rappresentano le categorie economiche che, a detta del Sindaco, “hanno compreso e accettato la manovra”.
Nella fase istituzionale della battaglia anti tasse il documento politico fondamentale era l’odg a firme congiunte che chiedeva l’unica cosa indispensabile e preziosa per poter costruire una seria controproposta alla manovra di 8 milioni di tasse, ossia tempo.
Quel tempo necessario per analizzare documenti di centinaia di pagine colme di numeri da interpretare e valutare, che viene sempre strategicamente negato; tempo indispensabile a chi, nella propria giornata, restano solo piccoli spazi per farlo; tempo per smontare il castello di un bilancio “tecnicamente ineccepibile” e individuarne le voci di spesa su cui poter agire, magari intervenendo sui tentacoli operativi del Comune camuffati da enti autonomi, quelli in cui si annidano sprechi e clientele indispensabili alla tenuta del sistema di controllo del consenso politico.
Tutto il resto, gli emendamenti costruiti last minute, le provocazioni e l’occupazione del Consiglio, seppur gestiti in maniera un po’ infelice, vanno letti come strumenti per ostacolare l’iter di approvazione e rafforzare il messaggio mediatico.
Ma c’è dell’altro, qualcosa che personalmente considero talmente grave da non poter tacere, di cui stavolta pare si siano accorti persino alcuni giornali ed è quel fiume di arroganza che sgorga dalle parole, sguardi e gestualità degli uomini di spicco del PD renziano, in primis il Sindaco Tagliani e il capogruppo Vitellio e che nelle sedute di lunedì e martedì ha raggiunto un livello insopportabile. Partecipo dagli spalti per il pubblico a sedute del Consiglio Comunale da molti anni, un punto di osservazione importante per conoscere e capire, non solo i meccanismi della politica, ma anche la personalità degli uomini e donne a cui è affidata una pesante responsabilità.
Ho visto e sentito veramente di tutto e spesso ho fatto pubblicamente report, ma mai avevo assistito, da parte di chi ha lo scettro in mano,a tanta boria che sfiora l’insolenza, fin quasi al disprezzo per l’operato dell’avversario politico, esibito in ogni intervento; mai a quel vagare per l’aula parlottando con la propria squadra, decidendo cosa ascoltare e cosa no, dando le spalle a chi parla; mai a quel mettersi in cattedra ad ogni sillaba pronunciata con la supponenza di chi si sente intoccabile, protetto da percentuali di voti.
Tutto questo è vulnus più grave dell’aumento stesso delle tasse perché distrugge la dignità di un confronto politico e del luogo in cui si svolge.
Spero che qualcuno della stessa maggioranza , oltre a chi dall’altra parte viene umiliato, vi ponga un limite prima che un eccesso di disprezzo generi altro disprezzo.

M.Teresa Pistocchi

“Gli Spiazzati” Camp: il talento dei giovani ferraresi in piazza dal 3 al 5 giugno

da: ufficio stampa Comune di Ferrara

Dal 3 al 5 giugno, sul listone di Ferrara la tre giorni della creatività giovanile

Tre pomeriggi dedicati alla creatività, al talento e alla partecipazione giovanile: si terrà da mercoledì 3 a venerdì 5 giugno in piazza Trento e Trieste a Ferrara “Gli Spiazzati Camp”, manifestazione pensata per stimolare il confronto tra i ragazzi e per presentare alla città le loro idee, i loro progetti, le loro opere.
Le loro proposte trasformeranno il listone in un grande spazio espositivo e performativo, accogliente e propositivo.
Parteciperanno gli alunni della 3°B Cat dell’Istituto Aleotti, i quali presenteranno il progetto di riqualificazione verde “Adotta un’aiuola”, i ragazzi del Tg Einaudi che allestiranno una postazione per realizzare interviste e documentare l’evento, gli Efestofanti, animato gruppo di giocolieri e trampolieri; Uguale e Opposto, duo che si esibirà in un duello con i bastoni.
Ci saranno inoltre: Zeno Bianchini, che porterà filmati di video arte sperimentale; i clip musicali di Giacomo Marighelli; Corradino Janigro, che effettuerà un live painting molto particolare, andando a intervenire sui ritratti delle persone scattati durante la manifestazione; la mostra fotografica a cura di Anna Cardinelli; Wael Manii, che si impegnerà in una dimostrazione pratica di recupero e restauro di sedie; il djset di Ali Gabba.
In tutti e tre i pomeriggi ci sarà musica funky e hip hop, con dj Mattkilla, dj Spiro e dj Fist. Accoglienza e animazione a cura del centro Area Giovani.
Giovedì 4 alle 17.30 visiteranno la manifestazione gli assessori Massimo Maisto e Chiara Sapigni, per condividere un momento di festa e portare i saluti dell’amministrazione comunale. Venerdì 5 si chiuderà la manifestazione con un gustoso aperitivo analcolico.
L’iniziativa nasce nell’ambito del progetto “Gli Spiazzati”, promosso dal Comune di Ferrara assieme ad Agire Sociale Csv, Promeco, progetto Free Entry – Unità di strada – Ser.T. Ausl Ferrara, Azienda Servizi alla Persona di Ferrara e Copparo. Il suo obiettivo è creare relazioni significative tra gli adolescenti del territorio e gli enti, le istituzioni, le cooperative e le associazioni che attualmente operano nel settore della partecipazione giovanile.
Per questo durante “Gli Spiazzati Camp” saranno presenti le principali realtà che si occupano localmente di protagonismo giovanile. Informagiovani, ErGo e Copresc. Assieme a loro ci saranno anche i rappresentanti delle associazioni e degli enti presso i quali è possibile svolgere brevi periodi di volontariato, sia durante l’anno che in estate presso i campi estivi: Ibo Italia, Cif, Gruppo dell’amicizia, Nuova Terraviva, Sos Dislessia, L’albero maestro, Canoa Club, Lipu, Giokampus, Acli San Luca, Caritas, Dalla terra alla luna, Lilliput2 asd, Il Germoglio.
Gli operatori youngERcard – la carta realizzata dalla Regione per tutti i ragazzi di età compresa tra i 14 e i 30 anni, che oltre a proporre percorsi di cittadinanza attiva offre sconti per la fruizione di servizi culturali e sportivi – saranno presenti con il camper attrezzato, a disposizione di chiunque abbia interesse a ricevere gratuitamente la tessera.

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Vino, 6,5 milioni per la promozione extra Ue

da: ufficio stampa giunta regionale Emilia-Romagna

In arrivo 6,5 milioni di euro per la promozione extra Ue. Domande entro il 24 giugno. Giovedì 4 a Bologna un incontro per illustrare contenuti e modalità

Oltre 6,5 milioni di euro in arrivo per il vino emiliano-romagnolo. Serviranno per sostenere progetti di promozione sui mercati dei Paesi extraeuropei presentati da cantine, consorzi, associazioni di produttori.
“I vini emiliano-romagnoli crescono in qualità e sui mercati.
Dal 2009 al 2014 le nostre esportazioni hanno messo a segno un +39%, un dato che fa del vino uno dei settori di punta del nostro agroalimentare – ha detto l’assessore regionale all’agricoltura Simona Caselli – queste risorse serviranno per dare ulteriore sostegno all’internazionalizzazione delle nostre imprese, sui mercati emergenti extra Ue”.
I contributi, che sono stanziati dall’Ocm vino, sono validi per la campagna 2015-2016 e saranno nella misura del 50%. Le domande vanno presentate entro le ore 12 del 24 giugno.
Modalità e informazioni saranno illustrate in un incontro organizzato dall’Assessorato regionale agricoltura che si svolgerà a Bologna il prossimo 4 giugno (dalle ore 10.00 alle 13.00, presso le sale C e D al piano ammezzato della sede regionale “Terza Torre” in viale della Fiera n. 8).

Info:

http://bur.regione.emilia-romagna.it/dettaglio-bollettino?b=6dd0f0cdc84f4fcd9e14d087b651d1da

MLB Home Gallery: workshop con Mustafa Sabbagh

da: organizzatori

Ultimi posti disponibili per l’attesissimo workshop di due giorni che il noto artista e fotografo italo-giordano Mustafa Sabbagh terrà a Spazio Grisù sabato 30 e domenica 31 maggio, dalle 10 alle 18 (riservato a un massimo di soli 12 partecipanti).
Sabbagh, che ha appena concluso con grande successo un workshop riservato ai migliori studenti delle Accademie d’arte e fotografia di tutta Europa al MAXXI di Roma, alternerà teoria e pratica, assoli e coro. Al termine del workshop ogni partecipante realizzerà un dittico fotografico, in cui un ritratto e un’immagine realizzata in esterno dialogheranno tra loro.

Ecco come lo stesso Sabbagh racconta quello che intende proporre nel corso del workshop.

“Durante la mattina del primo giorno parlerò ai partecipanti della diversità di linguaggi insita nella fotografia, di come il linguaggio della costruzione di immagini, così composito, possa diventare mezzo e fine, modus e obiettivo, facendo di tanto in tanto riferimento a quanti in me hanno lasciato un solco dal punto di vista iconografico, educativo, immaginifico. Nel pomeriggio metterò in atto le parole, occupandomi della progettazione e della realizzazione di ritratti, all’interno dei quali obiettivo principale sarà la dimostrazione pratica che il contesto crea la sostanza, che it is my daily mood that makes the weather, attraverso l’alleanza e la complicità di ciò che maggiormente, in un ritratto, parla del soggetto: lo stile.

Nel secondo giorno, chiederò ai partecipanti la realizzazione estemporanea di un ritratto rappresentativo sia del proprio stile -dal punto di vista della tecnica- che dello stile conferito, o colto, nel soggetto -dal punto di vista della visione-; al termine di questa fase, e a partire dai ritratti realizzati, domanderò ai partecipanti quale sia l’interpretazione dei loro stessi scatti, e da lì avvieremo un panel di discussione che farà ulteriore luce sulla fotografia, sulla tecnica del ritratto, ma soprattutto su loro stessi, perché padroneggiare la fotografia, e soprattutto la tecnica del ritratto, significa obbligatoriamente dovere avere a che fare con se stessi…la lente fotografica è uno specchio”.

Location d’eccezione per il workshop lo Spazio Grisù, la nuova Factory creativa di Ferrara in Via Poledrelli 21. Per costi e ulteriori info: 346 7953757, mlb@marialiviabrunelli.com

Mustafa Sabbagh nasce ad Amman (Giordania). Italo – palestinese, cresciuto tra l’Europa e il Medio Oriente, il suo imprinting è cosmopolita, mentre il suo atteggiamento è nomade. Dopo una carriera di successo come fotografo di moda riconosciuto dalle più prestigiose riviste del mondo, Sabbagh concentra la sua ricerca ridefinendo la storia dell’arte attraverso la fotografia contemporanea, creando una sorta di contro canone estetico al cui interno il punctum è la pelle, diario dell’unicità dell’individuo tradotto su fondali lividi, ovali e dittici, nella multidimensionalità del nero, in styling raffinatamente allucinati. Un’estetica del disagio, armonia dell’imperfezione, indagata attraverso il medium fotografico, così come attraverso la videoarte in cui si muove con disinvoltura.

E’ stato spesso protagonista di interviste e documentari focalizzati sulla sua opera, nel 2013 Sky Arte HD, attraverso la serie “Fotografi”, lo ha eletto come uno degli 8 artisti più significativi della scena italiana contemporanea. Ad oggi Sabbagh è stato riconosciuto come uno dei 100 fotografi più influenti al mondo, ed uno dei 40 ritrattisti di nudo – unico italiano – tra i più rilevanti su scala internazionale. Le sue opere sono presenti in molteplici collezioni permanenti in Italia e all’estero tra cui il prestigioso Farnesina Art Collection.


(in foto: Mustafa Sabbagh)

Palio 2015: le Prove ai canapi

da: ufficio stampa Ente Palio città di Ferrara

Di seguito il programma delle Prove ai canapi in P.zza Ariostea:

VENERDI’ 29 – MATTINO

Ore 09.00 / 09.15: 1ª batteria (prova obbligatoria):
Borgo San Giacomo
Borgo San Giorgio
Borgo San Giovanni
Borgo San Luca

Ore 09.15 / 09.30: 2ª batteria (prova obbligatoria):
Rione San Benedetto
Rione Santa Maria in Vado
Rione San Paolo
Rione Santo Spirito

Ore 09.30 / 09.45: 3ª batteria (prova obbligatoria):
Borgo San Giacomo
Borgo San Giorgio
Borgo San Giovanni
Borgo San Luca

Ore 09.45 / 10.00: 4ª batteria (prova obbligatoria):
Rione San Benedetto
Rione Santa Maria in Vado
Rione San Paolo
Rione Santo Spirito

VENERDI’ 29 – POMERIGGIO
Ore 18.15: cavalli in pista uscenti dal tondino di Via Cortile. Inizio della 1ª prova obbligatoria.
Ore 18.30 circa: termine della 1ª prova obbligatoria e ritorno dei cavalli nel tondino di Via Cortile.

Ore 19.00 cavalli in pista uscenti dal tondino “Curva Contrade” . Inizio della 2ª prova obbligatoria
Ore 19.20 circa: termine della 2ª prova obbligatoria e ritorno dei cavalli nel tondino di Via Cortile.

SABATO 30 MAGGIO – MATTINO
Ore 10.00: prova obbligatoria ai canapi
SABATO 30 MAGGIO – POMERIGGIO
Ore 16.30: prova obbligatoria delle asine ( con prove di partenza a discrezione del giudice delle masserie)
Ore 18.00: prova generale ai canapi.

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A Porotto pranzo di beneficenza per il Nepal

da: ufficio stampa Partito Democratico Ferrara

È passato un mese dal terremoto in Nepal del 25 aprile scorso, che ha causato almeno 8600 morti e il ferimento di quasi ventimila persone.
Da allora decine di migliaia di persone vivono nei centri di accoglienza temporanei, nelle case di parenti e amici o in altri casi ancora per strada, vicino alle macerie delle loro abitazioni.
Per questo motivo il circolo PD di Porotto- Mizzana ha deciso di organizzare domenica 31 maggio un pranzo di solidarietà, presso il campo sportivo di Porotto via Petrucci, per raccogliere fondi a favore delle popolazioni Nepalesi.

Saranno presenti i segretari regionale e provinciale Calvano e Vitellio, la Deputata Boldrini, l’Assessore comunale Ferri ed i consiglieri Corazzari e Finco.

Per informazioni 3470152772

Visite animate® al Castello Estense di Ferrara

da: organizzatori

Sabato 30 e domenica 31 maggio – ore 15.30: Ritratto di Lucrezia Borgia, Chiaroscuri di un mito. Testo di Carlo Bertinelli, con Alessandra Brocadello e Carlo Bertinelli

Si conclude con le rappresentazioni di sabato 30 e domenica 31 maggio, alle ore 15.30 il ciclo primaverile di visite animate dedicate a Ritratto di Lucrezia Borgia, chiaroscuri di un mito, messe in scena negli ambienti più significativi del castello Estense.
La visita è stata ideata da teatrOrtaet per dare forma drammatica all’emozionante atmosfera suscitata dalla storia dei signori Estensi, nel loro momento di massima gloria, raccontata nel luogo in cui è stata vissuta.

Ogni singola visita animata può essere seguita da un massimo di 50 spettatori. Prenotazione obbligatoria e informazioni: teatrOrtaet associazione culturale, e-mail: prenotazioni@teatrortaet.it; www.visiteanimate.it; cell. 324 6286197.

La formula dello “spettacolo itinerante”
La visita animata è una particolare forma di “spettacolo itinerante”, ideata da teatrOrtaet, che consiste nel mettere in scena a tappe negli angoli più emblematici di un monumento storico-artistico le vicende dei personaggi che a questo ambiente sono legati.
Questa formula permette di assaporare il fascino del luogo e, contestualmente, rievocare con i costumi, le parole e i gesti l’atmosfera umana e culturale che vi si respirava e che ancora vi aleggia, in attesa d’essere ridestata.
Finora sono state scritte e interpretate visite animate, oltre che al castello Estense di Ferrara, a Padova (caffè Pedrocchi), Arquà Petrarca (casa del poeta), Gardone (Vittoriale degli Italiani), Baone (villa Beatrice d’Este).

La visita animata al castello Estense
Il castello Estense, costruito nel cuore di Ferrara, è il simbolo più prestigioso dell’illustre casata che ha retto il ducato dalla fine del Duecento al Seicento. L’edificio è stato curato costantemente dai diversi signori che l’hanno trasformato in una reggia-fortezza di grande fascino.
La visita animata “Ritratto di Lucrezia Borgia. Chiaroscuri del mito ferrarese” ripropone la figura della celebre figlia di papa Alessandro VI, vittima di complessi giochi politici, giunta a Ferrara, dopo due infelici “matrimoni di stato”, sposa di Alfonso I d’Este. Nonostante la reputazione che l’aveva preceduta, per buona parte costruita dagli oppositori dei Borgia, riuscì a conquistarsi il favore dei nuovi sudditi, grazie alla saggezza dimostrata nel governo e all’apertura ad artisti come Ludovico Ariosto e Pietro Bembo. È a loro, oltre che al consorte Alfonso d’Este, che è affidata la ricostruzione di un emozionante affresco del Rinascimento italiano.
(Foto: Lucrezia Borgia e il marito Alfonso d’Este)

Gli autori-attori di teatrOrtaet

Carlo Bertinelli, come autore, ha all’attivo, a partire dai primo anni Ottanta, numerosi testi rappresentati, con cui ha ottenuto diversi riconoscimenti, anche come regista.
Alessandra Brocadello ha iniziato il proprio cammino artistico in bilico tra psicologia e teatro; i suoi esordi sono legati al teatro di ricerca che l’ha portata ad approfondire le tecniche corporee dell’attore e il lavoro sulla voce, attraverso dizione, logopedia e canto.
L’incontro artistico tra i due è avvenuto nel 2003 in occasione delle visite animate allestite al parco Treves di Padova e poi nei laboratori di psicoteatro per studenti dell’università patavina.
Nel 2004 è nata l’associazione culturale teatrOrtaet che con Francigena strata di Matteo Righetto, diretto da Alessandra Brocadello, ha vinto il festival regionale dei laboratori giovanili “Piccoli palcoscenici”.
I primi anni sono stati dedicati soprattutto all’affiatamento creativo tra gli elementi provenienti dal teatro di tradizione, portati da Carlo Bertinelli, e quelli derivati dal teatro di ricerca che appartenevano al bagaglio professionale di Alessandra Brocadello.
Dopo essersi concentrato soprattutto sul teatro per ragazzi, il gruppo, a partire dal 2008, ha imboccato la strada della produzione di spettacoli del teatro d’innovazione che recuperavano materiali originali e testi d’epoca per riproporre emozionalmente episodi e scenari della secolare cultura italiana.
Il carteggio epistolare e documentale tra il poeta Gabriele d’Annunzio e l’attrice Eleonora Duse è stato il primo banco di prova per elaborare una drammaturgia originale che utilizzasse in forma scenica le parole stesse dei due protagonisti. Una sfida vinta da Carlo Bertinelli come autore, e come interprete accanto ad Alessandra Brocadello, che ha dato vita a una serie di rappresentazioni e visite animate (tra cui spicca quella in corso al Vittoriale).
La ricerca sui testi di fine Ottocento-primi Novecento è confluita anche nello spettacolo La Grande Guerra. Voci e ricordi nelle stagioni della storia, che dopo un lungo processo di rielaborazione ha debuttato nella sua forma definitiva lo scorso mese di marzo al teatro Don Bosco di Padova.
Altri spettacoli significativi dei due autori interpreti sono stati: Padova e Galileo (1609 annus mirabilis) del 2009, Vittoria Aganoor del 2010, Il “carattere” del Risorgimento, ambientato nel caffè Pedrocchi, del 2011, La Cometa, prima rappresentazione in epoca moderna liberamente tratta dall’atto unico di carattere astronomico redatto nel 1680 da Bernard Le Bovier de Fontenelle.
Parallelamente agli spettacoli, teatOrtaet ha sviluppato il “genere” delle visite animate che hanno conosciuto, soprattutto a partire dal 2013, un crescente successo toccando vari edifici monumentali e storici, prima a Padova, poi nel Veneto, quindi in Emilia e in Lombardia.


Informazioni

Prezzo Biglietti Visita Animata®:
interi euro 12,00;
ridotto gruppi (oltre le 30 persone) euro 10,00;
ridotto bambini (fino a 12 anni) euro 8,00.

Associazione culturale teatrOrtaet – produzioni teatrali e progetti culturali
Via San Bellino 14, 35020 Albignasego (Padova)
www.teatrortaet.it – info@teatrortaet.it
telefono (per prenotazioni) +39.324.6286197

Per chi acquista il biglietto della visita animata, l’ingresso a prezzo agevolato al castello Estense è di euro 5,00 comprensivo della mostra dedicata a Giovanni Boldini e Filippo De Pisis (ridotto gruppi scolastici, con minori da 6 a 12 anni: euro 3,00) Family: gratis un minore di 18 anni con un adulto pagante

Oltre all’associazione teatrOrtaet, informazioni possono essere richieste a:
Biglietteria Castello Estense
Castello.estense@provincia.fe.it
www.castelloestense.it
tel. 0532-299233

Premio Pasini sabato 30 maggio a Massafiscaglia

da: organizzatori

Sabato 30 maggio alle ore 16,00 presso il teatro Vittoria di Massafiscaglia si svolgerà la premiazione della 13° edizione del Premio Letterario Nazionale “Bruno Pasini”.
Si inizierà con la premiazione delle poesie dialettali e narrativa Sezione Scuole per poi procedere alla premiazione poesie dialettali Sezione Adulti.
Saranno consegnati ai vincitori premi in denaro, targhe, diplomi e pubblicazioni.
Saranno presenti alla cerimonia il Sindaco del Comune di Fiscaglia Sabina Mucchi e l’Assessore alla Cultura Massimo Trombelli.

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Sisma, fondi Ue per l’emergenza. L’assessore Costi: “Rendicontate tutte le risorse a dicembre 2013”

da: ufficio stampa giunta regionale Emilia-Romagna

L’assessore regionale Palma Costi: “Non c’è alcun mistero sulla destinazione delle risorse Ue. Rendicontato a dicembre 2013 all’Unione europea tutti gli interventi di prima emergenza realizzati con i loro fondi”

«Non c’è alcun mistero sulla destinazione delle risorse Ue utilizzate per l’emergenza. Lo assicura l’assessore regionale alle Attività produttive e delega alla ricostruzione, Palma Costi, che interviene in merito alla dichiarazione dell’eurodeputato Marco Affronte (M5S), che sostiene che ancora oggi non si abbia notizia di come siano state impiegate le risorse stanziate dalla Ue.
«Il deputato Affronte – spiega Costi – non deve confondere le opere cosiddette provvisionali realizzate l’indomani delle scosse, con gli interventi di ricostruzione vera a propria ancora in corso.
I primi sono serviti agli interventi di prima emergenza, tesi a garantire la sicurezza dei cittadini e del territorio nelle aree colpite dal sisma.
Ben altra cosa sono, invece, gli interventi di ricostruzione di imprese, abitazione opere pubbliche e beni storici architettonici».
Per quanto riguarda la rendicontazione delle spese pagate con i fondi europei, «la struttura del Commissario per la ricostruzione – aggiunge l’assessore – insieme al Dipartimento della Protezione civile nazionale, ha rendicontato correttamente, nei tempi previsti dalla Ue (dicembre 2013), l’intero contributo di 563 milioni di euro destinato esplicitamente alle opere di emergenza».

Primo cohousing a Ferrara, il buon vicinato fondato sulla condivisione

Di tutti ma non per tutti, l’esperienza del cohousing, che fa l’occhiolino ai rapporti di buon vicinato, migliora la qualità della vita, delle relazioni, garantisce servizi gratuiti e il risparmio, da quello energetico fino a quello economico, ha dei costi iniziali impegnativi. Soprattutto per i più giovani. “Abbiamo realizzato un sogno, ma per farlo abbiamo venduto il nostro appartamento come molte delle famiglie partecipi dell’operazione”, racconta Alida Nepa, presidente di Solidaria Cohousing, l’associazione che interloquisce con le istituzioni su obiettivi e vantaggi della nuova frontiera abitativa. “Serviva una liquidità per comprare il terreno e realizzare l’edificio. Non tutti hanno soldi da anticipare, specie quando si tratta di persone giovani, ancora prive di risparmi”.

Il cohousing, cinque realtà in Italia, una delle quali è il cohousing San Giorgio in via Ravenna, una palazzina affacciata sul Po di Primaro proprio alle spalle della basilica, è nato una cinquantina di anni fa in Scandinavia. L’intento è quello di restituire un po’ l’atmosfera dei borghi, dei paesi di campagna, dove i bambini giocavano indisturbati senza però essere persi di vista dalla comunità. Ognuno a casa propria, tuttavia mai isolato, anzi confortato da una rete di relazioni su cui contare. Ai giorni nostri si cerca di ripristinare abitudini antiche in chiave moderna: abitazioni singole, costruite all’insegna del risparmio energetico con materiali ecocompatibili, spazi e servizi condivisi dalla lavanderia, alla sala da pranzo, al giardino fino al wifi. “Perché funzioni bisogna essere accomunati da un percorso, non basta avere spazi comuni per creare aggregazione tra le persone, è necessario lavorare su metodi di comunicazione diversi, regolati dal consenso – spiega – E’ inutile prendere una decisione basandosi sulla maggioranza come succede nelle riunioni di condominio, ci sarà sempre qualcuno che lamenterà di non essere stato ascoltato. Il consenso è cosa altra, si basa sul rispetto”.

Prossima al trasloco, venerdì il grande giorno, Alida Nepa è soddisfatta della scelta. “Ci trasferiremo in cinque famiglie, ci vorranno tra i due e i tre mesi. Due appartamenti restano per il momento vuoti, dobbiamo ancora decidere se affittarli o venderli – continua – In questi anni il gruppo è cambiato, le esigenze di vita hanno mischiato le carte, ma ora finalmente ci siamo”. Ma qual è l’identikit del cohouser? Ha mediamente 50 anni, ha una sensibilità ambientale, condivide medesimi valori, priorità e soprattutto ha voglia di vivere in un modo diverso, più rilassato e comunitario. “Avendo cinque figli piccoli e un lavoro, mi chiedevo come creare dei rapporti di buon vicinato, mi piaceva l’idea di alleggerire i compiti quotidiani. Nel novembre 2008, dopo un incontro pubblico sul cohousing, organizzato dallo Sportello Ecoidea della Provincia di Ferrara, a cui ha partecipato Roberta Rendina dell’associazione ‘E’-co-housing’ di Bologna, si è formato un gruppo interessato a questo genere di comunità”, spiega.

“Si trattava di di persone dell’attivissimo Gruppo ferrarese d’acquisto solidale Gas Cittànova di cui facevo parte – racconta – l’idea ha cominciato a prendere forma dal quel momento”. La spinta, come si suol dire è partita dal basso, è stata costituita una cooperativa e piano piano il progetto ha preso forma: “E’ stata una progettazione partecipata, ci siamo orientati verso la bioedilizia, privilegiando il legno come materiale principe. Non essendoci speculazione il costo sì è abbassato del 30 per cento – spiega – Devo dire che il Comune di Ferrara è il primo ad aver fatto una delibera che comprenda il cohousing, finora nessuna legge lo nomina, solo la Regione Toscana ne ha colto il valore aggiunto”.

Nessuna facilitazione, ma la certezza di aver creato il punto di partenza di un progetto importante improntato al risparmio. “Fossimo stati soli, non avremmo potuto permetterci gli accorgimenti di risparmio energetico. Avremo in comune un’asciugatrice per il bucato, macchinari per la falegnameria. Sono esempi, già il poter lasciare i cani a casa senza rinunciare a una vacanza, perché c’è chi se ne occupa, significa molto. Senza contare i gruppi d’acquisto per la spesa, il risparmio sul riscaldamento e il raffreddamento delle unità abitative. La gestione economica cambia completamente, inoltre ritengo di aver fatto un investimento che ha un valore di mercato certo”.

Il cohousing è servito. C’è voluto tempo e non sono mancati gli intoppi burocratici. “Il terreno è stato individuato nell’autunno del 2012”, spiega Anna Tambini di NL Properties, società che realizza immobili di qualità tecnologica e architettonica per migliorare la qualità della vita. “L’analisi di fattibilità economica e urbanistica così come il progetto partecipato dell’edificio sono del 2013, mentre l’appalto e l’inizio dei lavori risale al 2014 – racconta la consulente – Purtroppo ci sono stati dei rallentamenti, inizialmente la costruzione sarebbe dovuta sorgere su un altro terreno, poi le cose sono cambiante. A frenare è intervenuto il terremoto, sono mutati i regolamenti edilizi, insomma una serie di problemi oggi superati. Per quanto mi riguarda posso dire che è stata un’esperienza positiva”. La prima e speriamo non l’ultima. Sulla via di una ritrovato rapporto di buon vicinato.

L’asfalto in centro, un insulto alla bellezza

No, l’asfalto in centro storico proprio no, è un delitto! Eppure anche a Ferrara, in alcune strade della città antica, ancora sopravvive. Il paradosso è che ci siamo talmente abituati a vederlo e calcarlo da non farci più caso. Ma c’è: in corso Porta Reno, nella parallela via Gobetti, in via Amendola (la strada che collega San Romano a Porta Reno dietro la galleria Matteotti). C’è persino in largo Castello, accanto al monumento più insigne della città: nella strada che costeggia il suo fronte est, fra viale Cavour e la piazzetta, il manto è asfaltato. Ri-vedere per credere… Una vera caduta di stile.

Non è accettabile. In particolare non lo è accanto al castello. E non ci si venga a dire che è un problema di transito automobilistico. Prima di tutto perché in quell’area di auto non ne passano tante (sempre troppe, comunque) e in generale non ne dovrebbero passare proprio, perché è area di rispetto. E comunque perché dinanzi al castello, nel lato nord (quello che lo separa dalla Camera di commercio) ci sono sempre stati i sampietrini senza che ciò crei particolari problemi, nonostante il flusso sia qui particolarmente intenso. Lo stesso vale per il fronte opposto, quello est, su cui transitano anche i bus: quindi non si cerchino improbabili alibi.
Il fatto vero è che anche alle brutture ci si abitua, al punto che finiscono per passare inosservate. Impercettibili per chi le vede tutti i giorni e quindi non le osserva più con attenzione; ma stridenti e sgradevoli per occhi vergini, come quelli dei turisti, per esempio. Provvedere è un dovere, titubare ancora è una colpa.

E a proposito di largo Castello, va segnalato anche il minuscolo parcheggio a pettine, sul lato dei giardinetti (sempre tristi e poco curati, con l’erba spesso incolta come ora), che deturpa la fruizione del monumento. È un parcheggio che ospita una ventina di auto. È inaccettabile che per il comodo di venti automobilisti si pregiudichi il godimento di un patrimonio monumentale storico di pregio internazionale. Quel parcheggio va eliminato e il manto va rifatto: ciottoli, sampietrini, porfido… Qualsiasi cosa, ma l’asfalto no. Mai più.

La strada asfaltata davanti al castello
Asfalto ammalorato dinanzi all’ingresso est del castello
Il lato est del castello con la strada asfaltata
Lato est all’intersezione fra ciottoli e asfalto
Piazzetta castello (lato sud) con i ciottoli
Lato est del castello con i sampietrini
Parcheggio sul lato est del castello
Il prato incolto di fronte al castello (lato est)
L’asfalto in corso Porta Reno accanto alla torre dell’orologio
Asfalto sotto la volta della torre dell’orologio in corso Porta Reno
Asfalto in corso Porta Reno in prossimità di corso Martiri e del duomo
Asfalto in corso Porta Reno alla confluenza con via Volte
Asfalto in via Amendola fra via San Romano e corso Porta Reno
Asfalto in via Amendola
Asfalto in via Gobetti
Asfalto in via Gobetti

 

 

 

Chi anticipa e chi rallenta: strategie d’impresa nella salvaguardia ambientale

Un numero sempre crescente di aziende si sta impegnando per inserire il rispetto dell’ambiente tra le proprie priorità strategiche. E’ furbizia commerciale o esigenza reale? Certo non basta la risposta che si è attenti ai vincoli normativi; sappiamo che l’osservanza delle norme non è proprio una virtù nazionale e di solito viene intesa in forma elastica. Forse neanche la motivazione culturale può essere sufficiente; la consapevolezza pragmatica che i problemi ambientali tendono a peggiorare con il tempo e che un approccio positivo di tutti possa essere un’esigenza sentita non pare una motivazione consolidata. Neppure le risposte economiche sono tali da consentire di valorizzare in termini competitivi eventuali vantaggi di costo o di barriere all’entrata connessi alla eco-efficienza economica.
Però un dato certo è che le imprese leader nei loro mercati considerano di fondamentale importanza l’acquisizione di un alto profilo nel rispetto dell’ambiente: non basta rispettare le leggi, bisogna essere socialmente graditi. Sono noti gli esempi in cui una realtà aziendale inquinante e non rispettosa dell’ambiente ha spesso penalizzato gravemente l’immagine dell’impresa che ne è stata causa e, di riflesso, vittima (di se stessa).

La propensione all’acquisto dell’utente-cliente-consumatore sta crescendo di importanza e il ‘prosumer’ è sempre più attento al rispetto dell’ambiente. Gli elevati standard di compatibilità ambientale sono un elemento importante della competizione. In verità non tutti i consumatori sono sensibili al tema ecologico e solo un quinto costituiscono la tipologia del cliente coerente con le proprie convinzioni ecologiste. Un terzo sono passivi e poco propensi a favorire la eco-sostenibilità, anzi delegano agli altri (istituzioni di controllo) la verifica del rispetto ambientale (anche se poi però non credono che vengano fatti). Poi ci sono gli indifferenti, consumatori con scarso potere d’acquisto e minimo interesse ai prodotti ecologici.
Però le persone realmente motivate e caratterizzate da atteggiamenti decisamente responsabili stanno aumentando e in qualche modo stanno sollecitando modificazioni del mercato, anche se poi non sono disposti a rinunciare alle performance funzionali o ad accettare prezzi più alti. La crescita della sensibilità è un fattore decisivo.
La conseguenza è che ci sono le cosiddette aziende di lobbying passivo che cercano di intercedere con le autorità pubbliche per rallentare il cambiamento. Fingono la disponibilità al miglioramento sapendo di mentire e cercano di influenzare la evoluzione del contesto. Sono la maggioranza. Però ci sono anche le aziende che hanno adottato una strategia reattiva e anticipativa; che sviluppano una proposta commerciale sostenibile prima dei concorrenti per conseguire un vantaggio competitivo in campo ambientale attraverso nuove tecnologie “verdi” (‘early movers’). Penso che a ciascuno vengano in mente alcuni esempi. Ma quelle che ci devono interessare di più sono quelle che investono in innovazione e che considerano la dimensione ambientale come una importante priorità. Cercano strategie di prodotti e tecnologie di processo che permettano un miglioramento delle prestazioni ambientali, creando prodotti eco-compatibili. A loro un grazie e spero anche una propensione all’acquisto.

Qualche considerazione di sintesi: è ormai maturata la consapevolezza che la sfida per un ambiente più vivibile non si vince esclusivamente attraverso le normative né tantomeno con le schermaglie diplomatiche fra i potenti della terra. Però neanche tramite la delega a movimenti critici spontanei. L’azione culturale per sviluppare una migliore qualità della vita inizia con il posizionare al centro dell’attenzione e della ricerca il binomio ambiente-economia. L’obiettivo è quello di perseguire uno sviluppo sostenibile, un avanzato equilibrio fra crescita economica e salvaguardia dell’ambiente. Il coinvolgimento di tutti i soggetti della sfera produttiva, istituzionale e sociale, che prescinda da pregiudizi ideologici, è indispensabile come insieme di risorse da tutelare e utilizzare responsabilmente a garanzia delle generazioni presenti e future.

Nelle vaste pianure dei gattopardi

E’ di qualche giorno fa la decisione delle rappresentanze provinciali di Unindustria (vale a dire l’articolazione territoriale di Confindustria) di Ferrara, Modena e Bologna di avviare un processo di unificazione finalizzato alla creazione di un’unica struttura, chiaramente nell’ottica di quella che ormai in regione ha tutte le caratteristiche di un’attrazione fatale verso l’”area vasta”. La locuzione è suggestiva, anche se un po’ eterea, ma forse proprio per questo ed a maggior ragione in zone in cui nebbie e foschie sono spesso il costante sostituto dell’orizzonte. Altrove hanno i dipartimenti o le contee; noi in Emilia-Romagna pare che invece avremo le aree vaste.
La decisione di Unindustria è evidentemente figlia del fermento che agita non solo le associazioni private, ma anche le strutture di organismi statali articolate sul territorio nazionale seguendone l’attuale suddivisione amministrativa. Infatti le imminenti riforme costituzionali, dopo che per legge ordinaria sono già state svuotate di gran parte delle loro attribuzioni e ne è stata abolita l’elezione diretta degli organi rappresentativi, elimineranno definitivamente le province dal nostro ordinamento e daranno all’Italia una struttura amministrativa più moderna, basata su tre livelli (stato, regioni, comuni), ed in linea con tutti i principali Paesi sviluppati. Per i nostalgici delle province ricordo che, quando dopo l’unità d’Italia si trattò di disegnarne i confini, la regola aurea che venne adottata per definirne in linea di massima le dimensioni fu quella di prendere come riferimento la distanza che poteva essere percorsa a cavallo in una giornata. Si trattava cioè di un vincolo legato alla facilità di comunicare, quando telefoni, autostrade, ferrovie e, soprattutto, internet erano ben al di là da venire, e che la rapidità dei collegamenti, fisici e virtuali, che caratterizzano la realtà contemporanea rende del tutto obsoleto. Al fine di mantenere alcune importanti tradizioni, figlie della tormentata storia nazionale, che differenziano fra loro le diverse province e che hanno fra l’altro spesso anche una importante valenza turistica, si potrebbe adottare anche in Italia la soluzione francese di definire una serie di “province storiche” a cui venga demandato il ruolo di provvedere alla loro salvaguardia, ma prive di ogni altra competenza amministrativa.
E’ nella natura delle cose che tutti i cambiamenti tendano a stimolare reazioni di segno contrario finalizzate nella sostanza a neutralizzarne la portata, nella migliore tradizione di questo Paese perfettamente stigmatizzata nelle parole immortali del Principe di Salina. In questo contesto, almeno così a me pare, nasce l’”area vasta”, concetto definito qualche anno orsono per tentare di ottimizzare la struttura della sanità regionale e che ora, per bocca del presidente Bonaccini, pare verrà esteso a tutti gli altri settori di competenza dell’ente regionale. Il risultato, almeno secondo le più recenti dichiarazioni del presidente, dovrebbe essere quello di passare dalle attuali nove province a quattro aree vaste (Piacenza-Parma, Modena-Reggio, Bologna-Ferrara, Ravenna-Forlì-Cesena-Rimini), con la differenza, non da poco, che i nuovi organismi, in quanto non previsti dall’ordinamento nazionale, avrebbero una valenza puramente amministrativa, senza cioè organi elettivi e con poteri e strutture di gestione tutte da definire. Occorre tuttavia notare che, rispetto a quest’ipotesi, la collocazione della ex provincia di Ferrara appare però essere ancora incerta, a cavallo fra l’ipotizzato accorpamento con Bologna e l’incorporazione con la Romagna.
In quest’ottica la mossa di Unindustria afferma un punto di vista molto preciso, teso con forza a mantenere Ferrara legata all’asse della via Emilia lungo il quale sono dislocate le maggiori aree industriali della regione. D’altra parte, come è noto, molte aziende industriali della nostra provincia sono localizzate nelle aree confinanti con le province di Bologna e Modena, con le quali di conseguenza esistono forti legami di tipo logistico ed economico. Non si può non osservare, tuttavia, che il peso specifico dell’industria ferrarese sia molto sbilanciato se confrontato ai “colossi” modenesi e bolognesi: il rischio è perciò inevitabilmente quello di una sua marginalizzazione rispetto agli interessi dei vicini.

La foto di copertina dell’assemblea di Unindustria è di Max Salani, tratta dal sito ufficiale dell’associaizone

Ambigue intese ai danni dei consumatori: Ttip, l’ombra dell’inciucio fra Europa e Usa

Rimuovere le barriere che rendono difficoltoso acquistare o vendere prodotti e servizi fra le due sponde dell’Atlantico. E’ questo l’obiettivo del Ttip (Transatlantic trade and investment partnership), negoziato commerciale bilaterale fra Stati uniti e Unione europea, in discussione ormai dal 2013. E per barriere non si intendono più solo dazi e tariffe doganali, in gioco c’è anche la rinegoziazione dei vincoli non tariffari: in altre parole, norme e regolamenti che servono a tutelare la sicurezza dei prodotti acquistati dai consumatori e i diritti-doveri di chi li produce o li vende. del tema si è discusso durante l’incontro che ha avuto luogo nell’ambito del Festival di Altroconsumo “Il Trattato Ttip: rischi e vantaggi. Sui diritti e sul cibo si può trattare?

Barriere o tutele: una disputa ben più che lessicale, spiega Luisa Crisigiovanni, segretario generale di Altroconsumo facendo esempi molto concreti. Dalla carne contenente ormoni e antibiotici, ai cosmetici – “in Europa abbiamo censito e messo al bando 1328 sostanze perché pericolose, negli Stati uniti ne hanno mappate soltanto 11” – fino alla tutela dei dati personali. Come armonizzare due approcci al rischio così diversi, quello statunitense della sicurezza dei prodotti fino a prova contraria e quello europeo della precauzione lungo tutta la filiera?
Altra clausola molto controversa è quella sulla tutela degli investimenti, secondo cui un’azienda estera potrebbe fare causa allo Stato in cui esporta non nei tribunali ordinari, ma dinanzi a un collegio arbitrale, di fronte al quale potrebbe richiedere un risarcimento se ritenesse che i suoi investimenti vengano danneggiati dalla normativa di quello Stato.
Oltre a queste questioni di merito, c’è però una macroscopica obiezione sul metodo con cui viene discusso il trattato: riguarda la mancanza di trasparenza e l’accesso a dir poco problematico alle informazioni che lo riguardano.

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Ttip, Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti

La prova provata è pensare a quanti incontri, dibattiti, servizi giornalistici avete visto o letto riguardo il Ttip. Monique Goyens, direttore generale di Beuc, associazione che rappresenta i consumatori a livello europeo, afferma che “le trattative sono portate avanti da tecnocrati non eletti” e aggiunge che “gli organi elettivi, il Congresso e il Parlamento europeo, potranno solo accettarlo o meno: prendere o lasciare tutto il testo nella sua interezza, senza la possibilità di proporre e discutere modifiche”. Tutto ciò non è molto rassicurante se si pensa al fatto che, “anche se il Ttip viene presentato come un trattato commerciale, in realtà, creando un unico mercato, avrà un impatto sulla legiferazione nei vari Stati sulle due sponde dell’Atlantico” e che, come viene apertamente detto nel dibattito pubblico statunitense, “il suo principale obiettivo è la riduzione dei costi per le aziende”, non per i consumatori. Il timore maggiore è che tale riduzione avvenga a scapito della tutela dell’ambiente o della salute e sicurezza dei cittadini europei. Proprio per fugare questo timore i suoi sostenitori dovrebbero volerne parlare maggiormente, far capire a più cittadini e consumatori possibili quali possono essere le opportunità e confutare le tesi delle associazioni come Beuc e Altroconsumo sui potenziali rischi. Perché non farlo?
È ipotizzabile che questioni di tale portata vengano “discusse a porte chiuse e si impedisca così alla società civile e ai portatori di interesse, che in questo caso sono una cosa come 800 milioni di consumatori europei e statunitensi, di conoscere se le proprie istanze vengono tenute in considerazione durante la discussione?”: a domandarselo non è solo Luisa Crisigiovanni. Ma le difficoltà di accesso non riguardano solo le associazioni dei consumatori. Monica Di Sisto, vicepresidente di Fairwatch, tra i coordinatori della Campagna Stop Ttip, rivela ai presenti che persino i nostri rappresentanti eletti “possono consultare solo i testi europei, non quelli statunitensi, nelle sale di lettura del Parlamento europeo, dove prima di entrare vengono perquisiti perché non è consentito fare nessun tipo di riproduzione. Sono permessi solo appunti su un tipo speciale di carta non fotocopiabile. Inoltre questa documentazione non comprende gli allegati tecnici”. Al Congresso le cose vanno in maniera un po’ diversa: “si è dotato di una commissione di advisors esperti che ricevono la documentazione sul proprio pc, sotto la propria responsabilità”.
A suo avviso il Ttip è “un’operazione molto poco commerciale, ma estremamente politica”, per questo “serve prima di tutto un ragionamento sulla politica economica europea e su quale modello di sviluppo vogliamo portare avanti. Dobbiamo chiarire prima fra noi europei quale ruolo vogliamo giocare, altrimenti rischiamo di uscire da questa partita solo come gregari che prendono ordini da altri”.
Il ruolo dell’avvocato difensore tocca a Simone Crolla, managing director dell’American chamber of commerce in Italia, ma (ahi lui!) l’unico argomento che riesce a trovare è il fatto che noi europei, e in particolare noi italiani, non abbiamo scelta perché siamo “l’anello debole” del mercato internazionale. “Se il Ttip non verrà approvato, le cose non rimarranno tali e quali a ora, saremo esclusi dalla seconda fase della globalizzazione. Se vogliamo difendere il nostro tenore di vita, dobbiamo rimanere agganciati al partner più forte, che farà di tutto per non perdere il suo ruolo nel mercato globale”. Appunto: gli Stati uniti difenderanno – legittimamente – il proprio ruolo; nel Ttip non c’è nessun tipo di garanzia che dovrebbe garantire anche quello dell’Europa. In più, come dice giustamente Cinzia Scaffidi, vicepresidente di Slow Food Italia, dobbiamo aprire gli occhi e capire che il mondo non è fatto solo da Europa e Stati uniti. “Per una volta nella vita – continua Cinzia – siamo più avanti noi, perché la nostra regolamentazione è costruita su standard più alti, dunque chiediamo che le trattative avvengano al rialzo partendo da questi standard, non al ribasso”.
Se essere consumatori e soprattutto cittadini consapevoli significa fare scelte consapevoli, dobbiamo pretendere che a noi, o quanto meno a coloro che eleggiamo per rappresentarci, vengano date le informazioni per poter esercitare questo diritto di scelta. Poi, con le informazioni a nostra disposizione, dobbiamo chiederci quali sono gli obiettivi del Ttip: vantaggi per la maggioranza della popolazione europea e americana o qualche punto in più di profitto per le aziende. Infine, dobbiamo pensare al futuro. Siamo sicuri di voler rinunciare alla nostra biodiversità agroalimentare, alla nostra cultura del cibo e, a quanto pare, a parte della nostra sovranità, per qualche punto in più di Pil (sempre ammesso che le previsioni degli esperti riguardo questo trattato siano attendibili)? Qualcuno molto più qualificato di me ha detto che il Pil misura tutto “eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.”
Cinzia Scaffidi è stata più prosaica e sarcastica: “Provate a triplicare la vostra produzione di rifiuti o ad andare a sbattere ogni giorno contro qualcosa con la vostra auto nuova, vedrete come crescerà il Pil”. È questo il modello economico che vogliamo continuare a portare avanti nei prossimi anni? Siamo davvero ancora convinti che il nostro attuale tenore di vita possa e debba essere non negoziabile? Può l’Unione europea continuare il suo cammino verso gli Stati uniti d’Europa provando a proporre un’alternativa?

Il caso Irlanda: come uscire dalla crisi con un piede già nel baratro

DUBLINO – 19 novembre 2010, un giorno che gli Irlandesi ricordano bene. Ajai Chopra, l’uomo dell’Fmi che segue la “pratica Irlanda” arriva a Dublino, ed è una sorpresa per molti. Fino all’ultimo il governo ha provato a negare qualsiasi necessità di bailout, dichiarando che, nonostante le evidenti difficoltà, il Paese avrebbe risolto senza aiuti esterni la crisi economica che sta attanagliando il paese da ormai tre anni. In realtà i piu informati sapevano già da un pezzo chi fosse mr. Chopra e cosa fosse venuto a fare in Irlanda. Così come sapevano chi fossero Jean-Claude Trichet, Dominique Strauss-Kahne, la Merkel e Sarkò. Chi realmente prende le decisioni dietro le quinte. Il meteo non aiuta, è un giorno grigio, a tratti piovoso. Clima e umore da bandiera a mezz’asta. E non aiuta nemmeno Ajai Chopra, personaggio che non colpisce l’immaginazione collettiva. Arriva da solo, borsa a tracolla, soprabito scuro e l’aria di un anonimo contabile. E’ questo l’uomo inviato per salvare la nazione? Niente fanfare e file di auto blu, niente ricevimenti e pezzi grossi al seguito. Segnali che dicono più di mille parole. Il governo vuole mantenere un profilo più basso possible, di fatto riuscendo nell’effetto contrario e creando un clima di lutto nazionale. Per l’uomo della strada, nel giorno in cui l’Irlanda perde di fatto l’indipendenza.
Bocche abbottonate, speculazioni, ottimismo. Ed infine il 22 novembre la comunicazione ufficiale. L’Irlanda accetta un prestito di 85 miliardi di euro. Da ripagare con interessi. Nel dettaglio, 35mlr per sostenere e ridare liquidità al sistema bancario ed altri 50mlr per finanziare la gestione della spesa pubblica. Solo pochi mesi prima, Papandreu aveva accettato i primi 110mlr offerti dalla Troika per evitare il default della Grecia.
Apriti cielo. Bloggers, controinformatori, attori comici, folk singers (in mancanza di rappers informati, prerogativa italica) ed inizia la litania: “Questo bailout distruggerà il Paese”, “non è giusto che i cittadini debbano pagare le perdite degli azionisti e degli speculatori finanziari”, “L’Europa ha forzato il bailout per salvare le banche francesi e tedesche etc.” Certamente anche vero, ma a novembre 2010 la realtà dei fatti parla da sola: la bolla è esplosa, il sistema bancario è al collasso, gli istituti di credito vengono nazionalizzati e lo Stato si trova ad allocare fino al 32% del Pil per evitarne il fallimento. I bond Irlandesi sono ufficialmente junk e l’Irlanda non riesce piu a finanziarsi sui mercati privati se non ad interessi insostenibili. In più, il crollo totale del comparto immobiliare e del suo indotto ha portato la disoccupazione su valori a doppie cifre e fatto diminuire in maniera massiccia le entrate statali. Giovani e meno giovani tornano ed emigrare verso Inghilterra, America ed Australia. C’è chi, per liberarsi almeno del mutuo, si lascia dietro una casa non pagata. Che se la riprendano pure le banche, tanto non varrà mai più ciò che e stata pagata solo pochi anni prima. Buona parte della nazione è in ginocchio.
L’Irlanda non è l’Inghilterra ma ciò nonostante risente del pragmatismo anglosassone. Forse per questo l’uscita del bailout diventa priorita politica e non caciara ideologica. A nessuno viene in mente di chiedere i danni di guerra all’Uk per l’invasione di Cromwell del 1649, e nemmeno cercare di cambiare il nome alla Troika sembra essere un opzione determinante. Nessuno propone di chiudere le frontiere, cacciare tutti gli stranieri e rimpiazzarli con dei colonnelli. Ancora meno si pensa di uscire dall’euro. Strana gente questi Irlandese, chissà chi si credono di essere! C’e un problema da risolvere di natura contabile – un prestito da ripagare ed il deficit statale da correggere – e come tale verrà affrontato.
Viene stilato un piano quadriennale di lacrime e sangue. E non è necessario essere ‘rocket scientist’ per capire quello che accadrà: riduzione drastica della spesa pubblica ed aumento delle tasse. Accompagnati da riforme strutturali per aumentare la competitività economica, liberalizzazioni dove possibile e riordino del sistema bancario. In pratica, le condizioni richieste da Eu, Bce e Fmi.
A seguire lo statement del Governo Irlandese successo all’accettazione del bailout con tutti le azioni programmate – ed in larga parte messe in pratica – dal governo per tornare alla crescita e sostenere il debito contratto [vedi].

Ora sono passati quasi 5 anni da quel fatico novembre 2010. Gli effetti della recessione e del bailout li abbiamo sentiti tutti, e per davvero. Qualcuno è anche riuscito ad approfittarne ed ha fatto i soldi, ma sono rari casi se paragonati agli insolventi, alle ditte chiuse, alle file di disoccupati e a chi ha letteralmente perso tutto. C’è di buono che almeno l’effetto è stato quello sperato: il governo ha annunciato a dicembre 2013 l’uscita dal programma di aiuti, il ministro delle Finanze Michael Noonan ha pubblicamente ringraziato i cittadini per avere tenuto duro questi lunghi anni. Anche gli indicatori economici sembrano premiare le politiche di recovery applicate in Irlanda: la disoccupazione è scesa dal 15% registrato a marzo 2012 al 10% di marzo 2015. Nel 2014 il Pil è cresciuto del 4.8% – un dato da miracolo economico – e l’export del 10.5% rispetto all’anno precedente. Anche la domanda interna ha registrato un aumento del 3.5%. L’outlook sembra essere positivo anche per il 2015, e l’Eu prevede per quest’anno un ulteriore crescita del Pil del 3.5% ed una riduzione della disoccupazione al 9.6%, prima di scendere ulteriormente al 8.8% nel 2016.
Anno nuovo vita nuova, e, timidamente, parte la prima programmazione economica senza essere sotto la lente di ingrandimento dei creditori. E già l’effetto si sente in busta paga. La ‘road to recovery’ rimane lontana dall’essere completa, ma il senso di independenza, assieme all’orgoglio di avercela fatta, quello è stato ritrovato ed è palpabile. Mr. Ajai Chopra è quasi un ricordo lontano. Nel dubbio, meglio toccare ferro, legno (come si dice da queste parti) o eventualmente gli attributi che è già un concetto piu universale. Sicuramente troppo presto per brindare, ma con tutte le precauzioni del caso, una Guiness in più ci può anche stare questo fine settimana.

E’ nata ‘Ferrara film commission’ per riportare cinema e tv in città

Ferrara non ha mai detto no al cinema. Anzi, in passato specialmente è stata set privilegiato. Basti pensare a “Il Giardino dei Finzi Contini” (1970), di Vittorio de Sica, a “La Lunga Notte del ’43” (1960), di Florestano Vancini, a “Ossessione” (1943), di Luchino Visconti, a “Gente del Po” (1943), “Cronaca di un amore” (1950) e “Al di là delle nuvole” (1995), del grande Michelangelo Antonioni, o agli “Occhiali d’oro” (1987), di Giuliano Montaldo. Anche le valli di Comacchio sono state luogo di grande cinema: “L’Agnese va a morire” (1976), di Giuliano Montaldo, “La donna del fiume” (1955), di Mario Soldati, parlano da sé. Si può, dunque, passeggiare per la città seguendo e ripercorrendo le immagini e le vicende raccontate da quelle pellicole, approfondendo i temi della Ferrara nei giorni della guerra civile del 1943 o della città ebraica nel periodo delle due guerre. Si possono recuperare pagine di storia, di costume e colore locali, di letteratura. Si può vedere com’eravamo, capire da dove veniamo. Chi siamo.

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‘L’Agnese va a morire’
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‘La lunga notte del ’43’
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‘Cronaca di un amore’
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‘Riso amaro’
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Giuliano Montaldo sul set de ‘Gli occhiali d’oro’

Ma molti di quei film ci riportano al passato, per quanto glorioso e di solo passato non si vive. Ferrara può essere ancora oggi teatro di grandi scene, può raccontare storie di ieri ma anche di oggi, far vivere le sue strade. La città pare vivere un bel risveglio culturale. L’onda va cavalcata, e bene. Se poi il film calamita il turismo, come ormai è chiaro a tutti, allora la città prova a essere pronta. Dico prova, perché siamo all’inizio, anche se un buon inizio.
Lo scorso 15 maggio è nata, infatti, la Ferrara Film Commission [vedi], con l’obiettivo di ridare valore alla meravigliosa città estense nell’ambito cinematografico e farvi crescere le potenzialità del territorio, trasformandola in un centro che diventi polo attrattivo per produzioni cinematografiche e audiovisive, e favorendo anche la promozione del territorio.

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I soci fondatori della Ferrara film commission riuniti al museo Mario Piva (a destra Laura Rossi).

I soci fondatori sono una trentina, ci dice Laura Rossi, una delle forze motrici di questo progetto (nel vero senso della parola, perché Laura è un tornado). La sede legale dell’associazione è al museo Mario Piva, in via Cisterna del Follo 39, che Laura gestisce da tempo. Presto saranno identificati nuovi soci onorari, ordinari, sostenitori (la prossima riunione del 28 maggio sarà dedicata anche a questo). L’ideatore del progetto è Alberto Squarcia, che ne sarà il presidente e, fra i fondatori, vi sono anche Stefano e Giuseppe Muroni. Sono previste alcune collaborazioni dall’estero come quella Maximilian Law (il ferrarese Massimiliano Stroscio) da Los Angeles, fondatore del Ferrara Film Festival, che avrà la prima presentazione ufficiale il 7 e 8 Settembre in Fiera a Bologna (al convegno Fa-rete).

 

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Massimiliano Stroscio, nome d’arte Maximilian Law
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E’ il fondatore del Ferrara film festival

La Ffc vuole favorire l’ambientazione a Ferrara di produzioni televisive, cinematografiche e pubblicitarie, dai film, agli spot e alle fiction. Com’è parte del ruolo di ogni Film commission, quella ferrarese costituirà anche un trait d’union con i professionisti locali del settore e non solo (artisti, costumisti, scenografi, artigiani e ogni tipo di professionalità richiesta per girare un film). Il dialogo con le produzioni nazionali e le istituzioni locali, fondamentale per ottenere supporto finanziario ma anche logistico (si pensi, ad esempio, a permessi e autorizzazioni per le riprese che, se non concessi in tempo, possono comportare importanti ritardi e costi aggiuntivi per una produzione), sarà un’altra parte fondamentale del lavoro della commissione. I soci fondatori hanno recentemente incontrato le realtà locali di Ascom, Cna, Arci ed Ecipar. Regione e Provincia dovranno sostenere, perché questo tipo di avventura non si porta avanti da soli. E l’interesse dovrebbe esserci, perché lo sviluppo dell’industria audiovisiva è uno straordinario catalizzatore di ricchezza e di attività, economiche e culturali, per qualsiasi territorio. Un’opportunità per tutti, se ben compresa e sfruttata.

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‘Vacanze romane’
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‘La dolce vita’

Quanto alla valorizzazione del territorio, va ricordato che, negli ultimi anni, sono stati presentati numerosi studi e ricerche sulla correlazione fra l’ospitare una produzione cinematografica e i vantaggi/benefici più o meno direttamente correlati per il territorio. Certo, il fenomeno del turismo indotto dalla visione di un film o di una fiction non è recente (basti pensare al ruolo che ebbero per Roma film come “Vacanze romane” o “La dolce vita”), ma, negli ultimi anni, il tema (movie-induced film) ha ricevuto un’attenzione crescente, tanto che si è realizzata una Borsa dedicata al Turismo Cinematografico all’interno dell’Ischia Film Festival. Il cinema, infatti, può influenzare la decisione di viaggiare e così come c’è il cine-turista vero e proprio (specific film tourist), vi è anche il generico cine-turista (general film tourist) o quello che è contento di essere in un luogo dove è stato girato un film ma rimane passivo (serendipitous film tourist). Le potenzialità per il territorio ci sono. Ecco allora l’Inghilterra di Harry Potter, le Highlands di Braveheart, la Salina del Postino, la Napoli di Un posto al Sole, la campagna piemontese di Elisa di Rivombrosa, l’Umbria di Don Matteo, l’Alta Pusteria di Un Passo dal cielo, la Basilicata di Basilicata Coast to Coast. Sono sempre più numerosi (e virtuosi) gli esempi di turismo legato ai luoghi che hanno fatto da sfondo a film o fiction.

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Il format in digitale terrestre Territorius, la prima puntata ‘Procida. Un’isola tutta da girare’

Anche se il tema è sicuramente da approfondire meglio, citerei alcuni studi sulla relazione cinema-territorio-turismo. Fra i più interessanti, vi sono il progetto voluto dalla Biennale di Venezia, nel 2006, realizzato da Risposte Turismo s.r.l. con il coordinamento scientifico di Francesco di Cesare, docente di marketing del turismo all’Università Ca’ Foscari di Venezia (un rapporto di ricerca sul legame cinema-turismo-territorio presentato, al Lido di Venezia, il 31 agosto 2006, durante la 63° Mostra del Cinema) e gli studi successivi dello stesso di Cesare con il ricercatore Anthony A. La Salandra e, in particolare, il loro “Film Tourism: the Backstage” (naturale continuazione del primo).

Il primo studio parte da una riflessione sul ‘destination management’ e da un inquadramento sul ‘film-induced tourism‘, analizza la complessità dei rapporti tra chi rappresenta il territorio turisticamente e non solo, e chi le società di produzione, per poi presentare una casistica internazionale che offre spunti interessanti per eventuali progetti da avviare e politiche da adottare nel nostro Paese. Una delle parti centrali del lavoro descrive e riporta i risultati della ‘web survey‘ (inchiesta sul web) condotta per indagare ruolo e capacità dei film di elevarsi a veri driver del processo di scelta e acquisto di una vacanza. I risultati di questa indagine, condotta su un campione di circa 900 individui, hanno permesso di evidenziare come, a oggi, quattro soggetti su cinque affermano di provare almeno qualche volta il desiderio di visitare i luoghi visti in un film, mentre poco più di uno su cinque dichiari di farsi influenzare costantemente dal cinema nelle scelte di consumo turistico.

Il secondo studio, del 2010, invece, apporta un’interessante riflessione al dibattito sulle ragioni per le quali in Italia, nonostante si sia, da tempo, ben coscienti delle potenzialità del binomio cinema-turismo, non si siano raggiunti ancora risultati significativi. In primis, vanno esaminate e comprese le competenze e gli ambiti specifici d’intervento dei principali soggetti in gioco: le produzioni audiovisive, le Film commission e le Dmo (Destination management organization), le organizzazioni, cioè, incaricate di gestire e promuovere turisticamente una destinazione, un territorio. Non basta realizzare movie map e individuare e segnalare in loco i luoghi nei quali uno o più film sono stati girati o possono essere girati, per ambire alla conquista di nuovi flussi di visitatori. Bisogna lavorare in modo sinergico e strategico sul film tourism. Bisogna comprendere i vantaggi immediati per un territorio dati dall’ospitare produzioni, ma anche gli effetti nel medio-lungo termine su immagine, promozione, flussi turistici, ricadute economiche e occupazionali, capire le nuove motivazioni di vacanza e, soprattutto, non dare mai per scontate le ricadute. In poche parole, i turisti vanno orientati, non solo attirati. E i tre soggetti citati devono avere uno stretto rapporto fra di loro, relazioni continue e costruttive, perché tutte sono normalmente coinvolte nella promozione turistica, nella produzione audiovisiva, o possono avere interessi diffusi e trasversali, ma ogni soggetto ha, per sua natura, uno scopo diverso. Le Dmo, in particolare, indipendentemente da struttura e forma, dovrebbero, senza voler sollevare le Film commission dal presidiare tale aspetto, essere più ricettive e sensibili al fenomeno. Dovrebbero, ad esempio, porsi una serie di domande, in un’azione di raccordo, costante e fattiva con le stesse commissioni, quali: cosa si è fatto o si fa, per creare e diffondere una notizia? Come si è operato, o non operato, per creare le condizioni per una promozione puntuale ed efficace legata al binomio cinema-turismo? Quanto si è investito per fare in modo che una domanda potenzialmente interessata trovasse facilmente informazioni sul luogo visto in un film? Quale pensiero strategico c’è alla base? Dalla risposta a queste e altre domande dovrebbe nascere un orientamento strategico e una conseguente politica operativa capaci di assicurare i risultati ricercati. Lo studio porta alcuni esempi di produzioni che non sono state seguite da azioni adeguate al suo successo e ruolo per il territorio dove era stato girato, il caso diLetters to Juliet“, una produzione dal budget milionario con attori importanti e incassi da record, girato tra New York, Siena, Verona e Soave, con attenzione particolare a Verona, visibile nel film e anche nel trailer. Amministratori e operatori locali avevano fatto qualcosa: il 3 maggio 2010 era stata proiettata la prima visione italiana al Teatro Filarmonico di Verona, con la presenza di tutto il cast, la stampa (generalista) era stata invitata alla serata e, durante un fine settimana, molti giornalisti erano stati accompagnati in tour a Verona. Era stato indetto un concorso in associazione con riviste britanniche che metteva in palio alcuni pacchetti per arrivare e visitare Verona, l’assessorato al Turismo della città aveva acquistato spazi per poter aggiungere contenuti di natura turistica sul sito del film. Eppure dall’assessorato stesso avevano fatto sapere che non vi erano in programma altre iniziative di promozione turistica associate al film, né altri progetti simili. L’idea restava quella che il film stesso fosse lo strumento promozionale migliore per attrarre i turisti, non si notava abbastanza che, in assenza di una promozione mirata, di un “accompagnamento” dello spettatore-potenziale turista nel processo che può portarlo all’acquisto di una vacanza, saranno ben pochi i frutti da raccogliere. L’ufficio del turismo di Verona, ad esempio, all’inizio della stagione estiva non era in grado di segnalare alcuna forma concreta di fruizione del territorio ispirata al film. Lo studio parla dunque anche, e soprattutto, di questo.

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Locandina della fiction ‘Un passo dal cielo’

In questo, credo, sia stata particolarmente efficiente la Regione Trentino-Alto Adige, che ha fatto della Guardia forestale e dei luoghi incantati dove si gira la fortunata fictionUn passo dal cielo”, un autentico marchio turistico di qualità. Vedete i siti web dell’ufficio turismo dell’Alta Pusteria e capirete di cosa parlo (per fare solo alcun esempi) [vedi] [vedi]; [vedi];[vedi].

Il cambiamento e i risultati veri arriveranno, dunque, solo con strategie e idee chiare. In forte sinergia tra gli attori coinvolti. Per uno stesso fine, per uno stesso successo. Accompagnare, orientare, seguire, indirizzare. Insomma, prendersi cura del turista potenziale, dall’inizio alla fine. Perché un film si guarda e il luogo dove è girato non si dimentica. Se poi lì si trovano anche accoglienza, amicizia e cura, ci si ritorna. Il vero viaggiatore è quello che torna, perché cosi facendo si sente un po’ a casa.

La Grande guerra al cinema

Il 2015 ci ricorderà i 100 anni dalla nostra entrata nella Grande guerra. Un conflitto che ha segnato profondamente la storia europea, sconvolgendo assetti secolari, segnando la fine di grandi imperi, come quello austro-ungarico e di quello ottomano, ma che soprattutto ha prodotto gli orrori di un conflitto in cui eserciti ancora concepiti con strategie e concezioni ottocentesche venivano schierati e lanciati contro le moderne macchine belliche; come emblematicamente in “Uomini contro” di Francesco Rosi, dove fanti vestiti con protezioni di metallo, venivano mandati contro le mitragliatrici, con esiti catastrofici ma anche grotteschi.

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Una scena del film ‘Torneranno i prati’ di Ermanno Olmi

Nel film di Ermanno Olmi “Torneranno i prati”, tutto ciò è raccontato con lucidità e lirismo; un avamposto sulle cime innevate, quasi sempre rappresentato in notturni in bianco e nero di rarefatta suggestione visiva, dove una comunità di uomini in armi vive l’assurdità della guerra, sotto lo sconquasso di spaventosi bombardamenti, e nell’esecuzioni di missioni impossibili e suicide. Poveri Cristi dai volti antichi, in una olografia che non può non rievocare, anche, la poetica e la mitologia di Pier Paolo Pasolini, non a caso nativo del Friuli.
Un film raro e prezioso, realizzato da un uomo nel quale si ascolta e si riconosce l’eco di profonde saggezze; un film contro tutte le guerre; un film che diviene una elegia dei sentimenti più intimi dell’uomo; un film che appare come un estremo atto d’amore nei confronti di quei contadini, di quegli operai, di quei ragazzi, che a centinaia di migliaia furono mandati al macello; un film contro questi barbari riti che l’umanità non riesce a rinnegare.
Nella parte conclusiva del film vengono proiettati sullo schermo immagini di documentari originali e in parte inediti dell’Istituto Luce, nei quali emergono, come in un fantasy gotico, i più svariati e terribili cannoni, obici e mortai dalle forme e dalle dimensioni più inverosimili, e poi nubi di gas, lanciafiamme, enormi sommovimenti di terra, e piccoli uomini-formica che corrono su brulle spianate dantesche, falciati a centinaia in pochi secondi.
Immagini terribili; eppure, quasi per assurdo, le registriamo con un certo distacco, forse anestetizzati dal quotidiano orrore mediatico; mentre invece resta viva la autentica emozione e partecipazione nei confronti di quanto il film nella sua parte “fiction”, con la sua umanità e la sua tenerezza, ci ha fatto vedere e sentire. Un paradosso, come se la finzione fosse più reale del documento; ma forse è questo il merito di un grande film: quello di realizzare una rappresentazione e una narrazione che possano definire una nuova emozione e proporre una reale esperienza.
E quello di Olmi è un grande film.

TEST DI CULTURA CINEMATOGRAFICA
Proponiamo, per chi voglia, una prova sul tema dei film sulla Grande guerra. Per le risposte clicca qui.

1) Vittorio Gassman e Alberto Sordi insieme in un film del 1959, titolo e regista.

2) Il titolo di un film di Sergio Corbucci del 1963 con Franco e Ciccio, che fa la parodia dello sbarco in Normandia.

3) Un film interpretato da Grata Garbo, affascinante spia.

4) Famoso film di Jean Renoir del 1937, con Jean Gabin e Erich von Stroheim.

5) Film interpretato da Rock Hudson e Vittorio De Sica, tratto dal romanzo omonimo di Hemingway.

6) Film tratto dal romanzo di Dalton Trumbo, e dallo stesso diretto, su un soldato prigioniero del suo corpo mutilato senza membra, né occhi, né parole.

7) Il quarto film di Stanley Kubric, del 1957, interpretato da Kirk Douglas.

8) Film del 1918 interpretato e diretto da Charlie Chaplin, in cui il protagonista non era propriamente eroico.

9) Film premio Oscar del 1930, tratto dal romanzo omonimo di Erich Maria Remarque.

10) Film del 1951, diretto da John Huston e interpretato da Humphrey Bogart e Katharine Hepburn.

Le case del popolo, antiche palestre di politica e civismo

di Edoardo Nannetti

La rivisitazione di persone e luoghi del passato che ispirano buone pratiche anche per il presente, costituisce una operazione non certo nostalgica ma assai utile ad una riflessione collettiva sull’oggi. In questo viaggio un posto non secondario spetta certo alle ‘case del popolo’ per il ruolo svolto, soprattutto nelle cosiddette regioni rosse, nel costruire e sedimentare partecipazione e crescita culturale, politica e civile delle persone. Ho conosciuto e frequentato più le sezioni del Pci, che le case del popolo e ritengo che entrambi quei luoghi, spesso collocati nello stesso stabile magari insieme all’ambulatorio del medico del paese, facciano parte di una tradizione di ‘pedagogia di massa’ svolta per decenni dalla sinistra e dalla sua area di riferimento sociale.
Devo mettere in guardia dalla tentazione di considerare il termine ‘pedagogia’ con quella sufficienza oggi di moda, fondata su un’immagine paternalistica del ruolo pedagogico: la pedagogia può essere cosa ben diversa dal plagio delle menti, può essere il fornire alle persone strumenti per costruire la propria maturità, partecipazione creativa alla vita ed alla società; incontrare un vero maestro è un dono.
Questo ruolo importante svolto dalle case del popolo si articola su diversi piani. Certamente c’è l’attività politica-culturale e sociale. C’è anche un non meno importante ruolo ricreativo, relazionale, assai vicino, a mio parere, a quell’’otium’ dei latini, luogo di espressione alta della persona; quello stare insieme e scambiarsi pensieri, esperienze, contatto umano, indispensabili a quelle costruzioni di senso individuali e collettive, che fondano relazioni solidali come la dignità di ciò che si è come individui e in una narrazione collettiva. In questo ‘humus’ è cresciuta la capacità di persone spesso appartenenti alle classi più umili, di sentirsi più di sé stesse, di sentirsi liberi e protagonisti della storia del nostro Paese, di sentirsi appunto un popolo (cosa non scontata in una realtà come la nostra divenuta nazione assai tardi e con gravi limiti).

Questo intrecciarsi di cultura, politica e relazioni umane ha consentito anche di mantenere per molte persone la capacità della memoria del passato e dell’immaginazione del futuro, in un legame tra generazioni che si trasmettevano la continuità delle radici ma al tempo stesso non sfuggivano alla sana tensione che spinge i giovani a inventarsi il nuovo.
Salvatore Settis, in un recente intervento, rivendica per l’oggi questa necessità di essere una sorta di Giano bifronte, che riesce ad immaginare un futuro proprio perché sa guardare al passato. Ricordo come fosse normale, per noi giovani, acquisire dai ‘vecchi’ le conoscenze sul passato ed al contempo esercitarsi a immaginare come poteva essere la società futura. Ancora: questi luoghi consentivano di mantenere ed ampliare la capacità di pensiero, cioè di qualcosa di non frammentato, la capacità di cogliere i nessi fra le cose. Questo forse è l’aspetto che può apparire meno congruo all’argomento ma, se ci guardiamo intorno, non possiamo non vedere la caduta della capacità di pensare sia individuale che collettiva; vedremo tra poco quanto conti nel discorso.

Un confronto con alcune problematiche odierne ci può forse aiutare a vedere un percorso per uscire dalla situazione ‘infernale’ (come l’ha chiamata Pasolini) in cui ci siamo cacciati.
Innanzi tutto abbiamo assistito da un lato alla devastazione antropologica prodotta dalla società dei consumi e dai suoi epigoni. Per altro verso la sinistra e le sue diramazioni sociali ha rinunciato da tempo alla funzione pedagogica di massa, si è resa subalterna ai disvalori dominanti ed ha fatto perdere al popolo quella pedagogia liberante che dicevo poco fa. Siamo così passati dalla spinta del popolo a contare in modo partecipato alle decisioni su tutte le questioni sociali, ad un popolo fondamentalmente individualista ed apartecipativo. I valori solidaristici sono ampiamente sostituiti dalla guerra di tutti contro tutti, divenuta a sua volta per molti un valore condiviso. Il senso di essere popolo si è molto logorato.

Per quanto riguarda la memoria dico solo, a titolo di esempio, che mentre i figli del popolo (consentitemi questo linguaggio desueto ma caldo) al tempo delle case del popolo, anche se a scuola non si studiava la storia degli ultimi decenni ed anche se non avevano conosciuto direttamente il fascismo, sapevano di Mussolini, della resistenza e del suo ruolo di riscatto nazionale, delle lotte postbelliche, di Togliatti o De Gasperi, del 18 aprile eccetera. Queste cose le imparavamo nelle case del popolo, nelle sezioni di partito e soprattutto nelle nostre famiglie per una sentita ansia di tramandare. Nel recente film di Veltroni “Quando c’era Berlinguer”, la maggioranza degli intervistati non sa chi lui sia stato (e non solo i giovani). Questa ‘damnatio memoriae’ con cui la sinistra ha voluto cancellare Berlinguer è solo un esempio della più ampia ‘dimenticanza’ di lotte e valori. Mentre nei decenni passati si manteneva una continuità col passato che dava senso al futuro, ora si è verificata una cesura, una perdita della memoria collettiva. Questa cesura, che a livello individuale sarebbe considerata fonte di malattia psichica, è analogicamente applicabile alla vicenda collettiva: infatti la nostra società è psichicamente più malata.

Questa cesura col passato rimanda alla perdita di capacità di pensiero collettivo e individuale: dove c’è frammentazione non può esserci pensiero, che invece deve costruire nessi.
Il tema si collega alla vita che facciamo, sempre ‘connessi’ a un social, a twitter, al computer, a cellulari–pc sempre più sofisticati. Condannati a passare molto tempo a rispondere ad input, a seguire automatismi, ad affollare di pseudo informazioni la nostra mente. La tecnologia usata in questo modo non è informazione e tanto meno memoria, al massimo è ‘archivio di dati’ ma privati del senso, del significato, in un eterno presente che chiude la possibilità di futuro. I neurobiologi ci spiegano, addirittura, che questo superallenamento della parte sinistra del cervello a rispondere automaticamente ad input tecnologici crea frammentazione, lascia quasi atrofizzare gradualmente la parte destra che dovrebbe costruire linguaggio e perciò nessi e pensiero; l’affollamento delle reazioni frammentate ci toglie lo spazio creativo, cambia le stesse strutture neurali del cervello, in sostanza ci rende più stupidi, incapaci di essere soggetti desideranti… e cresce l’infelicità.

Cosa c’entra tutto questo con le Case del Popolo?
C’entra eccome, perché in quell’esperienza si ritrovavano molte delle cose che ora ci mancano e che rendono più arida la nostra vita, inquinata la nostra anima, si ritrovavano gli antidoti a certi veleni. Tutti ci lamentiamo della nuova schiavitù ma non riusciamo a tematizzarla; invece nelle case del popolo la sofferenza sociale trovava anche occasione per pensare un mondo diverso.
Allora dobbiamo rifare le Case del Popolo? Certo non si tratta di riproporre alla lettera un’esperienza del passato ma ci può fornire l’ispirazione per ricostruire un’alterità che resiste e pensa una trasformazione vera, partendo dalla nostra ‘scontentezza’ rispetto ad una ‘situazione’ che divora la parte più profonda della persona.

Sembrerà strano, ma in uno scritto che parte dalle Case del Popolo voglio concludere citando Bergoglio: “il tempo fa riferimento alla pienezza come espressione dell’orizzonte che ci si apre dinanzi,…i cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro…Il tempo è superiore allo spazio…Uno dei peccati nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi del potere al posto dei tempi dei processi…A volte mi domando chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano realmente di dare vita ai processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana.”

Una Russia che non c’è mai stata e un’Italia che non c’è più

Costruito con materiali inediti e recuperati presso l’Home Movies – Archivio nazionale del film di famiglia [vedi], il film documentarioIl Treno va a Mosca” è stata la rivelazione del 31° Torino Film Festival, nel 2013. Sono i filmati 8mm del barbiere comunista Sauro Ravaglia, della romagnola e rossa Alfonsine, a condurci nel passato e nella storia di un paese che aveva energia, curiosità, intelligenza e voglia di vivere. Insieme ai filmati amatoriali di Sauro, vi sono anche quelli degli amici Enzo Pasi e Luigi Pattuelli, girati a partire dagli anni ’50 e anch’essi conservati da Home Movies.

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La locandina

Un’appassionata ricostruzione, uno sguardo unico su un’epoca, un viaggio nello spazio e nel tempo, un ripercorrere una memoria spesso ignota o ignorata. Siamo nel 1957, in un’Italia del dopoguerra che ha voglia di vivere e conoscere. Per il protagonista Sauro, come per molti “compagni” progressisti della sua generazione, è l’anno del Festival della gioventù socialista, unica e irripetibile occasione di visitare la lontana e sognata Mosca. Chi vi ci si reca in treno chi, si dice, pure in bicicletta. Sullo schermo scorrono registrazioni dell’epoca e immagini delle feste dell’Unità delle campagne romagnole, con sullo sfondo l’aria di “Mamma”, di Beniamino Gigli, quell’aria rielaborata da chi credeva nel sogno sovietico con un “Lenin, la tua dottrina si diffonde e vola / Lenin, la tua parola è quella che consola / Il dolce sogno santo / della gran città del sole / che ha vagheggiato ogni cuore / ti realizzasti quaggiù / Lenin, il più gran dono del mondo sei tu”. Lenin come la mamma …! E poi ancora immagini di ragazzi spensierati che, nel lungo viaggio in treno per Mosca, sono solo felici, i sovietici che accolgono i giovani stranieri con slancio e curiosità, tutti che sono amici.

Ma cosa succede se si è partiti per filmare l’utopia e ci si trova di fronte la realtà? Sauro non poteva rivelare la sua disillusione, maturata nel vedere piccole camere con persone ammassate che dormivano per terra (i kommunalki), bus pieni zeppi di lavoratori stipati come animali caricati ogni mattina per andare al lavoro, non poteva ammettere al mondo che in Unione sovietica non era poi tutto così bello e giusto, che vi era grande povertà. Il trauma fu al rientro, quando si disse che alcune cose era meglio non mostrarle. Nessuno era mai andato laggiù e le uniche fonti d’informazione erano l’Unità e le radio in lingua italiana, come Radio Praga. Il mito sovietico fu smantellato solo molti anni dopo, fino ad allora restava.

Per Sauro, come per i suoi amici, quel viaggio diventa, però, un momento di maturazione e di passaggio, di forte consapevolezza che si trasformerà, in seguito, in uno stimolo a continuare a viaggiare, per conoscere e capire il mondo. Cosa che Sauro continuerà a fare, solo con la sua cinepresa. Il film racconta la storia di un’utopia, dall’inizio alla fine, senza per questo rinnegarla, ma riconoscendola e comprendendo che quel mondo era finito, nel 1964, con la morte di Palmiro Togliatti, ai cui funerali Sauro stesso partecipa. Un ciclo importante ma che si chiude.

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Un comunista italiano
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Palmiro Togliatti
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I funerali di Togliatti

documentario-treno-va-moscaUna maturità che non rinnega nulla, che rimette in discussione un’utopia (la Russia che non c’è mai stata), in maniera intelligente e analitica, e che ci ricorda però, anche, come era bello quando una comunità era unita dalla solidarietà, da un sogno o da un’idea di futuro (un’Italia che non c’è più). Un sogno che oggi tanto ci manca. E che ci servirebbe.

Il Treno va a Mosca“, di Federico Ferrone e Michele Manzolini, con Sauro Ravaglia, Italia-Gran Bretagna, 2013, 70 mn.

Per saperne di più visita il sito [vedi].

La riscoperta del museo: pubblico, autorevole, indipendente

di Paola Forlani

Si sta finalmente radicando la consapevolezza del museo come istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto.

È necessario ricordare che delle nove Muse nessuna presiedeva alla pittura, alla scultura o all’architettura: il museo prende il nome da un consesso che praticava la poesia in tutte le sue varianti, il canto, il mimo e il teatro, la scienza e la storia. È l’uomo tutto intero, il vero progetto del museo. Le competenze specialistiche sono fondamentali: ma l’ago della bussola segue l’humanitas. Il museo è un’istituzione politica, un elemento cruciale nella costituzione della polis. E con le altre istituzioni politiche e religiose dell’Italia di oggi il museo condivide lo smarrimento, la confusione, a volte la corruzione, spesso il discredito.

Ma, proprio come loro, non può essere sostituito con qualcosa di meglio: come loro, per tornare a essere utile deve tornare a essere davvero istituzione. Indipendente, autorevole, obbediente solo alla scienza, alla coscienza, alla legge. Il museo non è una mostra. Non è effimero. Non si smonta. Non apre a singhiozzo. Non deve essere fagocitato, occultato, distrutto dalle mostre che ospita, né spolpato da quelle che alimenta. Deve essere un indirizzo sicuro: dove un cittadino sa che può trovare le opere che cerca. Né può ridurre la sua attività didattica alle mostre. Forse in questo momento dovrebbe rifiutarsi di accoglierle, promuoverle, fornirle di opere. È un contesto intellettuale, non un’attrezzeria di scena.

Le opere dei musei sono uscite, faticosamente, dal circuito economico. Hanno un senso nuovo. Un senso che non si vende e non si compra. Un museo che presta le sue opere a pagamento non è un museo. Un museo che noleggia le sue sale a pagamento non è un museo. Non si può servire a due padroni.

Il padre scomparso e l’orrore dello sterminio sempre presente

Non è uno dei tanti libri sulla tragedia degli ebrei nei campi di concentramento nazisti quello scritto da Marceline Loridan-Ivens, nata Rosenberg, classe 1928. È una storia diversa, potente, sconvolgente, profondamente umana. A porgermela è una cara amica: mi sa attenta a ogni forma di sofferenza e di amore, al mondo e alla sua storia, che spesso purtroppo si alimenta di orrore. Sa che, pur non essendo ebrea, mi sento in profonda empatia con il popolo ebraico. Che considero l’aberrazione dei campi, la forma peggiore di abominio (che nulla ha di umano), oltre il confine di ogni possibilità di comprensione.
padre-scomparsoQuesto ‘libricino’ (tale unicamente per le sue dimensioni) “E tu non sei tornato”, raccoglie fragili memorie tracciate in forma di lettera al padre, lascia il segno di un amore paterno immenso, il marchio a fuoco, indelebile, di un legame con un genitore che va aldilà dello spazio e del tempo, di una donna che ha vissuto perché lui voleva che lei vivesse. Un libro che imprime una forza che supera e contrasta la cattiveria e la bestialità dell’essere umano, una disperazione che aiuta a sopravvivere. Nell’aria gelida e sotto un cielo incurante di quanto stava accadendo.

Tutto inizia a Nancy, in Francia, nel 1944, quando la quattordicenne Marceline, figlia di negozianti ebrei polacchi, viene catturata, dalla Gestapo, con il padre Salomon e trasferita prima ad Auschwitz-Birkenau, poi a Bergen-Bergen. Futura matricola 78750. Al momento della deportazione il padre le sussurra “tu ritornerai perché sei giovane, io non ritornerò”. Quelle parole resteranno sempre con Marceline, saranno il suo sprone, la sola molla di sopravvivenza, la sua unica forza e linea retta, perché l’amato padre voleva così.

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Marceline Loridan-Ivens, autrice di ‘E tu non sei tornato’ Bollati-Boringhieri, 2015

Da un campo all’altro, su treni e con la morte di fronte, la ragazza sopravvive, con una lettera in tasca arrivata in qualche modo dal padre mentre era assegnata ai lavori forzati. La parola papà è per Marceline ancor oggi impronunciabile. “Quando sento dire papà, sussulto, persino settantacinque anni dopo, anche se viene detto da qualcuno che non conosco. Quella parola è uscita dalla mia vita così presto che mi fa male, riesco a pronunciarla soltanto nel mio intimo. Non riesco a dirla né a scriverla”.
Nel suo messaggio il padre la spronava a vivere, a resistere, parole comuni dettate dall’istinto, le sole rimaste agli uomini di buon senso che non vedono un domani. La ragazza si era raggelata dentro per non morire, con una mente che, in mezzo a tanto odio, si può solo contrarre, con un futuro che dura al massimo pochi minuti, con la perdita di coscienza del chi, del dove si fa, dei perché. Marceline confessa al genitore che “la tua lettera era arrivata troppo tardi. Probabilmente parlava di speranza è d’amore, ma non c’era più umanità in me… Ero al servizio della morte. Le tue parole sono scivolate, se ne sono andate, anche se devo averle lette parecchie volte. Mi parlavano di un mondo che non era più il mio. Avevo perduto ogni riferimento. Bisognava che la memoria venisse distrutta, altrimenti non sarei riuscita a vivere”.
E in effetti questa ragazza ritorna, come papà voleva. Ma a quell’incubo non si sfugge più. E talvolta contagia persino chi nei campi di concentramento non è stato, come i due familiari di Marceline che si sono dati la morte per sfuggire ai ricordi. Perché, dopo quel buio e quelle tenebre, è difficile ritrovare un proprio posto nel mondo.

Marceline Loridan-Ivens, E tu non sei tornato, Bollati-Boringhieri, 2015, 112 p.

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