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Giorno: 4 Novembre 2015

FOCUS
Il risveglio dei campi. Far fruttare la pera per rilanciare l’agroalimentare ferrarese

2. SEGUE – “Opera”. Il suo nome è insieme evocazione (oh, pera!) e definizione (opera, sottinteso: di pregio). E’ con questo seme che può irrobustirsi l’agricoltura ferrarese. “Opera” è il nome della nuova cooperativa nata grazie alla volontà di oltre mille produttori, alla lungimiranza di 18 importanti aziende che a vario titolo operano in questa filiera ed è l’unica grande impresa del settore ortofrutticolo esclusivamente specializzata nella pera.
L’obiettivo è fare oggi ciò che andava fatto vent’anni fa: dare al prodotto il valore aggiunto di un marchio riconoscibile per fidelizzare il consumatore. Ciò che in Trentino, per esempio, è stato realizzato con la mela; e che alle nostre latitudini si è trascurato, anche per invidie, egoismi, rivalità di bottega, con il risultato di perdere progressivamente importanti quote di mercato. Negli anni Sessanta, Ferrara aveva circa 50 mila ettari di frutteti, nel 2012 la superficie si era ridotta a 12.784 ettari.

Opera_PrimaPer riconquistare il tempo (e il business) perduti, due anni fa è iniziata la missione “Opera”. La nuova azienda, presieduta da Adriano Aldrovandi, ha come vice presidenti Atos Bortolotto, Piero Emiliani, Raffaele Drei e Luigi Mazzoni. E, tanto per non sbagliare, si è scelto come uomo-marketing proprio Luca Granata, l’inventore di Melinda: perché è principalmente sul terreno del marketing che si vince la partita. Opera è già al lavoro: da ottobre le succose pere Abate Fétel della consorzio, che riunisce produttori di Ferrara, Modena e Bologna, sono sulle tavole degli italiani. Granata, il mago di Melinda, che la scorsa primavera ha lasciato il Trentino per assumere la direzione generale della cooperativa, oltretutto è partito con una buona eredità, perché il convincente marchio “Opera” se l’è ritrovato già pronto: è il dono di uno dei produttori aderenti, che lo ha conferito per farne l’emblema di tutti. Lo spirito di gruppo si vede già da questi particolari. E Granata, forte anche di questo collante, prova a compiere un nuovo miracolo.

paolo-bruni-cso

“Ciò che porta ricchezza è il marchio – sostiene convinto Paolo Bruni, presidente del Centro servizi ortofrutticoli -. Il caso Melinda ne è prova lampante. Con Opera siamo impegnati in una impresa analoga”. I numeri di partenza sono molto interessanti: secondo dati Inea, su 824.000 tonnellate di pere prodotte in Italia, 554.000 (quasi il 63%) crescono in Emilia Romagna, concentrate principalmente nelle province di Ferrara, Modena e Bologna. Inoltre, il 50% della produzione è dato da un’unica varietà, l’Abate Fétel. A livello europeo, la nostra regione produce il 40% delle pere e addirittura il 90% della qualità Abate. Investire su questo prodotto e su questa specifica varietà ha quindi un valore strategico, perché le tre province sono praticamente monopoliste continentali. E nel mondo siamo i terzi produttori dopo Cina e Stati Uniti.

Qualcosa del genere, con buon successo, nel ferrarese si è già sperimentato con la mela, con i consorzi della Mela più (qualità Fuji), Modì (incrocio fra Liberty e Gala) e Pink Lady (Cripps Pink). “Funzionano tutte e tre”, conferma Bruni, a riprova che il ‘brand’ serve per viaggiare veloci. Ma non ci si muove se mancano macchina, autista e benzina. Occorrono dunque i capitali. “Per dare a un prodotto la dimensione del largo consumo bisogna andare in tv, bisogna far arrivare al consumatore messaggi martellanti – incalza Bruni -. I soldi necessariamente devono metterli i produttori, magari giovandosi di qualche contributo pubblico”.

Un progetto di questo tipo richiede almeno 10 milioni di euro di investimento: “Ecco perché – sostiene il presidente del Cso – bisogna aggregarsi: per una sola realtà territoriale l’impegno sarebbe insostenibile, tre province insieme invece possono reggere il peso, che si traduce in un’incidenza di qualche centesimo di euro per ogni chilo prodotto”.

Una grande scommessa per i produttori della pera, un frutto noto a tutti ma acquistato principalmente dagli over 55. Gli spazi di crescita per il mercato sono dunque ampi, purché si riesca a conquistare il gradimento dei giovani. Su questo obiettivo punterà principalmente la campagna promozionale. Le aziende ferraresi nutrono grandi aspettative. Quelle riunite in Opera, del quale è punto di riferimento territoriale un colosso come Mazzoni group; e anche quelle che hanno fondato Origine Group, azienda concorrente costituita ad agosto e dedita a pera e kiwi che, fra gli altri aderenti, annovera Salvi vivai, l’altro pilastro della frutticoltura ferrarese.
Due terzi a un terzo è attualmente il rapporto di forze a favore di Opera. Per le quote di mercato sarà battaglia. Ma l’obiettivo del rilancio della pera è comune e condiviso. O perlomeno dovrebbe indurre tutti a ragionare dissipando le ombre della rivalità: perché su questo presupposto si edifica la base di un successo annunciato, ma ancora tutto da conquistare.

2. FINE

L’OPINIONE
Nazionalizzare la Banca d’Italia e garantire un reddito di cittadinanza

“Uno strumento per risollevare dalla difficoltà nove milioni di cittadini, formarli e reinserirli nel mondo del lavoro. L’obiettivo è che nessuno prenda più il reddito di cittadinanza.” Così Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera dei deputati, esponente del Movimento 5 stelle.
E’ il cavallo di battaglia del M5s. La proposta di un reddito di cittadinanza raccoglie fondamentalmente due critiche: la prima, che ricevere reddito senza lavoro bloccherebbe la produzione (vedi Abc economics, ad esempio, che cita addirittura Paperino e Paperoga a supporto dell’obiezione) e la seconda, ovviamente, riguarda le coperture.

Sulla prima obiezione l’onorevole Di Maio ripete spesso che l’erogazione riguarderebbe chi momentaneamente non riuscisse a trovare un lavoro o lo avesse perso. Il ‘fortunato’ dovrebbe accettare di frequentare corsi di reintroduzione al lavoro che, una volta trovato, interromperebbe la fruizione del reddito. Quindi, così impostato, questo reddito di cittadinanza sarebbe una proiezione al lavoro e un incentivo alla continuazione della produzione e non, invece, una misura contro il lavoro e la produzione stessa.

Anche in merito alle coperture il messaggio mi sembra chiaro: devono provenire dalla lotta agli sprechi. Poiché tutti i governi cercano soldi per le loro manovre e quando vogliono li trovano, anche il M5s pensa di poterlo fare, operando però delle scelte di carattere eticamente e moralmente diverse. Per eliminare la Tasi, per esempio, si può tagliare il Senato, oppure privatizzare, oppure diminuire i trasferimenti a Scuola e Sanità. Il M5s per elargire un reddito di cittadinanza taglierebbe i privilegi e gli stipendi dei politici, le pensioni d’oro e magari le spese militari.

Scorrendo un po’ la storia impariamo che dopo l’accantonamento delle teorie keynesiane, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, inizia la lotta all’inflazione e al debito pubblico. Lo Stato diventa un’azienda e assomiglia sempre di più a una famiglia che deve fare attenzione ai deficit. Si dà dunque il via ai pareggi o ai surplus di bilancio e l’Italia dimostra di essere la prima della classe facendo meglio di tutte le concorrenti europee nel regalare ai mercati finanziari miliardi su miliardi di lire/euro tolti ai cittadini grazie anche a una tassazione che da poco più del 20% arriva a circa il 44% di oggi. Quindi, riportando il discorso da dove eravamo partiti, ogni governo nel momento in cui decide di dare qualcosa è costretto a togliere qualcos’altro, in nome della crociata intrapresa dagli anni Settanta e Ottanta.

Grazie a questa ‘guerra anti benessere del cittadino’ non esiste un trasferimento di ricchezza a costo zero, ma esistono solo dei passaggi da un settore all’altro a seconda della scelta politica operata alla fonte. Cioè l’occupazione preferita dei governi sembra quella di ‘coprire i buchi’ e pareggiare i conti, osservando passivamente gli andamenti di borse e mercati, piuttosto che intervenire nel processo economico e nelnome dell’interesse collettivo.

Una novità sembra però esserci e parte sempre dal M5s: l’idea di nazionalizzare la Banca d’Italia. Questa mi è sempre parsa una buona idea e, ormai tre anni fa, con l’aiuto imprescindibile di Giovanni Zibordi e Marco Cattaneo, il Gruppo Economia di Ferrara l’aveva presentata agli stessi pentastellati che oggi sembrano interessarsene. Il ‘pacchetto’ conteneva anche l’idea dei ‘certificati di credito fiscale’ e dei ‘bot fiscali’, tutte misure per reperire risorse nuove senza spostamenti né creazione di ulteriore debito. Indispensabili tra l’altro per chi volesse pensare a un’uscita dall’eurosistema senza eccessivi traumi.

In cifre, comunque, solo la prima di queste proposte potrebbe assicurare un risparmio di circa 80 miliardi all’anno in quanto una Banca Pubblica permetterebbe l’accesso diretto ai finanziamenti della Bce, saltando i passaggi delle banche private, quindi riducendo gli interessi sugli stessi. 80 miliardi all’anno potrebbero bastare per un reddito di cittadinanza? E si consideri – qui sta il punto, perciò lo ripeto – che lo si potrebbe fare senza dover spostare risorse da una parte all’altra, perché anche se taglio gli stipendi alla politica non faccio altro che spostare risorse già in circolo, pur accettandolo come eticamente, moralmente e profondamente giusto.

Personalmente in questo momento faccio il tifo per Luigi Di Maio, perché lo trovo onesto e quindi dotato di una qualità rara in politica, ma mi piacerebbe maggiore chiarezza sul destino dell’euro, su come si intenderebbe intervenire sulle banche e sulla finanza, su come attuare piani di occupazione che prescindano dagli spostamenti di risorse da una parte all’altra.
Mi piacerebbe essere sicuro che i limiti neo liberisti al benessere delle persone reali non appartengano al M5s e capire quale sia la sua teoria economica di base. Oltre agli attivisti, e simpatizzanti a volte anche di un certo peso, che propongono, intervengono e stimolano il variegato dibattito sulla rete e sui social, vorrei conoscere il pensiero economico del partito/movimento e se pensano di dotarsi di economisti di riferimento, qualcuno che magari potrebbe occuparsi di un futuro Ministero dell’Economia e che comprenda il funzionamento di banche, moneta e mercati perché il nemico, per poterlo sconfiggere, lo devi conoscere.

Il tempo dell’attesa

attese“Si attende che la vita faccia un passo e la pianti di stare in bilico, pericolante su se stessa. Si attende qualcuno, o qualcosa, che prenda tutti i silenzi e lasciandoli cadere, quasi per sbaglio, li mandi in frantumi”. (Mattia Signorini, Le fragili attese)

Quante volte abbiamo atteso, quante volte lo abbiamo fatto invano e quante con successo. Poco importava il luogo, le persone che ci passavano accanto. Il momento dell’attesa era solo il nostro e di nessun altro, un momento lungo e inafferrabile. Ma noi lì imperterriti, instancabili, inafferrabili, decisi ad attendere qualcosa o qualcuno. Sempre e comunque, qualunque cosa fosse, riflettendo, leggendo, giocherellando con le mani o semplicemente guardando il cielo azzurro. Molte di queste nostre storie potrebbero essere facilmente quelle di “Le fragili attese”, raccontate da Mattia Signorini in un crescendo di vite che si incontrano e si sfiorano. Il luogo: la pensione Palomar, nella grigia periferia di una grande città. Un luogo come un altro, quello che potrebbe essere la sala d’attesa di una stazione, la hall di un aeroporto, la camera di un albergo sul lago in una domenica autunnale. La storia: quella di Italo, il proprietario della pensione, che a quasi ottant’anni ha deciso di chiudere per sempre. Potrebbe essere la storia di ogni persona che alla fine di un lungo e faticoso percorso lavorativo decide che ora basta. Tanti ospiti, gli ultimi, arrivano a questa piccola pensione con le proprie storie: Guido, un professore d’inglese che deve (re)insegnare a parlare a una bambina diventata muta per la morte della mamma; il generale in pensione Adolfo Trento, per il quale la soluzione di ogni pace sta nella guerra; Lucio Ormea, alla ricerca del padre che non vede da lungo tempo; la cassiera Ingrid, un’ex-arpista con il polso spezzato che, di notte, si accompagna occasionalmente a tanti uomini anonimi; e la fedele e sempre presente domestica Emma, a cui Italo è legato e capiremo solo alla fine perché. Il tutto mentre l’anziano Italo legge lettere d’amore ritrovate per caso nella spazzatura scritte negli anni Cinquanta da una giovane ragazza a un uomo che non si accorge, a chi lascia attendere pur non volendo farlo. Vite in bilico, attese di silenzi che possano essere frantumati, da qualcosa o qualcuno, con impeto o leggerezza. Alla ricerca di spazi aperti dove poter riposare, di giorni liberi per provarsi i vestiti eleganti della festa, di frutti che cadano liberi in mani che siano pronte a raccoglierli, di passaggi d’accesso ritrovati, di attimi che lascino leggere questa vita che, per molti, si fa attendere e desiderare. Un intenso, delicato e bellissimo romanzo sulle attese in cui, tra speranze e delusioni, capita che la vita spesso si incagli. Da leggere.

Mattia Signorini, Le fragili attese, Marsilio.

IMMAGINARIO
Un inverno con De Chirico a Ferrara.
La foto di oggi…

Un’opera d’arte per divenire immortale deve sempre superare i limiti dell’umano senza preoccuparsi né del buon senso né della logica. (Giorgio De Chirico)

E’ prevista per domani la conferenza stampa di presentazione della mostra “De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie“, presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo a Roma. La mostra sarà allestita a Ferrara a palazzo dei Diamanti dal 14 novembre al 28 febbraio 2016 e successivamente a Stoccarda dal 18 marzo al 3 luglio 2016.

All’incontro con i giornalisti interverranno Dario Franceschini Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Tiziano Tagliani sindaco di Ferrara, Massimo Maisto vicesindaco e assessore alla Cultura turismo e giovani, Lucia Nardi responsabile iniziative culturali Eni, Maria Luisa Pacelli direttrice delle Gallerie d’arte moderna e contemporanea Fondazione Ferrara Arte e Paolo Baldacci curatore della mostra.

A cento anni dalla loro creazione tornano a Ferrara i rari capolavori metafisici che Giorgio de Chirico dipinse nella città estense tra il 1915 e il 1918. La mostra, organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalla Staatsgalerie di Stoccarda in collaborazione con l’Archivio dell’arte metafisica e curata da Paolo Baldacci e Gerd Roos celebra questa importante stagione dell’arte italiana e documenta la profonda influenza che queste opere ebbero in quegli anni su Carlo Carrà e Giorgio Morandi, e poco dopo sulle avanguardie europee del Dadaismo, del Surrealismo e della Nuova Oggettività.

Comunicazione a cura di Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea Fondazione Ferrara Arte

Per ulteriori informazioni sulla mostra clicca qui.

GERMOGLI
Militi Ignoti.
L’aforisma di oggi…

4 novembre: oggi è la festa delle Forze Armate e dell’Unità Nazionale, ma si commemora anche il Milite Ignoto e, con lui, tutti i caduti durante la Prima Guerra Mondiale ancora senza nome.

Trilussa
Trilussa

Da qui a cent’anni, quanno
ritroveranno ner zappà la terra
li resti de li poveri sordati
morti ammazzati in guerra,
pensate un po’ che montarozzo d’ossa,
che fricandò de teschi
scapperà fòra da la terra smossa!
Saranno eroi tedeschi,
francesci, russi, ingresi,
de tutti li paesi.
O gialla o rossa o nera,
ognuno avrà difesa una bandiera;
qualunque sia la patria, o brutta o bella,
sarà morto per quella.

Ma lì sotto, però, diventeranno
tutti compagni, senza
nessuna diferenza.
Nell’occhio vôto e fonno
nun ce sarà né l’odio né l’amore
pe’ le cose der monno.
Ne la bocca scarnita
nun resterà che l’urtima risata
a la minchionatura de la vita.
E diranno fra loro: – Solo adesso
ciavemo per lo meno la speranza
de godesse la pace e l’uguajanza
che cianno predicato tanto spesso!

(Trilussa)

ACCORDI
Il Signor Smith.
Il brano di oggi…

Oggi è il 4 novembre e come tutti i giorni, aprendo internet, mi piove addosso di tutto.
E tutto è sempre più delirante.
Dalla soap opera “carne rossa” all’ennesimo scandalo in Vaticano passando per i soliti deliri diciamo “ordinari”.
Quindi mi sembra saggio fare una cosa che faccio spesso.
Via, scappare da questo ciarlare.
Così, mi ricordo che oggi, nel 1994, un certo signor Smith ci lasciò le penne.
Questo signor Smith però non era un signor Smith qualunque, anzi.
Era forse, l’unico signor-due-volte-Smith.
La prima volta che mi trovai davanti il signor Smith fu durante uno strano Natale di tipo dodici anni fa.
Mio zio mi regalò uno di quei dvd the-best-of-rock e giù di lì.
Quindi carichissimo lo caccio su e mi trovo davanti una ragazza vagamente hippy e palesemente tedesca che dice EM-ZEEE-FAIF.
E poi parte il panico.
E durante tutto quel bordello sbucano delle scritte in sovraimpressione fra cui quella scritta: FRED SONIC SMITH.
E io li penso DIO CHE NOME.
Ma questo non era niente in confronto a quello che stava per arrivare.
‘Sto Fred Sonic Smith non solo suonava la chitarra in coppia con Wayne Kramer in un modo assurdo ma a una certa, apparentemente senza motivo, così dal nulla, cacciava delle urla che mi entrarono letteralmente nelle ossa.
Non si vedeva subito che le urla le cacciava lui, si vedeva solo dopo un po’.
E quando si vedeva, diomà.
Sembrava un indiano pronto a fare a fette un cowboy.
Da lì mi procurai tutto quello che potevo degli MC5 e scoprii che erano uno dei riferimenti base di quel punk in cui mi stavo buttando.
Ma non era solo il punk, era un punk parecchio nero.
Nero come un James Brown incazzato duro,
E infatti poi piano piano scoprii che loro erano la band megafono delle Pantere Bianche di John Sinclair.
Una “roba” che si proponeva di rovesciare letteralmente gli interi Stati Uniti d’America con un programma politico che partiva dal rock’n’roll comprendendo tante altre cose divertenti
Ok, una vaccata e alla fine quei ragazzi finirono parecchio male.
Ma quel “programma politico” era roba che faceva effetto e più di tutto faceva effetto la musica.
Scoprii anche che ‘sto Sonic Smith era il marito di Patti Smith e ci restai secchissimo perchè in quel periodo ero in fissa anche con Wave, l’ultimo album di Patti prima del matrimonio-ritiro-a-fare-la-mamma e quel disco iniziava con “Frederick” e beh, niente, scoprii che quel Frederick era Sonic Smith.
Quindi, per non falsare l’epifania a chiunque non ci sia ancora sotto con gli MC5, direi che oggi ci sta il pezzo della sig.ra-doppiamente-Smith.

Ogni giorno un brano intonato alla cronaca selezionato e commentato dalla redazione di Radio Strike.

https://youtu.be/izZuDxb84W0

Selezione e commento di AndreaPavanello, ex DoAs TheBirds, musicista, dj, pasticcione, capo della Seitan! Records e autore di “Carta Bianca” in onda su Radio Strike a orari reperibili in giorni reperibili SOLO consultando il calendario patafisico. xoxo <3

Radio Strike è un progetto per una radio web libera, aperta ed autogestita che dia voce a chi ne ha meno. La web radio, nel nostro mondo sempre più mediatizzato, diventa uno strumento di grande potenza espressiva, raggiungendo immediatamente chiunque abbia una connessione internet.
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