Skip to main content

Giorno: 25 Aprile 2016

LA RICORRENZA
Buon 25 aprile

Buon 25 aprile!
Anche chi ha lottato per quell’alba di Liberazione, ma non ha potuto viverla perchè è morto per essa.

Benedetto Bocchiola (Marco)
Di anni 20, meccanico, nato a Milano il 14 maggio 1924. Dal marzo al giugno 1944 svolge attività di raccolta e rifornimento di armi per le formazioni in montagna, nei mesi successivi prende parte a varie azioni effettuando colpi di mano su caserme occupate da forze nazifasciste e posti di blocco. Arrestato il 10 ottobre 1944 in Valle Biandino (Lecco) nel corso di un rastrellamento. Processato il 13 ottobre a Casargo da un tribunale misto tedesco e fascista. Fucilato il 15 ottobre a Introbio (Lecco) con altri cinque compagni.
15.10.1944
Carissimi genitori,
vi scrivo queste poche righe per farvi sapere che la mia salute è ottima come spero sia anche la vostra, non pensate per me perchè io sto bene. Se non riceverete mie notizie non allarmatevi.
Ricevete tanti saluti e tanti baci.
Vostro Nino
(Scritta poche ore prima della fucilazione, quando già conosceva la sua condanna)

Mario Brusa Romagnoli (Nando)
Di anni 18, meccanico aggiustatore, nato a Guardiaregia (Campobasso) il 12 maggio 1926. Nell’autunno del 1943 è nelle bande Pugnetto di Valli di Lanzo (Torino). Combatte sulle montagne di Genova, dove viene ferito una prima volta e arrestato, ma riesce a fuggire. Entra a far parte dei primi nuclei della Divisione autonoma Monferrato. Nel corso di un’azione da lui guidata vengono fatti prigionieri soldati e ufficiali tedeschi, viene nuovamente ferito. Non ancora guarito partecipa al combattimento del 25 marzo 1945 nei pressi di Brusasco-Cavagnolo, vicino Torino, e il 29 marzo mante guida un’azione contro un convoglio ferroviario tedesco sulla linea Milano-Torino viene ferito gravemente. Catturato verso la mezzanotte da una pattuglia del Reparto Arditi Ufficiali insieme ai tre compagni che tentavano di trasportarlo e condannato a morte quella stessa notte, mentre il comando partigiano tenta invano di concordare uno scambio di prigionieri. Fucilato il mattino del 30 marzo 1945 sulla piazza di Livorno Ferraris (Vercelli). E’ il fratello di altri due partigiani caduti.

Papà e Mamma,
è finita per il vostro figlio Mario, la vita è una piccolezza, il maledetto nemico mi fucila; raccogliete la mia salma e ponetela vicino a mio fratello Filippo.
Un bacio a te Mamma cara, Papà, Melania, Annamaria e zia, a Celso un bacio dal suo caro fratello Mario che dal cielo guiderà il loro destino in salvo da questa vita tremenda.
Addio. W l’Italia. Mario-Nando
Mi sono perduto alle ore 12 e alle 12 e 5 non ci sarò più per salutare la Vittoria

Domenico Caporossi (Miguel)
Di anni 17, elettricista, nato a Mathi Canavese (Torino) il 4 agosto 1927. Iscritto al Partito Comunista italiano, partigiano con il grado di sottotenente nella 80a Brigata Garibaldi operante nelle Valli di Lanzo e nel Canavesano. Il 17 febbraio 1945, recatosi a trovare i famigliari a Ciriè, viene catturato da elementi della Divisione Folgore. Incarcerato e torturato per 36 ore, viene fucilato senza processo il 21 febbraio 1945 sulla piazza principale di Verbania. Decorato di Croce di Guerra.

Cara Mamma,
vado a morire, ma da partigiano, col sorriso sulle labbra e una fede nel cuore. Non star malinconica io muoio contento. Saluti amici e parenti, ed un forte abbraccio e bacioni al piccolo Imperio e Ileno e il Caro Papà, e nonna e nonno e di ricordarsene sempre.
Ciau Vostro figlio Domenico

Eraclio Cappannini
Di anni 20, studente all’Istituto Industriale di Foligno (Perugia), nato a Iesi (Ancona) l’8 gennaio 1924. Nel novembre 1943 entra a far parte del 5a Brigata Garibaldi operante nella zona di Ancona e ne diventa Capo di Stato Maggiore. Partecipa ai combattimenti del gennaio e dell’aprile 1944 a Serra San Quirico e nei dintorni di Cabernardi e al colpo di mano per il sabotaggio del macchinario della Snia viscosa di Arcevia (Ancona), utilizzato dai tedeschi. Catturato all’alba del 4 maggio 1944 durante un trasferimento da un reparto tedesco presumibilmente guidato da un delatore. Viene fucilato senza processo il 5 maggio sotto le mura di Arcevia.
Arcevia 5 maggio 1944
Sono il giovane Cappannini Eraclio prigioniero dei tedeschi. Chi trova la presente è pregato di farlo avere alla mia famiglia, sfollata da Iesi a Serradeiconti presso il contadino Carbini. Cari Genitori e Parenti tutti; il mio ultimo pensiero sarà rivolto a voi ed alla mia, alla nostra cara Patria, che tanti sacrifici chiede ai suoi figli. Non piangete per me, vi sarò sempre vicino, vi amerò sempre anche fuori dal mondo terreno; voi sarete la mia sola consolazione. Siate forti come lo sono stato io.
Salutatemi tutti i miei conoscenti.
Vostro per l’eternità Eraclio
Bacioni alla piccola Maria Grazia
Ringrazio perennemente il latore
(Lettera scritta e abbandonata lungo il percorso fra il luogo della cattura e il luogo della fucilazione)

da “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana”, a cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli, Einaudi

Grande successo per il Salone Nazionale delle Sagre – Misen 2016: oltre 23.000 visitatori

da: ufficio stampa Ferrara Fiere Congressi

Sagre da Roma, Novara, Viterbo, Cremona, Caserta, Vercelli. Espositori da ogni parte d’Italia e anche da Croazia e Germania. Visitatori da Milano, Teramo, in pullman da Empoli e un po’ da tutta la penisola con oltre sessanta camper. Per non parlare delle quantità industriali di cibo distribuite a un pubblico mai sazio, ben determinato ad assaggiare tutto, passando con disinvoltura dal cappellaccio di zucca allo storione, dal tartufo all’asparago, dalla cozza alla rana, dal bigolo al torchio al bollito.
Tempo di bilanci, per la sesta edizione del Salone Nazionale delle Sagre – Misen, organizzato da Ferrara Fiere Congressi e dall’Associazione Turistica Sagre e Dintorni, che termina oggi alla Fiera di Ferrara con dati impressionanti in fatto di degustazioni e numeri non meno significativi alle casse: “Non abbiamo ancora chiuso le biglietterie – premette prudente Filippo Parisini, Presidente di Ferrara Fiere –, ma siamo certi di aver superato le presenze dello scorso anno, quando, peraltro, il Salone era durato di più (tre giorni pieni e non poco più di due spalmati su tre date, come quest’anno, ndr), e di aver toccato quota ventitremila visitatori”.
Che quella del Misen sia una formula indovinata e sempre più attraente, lo conferma Loris Cattabriga, Presidente dell’Associazione Turistica Sagre e Dintorni: “La fama dell’evento ha ampiamente varcato i confini della provincia di Ferrara e le sagre provenienti da più lontano sono rimaste colpite dall’atmosfera festosa, dall’entusiasmo e dalla passione dei nostri volontari. Le sagre – conclude Cattabriga – si stanno affermando come una ‘terza via’, intermedia tra il ristorante e la cucina casalinga, e in questo percorso il Salone ha consolidato il proprio ruolo di vetrina nazionale di riferimento”.
Tra le iniziative che ne hanno decretato il successo, i cooking show delle giovani promesse di “MasterChef” Dario “Roccia” Baruffa – che ha giocato in casa, essendo originario della provincia di Ferrara –, Mattia D’Agostini e Lorenzo De Guio, oltre alle dimostrazioni sulla panificazione e il lievito madre di Sara Papa. Anche “Musica Maestro” rientra a pieno titolo tra gli atout del Misen 2016, dove il media partner Telestense-Telesanterno ha portato le migliori orchestre di musica da ballo e il loro nutrito seguito di appassionati. Senza contare il mix vincente della ‘cucina agonistica’, con due appuntamenti ad alto tasso di campanilismo: per un punto soltanto sul secondo classificato, il “Gran Galà della Salama” ha consegnato lo scettro di migliore insaccato a Madonna Boschi, mentre nella “Disfida delle Sfogline”, promossa dall’“Associazione Miss…ione Matterello”, a imporsi sugli avversari (tra i quali un uomo) è stata Edda della Sagra della Cucombra di San Matteo della Decima, premiata per aver osato ed essere riuscita a plasmare a regola d’arte una sfoglia di grandi dimensioni.

25 Aprile, Bonaccini a Cesena: “La lotta di liberazione un’azione di popolo, la democrazia contro la barbarie”. L’omaggio a Ida Sangiorgi e Luciano Lama

da: ufficio stampa giunta regionale Emilia-Romagna

Il presidente della Regione alle celebrazioni per il 71^ anniversario della Liberazione: “Ai tanti Luciano Tondelli, cantato da Luciano Ligabue, che sacrificarono se’ stessi per restituirci libertà, pace e democrazia la nostra infinita gratitudine. Pensando a loro e alla necessità di tenere vivo il ricordo, il motivo per cui abbiamo approvato la legge regionale sulla memoria del Novecento.”

Cesena – “Una terra che tanto ha dato alla costruzione dell’Unità d’Italia, alla nascita della Repubblica, ai diritti delle donne e dei lavoratori”.

Nel giorno del 71^ anniversario della Liberazione, il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, interviene a Cesena, davanti al monumento della Resistenza, chiudendo il programma della mattinata dedicato al 25 Aprile. Una ricorrenza che vede tanti incontri e celebrazioni nelle città dell’Emilia-Romagna, “non certo cerimonie di vuota retorica, come può apparire a qualcuno”, sottolinea Bonaccini, bensì la testimonianza “che la lotta di liberazione non fu affare di pochi ma di molti, che fu azione di popolo, di uomini e di donne, e che vide in prima fila giovani e giovanissimi”. Un omaggio a chi si batté per liberare il Paese dal nazi-fascismo che, in Romagna, per il presidente della Regione passa attraverso due figure cardine proprio per i diritti delle donne e dei lavoratori, per la democrazia: Ida Sangiorgi, la prima donna a venire eletta nel Consiglio comunale di Cesena nel 1946, e Luciano Lama, partigiano e poi sindacalista, segretario generale della Cgil, nato a Gambettola, di cui fra pochi giorni, il 31 maggio, ricorrerà il ventennale della morte.

Dopo aver ricordato di essere stato lo scorso anno, “il primo del mio mandato come presidente”, a parlare in piazza a Bologna il 25 Aprile, e poi a Marzabotto, Monchio, Montefiorino, Fossoli, Alfonsine e a Casa Cervi, in provincia di Reggio Emilia, Bonaccini a Cesena si sofferma sula strage di Tavolicci del luglio del 1944, 64 vittime, una ventina delle quali aveva meno di dieci anni; poi ricorda i 26 cittadini di San Piero in Bagno uccisi al Passo del Carnaio pochi giorni dopo, o le fucilazioni e i rastrellamenti.

Ed oggi pomeriggio interverrà al Parco della Resistenza e della Pace a Pieve di Rivoschio, in Comune di Sarsina: “Il contributo di Cesena alla lotta di Liberazione meritò alla vostra città la medaglia d’argento al valor militare, che vi venne assegnata nel 1975. Una medaglia pienamente meritata, anzi: necessaria”.

Del resto, “bisogna venire in Romagna per capire come gli ideali del Risorgimento siano stati fatti propri dalla Resistenza, una guerra di popolo che voleva far risorgere l’Italia dopo la tragedia della dittatura e della guerra”.
E davanti al monumento alla Resistenza dello scultore Ilario Fioravanti, che mostra due persone – il partigiano ferito portato sulle spalle da una donna – “potremmo anche immaginare che quella donna sia il simbolo della speranza- prosegue il presidente della Regione- della Resistenza, della democrazia. La democrazia si fa carico delle sofferenze degli uomini, la democrazia deve curare le ferite che le tragedie e la violenza portano nella vita delle persone. La democrazia ci può salvare dalla barbarie”. E “oggi dobbiamo guardare con maggiore commozione quel monumento, perché è grazie ad esso che possiamo ricordare il 70^ anniversario del voto alle donne. Una conquista che ha cambiato il volto del nostro paese, che ha cambiato il verso della nostra democrazia”, anche se “lo ha fatto troppo lentamente”.

E proprio poche settimane fa Cesena ha ricordato Ida Sangiorgi, prima consigliera comunale della città: “Una donna ricca di passione e di intelligenza, colta e battagliera. Fu lei- afferma Bonaccini- la prima a tenere un comizio quando la guerra era appena finita. Ida Sangiorgi era una insegnante e una scrittrice e si impegnò nelle battaglie a favore della scuola e in difesa dell’infanzia. E’ fondamentale ricordare quelle battaglie e le conquiste che ne seguirono: costarono tanto impegno e tanta fatica ma furono il frutto di una partecipazione di popolo, di un entusiasmo che superò vecchie idee e vecchi pregiudizi”.

E un’altra conquista è stata quella del lavoro, “la ragione del nostro operare. L’ho definita la nostra ossessione, appena eletto Presidente, perché creare e recuperare lavoro significa in primo luogo dare dignità alle persone. Il primato del lavoro, peraltro, ha permesso di portare i lavoratori a diventare cittadini consapevoli”.

E “alcuni uomini ci hanno indicato la strada e l’hanno indicata per la loro parte a milioni di italiani. Uno di questi fu sicuramente un figlio di questa terra cesenate, perché era nato a Gambettola, a pochi chilometri da qui. Vent’anni fa, esattamente il 31 maggio, moriva a Roma Luciano Lama, uno dei figli esemplari della terra di Romagna”.

Lama, ricorda il presidente della Regione, era un giovane ufficiale di complemento ed era di stanza a Cesena quando arrivò la notizia dell’armistizio dell’8 settembre. “Il sottotenente Lama mandò a casa i soldati per evitare che cadessero in mano ai tedeschi, e due mesi dopo decise di entrare nelle brigate Garibaldi. Ricordare oggi il Lama partigiano e gappista è doveroso ma non è sufficiente. A distanza di venti anni dalla morte non possiamo utilizzare ciò che ha detto come se lo avesse detto ieri. Però possiamo domandarci: oggi cosa avrebbe detto dell’Europa? Cosa avrebbe detto dei nuovi lavori? Cosa avrebbe detto ai giovani in cerca di lavoro? Di una cosa sono sicuro: che Lama non si sarebbe sottratto ai problemi più duri, agli scogli, agli tsunami di una società che cambia velocemente”.

“E oggi- ammonisce Bonaccini- di fronte a chi pensa in Europa di costruire muri e barriere, non disperdiamo invece il valore di una Europa che ha saputo, nel dopoguerra, aggregare ed unire, consentendo alla mia generazione e a quelle successive di non conoscere mai più e per settant’anni la guerra nei nostri territori”.

In conclusione Bonaccini ricorda il giovane partigiano correggese Luciano Tondelli, cantato da Luciano Ligabue nella canzone “I campi in aprile” : “Ai tanti Luciano Tondelli, giovane partigiano ucciso pochi giorni prima della Liberazione e cantato da Luciano Ligabue, che sacrificarono se’ stessi per restituirci libertà, pace e democrazia vada per sempre la nostra infinita gratitudine. Pensando a loro e alla necessità di tenere vivo il ricordo di quei valori, il motivo per cui abbiamo approvato la legge regionale sulla memoria del Novecento.”

Domenica 1 maggio Enrico Rava, Aldo Romano e l’Italian Jazz Orchestra in concerto per il Festival Crossroads

da: ufficio stampa Crossroads

Ogni anno il festival itinerante Crossroads, organizzato da Jazz Network e dall’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna, arriva a Forlì per un unico concerto. Ma la magniloquenza e l’originalità degli spettacoli che si sono succeduti nel tempo ha ampiamente compensato il loro piccolo numero. Così sarà anche quest’anno, con una nuova produzione originale firmata da Jazz Network e dall’Associazione Scuola Musicale Dante Alighieri di Bertinoro. Domenica 1 maggio il Teatro Diego Fabbri alle ore 21 ospiterà “Let’s Get Lost”, concerto in omaggio a Chet Baker: i più noti brani del suo repertorio saranno eseguiti dai sedici elementi dell’Italian Jazz Orchestra diretta da Fabio Petretti. Le parti di tromba che furono di Chet Baker saranno affidate a un ospite speciale come Enrico Rava, mentre Aldo Romano si alternerà tra il suo strumento d’elezione, la batteria, e la voce.
Il concerto è realizzato in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e alle Politiche Giovanili del Comune di Forlì, il Teatro Diego Fabbri di Forlì, l’Italian Jazz Orchestra – Associazione Scuola Musicale D. Alighieri Bertinoro. Biglietti: intero euro 15, ridotto 13.

Di anno in anno si rinnovano i solisti ospiti dell’Italian Jazz Orchestra come anche i programmi musicali appositamente preparati per l’occasione, ma rimane costante il grandioso senso dello spettacolo dell’appuntamento forlivese di Crossroads. Quest’anno il voluminoso organico orchestrale diretto da Fabio Petretti, capace di abbinare le sonorità di una big band con quelle di un’orchestra classica, renderà omaggio a Chet Baker, mentre scorreranno le immagini del documentario Let’s Get Lost di Bruce Weber. Davanti a tutti si piazzerà Enrico Rava, mentre dal fondo Aldo Romano farà girare a pieno ritmo il motore dell’orchestra: sono loro gli special guests della serata.
Formatosi nel giro del jazz d’avanguardia, dove il modello più influente era Don Cherry, Enrico Rava sì è poi magistralmente accomodato anche nel solco del mainstream, da lui comunque sempre interpretato con quel senso di moderna inquietudine che si addice a un artista di ricerca. L’afflato melodico delle sue composizioni, nonché il lavoro solistico basato su un fraseggio scattante, un suono leggiadro e linee di grande incisività hanno spesso messo in evidenza proprio un atteggiamento chetbakeriano. Non per nulla tra i progetti recentemente portati in scena da Rava c’è anche un quintetto (con Dino Piana) che affronta in particolar modo il jazz della West Coast, senza trascurare il fondamentale contributo di Baker.
Il legame di Aldo Romano con Chet è molto diretto: lo ha infatti accompagnato in varie occasioni, in particolare come parte di una sezione ritmica che comprendeva anche René Urtreger e Pierre Michelot, nei primi anni Ottanta. Per l’occasione Romano si proporrà anche in veste di cantante, un ruolo che non gli è del tutto nuovo (ricordiamo il disco Aldo Romano chante del 2006) e nel quale ha già dimostrato una particolare affinità con lo stile canoro anticonvenzionale di Chet Baker.

Informazioni
Jazz Network, tel. 0544 405666, fax 0544 405656,
e-mail: ejn@ejn.it, website: www.crossroads-it.orgwww.erjn.it

Indirizzi e Prevendite:
Teatro Diego Fabbri, Corso Diaz 7, biglietteria serale giorno del concerto dalle ore 19:00: tel. 0543 712168

Informazioni e prenotazioni:
tel. 0544 405666 (lun-ven ore 9-13), ejn@ejn.it; tel. 338 3473990, www.romagnamusica.it/ijo

25 aprile: riflessioni fra storia, memoria e letteratura

Non so chi di voi abbia letto dalla scelta della biblioteca comunale Giorgio Bassani di Barco di esporre su un banchetto all’ingresso una selezione di testi sulla Resistenza in occasione della prossima celebrazione del 25 aprile, fra i quali compaiono anche i volumi di Giampaolo Pansa, e delle reazioni che tale scelta ha suscitato: alcune lettere alla direttrice della biblioteca e una petizione per rimuoverli (vedi). Devo confessare che, in prima battuta, mi sono scoperta indecisa sulla decisione da prendere in merito, o meglio: mi sono chiesta quanto sarei stata in grado di argomentarla in modo razionale, sulla base dei miei studi storici. Ho perciò ripreso alcuni autori che hanno studiato il rapporto fra storia e memoria e la costruzione della memoria collettiva.

Oggi la memoria invade lo spazio pubblico, ormai il passato accompagna il presente e si insedia nel suo immaginario collettivo, anche in quanto fortemente amplificato dai media e spesso orientato dai poteri pubblici. Spesso siamo immersi in un processo di reificazione del passato, cioè della sua trasformazione in oggetto di consumo, neutralizzato e reso redditizio, cui lo storico è chiamato a partecipare nella sua qualità di professionista ed esperto. Esso assomiglia molto a ciò che Eric J. Hobsbawm in un celeberrimo testo ha definito “invenzione della tradizione”. I fattori che contribuiscono sono molteplici, uno dei principali è una crisi della tradizione all’interno delle società contemporanee: a questo proposito Enzo Traverso, nel suo “Il passato. Istruzioni per l’uso”, ricorda la distinzione fatta da Walter Benjamin “tra l’“esperienza trasmessa” (Erfahrung) e l’“esperienza vissuta” (Erlebnis)”, se la prima “si perpetua quasi naturalmente da una generazione all’altra, forgiando le idee dei gruppi e delle società nella lunga durata”, la seconda “è il vissuto individuale” e, mentre “l’Erfahrung è tipica delle società tradizionali, l’Erlebnis appartiene invece alle società moderne”, anche come prodotto delle catastrofi del ventesimo secolo, con i traumi che ne sono seguiti e che hanno colpito generazioni intere senza poter diventare un’eredità inscritta nel corso naturale della vita.
Se è vero che storia e memoria nascono da una stessa preoccupazione e condividono uno stesso obiettivo, l’elaborazione del passato, esiste tuttavia una gerarchia tra le due. “La memoria – scrive Traverso – abbraccia e raccoglie il passato con una rete dalle maglie più larghe” di quelle della disciplina storica, collocandovi una dose molto più grande di soggettività.
La storia è dunque la narrazione, la scrittura del passato secondo modalità e regole precise, attraverso le quali cerca di rispondere alle domande poste dalla memoria, arrivando anche alla fine a fare di quest’ultima uno dei suoi terreni di ricerca. Diversamente, la memoria, attingendo all’esperienza vissuta, è eminentemente soggettiva, resta ancorata ai fatti cui si assiste, di cui si è stati testimoni o protagonisti, e alle impressioni che essi hanno scolpito nelle menti; è qualitativa, singolare, poco attenta alle comparazioni, alle contestualizzazioni, alle generalizzazioni, è un cantiere sempre aperto, in continua trasformazione.
Storia e memoria formano una coppia antinomica soprattutto a partire dall’inizio del ventesimo secolo, quando i paradigmi dello storicismo classico sono entrati in crisi, rimessi in discussione dagli sviluppi delle altre scienze sociali: se fino a quel momento la memoria era stata considerata come il sostrato soggettivo della storia, con la crisi dello storicismo è iniziato il processo di riconfigurazione della relazione fra storia e memoria come una tensione dinamica. Una transizione né lineare né rapida e, per certi versi non ancora terminata.

Uno dei primi a considerare la memoria come una costruzione sociale a partire dal presente e a codificare la dicotomia fra le fluttuazioni del ricordo e le costruzioni della narrazione storica è stato il sociologo Maurice Halbwachs in “La memoria collettiva”.
Halbwachs ritiene che la memoria di un individuo “sia costantemente aiutata, stimolata, sorretta dai rapporti che intrattiene con quella di tutti gli altri membri dello stesso ambiente sociale”. La memoria è il risultato di un lavoro permanente nel corso del quale i suoi contenuti vengono di volta in volta conservati o meno da gruppi umani concreti in funzione delle forze che nel presente, in ogni epoca determinata, determinano una certa ricostruzione del passato e non un’altra; perciò, se l’immagine del passato che viene ogni volta ricomposta si accorda con i valori e le esigenze dominanti nella collettività, esso diventa una posta in gioco esposta agli esiti di uno scontro permanente fra interessi e gruppi contrapposti all’interno di una stessa società.
Una volta stabilito che ogni forma di memoria è una ricostruzione parziale e selettiva del passato, i cui punti di riferimento sono forniti dagli interessi e dalla conformazione della società presente, Halbwachs passa ad analizzare le funzioni sociali della memoria, aprendo così le porte a una prospettiva originale: “la memoria stessa può essere considerata come un’istituzione, può venire cioè affrontata come problema delle forme istituzionalizzate che l’immagine del passato assume nella coscienza dei gruppi” e anche dei modi e delle forme di questa istituzionalizzazione. L’idea chiave di Halbwachs è dunque: ricordare è attualizzare la memoria di un gruppo ma, nello stesso tempo, l’immagine del passato che il ricordo attualizza non è qualcosa di dato una volta per tutte. Se il passato si conserva, tale preservazione avviene nella vita degli uomini, nelle forme oggettive della loro esistenza e nelle forme di coscienza cui queste corrispondono, in questo senso ricordare è “un’azione che avviene nel presente e dal presente dipende”. Forse la concezione più fruttuosa di Halbwachs è “che il passato, oggetto di ricostruzioni successive e suscettibili di modifica, sia una sorta di posta in gioco fra interessi e gruppi contrapposti”.
La storia, invece, è al di fuori e al di sopra dei gruppi e sembra che essa consideri ogni periodo come un tutto, in gran parte indipendente da quello che precede e da quello che segue, perché ogni periodo avrebbe una sorta di compito da portare a termine. Inoltre, la memoria si distingue dalla storia proprio perché si forma attraverso il continuo confronto di più memorie collettive, mentre la storia è una, tutto è sullo stesso piano: non si può raccogliere la totalità degli avvenimenti in un unico quadro se non a condizione di separarli dalla memoria dei gruppi che ne custodivano il ricordo e di non conservarne che lo schema cronologico e spaziale. Infine chi scrive la storia bada soprattutto ai cambiamenti e alle differenze e sa che per passare da un fatto all’altro bisogna che si realizzino una serie di trasformazioni di cui la storia percepirà solo la somma proprio perché studia i gruppi dal di fuori ed abbraccia una durata molto lunga; invece la memoria collettiva è il gruppo visto dall’interno: in altre parole la memoria è il quadro delle somiglianze mentre la storia si concentra sulle differenze.

Halbwachs ha contribuito a mettere in luce le profonde differenze tra storia e memoria, ma sarebbe sbagliato dedurne una loro totale incompatibilità o considerarle irriducibilmente separate, perché la loro interazione crea un campo di tensioni all’interno del quale si scrive la storia. Lo storico, infatti, non lavora “rinchiuso nella classica torre d’avorio, al riparo dai rumori del mondo”, scrive Traverso: egli subisce i condizionamenti di un contesto sociale, culturale e nazionale, e non può nemmeno sfuggire alla influenza dei suoi ricordi personali, né a quella di un sapere ereditato, dai quali può cercare di emanciparsi non negandoli, ma sforzandosi di stabilire nei loro confronti la necessaria distanza critica. In questa prospettiva, il suo compito non consiste nell’abbandonare la memoria, personale, individuale e collettiva, ma piuttosto metterla a distanza e nell’inserirla in un contesto storico più ampio.
Lo storico quindi è debitore nei confronti della memoria, ma agisce a sua volta su di essa: contribuendo alla formazione di una coscienza storica, egli partecipa, infatti, alla costruzione della memoria collettiva che attraversa l’insieme del corpo sociale. Secondo Traverso questo è ciò che Habermas chiama “l’uso pubblico della storia”, come dimostrato dal fatto che “i dibattiti tedeschi, italiani e spagnoli sul passato fascista, i dibattiti francesi su Vichy e sul colonialismo, quelli argentini e cileni sull’eredità delle dittature militari, i dibattiti europei e americani sulla schiavitù – la lista sarebbe inesauribile –, superano ampiamente le frontiere della ricerca storica”, invadendo la sfera pubblica e chiamando in causa il nostro presente.

Eccomi chiamata nuovamente in causa nuovamente, come cittadina che vive nel presente e assiste al dibattito pubblico. Ora posso scrivere che nel nostro presente, con i partigiani e i testimoni che stanno scomparendo, mentre sempre più diritti vengono calpestati e nuove resistenze si rendono necessarie, ritengo che i volumi di Giampaolo Pansa debbano essere disponibili in una biblioteca pubblica per chi ritiene che leggerli possa aiutarlo a formarsi un’opinione, ma non avrei compiuto la scelta di esporli in una selezione di libri per celebrare il Movimento di Liberazione e il 25 aprile.

Avrei scelto sicuramente, invece, “Il sentiero dei nidi di ragno” di Italo Calvino. Il commissario di brigata Kim spiega così il significato della loro scelta mentre parla con il comandante partigiano Ferriera:
“Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L’altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finchè dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi. Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione”.

DIARIO IN PUBBLICO
Ferrara: da Ariosto alla Spal

Aléeee… Aléeee… Il grido s’alza, rimbomba, s’irrobustisce. Trapassa dallo stadio alla città. Ci siamo: la Spal – da pronunciarsi con la ‘elle’ ferrarese – è finalmente, dopo 23 anni, in serie B! Nonostante il diluvio, nonostante il vecchio stadio, nonostante gli sfigati che non ci credevano. E i giornali giustamente si appropriano dei termini più crudi, più immaginifici: dall’ormai consueto ‘abbiamo sofferto’ all’innovativa ‘estasi biancoazzurra’. All’estasi s’abbandona il vescovo della città estense, monsignor Negri, che vorrebbe trascinare nella sua nuvola biancoazzurra il recalcitrante collega bolognese; alla raucedine da troppo urlo si piega il sindaco Tagliani mentre un boato, un rimbombo, uno tsunami scuote la piazza: è l’assessore allo sport Merli, che ha deciso di esprimere la sua ‘satisfaction’. Il direttore di questo giornale ricorda date fondamentali della sua vita e nascita e li mette in rapporto alla ri-nascita spallina.
Le persone che contano debbono urlare, commentare, congratularsi: se no che ferrarese sei?

Doni dal ciel piovuti gratificano la bella città estense. Una generosa e charmante dama dall’illustre prosapia affida attraverso il nipote dal nome che incute ammirazione, Ferrigo, il manoscritto del Giardino dei Finzi-Contini alle cure della città di Ferrara. Un’altra dama dal piglio sbrigliato e dalla strepitosa cultura taglia il nastro del munifico dono che il marito, Cesare Segre, ha voluto destinare a Ferrara, la città che nella sua Biblioteca custodisce la più importante raccolta di memorie ariostesche. Entrano quindi preziosi i doni e si pavoneggiano nella bellissima mostra curata dalle coraggiose e competenti vestali della Biblioteca Ariostea. Dall’alto del monumento funebre voluto dal generale napoleonico Miollis per dare degna sepoltura al ‘divino’ Ludovico sembra quasi che un impercettibile sberleffo percorra il viso marmoreo del poeta laureato. Una degna risposta alla violazione crudele che ha colpito con un tentativo d’incendio appiccato al portone della biblioteca, le fragili difese della cultura.

Ma il divertimento è assicurato con i giovani: e non scherzo.
Mi reco con lo scrittore Paolo Di Paolo al Liceo Ariosto per commentare il suo romanzo, “Mandami tanta vita”, romanzo imperniato sulla morte a Parigi di Piero Gobetti. Gli studenti sono preparatissimi; anzi le studentesse. Non un maschietto prende la parola. Sicure e tranquille le ragazze pongono le domande, commentano, s’infervorano, mentre l’unico ragazzo sopraffatto dalla timidezza rinuncia al suo intervento. Niente è cambiato allora da quando, ai miei tempi, le compagne ci guardavano tra protettive e consapevoli, sapendo benissimo che loro erano donne e noi ragazzetti? Son sicuro di no. Il meglio però viene al pranzo che le bravissime insegnanti ci offrono alla fine dell’incontro. Il ragazzo smania perché non è sicuro di essere riuscito a procurarsi l’agognato biglietto per la Spal. Immaginavo che avesse avuto la comprensione delle compagne che secondo il modello femminile non sarebbero dovute essere particolarmente interessate all’avvenimento. E… TUTTE invece si erano procurato il biglietto e minacciavano sfracelli d’entusiasmo durante la partita. Fantastico.
Il giorno seguente, anniversario dell’edizione del 1516 dell’Orlando furioso, ritorno al Liceo per presentare assieme a Lina Bolzoni – presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni del cinquecentenario del poema – il volume da lei curato, “L’Orlando furioso nello specchio delle immagini”, un raffinatissimo e costosissimo volume sulla storia delle immagini che hanno testimoniato la fortuna figurativa e non solo del poema. I ragazzi sono presi dalla vicenda che riguarda i fumetti, ma anche da quella, veramente straordinaria, di una fortuna che sigla il poema fino all’Ottocento più popolare in Europa. E ammirano Ingres e Doré e commentano, saputi, la Valentina-Angelica di Crepax o le pedine del suo magnifico gioco dell’Orlando furioso, ma chiedono il perché nel libro si trova un’immagine di Masaccio raffigurante il Tributo e come metterlo in rapporto con Ariosto.
Davvero ci siamo divertiti e abbiamo compreso molto. Lina Bolzoni afferma che il fondamentale vero omaggio alla comprensione dell’Ariosto è questo – e spero – gli altri numerosi incontri con gli studenti.
Poi, mentre il più robusto tra i ragazzi portava il libro in Presidenza offrendolo al miglior acquirente, siamo ritornati ai riti e ai miti delle celebrazioni.
Bocche rigorosamente a ‘cul de poule’, pensosi commenti lasciati cadere al momento giusto, falso schermirsi a chi ricorda la tua posizione. Insomma, il gioco delle parti, che è stato per un momento infranto dalla generosa presenza di giovani belli dentro e fuori.
Alléeee…

ELOGIO DEL PRESENTE
L’era dei robot e il futuro del sindacato

Le radicali trasformazioni in atto nel lavoro per effetto delle tecnologie digitali rappresentano una difficile sfida per il sindacato. Non da oggi è in atto una crisi di rappresentanza derivata da imponenti trasformazioni sociali e organizzative. Gli iscritti ai sindacati sono il 25% dell’insieme dei lavoratori; tra gli iscritti i pensionati sono il 40% e i giovani solo il 10%. Bastano questi pochi dati per comprendere la serietà della crisi di rappresentanza. Le trasformazioni del lavoro toccano l’identità, la natura, la funzione e la missione sociale del sindacato.
Rispetto alle comprensibili difficoltà di riposizionamento è ancora lontana la consapevolezza della discontinuità con il passato indotta da questa fase dell’innovazione tecnologica: il lavoro si riduce e cambia in modo radicale. I settori più colpiti sono: banche e finanza, manifatturiero, commercio, metalmeccanica, servizi pubblici, costruzioni, logistica e trasporti. Se consideriamo i profili, i più esposti alla riduzione sono gli addetti ad attività bancarie, gli operai non specializzati, gli addetti ad attività manifatturiere e commerciali e all’amministrazione.
McAfee e Brynjolfson in “Race against the machine” avevano calcolato che il 47% dei lavori erano a rischio di sostituzione: impiegati d’ufficio, assicuratori, commercialisti. Ma al di là dei numeri è in atto una riconfigurazione profonda. Cambieranno le mansioni e le competenze richieste: per esempio, un addetto di un punto vendita di ricambi auto, che oggi colloca scatole sugli scafali sulla base di codici, con l’arrivo delle stampanti in 3d dovrà produrre anche i pezzi richiesti. La fabbrica digitale resterà una commistione di processi automatici e di intelligenza. Avranno la meglio i lavoratori che “sapranno lavorare con le macchine”, che sapranno esprimere attitudini creative e sociali.

Le soluzioni a questa crisi del lavoro non sono affatto semplici. I problemi sono di due ordini. Il primo riguarda l’effetto di sostituzione e il secondo le implicazioni organizzative e la qualità delle competenze. Sul primo punto – cosa fare in risposta alla riduzione della quantità di lavoro – le proposte avanzate variano dal reddito di cittadinanza, alla costruzione di atelier in cui gli individui possano coltivare competenze e trasformarle in attività lavorative, alla promozione di lavori di servizio sociale finalizzati all’integrazione delle parti più povere della popolazione e così via. Si sottolinea che, al di là delle coperture economiche dei costi di forme di salario sociale, nessuna soluzione monetaria, ancorché praticabile, può sostituire il senso di identità che deriva dall’essere inserito in un contesto lavorativo.
Sul secondo punto, invece, è indispensabile guardare ai numerosi cambiamenti organizzativi senza pensare che questi riguardino un futuro lontano. Molti cambiamenti sono già in atto: per esempio l’era delle postazioni fisse è al tramonto: ad esempio le distinzioni tra front office e back office sono meno rigide. Inoltre la possibilità di lavoro a casa renderà più controllabile l’attività dei singoli e il potere di mercato sarà sempre più legato a caratteristiche individuali. Questo e molto altro manda definitivamente in crisi l’idea di rappresentanza che aveva attraversato la lunga fase della crescita del lavoro di massa.
Si aprono nuove questioni di regolazione. Basti pensare alla cosiddetta ‘uberizzazione’: a forme di impresa in cui le posizioni lavorative non rientrano né in quelle classiche del lavoro autonomo, né in quelle del lavoro dipendente. Basti pensare alla crescente difficoltà di legare la remunerazione ad un orario uniforme e definito contrattualmente. Non da ultimo, l’introduzione per legge di un salario minimo a livello nazionale per i lavoratori che non sono regolamentati da un contratto nazionale come inciderà sulla capacità di rappresentanza sindacale? Non è semplice individuare soluzioni, ma certo non è possibile ignorare l’urgenza di affrontare uno scenario che è profondamente cambiato.

Maura Franchi insegna Sociologia dei Consumi presso il Dipartimento di Economia. Studia le scelte di consumo e i mutamenti sociali indotti dalla rete nello spazio pubblico e nella vita quotidiana.
maura.franchi@gmail.com

Tempo di fragole a Biopertutti

Sono arrivate ed è festa per tutti. Le fragole sono il primo frutto pieno di sole dopo la stagione fredda e per questo simboleggiano la primavera. Rosse, dolci, morbide, zuccherine, succose, profumate… una delizia per il palato ma anche per l’organismo, perché le fragole sono ricche di proprietà e virtù nutritive [leggi].

Lo scorso giovedì le fragole sono arrivate sui banchi del mercato Biopertutti e sono andate a ruba in un paio d’ore. Ma non temete, giovedì prossimo ritornano e ce ne saranno almeno fino a tutto giugno!

Ogni giovedì mattina dalle 8 alle 14, il mercato [leggi] propone prodotti di stagione appena raccolti, biologici e biodinamici, locali e a prezzo equo, qualità, salute e bontà. Tra i prodotti, frutta e verdura, pane, formaggio, olio, vino, miele, pasta, farine da grani antichi, sughi, marmellate e biscotti.

Biopertutti
Piazzale dei Giochi (Porta Catena)
Dalle 8.00 alle 14.00
Cecilia Dall’Ara 349 1366962
biopertutti@gmail.com

In foto: Genny dell’az. agricola biologica Tre Ponti di Ambrosi Morris e Larry (Casaleone, Verona) con una cassetta di fragole.

Immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

 

 

Libertà

karl marx
Karl Marx

Ogniqualvolta viene posta in discussione una determinata libertà, è la libertà stessa in discussione. (Karl Marx)

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

Il mio primo 25 aprile

Oggi è il 25 aprile e sembra uno strano 25 aprile.
Sarà lo strano clima plumbeo di questi giorni ma a me sembra quasi Pasqua.

Brano: “C.I.A. Man” dei The Fugs
Brano: “C.I.A. Man” dei The Fugs

Sarà che è anche il primo 25 aprile senza Licio Gelli su questo pianeta e mi faccio dei viaggi strani io.
Mi sembra la stessa aria da Venerdì Santo di cui mi parlava mia nonna quando tornava carica dura da una di quelle funzioni pasquali di cui ho sempre capito poco il funzionamento.
Non posso fare a meno di pensare che il vecchio Licio, ovunque sia, stia bellamente trollando il primo 25 aprile dopo il suo trasloco.
Sappiamo tutti di che pasta era quello.
Non è neanche un’ipotesi così bislacca.
L’unica cosa da fare allora è un esorcismo.
Un esorcismo che parte comunque da una certezza: almeno ce lo siamo levati dalle palle, quello là.
E in fondo un 25 aprile con questa certezza per me è una bella cosa.
Anzi, in un certo senso, è quasi il primo vero 25 aprile.
Il primo 25 aprile in cui – consapevoli di vivere comunque in una capanna infestata dalle termiti – possiamo almeno gioire per l’assenza del capo dei mostri del boschetto.
Pioggia o non pioggia io mi accontento.
Buon 25 aprile.

Ogni giorno un brano intonato alla cronaca selezionato e commentato dalla redazione di Radio Strike.

 

Selezione e commento di Andrea Pavanello, ex DoAs TheBirds, musicista, dj, pasticcione, capo della Seitan! Records e autore di “Carta Bianca” in onda su Radio Strike a orari reperibili in giorni reperibili SOLO consultando il calendario patafisico. xoxo <3

Radio Strike è un progetto per una radio web libera, aperta ed autogestita che dia voce a chi ne ha meno. La web radio, nel nostro mondo sempre più mediatizzato, diventa uno strumento di grande potenza espressiva, raggiungendo immediatamente chiunque abbia una connessione internet.
Un ulteriore punto di forza, forse meno evidente ma non meno importante, è la capacità di far convergere e partecipare ad un progetto le eterogenee singolarità che compongono il tessuto cittadino di Ferrara: lavoratori e precari, studenti universitari e medi, migranti, potranno trovare nella radio uno spazio vivo dove portare le proprie istanze e farsi contaminare da quelle degli altri. Non un contenitore da riempire, ma uno spazio sociale che prende vita a partire dalle energie che si autorganizzano.