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Giorno: 3 Ottobre 2015

INTERNAZIONALE
Cibi ad alto rischio: carne agli antibiotici e il mare è una pattumiera

di Francesco Fiore

La nostra epoca è l’unica nella storia dell’uomo in cui non abbiamo la preoccupazione di procurarci il cibo. La produzione industriale infatti dà agli abitanti dei Paesi industrializzati la possibilità di avere ciò che si vuole, quando lo si vuole. Esiste però un lato oscuro dell’industria alimentare che Philip Lymbery (chief executive officer of compassion in world farming) descrive nel suo omonimo libro come “Farmageddon”. Lo scenario alimentare apocalittico è stato profetizzato da Lymbery dopo tre anni in viaggio per il mondo alla scoperta di come viene prodotto il cibo che mangiamo. Durante questo periodo l’autore ha scoperto gli sprechi, le condizioni estreme e la produzione sregolata che stanno dietro alle megafarm americane, che rischiano di arrivare anche in Europa grazie ad un trattato, il Ttip, sotto la menzogna di una intensificazione sostenibile.
I danni ambientali di questo metodo di produzione sono innumerevoli per l’ecosistema del pianeta e la sostenibilità delle risorse della terra e del mare, evitabile solo attraverso la creazione di una maggiore consapevolezza e attenzione riguardo a ciò che mangiamo.

È quindi meglio essere vegetariani, vegani o carnivori? La domanda secondo Lymbery non richiede una risposta, ma serve ad incentivare un ragionamento su che cibo consumiamo e come questo arriva fino a noi. Come afferma Marco Costantini di Wwf, “non possiamo più permetterci il lusso dell’indifferenza rispetto a quello che mangiamo”. Dietro la carne prodotta industrialmente ci sono animali allevati in condizioni estreme e innaturali, alimentati con i prodotti di colture che potrebbero sfamare milioni di persone e imbottiti di antibiotici. Dietro il pesce che finisce sulle nostre tavole ci sono tutte le altre specie che non interessano al mercato e vengono rigettate in mare. La monoculture intensive, a causa dell’uso di prodotti chimici, distruggono l’ecosistema circostante costringendo la California, ad esempio, a importare le api per impollinare i filari. Il nemico comune è quindi la produzione industriale di cibo, che secondo Lymbery ha la potenzialità di produrre cibo sufficiente per il mondo di oggi e di domani ma spreca più di ciò che produce.

Come è possibile dunque evitare l’apocalisse alimentare profetizzata dall’autore di “Farmageddon”? Dobbiamo diventare tutti vegetariani? Anche se per Umberto Veronesi questa sarebbe una conquista di civiltà, la risposta è no. Ciò che abbiamo il dovere di fare è influenzare le decisioni politiche riguardo alla produzione di cibo partendo dal carrello della spesa, cioè dalla scelta di cosa mangiare, sviluppando e favorendo una cultura del cibo basata sul mangiare meno e mangiare meglio, sul rispetto dei prodotti e dei luoghi nei quali vengono prodotti.
Mangiare non è solo “un atto agricolo”, come scrive Wendell Berry. E’ anche “un atto ecologico e politico” annota Michael Pollan nel suo “The omnivore’s dilemma: A natural history of four meals”.

INTERNAZIONALE
Vita da migranti, storie vive dietro le aride cifre

di Francesco Fiore

Dati orribili, spaventosi e in continua crescita. Nel luglio 2015 sono arrivati in Europa oltre 107mila migranti, il triplo dell’anno precedente, nei viaggi hanno perso la vita più di mille persone. Una migrazione senza precedenti nella storia, che l’Europa sta affrontando in modi contraddittori, dai muri dell’Ungheria che rievocano il più tragico passato del nostro continente agli episodi di accoglienza come quello visto alla stazione di Monaco, in Germania.

Nella diretta di Radio 3 Mondo, ieri ospite di Internazionale, si è parlato di scenari del prossimo futuro, esplorando con gli ospiti gli eventi storici attuali che avranno un impatto tangibile sulla conformazione geopolitica  mondiale. Dal dialogo ritrovato tra gli Stati Uniti e Cuba, all’unione politica ed economica dell’Unione Europea fino ai grandi movimenti migratori dal continente africano alle coste del Mediterraneo. Alla vigilia dell’anniversario della strage di Lampedusa, che ha visto 368 persone morire a pochi chilometri dalla costa siciliana, il tema dei migranti è sicuramente l’aspetto con cui l’Europa, e l’Italia, devono confrontarsi con più urgenza.

Analizzare questo fenomeno solo attraverso i numeri e l’osservazione distaccata mette in ombra il ruolo di chi decide, consapevolmente, di affrontare un viaggio massacrante attraverso la terra dell’Africa e l’acqua del Mediterraneo. Si rischia di parlare solo di aride cifre e non di persone, disumanizzando e privando della loro identità migliaia di viaggianti, che siano profughi di guerra o migranti economici.

Per questo la giornalista Federica Cellini ha voluto raccontare, attraverso l’installazione Draunara (situata in piazzetta Sant’Anna), le storie più piccole e significative di chi è sbarcato nell’isola di Lampedusa, attraverso le immagini dell’arrivo ma sopratutto i suoni sintetizzati dei punti cardine dei racconti dei migranti, dai camion roventi nei quali hanno raggiunto le coste africane, alle prigioni libiche fino al mare e le intimidazioni degli scafisti durante la traversata del Mediterraneo.
Attraverso la conoscenza delle persone e delle loro storie individuale si possono comprendere le sofferenze di chi sbarca sulle coste europee, ed estendere a tutto quell’universo sociale il sentimento di accoglienza che è da sempre presente negli abitanti di Lampedusa, per spingere a una azione politica tesa a proteggere le persone, non le frontiere.

INTERNAZIONALE
“Quel treno speciale per Pechino”: normalità è equilibrio sopra la follia

Piedi che compongono passi e si muovono frenetici sul pavimento lucido e asettico,
mani che impugnano maniglie di trolley ripieni trascinati contro la loro volontà.
Facce stanche e sparuti sguardi.
Siamo in una stazione, uno dei posti che Marc Augé definiva non-luoghi.
Dove i viaggiatori sono solitamente persone accomunate da lavoro o svago.
Qui i viaggiatori sono Olga, Andrea, Jacopo, Carmelo.
E apparentemente non hanno niente in comune, se non il fatto di essere matti.

“Quel treno speciale per Pechino”, questo il titolo del film presentato da Giovanni Piperno
venerdì 2 ottobre in occasione del Festival di Giornalismo Internazionale, documenta il viaggio
che lui, insieme ad altre settantasei persone con problemi psichiatrici
accompagnati da 130 familiari e operatori,
intraprende nell’agosto 2007 partendo da Venezia in direzione Pechino.
“Questo viaggio è stato organizzato, anche grazie all’apporto del Ministero della Sanità,
dall’associazione Le parole ritrovate (leparoleritrovate.org), nato nel 2000,
che coinvolge familiari, operatori e semplici cittadini nell’ordine di idee di raccontare storie di tutti i giorni relativamente alla sanità mentale, con l’intento di scambiarsi esperienze di vita nell’ottica del fareassieme – racconta il regista al termine della proiezione.

Ho fatto un regolare casting per scegliere gli attori di questo film – continua – mi appuntavo durante le chiacchierate gli aspetti caratteriali che mi colpivano di ognuno di loro.
Nel corso della narrazione e del viaggio, si sono andati poi delineando
naturalmente quelli che sarebbero stati i protagonisti. Di notte insieme al fotografo e aiuto regista guardavamo il girato della giornata.
Con alcuni di loro sono ancora in contatto: Jacopo ora sta meglio; Olga può vivere nella casa che
era di sua madre, intervallando la sua permamenza nella casa famiglia; Andrea deve prendere medicine pesanti per stare bene, e questo non è un bene”.

Lo sferragliare del treno diventa termometro degli animi, custode obbligato dei passaggi tra sonno e veglia, tra fermate in stazione e discussioni a mezza voce o ad alta voce.
Si attraversa pigramente Budapest, Mosca, il lago Bajkal, Ulan Bator, la Mongolia con le sue steppe sconfinate, fino a entrare trionfalmente nella stazione della capitale cinese.
Alle chiacchiere con gli ospiti si aggiungono quelle con i loro familiari, con gli pshichiatri, con gli operatori. Chi racconta come è comparso il disagio, chi racconta come e perché ha cominciato a fumare, chi vorrebbe allontanarsi dal resto del gruppo e simi lamenta che “se l’avesse saputo non sarebbe mai partito”.
Lentamente, a tratti con fatica intervallata da momenti di tenerezza e di divertimento, tra un corso di yoga e una lezione di astrologia, si compatta un gruppo di persone inizialmente frastagliato,
con qualche falla a dover essere tappata, con qualche piccola ferita che forse può esser medicata da quello strano viaggio su carrozze e rotaie, mescolati ad altri passeggeri.

C’è il monolitico Andrea, serio e visceralmente schietto, corrispondente speciale di una emittente radiofonica a cui racconta passo passo il viaggio – con occhio del tutto personale.
C’è Olga, amante dei gioielli con i turchesi, che soffre di una patologia che le fa sentire le voci e si chiede se tutti quegli elettroshock che le hanno fatto siano serviti a qualcosa.
C’è Carmelo, che soffre di un disturbo bipolare e passa da stati di gioia
immensa a momenti di depressione totale.
C’è Jacopo, ragazzino autistico, accompagnato dai suoi genitori
che non lo perdono di vista – e di cuore – neppure per un attimo.
C’è Vincenzo, per tutti solo Enzo, napoletano polemico
e dalle simpatie anarchiche che odia dover stare in un gruppo,
detesta chi comanda e considera questo viaggio “una pura follia”
– in fondo, come dargli torto?

La Grande Muraglia della finalmente ritrovata Pechino
diviene ultimo baluardo per questo strano gruppo, che immortala
la propria impresa con una foto ai piedi del’immensa costruzione.
Sorrisi, pose, maglietta bianca che porta impressa una lettera nera,
ognuno collegato all’altro per comporre una unica frase.
E allora è questa la normalità? mi chiedo quando il film termina.
Andrea e Olga passeggiano di sera lungo una strada affollata, mano nella mano.
Siedono al tavolino di un locale, finiscono a rimembrare vecchi tempi (“Bei tempi”) come una coppia che sta insieme da una vita.
Jacopo sfreccia tranquillo nella corsia centrale di un centro commerciale con i roller blade che gli hanno regalato i genitori.
Enzo cede alla chitarra che il regista gli chiese di portare al principio del viaggio. Non la suona da quindici anni ma nessuno lo nota, intona una canzone melodica mentre sullo sfondo scorrono le immagini di un reality show cinese. L’audio è muto.
Qui nessuno sembra davvero Lost in translation.

INTERNAZIONALE
Incognita terrorismo, la delicata soluzione fra controlli e libertà individuali

Con l’aumento degli attentati terroristici sparsi in tutto il globo negli ultimi anni, aumenta esponenzialmente la richiesta da parte dei cittadini ai loro governi circa l’adozione di maggiori sistemi di sicurezza  che, allo stesso tempo, non devono intaccare la nostra sfera privata. In un mondo sempre più digitalizzato nel quale i nostri dati vengono prodotti e distribuiti in rete in quantità enormi, pare impossibile che questi non compaiano nelle indagini della lotta al terrorismo.
In merito a queste problematiche, quattro sono i punti di vista emersi durante l’evento “Libertà individuale e sicurezza in Europa” del Festival di Internazionale, coordinati da Gianpaolo Accardo e incarnati dal francese Eric Jozsef di Liberàtion, dal tedesco Michael Braun del Die Tageszeitung, dalla statunitense Rachel Donadio del New York Times e da Thierry Vissol, anch’egli francese ma in rappresentanza della Commissione europea.

Se negli Usa quando si parla di terrorismo non può che venire in mente l’11 settembre, oggi in Europa i ricordi si rifanno principalmente al 7 gennaio di quest’anno, ovvero alla strage di Charlie Hebdo. È partito da questo fatto Eric Jozsef, analizzando cosa è cambiato in Francia dopo questo attacco e affermando che “dal punto di vista formale, senz’altro vi è stato un cambiamento sull’operatività della sorveglianza. Questo tema non riguarda più solo la sfera pubblica ma anche quella privata: la tendenza di entrambi è quella di utilizzare i mezzi tecnologici a nostra disposizione per trattare questi dati, poiché questi oggi circolano sempre più velocemente e spesso vengono intercettati”.
“Dopo gli attentati – ha continuato il giornalista di Liberàtion – il governo approvò un testo basato su due riflessioni: il primo è la possibilità per le istituzioni di approfondire e allungare le inchieste sui sospettati, perché a priori ci deve essere un controllo e si deve sempre rendere conto di quanto è stato scoperto; il secondo punto si basa sulla ricerca delle persone che potrebbero essere sospettate, procedimento che ha visto la Francia mettere a disposizione una scatola nera direttamente nei servizi di comunicazione degli utenti per studiare gli algoritmi scoprendo così le parole più utilizzate e potenzialmente sospettabili durante le conversazioni”.
Un sistema, quello appena descritto, elogiato dal governo francese il quale sostiene di “aver trovato il giusto equilibrio” e che “non si verificheranno abusi di controllo”, ma al contrario “fortemente criticato dalla popolazione”.

Uno scatto durante l'evento
Uno scatto durante l’evento

Fisicamente presente sia a New York nel 2001 sia a Parigi nel 2015, Rachel Donadio ha specificato che “durante quei terribili giorni la paura che si leggeva nei volti delle persone era soprattutto dovuta ad una sensazione di mancata protezione. In una prima fase gli Usa e l’Europa hanno cercato di rispondere a questa paura ma, una volta che i cittadini si sono nuovamente tranquillizzati, è subentrata una seconda fase definibile come ‘big brother’, ovvero la non volontà che i servizi di comunicazione governino troppo i nostri dati”.
È chiaro quindi il paradosso venutosi a creare. Per rispondere a questa problematica, la Donadio ha ricordato come il governo USA abbia “sia limitato i controlli dell’N6 sia introdotto la possibilità di chiedere una corte segreta per valutare se sfruttare o meno le informazioni delle compagnie di comunicazione”.
A livello politico, la giornalista del New York Time ha infine ricordato come “a volte all’Europa conviene che gli Usa utilizzino questi mezzi di investigazione, così come agli Usa fa comodo che in molti paesi europei avvengano parecchie intercettazioni. Tuttavia – ha continuato – in Europa il rischio di attentati è altissimo e la disponibilità da parte dei vari paesi europei a lasciarsi ‘intercettare’ è molto più bassa rispetto ai cittadini statunitensi. Il rischio che l’Europa deve affrontare è trovare la maggior collaborazione possibile nella raccolta di informazioni”.

Per quanto riguarda la Germania, Michael Braun ha specificato che la visione tedesca su queste tematiche è molto particolare soprattutto per il suo passato, tra nazismo e DDR. “Una buona fetta dell’opinione pubblica tedesca è contraria al dei dati da parte dello stato proprio per questi motivi, molti sono stati infatti i movimenti post ’68 sensibilissimi a queste tematiche”.
Ma non è solamente un problema dello Stato. Il giornalista del Die Tageszeitung ha puntualizzato che “basta recarsi su street view di Google per notare come molti palazzi siano ‘pixelati’ e non riconoscibili, a conferma del fatto che a differenza di molti altri paesi i tedeschi non vogliano nemmeno far vedere sulla rete le proprie abitazioni”.

Ultima analisi quella del membro della Commissione europea Thierry Vissol, incentrata sul fatto che “collegare le misure di sicurezza solamente al terrorismo è un errore, basti pensare che la recente strage nella scuola dell’Oregon ha fatto più morti di quella di Charlie Hebdo”. Per Vissol sono i media i principali artefici di questo errore, rei di “giocare esclusivamente sulla minaccia terroristica. I sistemi classici di sicurezza come a videosorveglianza – ha continuato – non sono nate per il terrorismo”.
Spazio anche a qualche critica verso noi stessi, poiché per il membro della Commissione europea “siamo proprio noi a contribuire attivamente nel dare ogni tipo di informazione sulle nostre vite ai grandi media. Quando oggi parliamo di big data dobbiamo essere consapevoli che nuovi software permettono di sapere esattamente dove siamo e cosa facciamo senza ascoltare le conversazioni telefoniche ma basandosi solamente su algoritmi”.
In conclusione, sulle decisioni politiche della Commissione europea è stato ricordato come questa istituzione “faccia delle proposte ma difficilmente riesce a prendere della decisioni applicabili a ogni paese in maniera omogenea. Dal ’95 si sono succedute moltissime direttive, dalle limitazioni a Google a Frontex, dai controlli sulle operazioni finanziarie dei terroristi alla rete delle polizie europee”.

Coldiretti: in Emilia-Romagna aumentano le aziende agricole giovani e crescono le iscrizioni ad istituti agrari ed alberghieri

da: ufficio stampa Coldiretti Ferrara

A Expo l’allevamento di cachemire dell’Emilia-Romagna tra i finalisti di Oscar Green alla prima giornata dell’innovazione dei Giovani di Coldiretti.

Nel secondo trimestre del 2015 per la prima volta da cinque anni a questa parte è tornato a crescere il numero delle aziende agricole giovanili dell’Emilia Romagna facendo registrare 80 imprese in più (+4,3 per cento) e passando dalle 1.862 imprese del primotrimestre alle 1.942 del secondo trimestre. Lo rende noto, sulla base di dati dell’Unioncamere, Coldiretti Emilia Romagna nel giorno in cui proprioun’impresa emiliano romagnola, l’azienda dell’imolese Gianluca Cellini, ha partecipato alle finali di Oscar Green, il premio per le imprese più innovative promosso da Coldiretti Giovani Impresa e consegnato questa mattina ad Expo, nel padiglione Coldiretti, in occasione della prima giornata dedicata alla creatività del made in Italy.
Il richiamo dell’agricoltura e dell’alimentazione per le nuove generazioni emiliano romagnole – commenta Coldiretti Emilia Romagna – è testimoniato anche dall’aumento delle iscrizioni negli istituti tecnici agrari regionali, che per l’anno scolastico 2015-2016 sono passati da 5.047 iscritti, con un aumento del 6,7 per cento rispetto all’anno scorso, e dagli iscritti nelle scuole per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera, che per l’anno in corso sono stati 12.899 (+3,2 per cento sul 2014).
Una nuova generazione di giovani – commenta Coldiretti regionale – si sta interessando all’attività di contadini, allevatori, pescatori e cuochi che non si limitano alla produzione di cibo made in Italy, ma guardano a questo settore come possibilità di occupazione, crescita economica e anche possibilità di difendere la cultura, la bellezza, la storia la salute e in generale l’alta qualità della vita.
A queste qualità si è ispirato Gian Luca Cellini insieme con la moglie Floriana Benvenuta Messina, imolesi, che sul prima Appennino cesenate hanno aperto un allevamento di capre “Hircus”, le capre che producono la lana cashmere di cui l’Italia è il maggior trasformatore al mondo. L’azienda di Cellini è entrata nella terna finalista dell’Oscar Green nella sezione “Fare rete”, e pur non ottenendo la vittoria finale resta un esempio delle imprese giovani non solo perché ha voluto allevare capre per fare cashmere made in Italy, ma anche perché vuole estendere la sua attività all’intera filiera per renderla tutta italiana. I terreni del suo allevamento si trovano in zona marginale e disagiata nel cuore della Romagna. Qui tutto nasce dalla necessità di pulire il sottobosco e trovare animali ruspanti bisognosi di poca cura. Gian Luca scopre che la capra hircus è la più adatta allo scopo. Scoprirà poi che oltre a restituirgli la montagnanella sua ripulita bellezza, darà il futuro alla sua famiglia. Oggi Gian Luca ha un allevamento di 30 capi di ovini di razza “hircus”, da cui una volta all’anno raccoglie il vello cashmere, che viene trasformato in un prodotto ricercato di moda, attento al design made in Italy, venduto in Italia ed all’estero. Da questa preziosa fibra, infatti, Gianluca produce preziosissimi maglioni, accessori, guanti, cappelli, pashmine. Per ore le sue fibre vengono analizzate in Colorado e trasformate in Germania perché gli esperti trasformatori italiani non consentono di trasformare piccole quantità. Ma Gian luca guarda lontano, ha già in mente una filiera chiusa. Trasformare, in casa, le sue fibre e provvedere a tutto in autonomia: dalle capre ai maglioni finiti.

La Pera IGP dell’Emilia Romagna protagonista al Festival di Internazionale a Ferrara

da: Ufficio Stampa CSO

Un grande successo per l’aperitivo salutare a base di Pera IGP presentato oggi dallo Chef Alessio Malaguti della Trattoria La Rosa in collaborazione con l’Istituto Alberghiero Orio Vergani.
La Pera IGP, protagonista del progetto europeo “gusta la differenza”, che coinvolge anche pesca e nettarina e radicchio di Treviso, è una grande protagonista del mercato autunnale e molte sono le attese per la qualità eccellente di questa annata.
Un’ottima annata per un prodotto leader dell’offerta italiana rivitalizzato da consumi ed export in crescita.
Il contesto di Internazionale è stato anche l’occasione per presentare il brut spumante a base di pera realizzato dall’Enologo dell’Istituto Alberghiero.
Il Presidente di CSO Paolo Bruni e la Dirigente Scolastica dell’Istituto Vergani Roberta Monti dopo aver assaggiato lo spumante hanno fatto un brindisi con tutti i presenti.

Parte il mercato dell’artigianato artistico di Internazionale vetrina di talenti, creatività e specializzazioni

da: ufficio stampa Cna Ferrara

E’ organizzato dalla Cna in corso Porta Reno. Nella piazzetta all’angolo di via Ragno esposizione delle eccellenze gastronomiche del territorio

Dopo una partenza un po’ in salita, causa maltempo, è decollata sabato, con un bel pienone, la Mostra Mercato dell’Artigianato artistico, organizzata da Cna, nell’ambito di Internazionale. Un bel colpo d’occhio, con Porta Reno affollata a metà mattina a ridosso degli stand dei 38 espositori provenienti da tutta Italia, oltre che dalla provincia.
Una vera e propria vetrina rappresentativa della creatività artistica, dei talenti e delle più disparate specializzazioni, specchio significativo di un comparto che vede la presenza di tanti giovani artigiani entusiasti del proprio lavoro: dai giochi in legno alla bigiotteria, dall’abbigliamento alle ceramiche artistiche, dai complementi d’arredo agli oggetti riciclati da materiali di recupero, dagli oggetti in carta alla lavorazione della pelle.
In prossimità della Mostra dell’artigianato artistico,, nella piazzetta all’angolo tra via Ragno e corso Porta Reno,è allestia, intanto, un’area dedicata alla presentazione e commercializzazione delle eccellenze enogastronomiche del nostro territorio, organizzata da Cna, in collaborazione con la Strada dei Vini e dei Sapori, Ais – Emilia Romagna e Apci – Associazione Professionale Cuochi Italiani e Delphi International.
Questi i nomi degli espositori: Leonardo Albano (Saludecio), Laura Bella (Pennabilli), Ilaria Bencivenni (Marzabotto), Debora Benfenati (Bologna), Sara Bernardi (S. Agata), Gianni Boraggini (Castel Maggiore), Francesco Bramucci (Arcevia), Katiuscia Cavajano (Padova), Giovanni Cavalleri (Peschiera Borromeo), Enrico De Lazzaro (Ferrara), Alessandra De Micheli (Monzuno), Francesca De Vita (Firenze), Elisabetta Nguyen e Doan Thi Thu Trinh (Corvione di Gambara), Barbara Fanti (Sasso Marconi), Simona Foglia (Misano Adriatico), Annalisa Formaggi (Ferrara), Patrizia Gabbanelli (Castelfidardo), Andrea Giovanelli (Argenta), Anna Maria Lorimer (Scandicci),
Claudia Magnani (Savignano sul Rubicone), Massimiliano Mancini (Rimini), Alessandra Pasini (Meldola), Paola Patruno (Cavezzo), Antonella Perretta (Zola Predosa), Catia Persiani (Loiano), Marco Pigozzi (Copparo), Andreana Piscopo (Bologna), Simona Profumati (Ponsacco), Amalia Ricciardi (Pordenone), Giuseppe Roberto (Rosignano Marittimo), Minea Saieva (Ferrara), Francesco Salvetti (Torino), Rita Schiavi (Ferrara), Roberta Scognamiglio (Modena), Silvia Tagliasacchi (San Pietro in Casale), Pietro Traina (Fano), Carlotta Visconti Prasca (Sogliano sul Rubicone), Raffaele Scaldarella (Marcianise).

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Maschile e femminile, plurale, in adolescenza: seminario sulla violenza di genere in adolescenza

da: ufficio stampa Comune di Ferrara

Tre appuntamenti sulla violenza e sulle relazioni di genere dalla prospettiva degli adolescenti

Ha inizio martedì 6 ottobre, dalle 15 alle 18 a Palazzo Bonacossi, il ciclo di seminari “Maschile e femminile, plurale, in adolescenza. Tre appuntamenti sulla violenza e sulle relazioni di genere dalla prospettiva degli adolescenti”.
Gl’incontri traggono spunto da una ricerca condotta, nel maggio 2014, in otto scuole e un centro di formazione professionale cittadini, attraverso un questionario somministrato ad oltre 700 giovani di 16-18 anni.
Il primo incontro è focalizzato sulle giovani coppie. I ragazzi e le ragazze hanno espresso la loro posizione sull’amore: i valori importanti nel rapporto con il partner, la seduzione, la gelosia, il controllo, la violenza fisica e psicologica che subiscono ed esercitano nella relazione. Ne emerge un quadro variegato, non del tutto sereno, dove controllare ed essere controllati è un’esigenza diffusa, la gelosia è tanta e la reazione forte, verbale o fisica nello scontro con l’altro, è legittimata da una quota importante di adolescenti. Vi è poi una fascia minoritaria (nel campione è il 6%) che già sperimenta la violenza di coppia, spesso reciproca tra i partner e connessa all’incapacità di gestire altrimenti il conflitto, oltre che all’aver osservato comportamenti simili nella famiglia d’origine.
Negli appuntamenti successivi (rispettivamente 27 ottobre e 1 dicembre, sempre a Palazzo Bonacossi dalle 15 alle 18) ci si concentrerà sulla capacità degli adolescenti di riconoscere la violenza nei rapporti tra pari, nel divertimento o a scuola, ed infine si parlerà di atteggiamento verso l’omosessualità e di omofobia.
Ogni incontro prevede la presentazione dei dati, una tavola rotonda di confronto tra gli operatori che localmente intervengono nella scuola o nei servizi, e l’intervento conclusivo di un ospite esterno che, in questo primo incontro, sarà Alessandra Campani, una delle curatrici di un’indagine analoga condotto alcuni anni fa nelle scuole di Reggio Emilia dall’associazione Nondasola.
Gli incontri sono gratuiti ma ad iscrizione, per ciascun seminario, fino a pochi giorni prima dell’incontro, e costituiscono momenti di formazione accreditati per insegnanti e assistenti sociali.
L’indagine è stata curata dal Comune di Ferrara (Ufficio Diritti dei Minori, Osservatorio Adolescenti) insieme a Centro Donna Giustizia, Movimento Nonviolento e Centro di ascolto uomini maltrattanti di Ferrara, nell’ambito del progetto “Violenza di genere e rete locale”.
Il progetto è attivo dal 2013 e ha lo scopo di rafforzare le collaborazioni tra tutti i soggetti impegnati nella prevenzione e contrasto della violenza di genere. In questi anni si è articolato con azioni rivolte alle donne vittime di violenza, l’avvio di un Centro per gli uomini ai quali offrire possibilità di cambiamento, attività di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza e iniziative di prevenzione della violenza tra i giovani (incontri di formazione per insegnanti, approfondimenti nelle classi).

Lunedì 5 ottobre, Ferrara: presentazione del libro “Fare la città; L’esperienza di Ferrara nell’attuazione della L.R. 20/2000: riflessioni per l’urbanistica futura.”

da: responsabile eventi Ibs Ferrara

Lunedì 5 ottobre ore 18:00, nella storica sala dell’Oratorio San Crispino, Libreria Ibs+Libraccio di Ferrara presentano il libro “Fare la città; L’esperienza di Ferrara nell’attuazione della L.R. 20/2000: riflessioni per l’urbanistica futura.” (Bononia University Press)
A cura di Antonella Faggiani e Federico Gualandi con contributi di Roberta Fusari, Antonio Barillari e Davide Tumiati.
Autori e curatori ne discutono con:
Prof. Patrizio Bianchi Assessore regionale al coordinamento delle politiche europee allo sviluppo, scuola, formazione professionale, università, ricerca e lavoro;
Prof. Francesco Gastaldi, professore associato di urbanistica presso l’Università Iuav di Venezia
Antonio Gioiellieri, dirigente ANCI Emilia-Romagna
Modera il dibattito Dalia Bighinati direttrice del TG di Telestense.

Sant’Agostino, CMV: la Maggioranza firma una bella cambiale in bianco sulle spalle dei cittadini; il commento politico di Valore e Rispetto

da: Gruppo Consiliare “ Valore e Rispetto”

Nello scorso Consiglio Comunale è stato messo ai voti una complessa operazione che riguarda da vicino anche il comune di Sant’Agostino e CMV servizi srl ( azienda di cui il Comune di Sant’Agostino, e quindi la cittadinanza tutta, è socia all’1,33%). Stiamo parlando dell’approvazione del progetto di scissione di CMV servizi srl in due diverse società (CMV raccolta SRL e CMV Energia e IMPIANTI srl) in vista della futura fusione tra CMV e AREA.
Questo progetto, come ben evidenziato dal parere del Revisore dei Conti, è arrivato in Consiglio Comunale non supportato da alcun piano industriale o business plan almeno triennale delle costituende società. Documenti questi ultimi fondamentali per consentire al Revisore e all’amministrazione in carica di effettuare un’analisi sulla convenienza economica e soprattutto degli effetti negativi o positivi sul Bilancio del Comune. E quindi, andiamo al sodo, sugli effetti dentro le tasche dei cittadini.
Il Revisore dei conti aveva invitato l’amministrazione a richiedere a CMV i piani industriali delle nuove società per verificare il contenimento dei costi e la tutela della partecipazione. Ieri, in Consiglio Comunale, a nostra domanda diretta su come l’amministrazione avesse proceduto in merito, l’assessore al Bilancio e vicesindaco Tassinari ha affermato che i vertici di CMV hanno risposto che lo forniranno in futuro, quando pronto. Così ieri, non c’è altro modo di dirlo, si è votato alla cieca. E la maggioranza, sulla base di una grande fiducia politica, ha votato compatta, facendo passare il provvedimento.
“Come cittadini e consiglieri comunali, e come opposizione il cui compito è controllare e vigilare, riteniamo il comportamento politico amministrativo di questa maggioranza irresponsabile. E Valore e Rispetto ha votato contro, perché deve finire questo malcostume politico e etico di firmare cambiali in bianco a nome dei cittadini senza avere nemmeno i conti in mano”. Come tra l’altro già successo allo stesso modo per la costituzione dell’Unione dei Comuni dell’Alto Ferrarese. E i risultati,purtroppo, parlano da soli.
“Il Governo centrale chiede di passare a un gestore unico, ed è giusto. Ma da nessuna parte è scritto che è un obbligo farlo in assenza delle condizioni per valutare correttamente quali le conseguenze economiche per la comunità. Per non parlare poi del fatto che quando Renzi chiede ai Comuni di sfoltire le partecipate, a Sant’Agostino la maggioranza accetta di passate da 1 a 3 – con futuro nuovo duplice giro di nuove poltrone – senza battere ciglio”.
“Ma tanto paga Pantalone, no? Si sta avvicinando la prossima tornata elettorale, che i cittadini, a prescindere dallo schieramento d’appartenenza, comincino ora a riflettere su tutto ciò. A come si sta comportando chi hanno votato e chi presto gli chiederà di nuovo il voto. Perché, per il bene del territorio e delle loro tasche, è veramente ora di cambiare marcia”.

Stefania Agarossi e Olindo Sandri
Gruppo Consiliare Valore e RIspetto

Mercato: vendita diretta su tutte le aree private delle aziende agricole

da: ufficio stampa Coldiretti Emilia-Romagna

Le imprese agricole possono fare vendita diretta dei loro prodotti su qualsiasi area privata di cui abbia il possesso a qualsiasi titolo (proprietà, comodato, affitto) e non solo quindi su aree prettamente aziendali. Lo comunica Coldiretti Emilia Romagna sottolineando che su pressante intervento di Coldiretti, il ministero delle Politiche Agricole è intervenuto per rettificare una errata interpretazione del ministero dello Sviluppo Economico che limitava l’attività di vendita diretta all’interno dei confini del corpo aziendale.
Esprimendo soddisfazione per la decisione, Coldiretti Emilia Romagna rileva che l’intervento del dicastero dell’Agricoltura ha riportato la normativa allo spirito originario della legge di Orientamento che nel 2001 ha aperto nuovi orizzonti per le aziende agricole orientate alla multifunzionalità e al mercato. Il provvedimento del ministero delle Politiche Agricole è stato fatto proprio anche dall’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni italiani, che ha scritto i suoi associati informandoli che la vendita diretta non è più limitata al corpo aziendale, ma può essere svolta su tutte le aree private di cui le aziende agricole abbiano possesso a qualsiasi titolo. Lo stesso ministero dello sviluppo economico ha rivisto le proprio valutazione recependo le decisioni del Mipaaf.
Particolarmente soddisfatte della decisione ministeriale – ricorda Coldiretti Emilia Romagna – sono le oltre mille aziende di Campagna Amica che fanno vendita diretta in tutte le province dell’Emilia Romagna, che vedono così ampliarsi le possibilità di relazionarsi direttamente con il mercato.

Romagna Acque: una delegazione del Governo sudafricano in visita al potabilizzatore di Ravenna

da: Alberto Mazzotti

Proprio a ridosso dell’inaugurazione ufficiale, avvenuta lo scorso 25 settembre alla presenza dell’On. Silvia Velo, sottosegretario all’Ambiente, e del presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, il potabilizzatore della Standiana di Romagna Acque-Società delle Fonti Spa è stato oggetto di una visita particolarmente significativa: quella di una delegazione del Governo della Repubblica Sudafricana, guidata dal Ministro delle Risorse Idriche, Nomvula Mokonyane, e comprendente anche rappresentanti del Ministero dell’Ambiente.
La visita si è inserita in una più ampia serie di incontri che la delegazione sudafricana ha svolto con rappresentanti della Regione Emilia-Romagna, al fine di consolidare un rapporto legato alle tematiche dello sviluppo sostenibile e al trasferimento di conoscenze e di formazione in diversi ambiti, fra cui il trattamento e la gestione delle risorse idriche (che per la Repubblica Sudafricana rappresentano un problema significativo).
La visita al potabilizzatore ha così permesso al ministro Mokonyane e al suo staff di prendere visione diretta di uno degli impianti di potabilizzazione più avanzati d’Europa, grazie in particolare all’innovativo sistema di microfiltrazione a membrane che permette all’acqua (derivante dal Po tramite il CER), una volta trattata, di presentare caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche eccellenti, paragonabili a quelle dell’acqua di Ridracoli.
L’incontro si è chiuso con l’auspicio di ulteriori contatti, per far sì che Romagna Acque possa trasferire ai tecnici sudafricani le informazioni e le conoscenze necessarie per replicare eventualmente in loco esperienze analoghe a quella del potabilizzatore ravennate.

INTERNAZIONALE
“Per realizzare il nostro volo magico”. Daria Bignardi, il racconto di un riscatto

“Fra i primati, il gorilla maschio quando avverte il pericolo aggredisce sempre, sistematicamente. La femmina invece ha quattro alternative: aggredire, fuggire, trattare, nascondersi”. La postilla etologica di Concita De Gregorio inquadra bene lo spirito del dialogo al femminile che si è dipanato nel cortile del castello, complici la conduttrice di Pane quotidiano (ex direttrice dell’Unità) e Daria Bignardi. Pretesto: “Santa degli impossibili”, ultima pubblicazione della popolare giornalista e presentatrice delle “Invasioni barbariche”. Si parla del libro, ma anche e soprattutto della vita. E delle donne, appunto.
“Il libro di Daria è come un distillato – spiega la De Gregorio -. Ha avuto una gestazione lunga. Ed è nato gracile come un bimbo sottopeso, ma è perfetto così. Parla moltissimo di Daria. Pare vada a pescare nella scatola nera della coscienza, rivela quelle cose che si sentono dentro ma di solito non si dicono”.
“E’ un libro imprevisto – conferma di rimando la Bignardi – una novella nata dal racconto ‘L’acustica perfetta’. Mila è l’alter ego della Sara scomparsa di quella precedente vicenda. La santa evocata nel titolo è santa Rita, io non sono particolarmente devota, ma la sua storia mi ha colpito moltissimo per il miracolo del ‘volo magico’ che le viene attribuito. La tradizione narra infatti che in una notte nera e buia nell’Umbria del Cinquecento Rita compia questo volo per entrare nel monastero, in cui le suore non la volevano perché già sposata e madre di due figli. Ma diventare suora era sempre stata la vocazione di Rita. E le monache, di fronte a un tal miracolo, l’accolgono. Se questa storia dopo cinquecento anni è ancora viva è perché continua a dirci qualcosa di attuale. E proprio questa vicenda mi ha fatto capire cosa mancava al racconto di Sara e mi ha spinto a scrivere la novella”.

Concita – scientista – obietta che “il volo in questa forma non può essere successo, ma qualcosa di straordinario sì. E allude al volo introspettivo della protagonista del racconto di Daria. Che – così come Rita prima di essere monaca e santa – condivide l’esistenza con un marito che sente estraneo, sino a che nella sua vita si produce una frattura alla quale pone rimedio attraverso ‘il volo’. Per Mila, protagonista della novella, quel metaforico volo fuori dall’ordinario sarà l’origine del suo riscatto”. Una catarsi annunciata, perché “il libro – annota De Gregorio – è costellato dai piccoli fastidi della protagonista (herpes e dintorni) che non sono vere malattie ma appunto segnali, ribellioni del corpo”, che rivelano il disagio e precedono il cambiamento.

Daria acconsente: “Noi ci illudiamo di governare il nostro corpo come guidiamo l’auto, ma non è così. Mila conduce una vita apparentemente serena, non è di Milano, ma ci vive e le piace perché – pensa – ‘è un posto da apolidi come me’. Poi avverte un malessere profondo che va oltre i fastidi rivelatori: possiamo immaginare che abbia dovuto lasciar per strada la sua passione vera, per curarsi d’altro. Lo suppongo, perché io so molto ma non tutto dei miei personaggi! Matura così il bisogno di un riscatto. Tutto questo si percepisce: è più un racconto di allusioni e cose non dette che di cose dette, come d’altronde accade quasi sempre nella narrativa e in particolare nei racconti”. Spesso anche nella vita.

Frammenti di autocoscienza, dunque. E consapevolezze acquisite attraverso una ricerca interiore, innescata dal bisogno di riscatto. Riscatto dal dover essere, dalle rinunce, dai prezzi pagati alla necessità. “Conseguenze del tempo che non abbiamo mai e di cui ci sentiamo vittime. Dove va a finire il tempo che sottraiamo agli altri e a noi? – si domanda Concita – A chi giova quel tempo perduto?”. Tema particolarmente avvertito dalle donne. E da Mila, che ha sacrificato le proprie passioni per curarsi d’altro. Curarsi, avere cura. Compiti e ruoli tipicamente demandati alla donna, che così non ha il tempo di occuparsi di sé, tutta impegnata ad accudire gli altri. “E come fai a sottrarti, sopratutto in quell’età in cui ti è sempre più chiaro cosa è veramente importante nella vita?”

“Ciascuno di noi ha il suo talento – ricorda saggiamente Daria – e ci è chiaro perché e ciò che ci fa vibrare, ciò che facciamo meglio di ogni altro. E noi lo sappiamo. Dobbiamo anche saperlo esprimere. Tutta la vita, in fondo, è un cammino per diventare noi stessi. Bisogna saper riconoscere e realizzare proprio quella cosa là, che ti fa gioire: il nostro volo magico”. Che, quando resta incompiuto, ci sprofonda nella crisi e nel buio.

INTERNAZIONALE
Guida al curriculum di successo: “Quando lo scrivete pensate a chi lo legge”

di Francesco Fiore

Uno dei temi più scottanti nel nostro Paese è il lavoro. Il “World Employment and social Outlook 2015”, stilato dall’agenzia dell’Onu International labour organization, parla chiaro: la disoccupazione è aumentata esponenzialmente dopo la crisi economica del 2008 e non accenna a fermarsi. Ciò che più preoccupa in Italia è la disoccupazione giovanile, che si aggira intorno a cifre mai sotto il 40%, e che è causa di svariate conseguenze sociali ed economiche, come la disponibilità ad accettare lo “sfruttamento gratuito della manodopera” comunemente mascherato da stage.
Come se questo triste scenario non bastasse, il primo passo che divide i giovani da una occupazione è uno dei più scivolosi e complicati da affrontare nella propria vita lavorativa. Il riferimento è alla compilazione del curriculum.
Per questo motivo, in occasione del Festival di Internazionale, il vicedirettore Alberto Notarbartolo della rivista ha parlato di come fare (e come non fare) un curriculum. Queste sono le cose da sapere se volete inviare il vostro cv a Internazionale, o a qualche altro giornale, con la remota possibilità che venga considerato (perché, ha detto Notarbartolo, “ora non stiamo cercando nessuno!”):

1. Scrivere una lettera di presentazione, corta, formale e senza una scrittura complicata e autoreferenziale. Lo scopo di questo testo è anticipare al selezionatore ciò che troverà nel curriculum, perciò non serve dilungarsi a parlare del perché l’azienda ha bisogno di voi, non potete saperlo;
2. “Tagliate, tagliate, tagliate. Mettetevi nei panni di chi legge, se anche fosse ben disposto a leggere il vostro curriculum (e spesso non lo è), non gli degnerà più di 20 secondi.” Per questo il curriculum ideale non supera la facciata e si limita a contenere ciò che crediamo abbia più valore;
3. La grafica e il formato del documento è importante quindi se avete un amico competente chiedetegli una opinione in merito, evitate il modello europeo che si trova sul web e inviate un file pdf;
4. Dati. Mettete nome, cognome e data di nascita. Inserite il domicilio (la residenza è inutile), un numero di telefono e un indirizzo e-mail serio (nome.cognome@). Evitate l’imbarazzante casella di posta che avete creato nell’adolescenza e, a meno che non sia esplicitamente richiesta, la foto.
5. Formazione ed esperienza lavorativa. In questo caso la scelta è soggettiva, ma secondo Notarbartolo deve privilegiare le esperienze più significative e differenziate, magari spiegandone il motivo, per evidenziare il più possibile le diverse qualità sviluppate;
6. “Le lingue sono la sezione che porta a fare le figuracce maggiori – spiega il giornalista – perché molti candidati tendono a esagerare il proprio livello, venendo poi sbugiardati alla prima occasione”. Quindi siate onesti e cercate di rendere il più comprensibile possibile le vostre capacità;
7. Le competenze informatiche di base, se non vengono richieste conoscenze specifiche, sono scontate per gli under 30. Se c’è qualcosa di particolare che sapete fare va bene specificarlo, sempre e comunque in modo comprensibile;
8. L’ultimo, ma non meno importante, punto da compilare riguarda gli interessi personali. “È facile cadere nella banalità. Tutti abbiamo degli interessi ma nel curriculum vanno segnalati solo se si hanno esperienze significative e riconosciute. Se suonate il pianoforte non mi interessa, se siete diplomati al conservatorio è un punto a vostro favore che vi permette di distinguervi e dire qualcosa di voi”.

Nonostante sia chiaro che costringere la propria personalità e la propria vita all’interno di un misero foglio A4 il curriculum è in primis uno strumento di valorizzazione, piuttosto che di narrazione, di sé, con il quale convincere il frustrato selezionatore a fermarsi di fronte al vostro nome e pensare “questo qua è interessante, è bravo”. Dal momento che molte variabili che determineranno la vostra potenziale assunzione non le potete controllare, come il mercato del lavoro o l’ora del giorno in cui il vostro curriculum verrà letto, siate perfetti in quelle che potete controllare. “Siate precisi, spietati nel confronto con sé stessi e con ciò che avete fatto nella vostra vita e siate cinici perché alla fine dei conti, se non verrete assunti, è anche colpa vostra”.

INTERNAZIONALE
L’ombra della realpolitik da Srebrenica alla Siria

Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e persino le Nazioni Unite, in nome della realpolitik hanno scelto di sacrificare Srebrenica pur di raggiungere un accordo con i serbi, puntualmente stipulato dopo il massacro di luglio: a novembre del 1995 a Dayton in Ohio e poi inl dicembre a Parigi con i trattati che hanno posto fine a tre anni e mezzo di guerra in Bosnia. Le vite dei profughi bosniaci rifugiatisi nella ‘zona protetta’ dell’Onu sono state considerate “vite disponibili”, è stato “il fallimento grottesco di quella che si fa chiamare comunità internazionale”: le parole di Ed Vulliamy sferzano il pubblico che ha riempito il teatro comunale Claudio Abbado per “Srebrenica, vent’anni dopo”. Vulliamy scrive per “The Observer” e “The Guardian”, a quel tempo era inviato nei Balcani ed è autore di “The war is dead, long live the war: Bosnia – the reckoning” (Vintage 2013). Lo scorso luglio ha firmato, insieme a Florence Hartmann (autrice di “Il sangue della realpolitik, il caso Srebrenica”), un articolo dal titolo “How Britain and the Us decided to abandon Srebrenica to its fate”: lo studio di alcuni documenti declassificati rivelerebbe che la caduta di Srebrenica era parte di una politica di Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e dei vertici Onu per la ricerca di una pace a ogni costo. “Una pace molto complicata e allo stesso tempo semplice: una pace basata su Srebrenica, che ha rappresentato l’inizio della fine della guerra”, afferma Vulliamy.
Ennio Remondino, allora corrispondente della Rai a Sarajevo, rincara la dose: “Per viltà politica si è scelto di far decidere alla guerra la nuova geografia della regione”.
Tra l’11 e il 13 luglio 1995 i serbo-bosniaci di Ratko Mladic, ‘il macellaio di Srebrenica’, dopo averli separati da donne, bambini e anziani, uccidono e gettano in fosse comuni più di ottomila uomini e ragazzi bosniaci musulmani. Pulizia etnica, il più grave crimine commesso in territorio europeo dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Remondino racconta che, quando diversi giorni dopo riuscirono a giungere sul posto con una troupe, “non si vedeva nulla tranne la distruzione totale della città: c’era la percezione della morte, si sentiva l’odore della morte, ma non si poteva immaginare l’entità del massacro”.
Chi invece ha vissuto quei giorni terribili dall’interno della città è Christine Schmitz, infermiera di Medici senza frontiere che nel 1995 ha coordinato le attività a Srebrenica della Ong e ha testimoniato nei processi contro Ratko Mladic e Radovan Karadzic, imputati di genocidio al Tribunale dell’Aja per la ex Jugoslavia.
“Fame, violenza, senso di impotenza” sono le parole che ha usato Christine per descrivere la situazione della ‘zona protetta’ prima della conquista da parte dei serbo-bosniaci: “Vigeva la legge del più forte” e “la popolazione dipendeva dagli aiuti umanitari, che a volte non arrivavano per diversi mesi”. Poi la capitolazione: “il bombardamento è iniziato il 6 luglio, la mattina presto, ed è finito solo l’11, abbiamo tentato di incrementare i contatti con la nostra squadra di Belgrado per continuare a far uscire informazioni”. Infine le parole più terribili, quelle che il mondo non avrebbe più dovuto udire: “selezione” e “deportazione”. Anziani, donne, bambini selezionati e deportati su bus, senza sapere dove fossero diretti e senza sapere quale sarebbe stato il destino dei mariti, fratelli, figli, padri. Per Christine Srebrenica è “un giovane padre musulmano che mi viene incontro con in braccio il suo bambino di un anno, seguito da un soldato con un pastore tedesco. Mi ha dato suo figlio e non ho più saputo nulla di lui. Lo hanno ritrovato in una fossa comune”.
Gli organismi internazionali, le possibilità e i limiti dei loro interventi, la politica estera europea, la realpolitik delle potenze mondiali e la tragedia delle popolazioni civili travolte dai conflitti: questioni aperte allora come ora. Vent’anni fa con la guerra nei Balcani, oggi con la Siria.

INTERNAZIONALE
Tra sfruttamento e fundraising, il giornalismo al tempo della rete

Una figura “proteiforme”, multitasking, dai ritmi strani e frenetici, che oltre a saper scrivere deve offrire sempre più ai propri lettori un’esperienza immersiva sull’argomento di cui scrive, con competenze, o skills come va tanto di moda dire oggi, su grafica e design dell’informazione, e poi su fundraising, su redazione di budget e rendicontazione delle spese e dei risultati.

Signore e signori: ecco a voi il giornalista del ventunesimo secolo. O almeno questa è l’opinione di Stefano Liberti, free-lance cresciuto nella redazione del Manifesto, Jacopo Ottaviani, laurea triennale in informatica, esperto di data-journalism, ed Elisabetta Demartis, proveniente dal mondo della cooperazione allo sviluppo, protagonisti ieri pomeriggio al festival di Internazionale dell’incontro “I giornalisti del ventunesimo secolo” nella sala San Francesco.
Stefano, il più grande dei tre, è ancora a metà della metamorfosi e utilizza le potenzialità degli strumenti multimediali per inchieste ‘vecchio stampo’. Secondo lui, “la vera crisi della carta stampata sta nel fatto che il giornale non è più l’espressione collettiva di un’idea”. Perciò da una parte ci sono “i giornalisti della redazione, sempre più assimilabili a impiegati con direttive da seguire” e dall’altra i free lance che, soprattutto in Italia e nel sud dell’Europa, “vengono trattati un po’ come carne da macello”, anche se “con sempre meno persone nelle redazioni, sono in realtà loro a fare il lavoro sul campo”. Poi, come al solito, c’è anche il problema economico: “ho lasciato la redazione del Manifesto perché non riuscivo più a fare giornalismo come quando ho iniziato”. “I giornali non producono più nulla, pubblicano: diventano i media partner di lavori di giornalisti finanziati da altri”. Perché, anche se “i giornali non hanno più mezzi economici”, “il giornalismo è vivo come lo è il desiderio di informazione”.
Jacopo ed Elisabetta, invece, incarnano già la figura ibrida di un futuro che è già qui: entrambi non riescono a mantenersi solo con il loro lavoro giornalistico, anzi la loro maggiore fonte di sostentamento proviene dall’attività di formazione nel caso di Jacopo e dalle collaborazioni accademiche o con il mondo delle Ong nel caso di Elisabetta.

I lavori che hanno presentato venerdì pomeriggio – un’inchiesta sulle distorsioni del commercio globale seguendo la filiera del pomodoro italiano, una sul destino dei rifiuti elettrici ed elettronici in Ghana e una sulle start-up e sull’utilizzo dell’ict nel settore agricolo in Africa – sono stati finanziati da bandi dello European journalist center, che fra i suoi finanziatori ha anche la fondazione di Bill e Melinda Gates.
Reportage come i loro possono arrivare a costare anche 20-25.000 euro e portare via fino a sei mesi di lavoro fra ricerche preliminari, sul campo e produzione vera e propria: queste sono cifre che “forse solo un paio di grandi giornali americani possono permettersi”, dice Jacopo. Secondo loro, il giornalista deve essere in grado di cercarsi e crearsi un proprio spazio, confrontandosi con nuovi attori, come le fondazioni o le Ong, soprattutto le più strutturate, che cercano persone in grado di raccontare e dare visibilità ai temi e ai progetti sui cui lavorano. Il reportage multimediale, attraverso l’integrazione fra video, testi, info-grafiche, sta sempre più diventando uno strumento di advocacy.

A questo punto le questioni da porsi sono due, una a monte e una a valle del “prodotto”, come lo hanno più volte chiamato i nostri tre. A monte: chi finanzia quanta voce in capitolo ha o vuole avere? A valle: qual è l’entità e il ruolo del pubblico?
A quanto pare nessuno dei tre ha avuto problemi di ingerenza nei contenuti anzi, ha specificato Stefano, “molte volte chi finanzia vede il lavoro già pubblicato”. Elisabetta con il suo lavoro sulle start up africane ha costruito “una rete di contatti” che ha dato vita a una piattaforma web con una sezione di storytelling in cui chi ha storie simili da raccontare lo può fare: un progetto con queste caratteristiche è per sua natura difficilmente pilotabile.
La questione diventa più complessa quando si parla dell’impatto di questi reportage sul pubblico e del suo ruolo: “è una questione controversa”, ha detto Jacopo. Non è un caso però che sia proprio uno dei temi che interessano di più alle fondazioni e alle Ong finanziatrici.

IMMAGINARIO
Ingredienti estensi. Il cotto.
La foto di oggi…

Strati di cotto croccante rivestono e proteggono la città, chilometri di biscotto caldo appena sfornato da mangiare a morsi, piani di millefoglie ricolmo di crema pasticcera.

In foto: particolare dei mattoni delle Mura di Ferrara costituite da 9 chilometri di fortificazioni che circondano la città estense, costruite nel Medioevo e rimaneggiate fra il XV e il XVI secolo.

Vedi gli Immaginarii correlati: Il ciottolato, Il marmo.

OGGI – IMMAGINARIO FOTOGRAFIA

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

GERMOGLI
Parlare senza dire nulla.
L’aforisma di oggi

Voltaire
Voltaire

La necessita’ di parlare, l’imbarazzo di non aver nulla da dire e la brama di mostrarsi persone di spirito sono tre cose capaci di rendere ridicolo anche l’uomo più grande.
(Voltaire)

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

jovanotti

ACCORDI
Pieno di vita.
Il brano di oggi…

Ogni giorno un brano intonato a ciò che la giornata prospetta…

(per ascoltarlo cliccare sul titolo)

Jovanotti – Pieno di vita

Quarto singolo estratto dall’ultimo album “Lorenzo 2015 CC”, il brano Pieno di vita di Jovanotti ha oggi anche un suo video, ambientato durante il viaggio di un padre con suo figlio dalla California verso il Messico.