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Giorno: 8 Aprile 2016

A Unijunior Ferrara è tempo di premiazioni

da: ufficio comunicazione ed eventi Unife

Sabato 9 aprile alle ore 15.30, al Polo Chimico Bio Medico (via Borsari, 46), si terrà la cerimonia conclusiva di Unijunior Ferrara 2016, il ciclo di lezioni universitarie per bambini e ragazzi dagli 8 ai 14 anni, giunto quest’anno alla sua settima edizione.

Sempre numerosi gli iscritti: oltre 450 i giovani allievi, molti da fuori provincia e regione, hanno avuto modo di imparare divertendosi fra banchi e laboratori universitari, partecipando a lezioni di pari opportunità, genetica, fisica, urbanistica, chimica, diritto europeo, medicina, botanica, storia, biofisica, comunicazione, alimentazione e teatro.

Affermano Andrea Maggi e Maria Grazia Campantico dell’Ufficio Comunicazione ed eventi di Unife, organizzatori del ciclo con Riccardo Guidetti dell’Associazione culturale FunScience : “ La giornata conclusiva di Unijunior è sempre un momento ricco di emozioni. Consegneremo ai giovani studenti il diploma di partecipazione, in presenza dei docenti che, come noi, hanno tenuto il ciclo di lezioni. Sarà un pomeriggio pieno di sorprese, grazie allo spettacolo scientifico dello staff di FunScience, che come ogni anno intrattiene piccoli e adulti. Ma non solo…”.

“Ci piace pensare – concludono gli organizzatori – come alcuni dei ragazzi che hanno frequentato la prima edizione sette anni fa, siano oggi tornati nelle aule come veri studenti universitari. Ciò attesta la validità del progetto Unijunior, ponte tra Università e territorio per far sentire da subito ai giovani e ai loro familiari come Unife sia luogo vivo della città, dove poter orientare i futuri percorsi di studio”.

Per l’occasione, aperti gratuitamente i parcheggi della struttura, operativo il servizio bar e streaming per le famiglie nell’Aula E2.

I quattro palii di Ferrara

​da: ufficio stampa Ente Palio di Ferrara

È ormai tempo di Palio a Ferrara e da marzo a maggio nella città estense si svolgono i molti eventi legati a questa edizione del 2016 che cade nel cinquecentesimo anno dalla prima pubblicazione de “L’Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto. Cresce quindi l’attesa per domenica 29 maggio quando avranno luogo le corse del Palio di Ferrara, il più antico del mondo risalente al 1259. E, come ogni anno, cresce anche l’attesa per vedere i quattro drappi dei palii, vere e proprie opere d’arte, dipinti appositamente per le 4 corse. Per questa edizione coloro che hanno realizzato i palii contesi dalle 8 Contrade ferraresi sono studentesse del Liceo Artistico Dosso Dossi di Ferrara (per il palio di San Paolo, Laura Fioresi, con l’aiuto di Tuffanelli Andrea, per quello di San Maurelio Irene Fraternali, con l’aiuto di Silvia Sottile e Deanna Volpi e per quello di San Romano, Martina Levrini) e Paolo Cutrano, artista e pittore cagliaritano che vanta un curriculum artistico di grande rilievo, dalla cui mano nasce il drappo di San Giorgio, il Palio della corsa più importante, quella dei cavalli. L’artista, solamente negli ultimi anni, ha partecipato a molte collettive di rilevante importanza esponendo anche al Quirinale a Roma. Ha esposto a Ferrara, presso Palazzo Scroffa , nel 2015 per la Triennale di Arti Visive di Ferrara. Cutrano, inoltre, ha ottenuto, per le sue opere, numerosi importanti riconoscimenti. I 4 palii verranno presentati ufficialmente alla conferenza stampa in programma per il prossimo 30 aprile che si terrà nella Sala dei Comuni del Castello Estense di Ferrara.
Inoltre, sarà il Salone d’onore della residenza municipale del comune di Ferrara ad ospitare la mostra personale dell’autore cagliaritano dal 16 al 26 maggio 2016.
Resta quindi l’attesa per questi 4 palii creati dalla mano di giovani talentuose ferraresi e da un importante artista di caratura nazionale.

Fondi europei: le opportunità e le sfide per il mondo culturale italiano

Solitamente quando si pensa ai fondi europei per il settore culturale, la prima linea di finanziamento che viene in mente è Europa Creativa, in particolare il sottoprogramma Cultura. Meno immediato è, probabilmente, il collegamento con Horizon 2020, il programma quadro europeo per la ricerca e l’innovazione.
Se Europa Creativa ha lo scopo di rafforzare la competitività del settore culturale e creativo per promuovere una crescita economica intelligente, sostenibile e inclusiva, l’obiettivo di Horizon 2020 è assicurare che l’Europa produca scienza e tecnologia di livello mondiale in grado di stimolare la crescita economica e affrontare le sfide sociali che si stanno presentando e si presenteranno. Proprio qui si aprono grandi potenzialità per il nostro patrimonio culturale, con il sottoprogramma delle “societal challenge”, le sfide prioritarie per la società (finanziato con 1,309 miliardi di euro in sette anni, dal 2014 al 2020). La sfida in particolare è quella dell’Europa “in un mondo che cambia – società inclusive, innovative e riflessive”, intendendo con quest’ultimo termine società “che costruiscono il proprio futuro a partire da una riflessione sul proprio passato, sui valori espressi dal proprio patrimonio culturale”, come ci ha spiegato Fabio Donato, docente di economia delle aziende culturali all’Università di Ferrara e rappresentante italiano a Bruxelles nel Comitato di Programma di Horizon 2020, che abbiamo incontrato in occasione del Salone del Restauro di Ferrara.

Fabio Donato

Secondo Donato l’Italia sta ottenendo grandi risultati su questo versante. Nel 2013 l’Italia si è battuta ed è riuscita a ottenere una grande vittoria mantenendo gli aspetti dell’inclusività e dell’identità culturale all’interno delle linee di finanziamento. E la linea italiana è passata nuovamente con “Understanding Europe”, uno delle quattro macro-aree delle calls per i finanziamenti 2016-17, che supporta progetti volti alla costruzione di una società europea che sia basata sul dialogo e sulle persone. Non solo, secondo i dati forniti da Fabio Donato, il nostro paese sta avendo successo anche sul piano dei progetti: “nel 2014 l’Italia è stato il primo paese come coordinatore dei progetti vincitori” e “nel 2015 i dati, seppur ancora provvisori, ci dicono che il contributo finanziario ottenuto è pari all’11,40%”. La vera novità è però il riconoscimento dell’Italia “fra i tre paesi punti di riferimento, insieme a Uk e Germania”, sottolinea il professore.

C’è però anche il rovescio della medaglia: “il tasso di successo dei progetti è molto basso”. “Potrebbe sembrare un paradosso”, ma la causa va ricercata “nell’alto numero di progetti presentati”: più è ampio il numero di partenza delle candidature, più diminuisce il rapporto fra quelli finanziati e quelli che non hanno successo. Questa grande partecipazione può essere letta positivamente, come segno che “sui temi della cultura il paese c’è e investe grande energia”; purtroppo però “a volte arrivano progetti non adatti dal punto di vista non contenutistico, ma tecnico e finanziario” e questo “mette a rischio il capitale reputazionale del paese”.
Le parole chiave che il mondo della cultura italiano dovrebbe giocare in Europa dunque sono: inclusività e valori culturali condivisi. Il nostro patrimonio culturale e ambientale è una grandissima risorsa sia dal punto di vista economico sia, anzi soprattutto, come fattore identitario e veicolo di inclusione e coesione sociale. Ecco perché deve diventare sempre più accessibile, comprensibile, fruibile per essere conosciuto e condiviso in misura sempre maggiore. Dovremmo cominciare a considerare i beni culturali un ecosistema all’interno del quale convivono e devono collaborare diverse realtà sociali, istituzionali, economiche, e dovremmo pensare alla conservazione e valorizzazione del nostro patrimonio non come alla conservazione e tutela di pietre, ma di valori culturali significativi per diversi gruppi di persone, comprese le generazioni future. Contrariamente a quanto spesso pensiamo, quando si tratta di ‘heritage’, l’Italia c’è ed è un punto di riferimento, ma si può e si deve fare ancora di più.

Guarda l’intervista a Fabio Donato

 

A zonzo per Mosca

Quando non potrai camminare veloce, cammina. Quando non potrai camminare, usa il bastone. Però, non trattenerti mai! (Madre Teresa di Calcutta)

P1090648Non è solo il titolo di un vecchio film, che peraltro abbiamo commentato (vedi), ma uno stile, un atteggiamento che accompagna, e dovrebbe accompagnare, chiunque si aggiri per le strade di una qualunque città. Mosca non fa eccezione. Andare a zonzo non significa solo ciondolare e passeggiare a caso, ma soprattutto essere liberi da pensieri, riflessioni e preoccupazioni, e lasciare correre quindi le emozioni, lasciarle sgorgare, fluire. Non pensare davvero a nulla: difficile di questi tempi, quando la mente è connessa, sempre, e rappresenta ormai il prolungamento di una connessione virtuale con dispositivi elettronici e diavolerie simili di ogni tipo. Lasciate a casa il telefonino (se proprio non ce la fate, mettetelo in una tasca remota della borsa e difficilmente raggiungibile) e non prendetelo in mano, nemmeno per guardare l’ora. Lasciate correre il tempo, guardate solo intorno voi. Scoprirete più di quanto immaginate. Poltrendo un po’ su una vecchia e scolorita panchina osserverete una ragazza che confeziona fiori, quelli che qualcuno regalerà a qualcun altro, una giovane donna che accarezza piante che orneranno balconi primaverili di una periferia grigia. Scorgerete un’altra ragazza che vende marmellate colorate fatte in casa, in una piazzetta dove si commercia ogni tipo di oggetto d’altri tempi, quelli che conservano la memoria, la storia di nonne e nonni che hanno deciso di svuotare i polverosi solai per fare spazio ai ricordi. Ci sono poi montagne di libri accatastati o in fila ordinata, di quelli che nessuno legge più ma che qualcuno invece cerca, spuntano statuette di ceramica di ora e di allora, giochi di bambini oggi diventati grandi, disegni sui muri che chiamano libertà. Qualche quadro dipinto da calorosa mano amica occhieggia e ricorda che colorare può aiutare a sognare. A volare. Scatole e scatolette che contengono gioielli regalati e non restituiti, pegni d’amore conservati con cura che riportano a un lontano amore di gioventù. Il primo, magari, quello che non si dimentica e che oggi è il migliore amico di sempre. Non fermarsi, questo conta, guardare e ancora stupirsi, sempre e di nuovo, osservare e ancora meravigliarsi. Scoprire ogni giorno quanto sia stupendo questo mondo e quanto meriti un’attenzione che non sia disattenta. Andando a zonzo, semplicemente. Provate a guardarvi intorno, provate davvero! Non è poi tanto male…

EVENTUALMENTE
Compleanno al Museo: è qui la festa

banner_partyLa scorsa settimana mi trovavo al museo della cosmonautica, a Mosca, quando ho notato un cartello che invitava a organizzare feste di compleanno per i propri bambini in quell’incantevole e piacevole luogo. Ottima idea, ho pensato fra me e me. Dovremmo farlo anche in Italia. Ho scoperto solo dopo con piacere che nel nostro paese già si fa, e anche a Ferrara.

I Musei Civici d’Arte Antica della città (vedi) hanno da qualche tempo ideato un modo alternativo per festeggiare con gli amichetti questo giorno dedicato a giochi e regali, in collaborazione con l’associazione Arte.Na (vedi): si può decidere come trascorrere il pomeriggio, scegliendo uno dei numerosi laboratori proposti dagli operatori del Museo. Al termine del pomeriggio sarà possibile spegnere le candeline tutti insieme. Si organizzano feste di compleanno per bambini dai 4 ai 12 anni, solitamente in un numero massimo di 20. E per una durata media di 2h30, legata agli orari di aperura dei musei. Un luogo insolito, divertente e interessante per spegnere le candeline in compagnia degli amici e degli animatori “scienziati” dell’Associazione Arte.Na che accompagneranno i bambini in avvincenti esplorazioni tra le collezioni con giochi, esperimenti, creazioni e tante scoperte. Visita al museo, laboratorio a scelta (di circa un’ora), festeggiamenti e apertura dei regali. Si va dagli artisti preistorici, a “sulle orme di Indiana Jones”, alla “bottega del ceramista”, ai “giovani scriba” o agli amuleti egizi. Non manca, ovviamente, il tavolo per torte, patatine, salatini, pizzette, pasticcini, merende e stuzzichini vari. Gli adulti presenti, cui resta il compito di vigilare sui bambini, possono visitare gratuitamente il museo. Un’occasione in più.

ASPETTI DELL' EMILIA ROMAGNA - FERRARA - PALAZZINA DI MARFISA D'ESTE *** Local Caption *** 00058700

I compleanni in museo si svolgono anche in altre sedi museali: alla Palazzina Marfisa, magnifica dimora rinascimentale che permette di svolgere le attività didattiche nella “Sala della Grotta”, sotto la “Loggia” e nell’ampio giardino (Corso Giovecca n. 170), a Palazzo Schifanoia, sede dello splendido Salone dei Mesi e della collezione egizia (ingresso al n. 27 di via Scandiana). Qui si può festeggiare il compleanno dei bambini dai 5 ai 12 anni, scegliendo fra i diversi laboratori proposti dagli operatori del museo fra i quali: Caccia al tesoro artistico, Cartoline dal museo, Giovani scriba, Miniatori medievali, Ceramica, Mosaico, Il giardino di Marfisa e Cavalieri e scudieri. Qui si possono vedere i giardini estensi dei due palazzi,  cercare un tesoro, giocare ai cavalieri o creare un libro sulla famiglia Estense. Una bella opportunità.

Arte.Na

MUSEI CIVICI D’ARTE ANTICA

Per informazioni: Associazione ARTE.NA – Storia Arte – Tel. 349/2691426

E-mail: ferrara@associazioneartena.it

 

MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE

Per informazioni: Sezione Didattica del Museo Civico di Storia Naturale – via De Pisis n. 24 Ferrara / Tel. 0532/203381 lunedì, mercoledì, venerdì dalle h. 9.00 alle 12.30

E-mail: dido.storianaturale@gmail.com

 

Che belli i campetti! Se si potesse ridare vita anche a quello di Santa Maria in Vado

C’è quell’età, tra i 10 e i 18 anni, in cui la propria ragione di vita è incontrarsi tra amici, fare vita di cortile, sentirsi crescere insieme e, soprattutto, avere sempre la palla a portata di mano e giocare a basket, calcio e pallavolo. Ci sono luoghi che tutto questo ce l’hanno nel dna e che non passano mai di moda, i campetti.

In centro a Ferrara ce ne sono tre parrocchiali: San Benedetto, Santo Spirito e Santa Maria in Vado. Purtroppo però quest’ultimo non è più agibile dal terremoto del maggio 2012, e i ragazzi che abitano nel quadrante Giovecca – Martiri della Libertà, Baluardi e Alfonso I d’Este ne sentono molto la mancanza. Sappiamo fin troppo bene quali danni il terremoto abbia inferto ai beni monumentali della città, a palazzi, chiese e musei; ma di pari importanza, anche se meno evidenti, sono i danni alla vita delle comunità. Non solo diverse chiese sono a tutt’oggi ancora chiuse (come quella di San Benedetto), ma anche alcuni luoghi di aggregazione per eccellenza come i campetti, appunto, le sale delle contrade e del catechismo, i chiostri rimangono inaccessibili.

Clicca le immagini per ingrandirle.

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Campo da calcio di San Benedetto (dietro palestra e cinema)
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Campo da pallavolo e basket di Sambe (dietro il campanile della chiesa)
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Campo da basket di Santo Spirito (dietro la chiesa)
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Campo da calcio a Santo Spirito (dietro il convento)

Certo, appena fuori dalle Mura ci sono campetti anche molto ben attrezzati, con reti da pallovolo, porte e canestri, come il Parchino Schiaccianoci (in zona Borgo Punta) o quello di Villa Fulvia, dove ci sono addirittura anche le sbarre per il Calistenics. Ci si può andare qualche volta, magari se invitati dai ragazzi della zona, ma non è la stessa cosa, non ci si sente proprio come a casa.

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Campetto di calistenics a Villa Fulvia
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Campetto del Parchino Sciaccianoci a Ferrara

Sarebbe bello se anche il campetto di Santa Maria in Vado fosse rimesso a norma e riaperto. Sappiamo che i tempi dei restauri dell’intero convento saranno molto lunghi, ma l’utilizzo del campetto prescinde da tutto questo: come ci ha spiegato bene l’arch. Andrea Malacarne, basterebbe recintare la parete del convento che affaccia sul campetto e metterla in sicurezza, ma per il resto non ci sarebbero ulteriori ostacoli.

E’ quindi solo una questione di volontà, dei residenti, dei parrocchiani, dei cittadini che sentono questa esigenza e che si fanno carico delle aspettative e dei desideri dei propri ragazzi. Ben più difficile sarà attrezzare come si deve gli spazi che, nell’arco degli anni, hanno subito un certo degrado; ma per questo si potrebbe contare sulle risorse della comunità, della diocesi, di benefattori vari che hanno a cuore il bene della gioventù e magari del Comune che di campetti ne ha sponsorizzati già diversi in città.

Si può fare? Chissà… E’ importante: è questione di vita… è questione di gioco!

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Campetto di Santa Maria in Vado a Ferrara
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Lato del campetto di Santa Maria in Vado (dietro convento e campanile)

Immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

Le foto sono di Ferraraitalia, tranne quella di copertina e le due del campetto di Villa Fulvia e dello Schiaccianoci trovate su Internet.

 

 

 

 

 

Allo specchio

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Mohandas Gandhi, il Mahatma

Se pensi che tutto il mondo sia sbagliato ricordati che contiene esseri come te. (Mahatma Gandhi)

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

Merle Haggard

La notizia del giorno – anche se ormai è di due giorni fa – è ‘sta cosa di Merle Haggard che lascia questo mondo proprio nel giorno del suo compleanno.
Non era in forma da un po’, ormai, e ne aveva 79.
Però nonostante tutto era ancora carico e ancora pronto ad andare in tour.
Era anche arrivato a dire che alla fine dei concerti i suoi polmoni malandati si sentivano meglio.
Non faccio fatica a credergli.
Ho scoperto Merle Haggard quando avevo circa 16 anni.
Stavo guardando uno speciale di Augias su Rai Tre, una roba sugli anni ’60.
Io all’epoca c’ero sotto di brutto con tutta quella chincaglieria hippie e sentire questo qua coi capelli corti che ne cantava quattro a quei fattoni mi fece incazzare un bel po’.
Ovviamente il pezzo era la più o meno celebre (non troppo qui da noi) Okie From Muskogee.
Quel pezzo uscì più o meno verso l’apice delle proteste contro la guerra in Vietnam e prevedibilmente diventò una specie di inno reazionario-buzzurro-redneck-nixoniano.
E infatti l’anno dopo il vecchio Milhous chiamò Merle Haggard a suonare alla Casa Bianca.
Le cose però non stavano esattamente così.

Brano: “I'll Always Know” di Merle Haggard
Brano: “I’ll Always Know” di Merle Haggard

Merle Haggard era nato in California da una famiglia poverissima originaria dell’Oklahoma.
La famiglia perse la casa durante la Depressione e tentò così la fortuna nello stato del sole o dell’oro o dei fattoni o dei surfisti, chiamatelo come volete.
Comunque in California non andò benissimo, anche perchè il padre di Merle morì quando il nostro eroe aveva solo 9 anni.
A 12 anni gli regalarono una chitarra ma questa cosa, almeno all’inizio, non servì molto a tenere il piccolo Merle lontano dalle rogne e soprattutto dal crimine.
Iniziò un periodo di riformatorio e gabbie varie da cui uscì solo nel 1960 circa.
Nel 1958 però il buon Merle si trovò davanti la luce: Johnny Cash che suonava proprio nel carcere in cui stava lui, ovvero il celebre San Quentin.
In quel carcere incontrò persino Caryl Chessman, a.k.a. il famoso carcerato autore di quel best-seller.
L’incontro con Chessman gli fece bene perchè da quel momento il cattivo Merle decise che sarebbe diventato il buon Merle.
Uscito di galera nel 1960, il nuovo, rinato e ora buon sig. Haggard iniziò a fare lavoretti di merda vari tentando al tempo stesso la fortuna con la musica.
Nel 1964 riuscì a infilare una hit nazionale e nel 1966 circa era già una vera stella della “musica di campagna”.
Non solo una stella ma anche un innovatore.
Ok, c’è stato prima Buck Owens (Act Naturally!) ma principalmente è grazie a Merle Haggard che possiamo dire “country di Nashville” e “country di Bakersfield”.
Ed è solo grazie a Lou Reed che io, dopo quel primo incontro sfortunato con Okie From Muskogee, iniziai a guardare Merle proprio con altri okie.
Cito più o meno a memoria il vecchio Lou: “prendi Merle Haggard… è un redneck ma dio santo se sa scrivere e cantare delle canzoni”.
Ma la scintilla mi colpì comunque più tardi.
E mi colpì nuovamente grazie a un altro grande inquilino del mio pantheon, Keith Richards.
In quel libro meraviglioso che è la sua biografia, il buon Keith riuscì a farmi capire non solo il country ma anche le sottilissime differenze fra il “suono di Nashville” e il “suono di Bakersfield”.
Tutto questo grazie al maestro (e compagno d’ago) di Keith, un tipo da mille punti come Gram Parsons, ovvero il grandissimo riformista del country e teorico di quella “cosmic american music” che adesso fa sognare pannocchiari e piccini.
In soldoni, Parsons la spiegava più o meno così: “la vecchia Nashville, tradizionale, tradizionalista, istituzionale, sviolinante, sempre incapace di accettare i propri figli fuorilegge” e “la quasi punkeggiante Bakersfield rifugio di questi outlaw, apostoli di suoni decisamente più asciutti, anzi proprio secchi secchi e per niente sdolcinati”.
Ed è questa la parola: outlaw.
Merle Haggard è stato uno dei grandissimi di quella particolare sottoscuola.
Quella sottoscuola che parte dal sottoscala e passa da Hank Williams, Johnny Cash, Willie Nelson, Kris Kristofferson ecc.
In parole poverissime: il country senza menate, violini, capelli cotonati e vestiario estremo, così per usare un eufemismo.
Canzoni che continuavano sì a parlare di “lacrime nella birra” ma soprattutto di lavoratori, carcerati e poveracci vari.
Una svolta rivoluzionaria, soprattutto in quegli anni strani.
Una svolta che collocò quei “fuorilegge” in un vago limbo, definibile quasi come “country di sinistra” o country digeribile e/o apprezzabile anche da chi proprio non va matto per la musica da venditori di auto usate (cit.).
Mi ricordo ancora il momento in cui ascoltai Sing Me Back Home nella versione di Merle.
L’avevo beccata prima fatta da Keith Richards, la versione di quel famoso bootleg del ’77, quello che sa di testamento.
La versione di Keef è la versione di un uomo fatto come un copertone, la versione di un uomo di 34 anni che ha paura di finire in gabbia per colpa del suo vizietto della pera.
Ma la versione di Merle Haggard è una versione universale.
E’ la versione di un nonno un po’ bruciato ma comunque di un nonno.
O di un uomo che di cazzate ne ha fatte tante (e avrebbe continuato a farne) ma di sicuro sa distinguere le cose importanti dalle cose impressionanti.

Anni dopo, riguardo a Okie From Muskogee, si scoprì la verità.
Haggard concepì il pezzo pensando alle eventuali reazioni di suo padre davanti a quegli anni di contestazioni.
Di certo non voleva essere l’alzabandiera dei nixoniani.
Anche perchè quella marijuana citata nel primo verso lui se la fumava eccome.
E se l’è fumata più o meno fino al 2009.
Nel mentre si è fatto anche di peggio.
Questa storia a mio avviso è abbastanza interessante per parecchi motivi.

1)
Col senno di poi quella canzone può essere vista solo come un sogno.
Merle Haggard sogna suo padre vivo nel 1969 e punto.
E come dice bene Werner Herzog “i sogni non seguono le regole del politicamente corretto”.

2)
Chi se ne frega delle eventuali idee politiche e/o intenzioni di una persona che comunque ha fatto in tempo, poco prima di schiattare, a dire pubblicamente che Trump è un cretino.
Poi è una bella canzone e ha ragione Lou Reed.
Ad ogni modo molto meno reazionaria di tutti quei pezzi reggae apparentemente solari che vanno molto in certi ambienti così progressisti.

3)
Parecchie volte, neanche troppi anni dopo il fattaccio, Merle Haggard ha ammesso di aver avuto torto marcio sulla questione contestazione/controcultura.
E qui arriva il punto che mi sta davvero a cuore: quanto abbiamo bisogno di gente con il coraggio di dire “ah beh, scusate, l’ho fatta fuori”?
Un sacco, porca vacca.

Quindi per oggi via con un pezzo che non rovinerà a nessuno un eventuale primo incontro con Merle Haggard.
Addio, vecchiaccio.

Ogni giorno un brano intonato alla cronaca selezionato e commentato dalla redazione di Radio Strike.

 


Selezione e commento di Andrea Pavanello, ex DoAs TheBirds, musicista, dj, pasticcione, capo della Seitan! Records e autore di “Carta Bianca” in onda su Radio Strike a orari reperibili in giorni reperibili SOLO consultando il calendario patafisico. xoxo <3

Radio Strike è un progetto per una radio web libera, aperta ed autogestita che dia voce a chi ne ha meno. La web radio, nel nostro mondo sempre più mediatizzato, diventa uno strumento di grande potenza espressiva, raggiungendo immediatamente chiunque abbia una connessione internet.
Un ulteriore punto di forza, forse meno evidente ma non meno importante, è la capacità di far convergere e partecipare ad un progetto le eterogenee singolarità che compongono il tessuto cittadino di Ferrara: lavoratori e precari, studenti universitari e medi, migranti, potranno trovare nella radio uno spazio vivo dove portare le proprie istanze e farsi contaminare da quelle degli altri. Non un contenitore da riempire, ma uno spazio sociale che prende vita a partire dalle energie che si autorganizzano

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