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Giorno: 4 Luglio 2015

INTORNO A NOI
Gioie e dolori del fatidico “sì”

Amo viaggiare più di ogni altra cosa. La lista dei paesi in cui sono stata è molto lunga: ho visitato l’Oriente e l’Occidente, ho nuotato con le razze e con i delfini, ho fatto il bagno sotto cascate paradisiache, ho visto architetture uniche al mondo. La cosa più affascinante, però, è entrare in contatto con le culture più diverse e conoscere gente di ogni etnia. Se penso a una vacanza, è fuori dall’Italia che mi immagino. E sbaglio. Di recente sono stata in Sicilia, dove non solo ho visto paesaggi meravigliosi, ma ho vissuto un’esperienza nuova, stimolante e curiosa: l’organizzazione di un matrimonio.

Ho trascorso una settimana in un residence immerso nella natura, in compagnia di due care amiche. Villa Laura si trova in un minuscolo paesino, Rodì-Milici, una piccola parte di mondo in provincia di Messina, collocato tra i due paesi più grandi da cui prende il nome. Il residence, oltre che di accoglienza turistica, si occupa dell’organizzazione di eventi, come compleanni, anniversari, cresime e comunioni, matrimoni. Questi ultimi, che hanno subìto un drastico calo in tutta Italia, vengono ancora celebrati in numero consistente nel Mezzogiorno.

Dai dati Istat risulta che nel 2013, su tutto il territorio nazionale, ci sono stati 13.081 matrimoni in meno rispetto all’anno precedente. Inoltre, gran parte delle nozze organizzate sono miste, mentre calano quelle che celebrano l’unione tra due individui di cittadinanza italiana. Negli ultimi anni poi sono diminuiti i matrimoni religiosi e aumentati quelli civili: i primi prevalgono ancora al Sud, mentre al Nord sono i secondi a predominare.

Il matrimonio non incarna più i valori di una volta. Spesso i futuri coniugi si sposano per reciproca convenienza economica; oppure, ci sono coppie che, al contrario, decidono di non sposarsi perché oggi in Italia non conviene: il nostro paese, non solo non favorisce, ma penalizza chi decide di formare una famiglia; un esempio è l’Isee che permette a chi non è coniugato di dichiarare un solo reddito, o l’accesso prioritario all’asilo nido che hanno i figli di genitori non sposati.

Un’altra componente del grande evento che è cambiata in questi anni è l’età, sempre più tardiva, a cui si convola a nozze. Tra le cause determinanti: l’allungamento dei tempi formativi (per avere maggiori possibilità di assunzione oggi è consigliabile conseguire non solamente una laurea, ma anche uno o più master); le difficoltà che i giovani incontrano nell’ingresso nel mondo del lavoro (spesso i datori di lavoro richiedono ai ragazzi una pregressa esperienza, che però l’individuo non sa come ottenere perché in Italia senza esperienza non ti assumono…insomma il classico cane che si morde la coda!); la precarietà del lavoro stesso (in molti casi non si può parlare di veri e propri contratti); la ridotta disponibilità economica che oggi accomuna moltissimi giovani; la permanenza dei ragazzi nella casa e famiglia d’origine; infine, la convivenza prolungata con il partner.

Attualmente sono le regioni del sud a registrare l’età media al matrimonio più bassa. La sposa del ricevimento di nozze a cui ho assistito a Villa Laura ha, infatti, solamente 27 anni e già da tempo convive con il proprio compagno. E a quanto pare i matrimoni in Sicilia, come in Calabria o Campania, oltre ad essere più numerosi, sono anche più affollati: quello che ho visto a Rodì-Milici è stato organizzato per circa 200 invitati, mentre quello previsto per la settimana successiva avrebbe dovuto ospitare 140 persone.

Villa Laura è una struttura che offre tantissimo. Immersa nella natura, il panorama sulle colline circostanti è splendido, e in ogni angolo ci sono alberi da frutta e i tipici ulivi. È un luogo ideale sia per chi vuole staccare la spina e rilassarsi, sia per divertirsi con un ampio gruppo di amici, sia per trascorrere qualche tranquilla giornata con la propria famiglia. Ma Villa Laura è il posto ideale soprattutto per i matrimoni.

Quanta energia e dedizione per arrivare al grande giorno! Lo si capisce osservando i numerosi dipendenti all’opera e parlando con la signora Marcella Gentile, responsabile del contatto con gli sposi. I matrimoni vanno organizzati un anno per l’altro, perciò il rapporto con i futuri coniugi dura circa dodici mesi, durante i quali si crea una liaison con i responsabili. Gli sposi visitano più volte la struttura per stabilire ogni singolo dettaglio. Lo stress che si accumula è molto elevato e la tensione persiste fino al giorno del fatidico sì, quando infine si scopre se tutti gli altri, pronunciati per arrivare a quel momento sono stati mantenuti. Fare bella figura è fondamentale, specialmente in un paesino come Rodì-Milici, dove il canale principale di diffusione delle informazioni, oltre al web, è il passaparola. La gente parla, le coppie vogliono recarsi a Villa Laura per vedere i matrimoni che vengono organizzati, dunque il margine d’errore deve essere ridotto al minimo.

L’obiettivo di Villa Laura è offrire qualcosa di diverso rispetto a ciò che propongono le altre strutture. Fra i punti forti c’è l’accoglienza degli ospiti. La bellezza e l’eleganza della struttura, la gentilezza dello staff, le prelibatezze degli chef e il panorama mozzafiato di questo angolo di mondo fanno il resto.

Insomma, dopo questo breve soggiorno ho dovuto ricredermi e rivedere la mia visione di “viaggio ideale”: l’Italia è un paese meraviglioso, la Sicilia, con i suoi angoli nascosti e le sue infinite diversità, è tutta da esplorare e Villa Laura è un posto splendido in cui farsi coccolare, un luogo che consiglierei a chiunque per pronunciare il più romantico dei “sì”.

Foto di Silvia Malacarne. Clicca sulle immagini per ingrandirle.

mare Sicilia
Una veduta del mare siciliano da Villa Laura
campagna Sicilia
La campagna intorno a Rodì-Milici
Villa Laura
Villa Laura

Arena la Romana: lunedì 6 luglio in programmazione il film di Ken Loach “Jimmy’s hall”

da: organizzatori

1932, dopo 10 anni di esilio negli Stati Uniti, Jimmy Gralton torna nel suo paese per aiutare la madre a occuparsi della fattoria di famiglia. L’Irlanda che ritrova non è più quella di una volta. 10 anni dopo la fine della Guerra Civile, ha un governo tutto suo e tutto ormai è permesso.
Su sollecitazione dei giovani della Contea di Leitrim, Jimmy, nonostante la sua poca voglia di provocare l’ira dei suoi vecchi nemici, la Chiesa e i proprietari terrieri, decide di riaprire il “Hall”, locale aperto a tutti dove ci si incontra per ballare, studiare o discutere.
Il successo è ancora una volta immediato. Ma la crescente influenza di Jimmy e le sue idee progressiste danno fastidio a molti abitanti del villaggio.

L’arena è organizzata dall’Associazione Ferrara sotto le stelle con Arci Ferrara, con il Patrocinio del Comune di Ferrara e dell’Università di Ferrara.
Quest’anno al Parco sarà possibile acquistare abbonamenti da 10 ingressi che avranno validità per tutta la durata della manifestazione.
ABBONAMENTO 10 INGRESSI – 50 €
ABBONAMENTO 10 INGRESSI, SOCI ARCI – 35 €
INGRESSO: INTERO 6 €; RIDOTTO 4,50 € (Soci Arci, studenti Università di Ferrara e possessori della fidelity card – Gelateria La Romana).
Inizio proiezioni ore 21.30. Apertura Parco Pareschi (c.so Giovecca, 148) ore 21.00
In caso di maltempo le proiezioni si svolgeranno presso la Sala Boldini, via Previati 18. Per informazioni: Arci: 0532.241419, Arena Estiva: 320.3570689, Sala Boldini: 0532.247050.
Per il programma completo della manifestazione: www.cinemaboldini.it

Goro: Sabato 4 luglio 2015 , 93esima Giornata Internazionale delle Cooperative

da: Legacoop Emilia-Romagna

“Scegli la cooperazione, scegli l’uguaglianza”: a Goro ACI Ferrara celebra la Giornata Internazionale delle Cooperative

Il 4 luglio 2015, su indicazione dell’Allenaza Internazionale delle Cooperative (ICA) e dell’ONU, in tutto il mondo si celebra la Giornata Internazionale delle Cooperative, festeggiata ogni anno il primo sabato del mese di luglio.
Per il 2015, il tema indicato congiuntamente dall’ICA e dall’ONU è “Scegli la Cooperazione, scegli l’Uguaglianza” (“Choose Co-operative, Choose Equality”).
Per l’occasione, l’Alleanza delle Cooperative Italiane (ACI) di Ferrara, il coordinamento che riunisce le centrali di rappresentanza Legacoop, Confcooperative e AGCI, ha promosso un evento presso il porto turistico di Goro per le cooperative associate, per festeggiare insieme il proprio impegno quotidiano di cooperatori.
L’iniziativa è organizzata da Generazioni Legacoop e OOP! Giovani Confcooperative, i coordinamenti territoriali dei giovani cooperatori under 40. Alle ore 10:30 è prevista un’escursione in barca nella Sacca di Goro, cui seguirà un aperitivo a base di cozze e vongole, offerto da ACI Ferrara e dal Consorzio Pescatori di Goro.
Nel corso della giornata proseguirà inoltre la raccolta di firme, promossa da ACI su tutto il territorio nazionale, per la proposta di legge di iniziativa popolare contro le false cooperative.
“Il modo migliore per festeggiare una giornata delle Cooperative dedicata al tema dell’uguaglianza – afferma Roberto Crosara, Presidente di Confcooperative – è quello di riaffermare la lotta contro l’illegalità. Le cosiddette cooperative spurie, oltre ad inquinare il mercato, spesso sfruttano i lavoratori e vengono utilizzate come strumento per fare l’interesse di pochi, agendo in contrasto con uno degli obiettivi principali delle vere cooperative: la redistribuzione equa delle risorse”.
Oggi al mondo ci sono più di 2,6 milioni di cooperative, con oltre 1 miliardo di soci – tre volte più del numero degli azionisti diretti delle società di proprietà degli investitori. Inoltre, 250 milioni di persone lavorano nelle cooperative o organizzano la loro esistenza attraverso di esse.
Nella nostra provincia, l’ACI conta circa 200 cooperative, che occupano più di 14 mila lavoratori e sono governate da 160.000 soci. Un ferrarese su due con più di 15 anni è socio di una cooperativa (considerando anche le cooperative di consumo). Il tema dell’uguaglianza, caro al movimento cooperativo sin dall’origine, diventa cruciale nella fase storica in cui viviamo, segnata da crescente disparità.
Secondo dati recenti, lo 0,7% della popolazione mondiale possiede il 44% delle ricchezze, mentre il 70% ne possiede solo il 3% (fonte ICA – Dichiarazione ufficiale in occasione della Giornata Internazionale delle Cooperative 2015). Ovunque vi sono ancora persone discriminate per genere, età, religione, condizione socio-economica o altre ragioni.
Come si legge nella dichiarazione dell’Alleanza Internazionale delle Cooperative, stilata in occasione delle celebrazioni del 4 luglio, “le imprese cooperative dimostrano quotidianamente che è possibile una scelta che consenta di cambiare paradigma e rendere l’uguaglianza dominante nello sviluppo economico e sociale”. Nelle cooperative la partecipazione del socio è aperta e volontaria – senza discriminazioni di alcun genere – e vale il principio “una testa un voto”, a garanzia di un controllo dell’impresa equo e indipendente dalla capacità finanziaria dell’individuo.
Le cooperative, inoltre, lavorano per soddisfare i bisogni e le aspirazioni dei propri soci e per uno sviluppo sostenibile della società, prestando quindi particolare attenzione alla ricaduta sulle comunità di appartenenza. “Le cooperative –– afferma Francesca Tamascelli, referente territoriale di Generazioni Legacoop Ferrara – praticano l’uguaglianza attraverso la proprietà condivisa dell’impresa: esse non appartengono ad un proprietario ma sono, per natura, intergenerazionali e collettive.
I giovani, che sono spesso parte debole nella nostra società, possono trovare in questa forma di impresa uno strumento di riscatto e responsabilizzazione”.
“La ricchezza prodotta dalle cooperative – conclude Andrea Benini, Presidente di Legacoop Ferrara e Aci Ferrara – viene in parte redistribuita tra i soci e in parte reinvestita per capitalizzare la cooperativa stessa e per sostenere il territorio e la comunità.
Questa è una realtà da cui partire per affrontare le sfide del mondo contemporaneo, in cui la forbice che segna il divario tra ricchi e poveri si apre sempre di più.
Pur consapevoli che anche le cooperative possono essere strumentalizzate per fini personali, riteniamo il movimento cooperativo capace di garantire ad un numero sempre più ampio di persone l’accesso a standard di vita equi e dignitosi”.

PAGINE DI GIORNALISMO
Pensieri sul corpo morto di una terrorista

Dal basso vedevo quell’albero gonfio di foglie e di frutti, “sopra, vede? Cinquanta metri sopra l’albero, ecco quella cascina è Cascina Spiotta, è là che c’è stata la sparatoria”, mi disse un contadino. Risalii il campo un po’ faticosamente, erano due giorni che giravo come un matto per il Piemonte, da Casale Monferrato, ora ad Acqui Terme, posti stupendi che giustamente i romani frequentavano nelle loro vacanze. Erano, quelli, i dolci luoghi delle villeggiature, del benessere, erano le spa di allora: ruscelli zampillanti, acque sulfuree, acque tiepide, gran vino, tortelli (già allora?), gente burbera che parla poco, a volte scontrosa. La sparatoria si era svolta lassù, “dicono che ci sono dei morti”, aveva concluso la sua informazione il contadino, rimettendo poi in moto con due pedalate il ciclomotore e per scomparire dietro la curva cinquanta metri più avanti. Potevo fare la stessa strada, troppo lunga, preferii risalire la collina sotto un sole montagnardo di mezza mattina, sole pesante sulle spalle. Il borsello, come usava allora, era un orpello greve, antipatico, per fortuna ero allenato alla montagna: la mia piccola casa sopra San Pellegrino in Val Brembana era un rifugio sicuro, tranquillo, si udivano soltanto i gridi gioiosi di mio figlio, che giocava con l’amico Tullio, rampollo di montanari. Andava a scuola ma, soprattutto, lavorava sui campi ripidi dov’era nato, tagliava l’erba, la portava alla stalla dove io, la sera, andavo col pentolino a prendere il latte appena munto. Era un bimbetto Tullio, ma già sconciato dal lavoro; quando vedeva una nuvola in cielo si fermava e cominciava a pregare: “goccina santa, goccina santa, vieni goccina santa” ché, se pioveva, era la benedizione di Dio e della Madonna e Tullio smetteva di lavorare. Quella era montagna dura, i campi venivano tosati per dare cibo da ruminare alle bestie, ma anche per impedire che d’inverno persone e case venissero investite e travolte dalle slavine. Venivano giù a velocità incredibile, le slavine, sporche di terra, di rami, di tutto quello che trovavano sulla loro rapida discesa.

La montagna una volta era un luogo di tragedia greca; di fianco a casa mia c’era stato un grande ciliegio al quale i genitori del vecchio Giuseppe, parente di Tullio, attaccavano la corda doppia per portare su e giù dall’alto della collina il fieno, gli strumenti e perfino anche il fratellino di Giuseppe nella sua culla, un bimbo appena nato che la madre si portava al lavoro e, di tanto in tanto, gli dava la tetta. Ma quel giorno maledetto improvvisamente nella rudimentale teleferica si ruppe la corda e il cassonetto della funivia, a velocità vertiginosa, piombò a valle fracassandosi contro il ciliegio. Il fratellino di Giuseppe morì sul colpo: il padre prese la mannaia, tagliò il ciliegio, ne fece assi, con cui costruì una piccola cassapanca per Giuseppe che andava soldato: Giuseppe mi regalò quella bara, dipinta di rosso sangue, e ora il bauletto è a Roma in casa di mio figlio. Strani viaggi fanno le cose.

Salivo, dunque, la collina sempre in direzione dell’albero ricco che vedevo ormai poco più in alto. Intorno non c’era anima viva. Modi di dire, non c’era anima viva, ma quel giorno di caldo precoce e soffocante, era realtà. Quando fui sotto l’ombra protettrice delle fronde coperte di marasche, mi accorsi che ai miei piedi giaceva nell’erba un fagottone, che non era un fagottone, era una giovane donna. Guardai meglio: morta. Una delle tre vittime di quella assurda, feroce battaglia tra carabinieri e fuorilegge (5 giugno 1975). Avevano sequestrato l’industriale Vallarino Gancia e l’avevano portato lassù a Cascina Spiotta. Lo sapevano tutti, ma quegli improvvisati e sciocchi banditi no, non avevano capito che in quei meravigliosi luoghi, dove il lavoro è il lavoro, è fatica, è rinuncia, ma anche possesso e proprietà, tutti sanno tutto di tutti e le voci giravano: “le Br hanno portato a Cascina Spiotta il Gancia e lo tengono prigioniero”. Le voci erano salite fino alle orecchie degli inquirenti: “Si – mi disse il giorno dopo la sparatoria il procuratore capo di Acqui – sapevamo ed è per questo che ho chiesto al generale Dalla Chiesa di mandare su a circondare la casa un piccolo esercito. Ha invece inviato tre uomini…le pare possibile?” chiese a me. Forse lo scontro a fuoco doveva esserci, azzardai. Il suo silenzio fu una risposta eloquente.

E ora questa ragazza con la quale cominciai a dialogare, poverina, mi addolorava vederla lì perduta per sempre alla vita in un silenzio che soltanto di tanto in tanto il vento riusciva a rompere facendo frusciare le foglie e l’erba alta del prato e portando alle mie orecchie voci sconosciute provenienti dalla cascina; poi così com’erano arrivati i rumori cessavano e rimaneva quell’assurdo silenzio dell’estate. Guardavo di tanto in tanto quella ragazza così immobile, soltanto una ciocca di capelli, neri mi pare, si alzava sul capo, mossa da un refolo di vento, pareva voler sottrarsi alla morte. Non farai più l’amore, pensai a voce alta, come se lei potesse sentirmi e quelle parole mi pesarono sul cuore: com’è possibile, chiesi sempre a voce alta morire ammazzati così giovani? Poi, quasi per provocare quel povero essere domandai: si fa così la rivoluzione? Ammazzare e farsi ammazzare una mattina calda e assolata di giugno? La terrorista non si mosse. Ma la sua presenza, sia pure immota, mi spingeva a imbastire un dialogo assurdo: immaginavo la sua inutile fuga dalla cascina, a balzi giù per la collina, gli altri suoi compagni già sparsi sul prato, salvi per il momento, li sentiva sparare mentre scappavano e poi, improvvisamente più nulla, la terra l’attirò per sempre fino a che le radici del ciliegio non fermarono il suo ruzzolare e lei rimase lì a braccia aperte come a chiamare il cielo su di sé. No, le dissi ancora, questa non è rivoluzione. Ai tuoi nemici, quelli che tu avevi indicato come tuoi nemici, a loro tu servivi morta. Strappai dall’albero un mazzetto di ciliegie: ho sete, mi scusai con la morta. Intanto guardavo questo pacifico panorama, la pena che mi aveva riempito il cervello non accennava a diminuire e stavo lì imbambolato quando mi raggiunse un collega trafelato: “l’hanno identificata, è Mara Cagol, la moglie di Curcio”. Mara, le ripetei ora che conoscevo il nome, non si fa così la rivoluzione, tu sei morta per che cosa?

Per quel senso di giustizia sociale che il potere calpesta, al giorno d’oggi – vorrei dirle adesso – il terrorismo giunge da lontano, colpisce dove gli pare, taglia le teste innocenti, indifese e indifendibili. Mara, pensai, sei morta quando ancora la ribellione alle ingiustizie, alle torture dei poteri forti, alle prevaricazioni delle multinazionali aveva contorni romantici, ora viviamo dentro un film dell’orrore. Pensavi di fare la rivoluzione mentre un tuo compagno ti tradiva? A Milano, il giorno dopo, sui muri della città comparve una scritta: “Mara è viva e lotta insieme a noi”. Mara era morta.

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BORDO PAGINA
Tecnomagia, tra Sociologia e Fantastico. Intervista ad Ada Cattaneo

Ada, dal tuo background emergono interessi e dinamiche editoriali apparentemente eclettiche: tra nuovo fantastico popolare e sociologia persino sociocibernetica, uno zoom?

In realtà, in termini ideologici e di analisi culturale sono abbastanza diffidente rispetto al fenomeno sociologico della crescente diffusione del “fantastico popolare”, che sarebbe più corretto definire “fantastico commerciale”. Si tratti di fantasy, fantascienza o storia romanzata, in molti casi non siamo di fronte a null’altro che al saccheggio di un materiale mitico più o meno travisato, mal digerito, spesso addomesticato – e non di rado cambiato di segno in omaggio ad una political correctness del tutto contemporanea! – per creare prodotti culturali di largo e pronto consumo: film, videogiochi, fumetti, romanzi-spazzatura, serie televisive… Di questo mi interesso come sociologa dei consumi: per constatare come si tratti di un fantastico che non esorta più a divenire ciò che siamo – o meglio ancora a divenire più di ciò che siamo – ma semplicemente a fornirci un simulacro dolciastro delle vere imprese, delle grandi emozioni, dei sentimenti violenti e dell’avventura che siamo troppo decadenti, come individui e come società, per vivere nel mondo reale. Da tale considerazione nasce anche il mio tentativo di contribuire a una riappropriazione del vero fantastico popolare: quello che non mette insieme in un minestrone hollywoodiano supersoldati americani, dèi norreni e miliardari cardiopatici con esoscheletro affinché il coach potato globalizzato si senta solleticato per un attimo nel tedio di una vita insignificante, ma che ci parla delle tradizioni e della visione del mondo dei popoli cui apparteniamo.

Più nello specifico, una reinvenzione di certa Tradizione e una futuristica radicale, ma anche nel Presente, esatto?

Nietzsche diceva: “L’avvenire apparterrà a chi avrà la memoria più lunga”. Naturalmente, l’attualità oggi appartiene all’Ultimo Uomo, al protagonista della fine della storia, che saltella schiacciando l’occhio su un pianeta che diventa sempre più piccolo, alla ricerca della sua piccola felicità individuale. Ma se un avvenire ha ancora da essere, non potrà che appartenere a chi saprà coniugare le radici più profonde (la tradizione) con il futuro più grandioso (il progetto) attraverso l’impegno culturale, artistico, metapolitico nel presente.

Secondo te saranno possibili un consumo e una società edonistica più epicurei nel futuro?

Epicuro era il filosofo di una civilizzazione ellenistica al crepuscolo e già marcata dalle infezioni che qualche secolo dopo ne determineranno il crollo. La società consumistica contemporanea non è però una società davvero dedita al piacere, che deriva solo dalla ricerca del sublime, e alla gioia. Queste sono sensazioni forti e peccaminose, guardate con sospetto dalla mentalità pavida, egualitaria, remissiva di chi – come dicevo – è incline soprattutto alla ricerca elusiva di una piccola mediocre felicità individuale, intesa essenzialmente come assenza di minacce o stimoli negativi, magari da estendere buonisticamente al prossimo, indipendentemente da cosa tale prossimo ne possa pensare. Naturalmente è possibile il ritorno a un atteggiamento al tempo stesso più tradizionale e più futurista, e certo non necessariamente ascetico, pauperista o decrescentista, in cui la vita ha un senso non di per sé ma per quello che uno riesce a farne, e anche l’ebrezza, l’eccesso e il potlach hanno il loro posto.

E come vedi il tanto discusso futuribile Transumanesimo?

Se capisco bene, il transumanesimo è l’idea secondo cui l’uomo possa e debba far uso degli strumenti che la tecnica via via mette a sua disposizione per superarsi e accrescere la propria capacità di plasmare se stesso e il mondo in cui vive. In questo senso non solo costituisce da sempre l’essenza di ciò che essere “umani” rappresenta, ma anche la vera caratteristica identificante di quella che Spengler chiamava non a caso “civiltà faustiana” – che oggi giunge al capolinea, ma di cui siamo gli eredi e che possiamo, se lo vogliamo, trasfigurare in un’era postumanista e letteralmente postumana.

È possibile anche un’arte transumanista?

Come dice Stefano Vaj in “Biopolitica. Il nuovo paradigma”, “l’unica cosa che sappiamo con certezza del futuro della nostra specie e della nostra razza è che esso si trova di fronte a noi. Sappiamo anche che non esiste possibile “ritorno al passato”. Può esserci solo un ritorno (propriamente: l’Eterno Ritorno) di ciò che in passato ci ha consentito di affrontare sfide nuove e affermare noi stessi. La nostra inquieta esplorazione del mondo, le tecniche che ne discendono, ci condannano a delle scelte, ci offrono dei poteri, ma non possono dirci cosa farne. Questo non appartiene agli ingegneri o agli scienziati o ai giuristi, ma agli “eroi fondatori”, ai poeti, e alle aristocrazie che sanno tradurre in atto l’oscura volontà collettiva della comunità popolare da cui emanano, costruendole monumenti destinati a sfidare l’eternità, lasciando dietro di sé una gloria che non muore”. Wagner, d’Annunzio o Marinetti non sono naturalmente la stessa cosa di Omero, ma se siamo davvero uomini in transizione verso un futuro postumano è solo la creazione artistica nel senso più ampio e collettivo del termine che potrà darcene la motivazione e la direzione e prima ancora l’immaginazione… fantastica. E si ritorna alla prima domanda di questa intervista.

ada cattaneo
Un ritratto di Ada Cattaneo

Ada Cattaneo, da Milano. Laureata in Filosofia all’Università Cattolica, formatasi alla scuola sociologica di Vincenzo Cesareo e poi a quelle sociologiche e socio-economiche di Francesco Alberoni e di Gianpaolo Fabris, con i quali ha collaborato tanto in università quanto nelle loro società di ricerca e consulenza. Docente di tendenze socioculturali, consumi e comportamenti dei consumatori presso l’Università IULM e di sociologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Giornalista, ricercatrice e consulente, scrittrice ed esperta di leggende e tradizioni.

ACCORDI
Independence flag.
Il brano di oggi…

Ogni giorno un brano intonato alla cronaca selezionato e commentato dalla redazione di Radio Strike.

[per ascoltarlo cliccare sul titolo]

The Night They Drove Old Dixie Down di The Band.

Ebbene sì, l’avevo previsto ed è successo.
Questa cosa della bandiera confederata è arrivata all’apice negli Stati Uniti.
Non sabato scorso con quella tipa che è salita sul pennone a tirarla giù ma in ‘sti giorni con la notiziona: LA CBS HA SOSPESO LE REPLICHE DI HAZZARD.
La motivazione non è stata resa nota ma si può intuire facilmente.
Posso ridere? Chissene, tanto ho già riso tutto ieri.
In realtà la mia previsione era: assolderanno qualcuno che ritoccherà ogni scena di Hazzard in cui si vede il tetto della macchina.
Però forse anche i nostri amici yankee hanno pochi soldi e beh, via così, tabula rasa, taglio netto.
Ovviamente sono fatti loro ma ‘sta cosa mi lascia un po’ così.
Se posso pemettermi, pensano di aggirare il/i problema/i in quel modo?
Smettere di vendere quelle bandiere?
Smettere di passare Hazzard in TV e a ‘sto punto mettere anche dei bip in certi punti del pezzo che ho scelto per oggi?
Io li amo ‘sti americani nonostante tutta la brutta roba che si portano dietro, se non altro mi fanno sempre ridere.
Anche se forse a questo punto c’è davvero poco da ridere.
Si può discutere per giorni sul significato di quella bandiera, simbolo di schiavismo e odio razziale o memoria di mezza nazione che ancora si vive male quel ricordo.
Boh. Forse basterebbe anche solo ricordare che nel “buon Nord” parecchia gente che manifestava contro la schiavitù fu linciata in nome del caro vecchio “non vogliamo rogne qui”.
Forse in realtà è questo che brucia e brucia con tante altre cose che si porta dietro.
Buona festa del tacchino, ceffi.

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album: The Band

Selezione e commento di Andrea Pavanello, ex DoAs TheBirds, musicista, dj, pasticcione, capo della Seitan! Records e autore di “Carta Bianca” in onda su Radio Strike a orari reperibili in giorni reperibili SOLO consultando il calendario patafisico. xoxo <3

Radio Strike è un progetto per una radio web libera, aperta ed autogestita che dia voce a chi ne ha meno. La web radio, nel nostro mondo sempre più mediatizzato, diventa uno strumento di grande potenza espressiva, raggiungendo immediatamente chiunque abbia una connessione internet.
Un ulteriore punto di forza, forse meno evidente ma non meno importante, è la capacità di far convergere e partecipare ad un progetto le eterogenee singolarità che compongono il tessuto cittadino di Ferrara: lavoratori e precari, studenti universitari e medi, migranti, potranno trovare nella radio uno spazio vivo dove portare le proprie istanze e farsi contaminare da quelle degli altri. Non un contenitore da riempire, ma uno spazio sociale che prende vita a partire dalle energie che si autorganizzano attorno ad esso.

radio@radiostrike.info
www.radiostrike.org

IMMAGINARIO
Garibaldi in Porto.
La foto di oggi…

Garibaldi fu ferito, fu ferito prorio qui. Nelle paludi, tra Ferrara e Ravenna, il generale, patriota e condottiero ci è passato insieme alla sua Anita. E in queste terre, nella fattoria Guiccioli, perde la vita lei, la moglie e compagna. In onore suo e loro si chiama così Porto Garibaldi, la località dei lidi di Comacchio, che alla coppia dedica un monumento. La scultura, in rame, è in via Ugo Bassi a Porto Garibaldi, fatta dagli scultori Nicola Zamboni e Sara Bolzani. La ricordiamo oggi, perché è il giorno del compleanno di Giuseppe Garibaldi, nato a Nizza il 4 luglio 1807. Auguri!

OGGI – IMMAGINARIO RICORRENZE

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Giuseppe Garibaldi e Anita morente in un dipinto che li ritrae nelle valli di Comacchio
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La coppia in fuga attraverso le valli nella scultura di Zamboni-Bolzani a Porto Garibaldi
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Garibaldi con Anita nel monumento (foto dal sito della scultrice Sara Bolzani)

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic sulla foto per ingrandirla]