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Giorno: 14 Dicembre 2015

Lunedì 14 dicembre al Jazz Club Ferrara “Mrafi”, il quartetto del sassofonista Edoardo Marraffa, in concerto

da: Ufficio Stampa Jazz Club Ferrara

È la garguantesca energia improvvisativa di MRAFI, quartetto del sassofonista Edoardo Marraffa, a colorare – lunedì 14 dicembre – il penultimo appuntamento 2015 firmato Monday Night Raw. Completano la formazione altrettanti protagonisti della scena creativa nazionale come Pasquale Mirra al vibrafono, Antonio Borghini al contrabbasso e Cristiano Calcagnile alla batteria. Ad impreziosire la serata è il consueto aperitivo a buffet accompagnato dall’accattivante selezione musicale di Dj France. Segue il concerto l’imprevedibile jam session.

È la garguantesca energia improvvisativa di MRAFI, formazione del sassofonista Edoardo Marraffa, a colorare – lunedì 14 dicembre ore 21.30 – il penultimo appuntamento 2015 firmato Monday Night Raw.
Il processo attraverso il quale Edoardo Marraffa e il suo quartetto – attivo da diversi anni sulle scene della più radicale avanguardia europea – costruiscono percorsi musicali è in primis l’improvvisazione. Le composizioni implicate nel flusso creativo suggeriscono allo stesso strade diverse, determinando cambiamenti – anche strutturali – delle singole cellule tematiche, assemblate come “mattoni” di un’architettura complessiva mai determinata a priori. Ghiaccio bollente, asprezza accorata sono ossimori che vogliono sottolineare come Marraffa analizzi e reinventi l’età dell’oro del free, aggiungendo proprio elementi dell’improvvisazione totale europea di cui è parte. Un processo articolato quindi per il quale si avvale di capaci collaboratori – protagonisti essi stessi del panoramana della musica creativa – come Pasquale Mirra (vibrafono), Antonio Borghini (contrabbasso) e Cristiano Calcagnile (batteria).
Edoardo Marraffa è attivo sin dagli anni ‘90 con gruppi come il Collettivo Bassesfere e lo Specchio Ensemble. Nel corso degli ultimi anni ha collaborato con musicisti del calibro di Hamid Drake, Ingebrigt Haker-Flaten, Han Bennink e Tim Berne, tra gli altri, calcando altresì palcoscenici di importanti festival europei e statunitensi. All’attività musicale affianca quella didattica insegnando sassofono e musica d’insieme presso la Scuola Popolare di Musica “Ivan Illich” di Bologna.
Ad impreziosire la serata di lunedì è il consueto aperitivo a buffet, a partire dalle ore 20.00, accompagnato dall’accattivante selezione musicale di Dj France. Ingresso a offerta libera riservato ai soci Endas.
INFORMAZIONI
www.jazzclubferrara.com
jazzclub@jazzclubferrara.com
Infoline: 339 7886261 (dalle 15:30)
Il Jazz Club Ferrara è affiliato Endas, l’ingresso è riservato ai soci.
DOVE
Torrione San Giovanni via Rampari di Belfiore, 167 – 44121 Ferrara. Se si riscontrano difficoltà con dispositivi GPS impostare l’indirizzo Corso Porta Mare, 112 Ferrara.
COSTI E ORARI
Ingresso a offerta libera riservato ai soci Endas.
Tessera Endas € 15
Non si accettano pagamenti POS
Apertura biglietteria 19.30
Aperitivo a buffet con dj set a partire dalle ore 20.00
Concerto 21.30
Jam Session 23.00
DIREZIONE ARTISTICA
Francesco Bettini

Firmato ieri il Patto di Amicizia tra il Comune di Comacchio e il Comune di Nola

da: ufficio stampa Comune di Comacchio

Comacchio e Nola, due realtà distanti 600 km, ma unite da un patrimonio storico e culturale comune, hanno firmato ieri un Patto di Amicizia dalla matrice internazionale e legato ai rispettivi riconoscimenti ricevuti dall’Unesco.
Entrambe le comunità, infatti, sono state da poco insignite dall’agenzia delle Nazioni Unite: Nola è diventata patrimonio orale e immateriale dell’umanità nel 2013 grazie alla tradizionale Festa dei Gigli in onore di San Paolino, santo co-patrono della città; il Parco del Delta del Po, di cui Comacchio è parte, invece, è stato riconosciuto nel 2015 riserva Mab (Man and the Biosphere), rientrando così nella vasta rete internazionale di parchi tutelati dall’Unesco nel mondo.
Il documento, sottoscritto ieri nella Sede Comunale della cittadina in provincia di Napoli dal Sindaco di Nola, Geremia Biancardi, e dall’Assessore alla Cultura del Comune di Comacchio, Alice Carli, descrive l’impegno delle due Amministrazioni nel potenziare gli scambi culturali, economici, industriali, ambientali ed educativi tra le due comunità al fine di creare nuove opportunità di sviluppo e di promozione del territorio. “La cooperazione tra le due Città – si legge, infatti, nel Patto – permetterà lo scambio di ‘buone pratiche’, la condivisione delle eccellenze dei territori e metterà in relazione e valorizzerà le diverse culture, consentendo quindi un maggiore sviluppo sociale, culturale ed ambientale”.
“È un momento storico per Comacchio perché si apre una collaborazione con una nuova Città che ha in comune con noi alcune importanti peculiarità – spiega l’Assessore Carli – ad accomunarci, infatti, non sono soltanto i riconoscimenti Unesco che ci permettono di tutelare il rispettivo patrimonio culturale e ambientale, ma ciò che ci unisce è anche la storia e quelle radici etrusche dalle quali sia Comacchio che Nola hanno ricevuto un’importante eredità che ancora oggi stiamo scoprendo con grande entusiasmo”. “Ciò che vogliamo costruire è, quindi, una collaborazione in funzione di finanziamenti che possono portare risorse da investire sul territorio – conclude – ma anche e soprattutto una collaborazione a livello umano che consenta l’interscambio di esperienze e relazioni”.
“Per noi comacchiesi è un’altra occasione importante di sviluppare rapporti che ci aiutino a confrontarci con nuove realtà e ci stimolino sempre di più a valorizzare ciò che il nostro territorio offre – ha concluso il Sindaco Marco Fabbri – come cita il Patto di Amicizia, le ragioni che hanno portato ai rispettivi riconoscimenti Unesco sono solo apparentemente diverse. Comacchio e Nola, infatti, hanno voluto mettere al centro del proprio percorso di crescita quei valori identitari che hanno permesso di tenere vivo il patrimonio storico, archeologico e culturale delle due comunità”.

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Risorse per l’edilizia scolastica: martedì conferenza stampa con il sottosegretario Lotti, il presidente Bonaccini e l’assessore Bianchi

da: ufficio stampa giunta regionale Emilia Romagna

Domani, ore 11, Sala Giunta della Regione

Cinquantasette milioni di euro di fondi Bei (Banca europea degli investimenti) per l’edilizia scolastica dell’Emilia-Romagna nel periodo 2015/2017.
Ne parleranno nel corso della conferenza stampa in programma martedì 15 dicembre alle ore 11 il sottosegretario di Stato alla Presidenza del consiglio Luca Lotti, il presidente della Regione Stefano Bonaccini e l’assessore alla Scuola Patrizio Bianchi.
L’appuntamento è nella Sala Giunta della Regione, viale Aldo Moro 52, 9° piano, Bologna.

Alberto Manzi, inaugurata la mostra “Maestro raccontami il mondo”

da: ufficio stampa giunta regionale Emilia Romagna

All’inaugurazione la vicepresidente della Regione Emilia-Romagna Elisabetta Gualmini

Inaugurata questo pomeriggio a Bologna, negli spazi del MAMbo, la mostra “Maestro raccontami il mondo” dedicata ad Alberto Manzi scrittore per ragazzi con le illustrazioni e le sculture di carta dell’artista Alessandro Sanna, che reinterpreta, in chiave contemporanea, alcuni tra i più famosi racconti del maestro.
“Gli insegnamenti del maestro Manzi non dovrebbero mai essere dimenticati. L’idea che occorre includere invece che escludere, il valore dell’apprendimento come unica risorsa contro lo sfruttamento e l’emarginazione, la pluralità delle culture e delle esperienze come fattore arricchente sono messaggi particolarmente attuali – ha affermato la vicepresidente della Regione Elisabetta Gualmini al taglio del nastro. Sottrarre le persone al rischio dell’analfabetismo è uno dei compiti più elevati che un uomo, un maestro, possa compiere. Con la lavagna e il gessetto – ha proseguito la vicepresidente – Alberto Manzi raccontava il mondo a chi non era in grado di raccontarselo e osservarlo da solo, sollecitava a guardare lontano e a non avere paura, ad osare invece che a ripiegarsi su sé stesso. Come rappresentante dell’istituzione regionale – ha concluso Gualmini – sono onorata di poter inaugurare un’ importante mostra a lui dedicata.”
All’inaugurazione dell’esposizione, promossa dall’Agenzia Informazione e Comunicazione Giunta Regione Emilia-Romagna in collaborazione con Istituzione Bologna Musei – Dipartimento educativo MAMbo, e curata dal Centro Alberto Manzi, erano presenti Laura Carlini Fanfogna, direttrice dell’Istituzione Bologna Musei, Alessandro Sanna, artista e illustratore, Sonia Boni Manzi, moglie di Alberto Manzi.
La mostra didattica è aperta al pubblico dal 12/12/2015 al 12/01/2016, dal martedì al venerdì, negli orari di apertura del museo, ingresso libero.
Informazioni sulla mostra : www.regione.emilia-romagna.it; www.mambo-bologna.org; www.centroalbertomanzi.it.

INSOLITE NOTE
Lo scrigno prezioso dei ‘Piano che piove’: un’avventura musicale d’altri tempi

“In viaggio con Alice” è l’album di esordio dei P.C.P (Piano che Piove), una raccolta di 9 brani, in stile canzone d’autore, con influenze mediterranee, jazz- bossa nova. Si tratta di un disco acustico registrato per la maggiore parte dal vivo, senza campionamenti o interventi digitali. Le parole accompagnano sonorità essenziali, per trasmettere emozioni riproducibili anche nei concerti. L’attenzione ai testi è una delle caratteristiche di questo progetto, una serie di frammenti raccontati per immagini, una sorta di storyboard di vita da cui è difficile sfuggire.

La copertina dell'auto
La copertina dell’album

P.C.P è un progetto di musica indipendente, fatto da musicisti che hanno trascorso una parte consistente della propria vita suonando in posti possibili e impossibili, in Italia e all’estero, a volte pagati e altre no. I protagonisti di questo gioco di parole (Piano che piove) sono Ruggero Marazzi (chitarre), Massimiliano Ghirardelli (contrabbasso e dobro), Mauro Lauro (chitarre), Giuseppe Mele (batteria) e Sabrina Botti (voce).
La track list inizia con “Metà marzo”, una bossa nova, fonte di verità e rimpianto, come dice un po’ malinconicamente il suo testo: “Non è mai servito a niente lasciare tutto e andare via, quando ogni cosa che ci tocca, ci lascia dentro un canto…”.
Le sonorità mediterranee sono all’origine del brano “Il cartografo”, un percorso di grande valenza lirica e musicale, supportato da un ritmo iniziale basato su percussioni e voce, sino a diventare gitano con assoli di chitarra. Stupendo!
“In viaggio con Alice” è una ballata easy leasing, necessaria dopo il brano precedente, l’inciso è semplice, la melodia accattivante e Sabrina modula la voce con mestiere e talento, virtù sempre più a rischio di estinzione.
“Come si fa”, in precedenza interpretata da Amelie, è una ballata pop di piacevole ascolto, mentre con il successivo “Le ore contate” si ritorna a respirare bossa nova, l’atmosfera più adatta per descrivere la voglia di raccontarsi e sognare.

I Piano che piove
I Piano che piove

“Autunno” è un brano struggente, dal sapore metropolitano, ben interpretato da Sabrina e supportato dai cori di Ruggero e Mauro. E’ una ballata di atmosfera con cui i ricordi e i sogni si possono rincorrere: “Sali da me, dove il buio è limpido, parla con me nella notte del filobus, sali da me c’è silenzio e ordine, libri e poesie e nell’aria il profumo del tè…”.
“Oceano in bianco e nero” è un brano nostalgico, senza idea del tempo, un viaggio della mente lontano dalle favole: “Chissà dov’ero io, se c’ero oppure no, la nostalgia on ha idea del tempo, la vedi all’improvviso, come polvere su un vaso, come una fotografia uscita per caso”.

La locandina del videoclip del brano "Le ore contate"
La locandina del videoclip del brano “Le ore contate”

In “Milano-Roma” il ritmo si fa un po’ swing, quasi ballo, il percorso passa da Bologna, insieme alle immagini della propria vita e alla neve che viene giù “di brutto”.
“I treni di settembre” chiude il quasi live dei P.C.P, a ritmo di bossa nova, la sensualità del suono e delle parole sono armonici e a spasso nell’aria, mentre i pensieri riempiono i viaggi… sui treni in settembre.
“In viaggio con Alice” è un’avventura musicale d’altri tempi, il racconto di momenti della quotidianità, dei ricordi e dei desideri più intimi. La passione e la voglia di esprimersi ne fanno un prezioso scrigno in cui sono custoditi nove gioielli.

PCP Piano che piove – Le ore contate (Official Video):

https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=5RoSLKip86M

TRADIZIONI
Il Natale fra le due guerre: “Mandarini, caramelle e le zigale ci bastavano per fare festa”

Giorgio in questi giorni ha festeggiato il suo compleanno: è nato nel 1928, 87 anni fa. Ha fatto il falegname per 42 anni. Mostra la mano sinistra: “Questi sono il segno di riconoscimento per molti di noi”, dice mostrando tre dita senza falangi. Ha iniziato da giovane a imparare il mestiere: la mattina andava a scuola e il pomeriggio garzone a bottega, ma ha dovuto smettere presto di studiare perché doveva aiutare la famiglia a tirare avanti. “Non ricordo se a scuola si facesse qualcosa di particolare per Natale, in quegli anni c’era la guerra, avevamo altro a cui pensare”.

Suscita tenerezza mentre in dialetto spiega che non c’è molto da raccontare, perché prima della guerra il Natale era un piatto di tortellini con un po’ di brodo, una raviola e un pezzo di pane natalizio cotti nella stufa a legna di casa o nel forno del paese. Raviole e pane di Natale sono tipici dolci del ferrarese e del bolognese. Per le raviole si impastano farina, uova, burro, zucchero e lievito e una volta stesa la pasta si riempie con marmellata casalinga, facendo tanti fagottini da cuocere in forno. Si facevano per tempo e si conservavano gelosamente perché dovevano durare fin verso Sant’Antonio, che si festeggia il 17 gennaio. Il pane di Natale, variante casalinga del più celebre pampepato, viene preparato, secondo tradizione familiare, con farina, zucchero, cacao o marmellata di prugne a seconda delle ricette tramandate da generazioni, canditi, caffè e mandorle o arachidi. Dopo la cottura in forno viene bagnato con un liquore particolare e poi ricoperto di cioccolato fondente.
“I regali, quando li si riceveva, si facevano più per la Befana: erano qualche mandarino, qualche caramella o qualche zigàla. Non sai cos’erano vero? Erano dolcetti di zucchero che si trovavano solo in due o tre gusti”. Ma già così era più del solito: la miseria allora era tanta che bastavano queste piccole cose per fare festa e passato il Natale eravamo tristi perché era finito tutto”.

“Si faceva tutto in casa. Mi ricordo il piccolo presepe: per l’erba si raccoglieva il muschio in campagna lungo i fossi e le statuine erano di carta pesta, le facevano la mamma e il papà. Io ero il più piccolo di tre fratelli”. Aveva una sorella e un fratello più vecchi di lui, “a volte si discuteva per piccole questioni di invidia, perché si credeva che l’uno avesse ricevuto più dell’altro”.
“La mamma lavorava in campagna e il papà faceva il muratore. Abitavamo in una casa unica divisa in tre parti, con i nonni e i fratelli di mio papà. Il Natale lo passavamo un anno in casa da uno e un anno in casa dall’altro”. Spesso erano Giorgio, i suoi fratelli e sua mamma ad andare dai nonni o dagli zii, “il papà non c’era perché era all’estero a lavorare: è andato in Germania e persino in Africa”.
“È difficile spiegarlo a chi non lo ha vissuto: il Natale era più sentito di adesso, non si vedeva l’ora, ma c’erano meno segni esteriori. Solo dopo la guerra si è cominciato a festeggiarlo come si fa adesso”.

Leggi [qua] l’introduzione: Racconti dai Natali che furono per ritrovare lo spirito autentico delle feste

Lunedì 14 dicembre presso la Sala della Musica di Ferrara incontro sul tema della famiglia omogenitoriale

da: organizzatori

Istituto Gramsci, Arci, Arci Gay, Famiglie Arcobaleno e CGIL Ferrara promuovono l’incontro “Le famiglie tra passato e futuro, omogenitorialità un progetto d’amore”. Lunedì 14 dicembre alle ore 17, presso la Sala della Musica di Ferrara in via Boccaleone 19, ne parleranno:
Paola Bastianoni, docente Unife;
Don Domenico Bedin, Comunità Viale K;
Chiara Bonora, Famiglie Arcobaleno.
Coordina Roberto Cassoli dell’Istituto Gramsci di Ferrara.
In collaborazione con il gruppo consiliare SEL del Comune di Ferrara.

Le foto di #MyFerrara in mostra

Ne avevamo già parlato all’avvio del progetto [vedi] e come testata avevamo partecipato all’iniziativa pubblicando per più di una settimana la foto del giorno [vedi]. Stiamo parlando di #MyFerrara, il progetto di collaborazione tra la community Igersferrara ed il Comune di Ferrara, che dal 23 aprile scorso ha pubblicato circa 10.000 immagini di Ferrara scattate dai seguaci di instagram (amministratori, studenti, cittadini). Un successo eccezionale che ha spinto gli organizzatori a mettere in piedi una mostra dal titolo “#MyFerrara – La nostra città raccontata su Instagram” che esporrà 52 foto: 40 pubblicate dagli amministratori e 12 estratte dalle 10mila finora taggate.

La mostra sarà inaugurata domani martedì 15 dicembre alle 16.30 nel salone d’onore della residenza municipale, e rimarrà aperta gratuitamente ai visitatori fino al 7 gennaio 2016.

Un altro evento in programma sempre domani sarà l’escursione fotografica condotta da Francesco Scafuri, responsabile dell’ufficio comunale ricerche storiche, “I segreti del Palazzo Ducale svelati agli Instagramers” che si terrà alle 15, articolata tra gli spazi dello scalone municipale, la sala delle lapidi, la sala dell’arengo, la stanza dorata, il salone d’onore, la sala dell’albo pretorio, il camerino delle duchesse e via coperta (L’escursione fotografica è aperta a 25 partecipanti, l’iscrizione è gratuita ed effettuabile al sito http://agendadigitale.comune.fe.it).

Le foto degli instagramers pubblicate su Ferraraitalia, clicca le immagini per ingrandirle.

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foto di Daniela Solaini
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foto di Daniela Solaini
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foto di Daniela Solaini
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foto di Daniela Solaini
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foto di Silvia Nagliati
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foto di Silvia Nagliati
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foto di Paola Coluzzi
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foto di Paola Coluzzi
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foto di Paola Coluzzi
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foto di Paola Cluzzi

 

ELOGIO DEL PRESENTE
Dalla piattaforma rivendicativa a quella digitale: come cambia il lavoro al tempo di Uber

Airbnb, per i miei studenti, è un modo per trovare camere a basso costo; Blablacar un sistema di trasporto più piacevole del treno e fruibile con minore spesa; Uber il modo più semplice ed economico per andare all’aeroporto di Roma o di Milano. Per molti di noi queste sigle sono ancora estranee alla vita quotidiana, al più ne leggiamo sulla stampa quotidiana. Manifestazioni della sharing economy supportate dalle tecnologie della connessione e dalla radicale trasformazione dell’organizzazione del lavoro di significative aree di servizi. Si tratta di un modello incentrato su una piattaforma e su un piccolo nucleo di dipendenti che ne garantiscono il funzionamento, attorno ai quali si aggrega un ampio numero di persone che offrono servizi ai clienti.

Uber, ad esempio, si compone di una piattaforma e di un piccolo nucleo di dipendenti che ne permette il funzionamento unitamente agli autisti che mettono a disposizione le auto ai clienti. Analogamente opera Airbnb: un nucleo di dipendenti gestisce la piattaforma, i clienti prenotano alloggi per le vacanze spendendo poco grazie alle persone che offrono ospitalità ai clienti della piattaforma. Airbnb non possiede case e Uber non possiede taxi. E quindi, come definiamo coloro che prestano il servizio? Sono lavoratori dipendenti o sono lavoratori autonomi? Vendono lavoro o utilizzano un’opportunità (quella di lavorare qualche ora e integrare il reddito)? Sono un modello organizzativo più flessibile o un’altra prova che l’epoca delle garanzie tramontata?

Con quali atteggiamenti guardiamo questi fenomeni? Possiamo considerarli forme della precarizzazione del lavoro, possiamo sostenere che il rischio di impresa viene totalmente scaricato sulle spalle di coloro che svolgono il lavoro. Ma ciò non ci sarebbe di grande utilità né analitica, né pratica. Uber non possiede auto, il vero mezzo di produzione è la piattaforma prima che l’auto. Analoga considerazione per Airbnb: le case sono dei proprietari, il rischio è il loro. Il mezzo di produzione è l’app che consente l’incontro. E c’è una nuova merce a regolare questa economia: la reputazione, che dice se un host di Airbnb o un driver di Uber sono affidabili. Nell’economia della piattaforme i lavoratori ricevono lavoro intermediato da un portale e la loro produttività è valutata da un algoritmo che misura la reputazione. La reputazione diventa, peraltro, una categoria sempre più pregnante.
Un aspetto interessante è che queste piattaforme sono in grado di mobilitare i propri clienti contro i vincoli proposti dalle autorità. E’ il caso di Uber a New York che proprio facendo leva sul sostegno degli utilizzatori e degli autisti, è riuscito a contrastare le decisioni restrittive dell’Amministrazione pubblica della città.

A commento telegrafico cito la frase di un’anziana emigrata in Canada (testimonianza raccolta da Vito Teti in un volume sulla storia delle migrazioni meridionali): “La cosa che più desidero è tornare al paese. Ma non torno più. Ho tanta nostalgia. Vivo con la nostalgia del paese. Ma so che se tornassi perderei anche la nostalgia”. Rispetto al nostro passato personale la nostalgia è un sentimento comprensibile, ma in termini sociali è discutibile e comunque perdente. Le forme del lavoro, in primo luogo nei servizi, hanno già subito un forte mutamento, il tempo passato in un luogo, per un numero crescente di casi non è più il parametro prevalente di giudizio, qualità e reputazione riguardano un numero crescente di posizioni.

Maura Franchi è laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei consumi presso il Dipartimento di Economia. Studia le scelte di consumo e i mutamenti sociali indotti dalla rete nello spazio pubblico e nella vita quotidiana.
maura.franchi@gmail.com

Miracoli

Gianni Rodari
Gianni Rodari

Natale tutto l’anno, si può.

Se ci diamo una mano i miracoli si faranno e il giorno di Natale durerà tutto l’anno. (Gianni Rodari)

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

Lester

Oggi, per una volta, mi adeguo al mio paese e così, con un giorno di ritardo, faccio gli auguri a uno figura (non solo) per me fondamentale, Lester Bangs.
L’ItalWiki ci dice che Lester è nato il 14/12 e non il 13/12: e io chi sono per contraddire una tale istituzione?
Ad ogni modo chi se ne frega, questo giorno di ritardo ha anche senso.
Tanto qui da noi si dice ancora “gli hippy degli anni ’70” perché in fondo qui da noi tutto arriva sempre in ritardo.
E come dice un noto proverbio che si usa molto, sempre qui da noi: ogni mattina qualcuno si sveglia e non importa che sia un treno o un hippy, tanto qui da noi arriverà comunque in ritardo.
Paradossalmente, sempre qui da noi, a Lester Bangs poteva andare ben peggio.
Mi sa che quest’anno sono 10 anni tondi che leggo e rileggo quest’uomo.
E allora, anche se non mi leggeranno mai, ne approfitto per ringraziare quei ragazzi della Minimum Fax che hanno pubblicato tutto, rendendo possibile anche a un 19enne senza internet, sperduto in un buco di culo la lettura di questo scrittore secondo me fondamentale non solo per chi scrive di musica ma anche per chi la musica la fa, non importa se suonata o prodotta.
Penso davvero che da quel 2005 non sia passato un anno senza che io leggessi pezzi sparsi o quei libri interi di Lester.
E anche se non mi leggerà mai, devo un grazie enorme anche ad Anna Mioni che ha tradotto il difficilmente traducibile Lester in un modo davvero super.
Ma perché tutta questa pippa?
Semplice: Lester Bangs è il padre della critica rock’n’roll.
E purtroppo, schiattando se l’è anche portata nella tomba.
Perché sì, adesso abbiamo Simon Reynolds, abbiamo ancora Robert Christgau e Greil Marcus ma non è la stessa roba.
Loro sono dei critici e basta.
Senza sminuire i nomi citati sopra Lester era qualcosa di più di un semplice critico.
Forse l’unico rimasto che un po’ gli si avvicina è Everett True.
Lester era un guardiano e a volte persino un moralista.
E dio sa quanto ne avremmo bisogno adesso, di un tipo così.
Stiamo parlando dell’uomo che stroncò il primo album degli MC5 perché il battage pubblicitario gli aveva fatto girare i maroni.
Poi il disco era ed è tuttora meraviglioso, a Lester finì anche per piacere tantissimo e chiese scusa pubblicamente sia agli MC5 che ai lettori ma come dargli torto?
Lui si era aspettato troppo, aveva sgamato le cose da cui gli MC5 avevano rubacchiato e aveva scritto che quel disco, in fondo, non meritava quei superlativi con cui era stato strombazzato.
In poche parole aveva individuato tutto ciò che non andava e che tuttora non va: il marketing.
E per tutto il resto della sua carriera avrebbe portato avanti questa battaglia col fervore di un Pasolini ubriaco e strafatto di farmaci.
Questa cosa ben presto l’avrebbe pagata.

Brano: “Concierto de Aranjuez (Adagio)” di Miles Davis Album: “Sketches Of Spain” del 1960
Brano: “Concierto de Aranjuez (Adagio)” di Miles Davis
Album: “Sketches Of Spain” del 1960

E infatti, nel 1969, riuscì a fregiarsi del titolo di “giornalista cacciato da Rolling Stone”, l’autoproclamata (hahaha) “Bibbia-del-r’n’r-style”.
Motivazione: mancanza di rispetto verso i musicisti.
Io l’ho letta la recensione che l’ha fatto sbattere fuori.
Non era niente di che.
Aveva semplicemente fatto notare quanto quel disco dei Canned Heat sembrasse bolso.
E aveva detto chiaramente che ormai era il caso di dare spazio a cose più lungimiranti e meritevoli come il primo album degli Stooges, all’epoca praticamente censurato dall’autoproclamata “Bibbia-del-r’n’r-style”.
Rolling Stone infatti, stava gettando le basi di quel giornalismo marchettaro che ne avrebbe fatto la fortuna.
Un approccio comunque lungimirante che anticipò Bruno Vespa e il suo “Porta a Porta”.
Fortunatamente all’epoca la Resistenza era Creem, con sede a Detroit e fortunatamente, Creem e Lester si erano già annusati.
Così c’era solo da fare i bagagli e scappare a Detroit a firmare un contratto che includeva anche l’incarico di gettare il pattume alla sera.
Forse Lester Bangs non fu il primo a usare termini come “punk”, “heavy metal” e addirittura “grunge” (dio, nei ’70) ma una cosa è certa: il punk lo aveva individuato parecchio in anticipo, tracciando quella linea che partiva dal garage rock più “elementare” e arrivava alla scena di NY dei ’70 e a quella inglese del ’77.
Riuscì persino a prevedere quel “grunge” che sarebbe arrivato ben più tardi, individuando il futuro di quei “soliti tre accordi di Louie Louie” in città tradizionalmente fuori dal giro che conta.
Posti come quella Seattle che donò al mondo i Nirvana, Athens che fece la stessa cosa con B-52’s, R.E.M. ecc e Austin che ormai è un posto fighettino e hipster.
Chi lo conosceva bene dice che, se fosse vivo in quest’epoca, col cavolo che lo farebbero scrivere.
Io non faccio fatica a crederci.
Forse avrebbe spazio su qualche blog, forse su qualche rivista avrebbe uno spazio piccolino.
Non voglio assolutamente aprire il capitolo sullo “scrivere di musica adesso” che non se ne esce.
Ma hanno ragione quei suoi amici.
Adesso nessuno pubblicherebbe cose come “James Taylor deve morire”, quella recensione di Fun House pubblicata in due parti su Creem o quelle interviste a Lou Reed che finivano per diventare duelli che finivano per diventare delle gare di insulti a insulti fra due ubriaconi.
Roba che comunque, parlando di interviste sta al livello del classico Truffaut-intervista-Hitchcock a.k.a. il-manuale-dell’intervista.
Perché un’altra cosa è certa: si poteva non essere d’accordo con lui a volte, ma quell’uomo sapeva scrivere e ha sempre scritto da dio.
E ha sempre cambiato idea anche radicalmente quando si accorgeva di aver mancato la tazza.
Purtroppo non ha avuto il tempo di scrivere “il suo Grande Romanzo” americano, purtroppo è stato anche bruciato da un personaggio decisamente più hip come Hunter S. Thompson con quel Paura e disgusto a Las Vegas pubblicato a pezzi – vedi te come torna tutto – proprio su Rolling Stone.
Restano comuque quintalate di pagine scritte da un sincero amante della musica e uno scrittore gigante e grazie a dio mai tronfio.
Quindi per oggi, via con uno dei pezzi che si tirano in ballo di meno quando si parla di Lester.
Perché costui sarà stato l’uomo che canonizzò il punk.
Ma era davvero l’ultimo beatnik e anche uno dei fan del jazz più svegli che siano esistiti.
Auguri in ritardo baffone, tanto ci sei abituato.

Ogni giorno un brano intonato alla cronaca selezionato e commentato dalla redazione di Radio Strike

Selezione e commento di Andrea Pavanello, ex DoAs TheBirds, musicista, dj, pasticcione, capo della Seitan! Records e autore di “Carta Bianca” in onda su Radio Strike a orari reperibili in giorni reperibili SOLO consultando il calendario patafisico. xoxo <3

Radio Strike è un progetto per una radio web libera, aperta ed autogestita che dia voce a chi ne ha meno. La web radio, nel nostro mondo sempre più mediatizzato, diventa uno strumento di grande potenza espressiva, raggiungendo immediatamente chiunque abbia una connessione internet.
Un ulteriore punto di forza, forse meno evidente ma non meno importante, è la capacità di far convergere e partecipare ad un progetto le eterogenee singolarità che compongono il tessuto cittadino di Ferrara: lavoratori e precari, studenti universitari e medi, migranti, potranno trovare nella radio uno spazio vivo dove portare le proprie istanze e farsi contaminare da quelle degli altri. Non un contenitore da riempire, ma uno spazio sociale che prende vita a partire dalle energie che si autorganizzano attorno ad esso.

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