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Giorno: 31 Maggio 2016

Il voto alle donne

da: Nanda Facchini

Sembra che il voto alle donne sia un merito esclusivo della sinistra. Il PCI, invece, paventava il voto delle donne temendo l’influenza del clero sull’elettorato femminile. E anche intellettuali laici come Piero Calamandrei non erano favorevoli perché temevano che il gentil sesso fosse troppo influenzabile dalla Chiesa. Il voto alle donne fu invece fortemente voluto dalla DC e da Pio XII che videro giusto, come dimostrò poi il trionfo elettorale democristiano del 18 aprile 1948.

Il 4 giugno verrà messo in scena lo spettacolo teatrale “F_rankenstein” presso il teatro Teatro Cortazar-Nucleo

da: Ufficio Stampa Officina Teatrale A_ctuar

Il Mito del diverso in scena al TOTEM FESTIVAL
Spettacolo teatrale per ragazzi dagli 8 ai 14 anni

Dopo oltre due anni di prove e di laboratori è pronto per il debutto il nuovo spettacolo per ragazzi di Officina Teatrale A_ctuar “F_RANKENSTEIN” ispirato al capolavoro Horror di Mary Shelley.
L’appuntamento è per il 4 Giugno, alle ore 18, al Totem Festival, rassegna di teatro e danza per bambini ed adulti che si terrà al Teatro Cortazar-Nucleo (Pontelagoscuro – FE) dal 3 al 5 Giugno 2016.
Lo spettacolo fuoriesce dal progetto biennale “La Fabbrica dei Mostri”, laboratorio teatrale e fucina di idee per bambini della scuola primaria nato nel 2014, dedicato alla maschera e al tema della diversità.

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F_rankenstein
Regia
Officina Teatrale A_ctuar
Liberamente ispirato a “Frankenstein” di Mary Shelley
Con
Sara Draghi, Massimo Festi, Elena Grazzi, Lauro Pampolini, Arturo Pesaro, Manuela Santini
Musiche Originali
Sergio Calzoni
Video
Mirco Rinaldi
Supervisione Artistica
Natasha Czertok//Davide Della Chiara
e con la preziosa collaborazione di Grazia Fogli

Fuori infuria un temporale e i fulmini incendiano la notte; lo scienziato Victor Frankenstein, chiuso da mesi nel suo laboratorio, sta dando gli ultimi ritocchi alla sua creatura: un mostro creato ad immagine e somiglianza dell’uomo cucendo insieme pezzi di cadaveri trafugati nei cimiteri. Stupirà la scienza con il suo prodigio o forse l’aver sfidato le leggi naturali lo condannerà ad essere maledetto per l’eternità dal genere umano? Cosa spingerà Frankenstein a scacciare il mostro dal laboratorio? Cos’è quel terrore che prova guardandolo?
F_rankenstein è uno spettacolo tragicomico, irriverente e pieno di domande. A ben guardarlo, sembra un esperimento: come il mostro è un collage umano, lo spettacolo lo è di linguaggi; si parla attraverso le parole o semplicemente con il corpo, c’è la musica elettronica che fa da sottofondo ai pensieri e il video che crea scenografie passeggere, paesaggi e visioni astratte.
Quella del mostro senza nome è una vicenda profondamente umana che riflette sul concetto di diversità ed imperfezione, sul potere della scienza e della tecnologia, e sulla responsabilità delle nostre azioni nei confronti di noi stessi e degli altri. Ma F_rankenstein è soprattutto la storia della continua ricerca d’amore e di attenzione che ciascuno necessita per raggiungere la propria perfezione e autenticità.

L’APPUNTAMENTO
Un askenazita tra Romania ed Eritrea

Dova Cahan
Dova Cahan

E’ un viaggio nella memoria, quello di Dova Cahan: la memoria di un’esistenza complessa ma affascinante, di una famiglia unita che ha dovuto affrontare difficoltà e traversie, ma sempre con coraggio, amore, unione e fiducia nell’avventura della vita. Dova è nata a Bucarest, in Romania, il 17 giugno 1947, e nel suo libro “Un askenazita tra Romania ed Eritrea”, ripercorre la storia della sua famiglia, fin dal suo trasferimento, all’eta’ di sette mesi, ad Asmara, in Eritrea, dove vive per una ventina d’anni, prima di trasferirsi in Israele. La figura centrale, cui è dedicato il libro, è quella del padre Herscu Saim (1912-1974), nato a Ivesti, piccolo centro della Moldavia, in piena campagna orientale rumena, sulla strada Tecuci-Galati. Un sionista, un filantropo, un uomo grande, un eroe, un mito, come lo presenta la stessa Dova, figlia orgogliosa e da lungo tempo impegnata nel ricostruire la storia di un genitore dall’esistenza piena e generosa. In un gesto che è un autentico atto d’amore, si ripercorre la storia dell’ebraismo in Romania, dagli arrivi tra il XV e il XVI secolo dalla Spagna (gli askenaziti sono arrivati, invece, dalla vicina Russia e dalla Moldavia a partire dal 1870) fino all’arruolamento nella guerra di indipendenza per la riconquista della Dobrugia settentrionale o nella seconda guerra per l’unificazione della Romania con la Transilvania e la Bessarabia. Ma sempre immersi nei pregiudizi verso la comunità ebraica, mai fondamentalmente accettata nel paese, pur considerato culla del sionismo (patria, fra gli altri, di Elie Wiesel, Eugen Ionescu, Emil Cioran e Mircea Eliade). Al centro di tutto l’amato padre, un uomo coraggioso sempre prodigatosi per il bene della comunità ebraica, prima in Romania, poi in Eritrea, riuscendo a tramandare nelle figlie, Dova e Lisa, l’ideale sionista che ha ispirato tutta la sua vita: “il sionismo per lui significava il cammino verso nuove condizioni spirituali ed emozionali”. Un uomo che si impegna per la salvezza degli ebrei in un’epoca caratterizzata dalle persecuzioni delle Guardie di Ferro del maresciallo filo-nazista Antonescu, che insegue ideali realizzandoli, che in casa non parla del freddo dei lavori forzati del 1938 o del nazismo. Un personaggio che è una colonna.
Finita la guerra, il breve periodo di prosperità economica in Romania è interrotto dall’avvento al potere dei comunisti nell’aprile del 1948. Inizia allora l’odissea della famiglia Cahan, che lascia la Romania con “la speranza di riuscire a seguire l’ideale sionista di recarsi in Palestina” e giunge in Eritrea dove, nel febbraio 1948, si stabilisce ad Asmara, calda colonia italiana dalla fine del 1800, rifugio per tanti italiani “in una insolita convivenza tra vincitori e vinti”, anche dopo la partenza degli inglesi e quando nel 1951 viene affidata dalle Nazioni Unite all’Etiopia. C’e’ parte della nostra storia in queste pagine, una parte poco nota a tanti. Aiutato inizialmente dal cognato, che con la moglie Lea vive ad Asmara, papà Herşcu si impegna nel mondo degli affari. Dopo essersi occupato di importazione di tè da Ceylon, di carta di cancelleria inglese e di altri prodotti, fonda una fabbrica di carne in scatola, carne congelata e sottoprodotti: la Emco, che offre opportunità di lavoro a molti operai. Infine, insieme al cognato Boris e a Yacov Meridor, si dedica al progetto Incode, una produzione innovativa di carne in scatola kasher da esportare in Israele. Il padre diventa così elemento importante della comunità ebraica di Eritrea oltre che rappresentante di rilievo nel Congresso sionista. Ma purtroppo, alla tanto attesa partenza per Israele il 3 marzo 1974 Herşcu muore all’improvviso per un collasso cardiaco. Se dal 1967, anno in cui Lisa e Dova si trasferiscono in Israele, i viaggi in Eritrea erano continuati, quel lutto li interrompe. Ma quegli anni hanno lasciato un grande segno nella vita di Dova, che racconta con emozione e nostalgia episodi e luoghi di una giovinezza serena.
Sembra di ripercorrere con lei il Corso Italia è il suo “indimenticabile Bar Rex, ritrovo dove si andava la domenica a prendere il gelato o il caffè, o il tè del pomeriggio, sedute al tavolino nella grande sala interna…”. Pagine di storia che parlano al cuore. In Israele, Dova si laurea in inglese e francese all’Università di Tel Aviv e segue tutti i momenti e le tappe dello Stato ebraico, le guerre, il terrorismo fino all’ultimo conflitto in Libano del 2006.
Un bel libro di storia e di commoventi momenti, come il ricordo della madre Ester, la tipica Yiddishe mame che, ricorda l’autrice, “ci ha dato la formazione ebraica, la dirittura morale e quella religiosa della kasherut che ancora oggi ci animano”, o il bel legame la sorella Lisa, scomparsa nel 2011. Dova non è una storica, ma racconta, con la consulenza di Marco Cavallarin e la sua continua ricerca della radici (nel libro vi sono molte fotografie d’epoche interessanti), momenti del mondo che vale la pena ricordare e conoscere. All’ombra delle palme di Asmara che oggi sembrano solo cresciute.

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Dova Cahan, Un askenazita tra Romania ed Eritrea, GDS edizioni, 2010, 167 p.

Il libro verrà presentato dall’autrice il 1 giugno alle ore 17 presso la Collezione-Museo di Mario Piva in via Cisterna del Follo, 39. Verranno anche proiettati due documentari sulla Shoah della stessa regista Dova Cahan, insieme a Laura Rossi curatrice della Collezione.

 

Sinossi del Documentario “Mia zia Mina e suo figlio Shmuel non tornarono mai piu’ da Auschwitz” (2015), durata (video): 9.18 minuti. Musica : At Rest – Royalty Free – Kevin MacLeod (2010)

Il film racconta la storia della sorella maggiore della madre di Dova, Mina Segal in Hagher e di suo figlio Shmuel, che vissero a Oradea, in Transilvania, parte dell’Ungheria durante la Seconda Guerra Mondiale. I genitori di Mina provenivano da una piccola città della Moldavia, nel nord della Romania. Anche se le SS della Germania nazista non furono presenti nel paese, questo era alleato del generale rumeno Ion Antonescu, che con suoi legionari perpetrò numerosi stermini antisemiti. Negli anni 1935-1936, la zia Mina incontrò un ragazzo ebreo di Oradea che venne a studiare li’ ortodonzia. Innamorati si sposarono e si trasferirono a vivere nella sua città. La giovane coppia ebbe un unico figlio Shmuel, che aveva solo cinque anni, quando insieme alla madre quasi verso la fine della guerra furono trasferiti ad Auschwitz e da lì non tornarono più. La nonna Sabina fece grandi sforzi per portarli a Bucarest, dove la famiglia si trasferì negli anni 1938-39, ma Mina si rifiuto’ perché voleva restare a casa con Shmuel ad aspettare il marito Izi, che, essendo dentista, era stato mandato ai lavori forzati e non ai campi di concentramento. Nel 1944 in Ungheria Adolf Eichmann  iniziò a organizzare il trasporto degli ebrei nei campi di sterminio ed Oradea divenne “Judenfrei”, ossia “Senza Ebrei”. Nel 1945, alla fine della guerra, quando Izi tornò a casa, la trovò vuota e chiusa e la vicina gli disse che la moglie e il figlio erano stati catturati dai nazisti. Oggi le uniche cose rimaste sono le due pagine di testimonianza che la madre della regista ha riempito a Yad Vashem, a Gerusalemme, la casa permanente di tutte le vittime dell’Olocausto.

Sinossi del Documentario : “La mia Visita a Ferramonti di Tarsia” 2016, durata (video): 12.19 minuti, Musica : Cattalis – Royalty Free – Kevin MacLeod (2010)

Nel mese di ottobre 2015, Dova Cahan e’ stata per la prima volta in Calabria per la presentazione del suo libro. Con l’occasione ha voluto anche visitare il primo campo di internamento del periodo fascista che si trova a Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza. A determinarla nella visita è stato l’incontro in sinagoga, pochi giorni prima della partenza, con un vecchio amico di famiglia. Dopo una breve conversazione sul suo prossimo viaggio proprio in Calabria, lui ha insistito per farle visitare il campo. Dova ignorava che quell’amico era un ex-internato di Ferramonti. Il film e’ basato sulla descrizione del campo da parte della responsabile del museo con, a seguire, la visita alle tre baracche. La prima baracca contiene il Museo della Memoria, che mette in rilievo fotografie di quei giorni di prigionia degli internati e anche dei tanti bambini che allora si trovavano li’. Nella seconda baracca c’erano i dormitori degli internati, che appena arrivati al campo e registrati ricevevano due cavalletti di legno, tre assi e un materasso. Nel giardino c’e’ anche un cedro a memoria della Brigata Ebraica che contribuì alla liberazione dell’Italia dal Nazifascismo.
La terza baracca ancora in costruzione riporta una miniatura di ciò che era allora il campo. Seguono due interviste: una a Cosenza alla figlia di un internato di Ferramonti e l’altra, a Tel Aviv, all’amico di famiglia che si trovava su naviglio “Pentcho” naufragato a Rodi e poi portato con altri 500 ebrei nel Campo di Internamento a Ferramonti.

Pagina facebook https://www.facebook.com/dova.cahan.9

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
La penna benedetta

Qui non siamo più di fronte a una questione di laicità, siamo di fronte a una emergenza: che scuola è la scuola nel nostro paese, che formazione viene impartita ai nostri giovani, chi ne risponde?
È possibile che cultura e superstizione, razionale e irrazionale, si mescolino indifferentemente, che logica e fideismo convivano tra pratica delle discipline e condotte umane? Avremmo bisogno di allenare intelligenze e cervelli, di apprendere a conoscere come si conosce, di teste ben fatte e, invece, ci troviamo la benedizione delle penne che gli studenti useranno per sostenere le prove scritte dell’esame di stato.
Dopo la benedizione pasquale ci mancava solo questa. E perché no gli scapolari e la distribuzione per tutti dei santini di san Giuseppe da Copertino, il frate volante protettore degli studenti?
L’iniziativa è della preside del pluriliceo Niccolò Jommelli di Aversa, con tanto di circolare inviata a studenti, docenti e famiglie, e pure pubblicata sul sito web dell’istituto.
La benedizione delle penne è per di più proposta come “preparazione” all’esame di stato. Questo il testo: “Si comunica ai destinatari in indirizzo che lunedì 30 maggio 2016 dalle ore 12:15 alle ore 13:15 gli alunni delle classi quinte, accompagnati dai docenti in servizio, si riuniranno nell’aula magna per un momento di preghiera in preparazione dell’esame di stato. Nel corso della riunione sarà celebrata la cerimonia “benedizione delle penne”. All’incontro sono invitati anche gli alunni delle classi quinte del turno pomeridiano”.
Un atto di fede, scaramanzia, superstizione? È vero che in Italia si benedice di tutto, dagli animali alle automobili. Ma ci mancavano ancora le penne per l’esame, come le uova per Pasqua.
Un modo per dire “che dio me la mandi buona”, un religioso “speriamo che me la cavo”. La fiducia in se stessi, la coscienza di aver fatto il proprio dovere da che parte stanno nella formazione di questi giovani?
La penna benedetta ha un quid in più che forse noi laici non riusciamo a cogliere, è una penna con il turbo dell’incenso, è una penna autocorrettiva, che impedisce di sbagliare.
Uno studente Harry Potter, una scuola Hogwarts in chiave cattolica. Un’ingiustizia per quei poveri studenti miscredenti o di altre religioni che se la dovranno cavare da soli.
Così, poiché in occasione delle prove d’esame si staccano i collegamenti internet, si ritirano cellulari, smartphone, iphone ed ogni device digitale, non potendo copiare o avere suggerimenti impropri, l’invito che la preside del liceo di Aversa rivolge ai suoi studenti è quello di prepararsi affidandosi al potere benefico della penna benedetta.
Purtroppo la cosa è molto seria, perché riguarda le nostre ragazze e i nostri ragazzi, il loro ambiente di apprendimento, di formazione e di crescita. Come sono preparati e chi li prepara ad affrontare le sfide del futuro che li attende. Forse con un set di benedizioni pasquali e di penne benedette?
Che scuola è una scuola che tollera ciò?
Il tema vero è la qualità della nostra scuola e della professionalità di chi vi lavora e la dirige, di un ministero che di tutto ciò dovrebbe rispondere al paese. Ma difficilmente il ministro interverrà e semmai ci sarà pure un Tar disposto a dar ragione alla preside di Aversa.
Ciò nonostante la questione non può più essere tollerata. Perché investe la responsabilità degli adulti nei confronti delle giovani generazioni, che impiegano il loro tempo migliore sui banchi di scuola per cui, a maggior ragione, hanno diritto a un insegnamento di qualità e a non vedere bruciate le ore di studio dall’incompetenza degli adulti e dalle benedizioni scaramantiche.
Non credo però che l’iniziativa della preside di Aversa sia a caso, sia il prodotto di ignoranza o stupidità. Penso, invece, che sia una provocazione voluta, che abbia il retrogusto della sfida.
Ritengo che celi l’intolleranza per quanto, sia pure lentamente e a fatica, nel nostro paese va cambiando. Aggrapparsi alla benedizione è un recupero di identità attraverso l’esorcizzazione di tutto ciò che la minaccia.
Se le cose stanno così, temo che il caso di Aversa non resterà isolato. Tra benedizioni, obiezioni di coscienza, dall’aborto alle unioni civili, sentinelle in piedi, non mancheranno le sorprese. Pare che le religioni si esasperino a vicenda.
Ce n’è comunque abbastanza per non tollerare più a lungo l’inganno della falsa laicità della nostra scuola.
È tempo di pretendere con fermezza che le religioni tutte, qualunque sia la forma o la confezione assunta, se ne stiano fuori dalle aule, e quelle che vi sono entrate ne escano. Ne va della qualità dell’istruzione dei nostri ragazzi, del loro futuro, della speranza che questo mondo globale, anziché dividersi, possa un giorno incontrarsi e unirsi.

totem arti festival 2016

LA SEGNALAZIONE
Con il Totem Arti Festival un’oasi di arti sulle rive del Po

Contaminazione fra musica, teatro e performance, fra paesaggio urbano e paesaggio naturale, fra passato e presente. Partecipazione per ritrovare il piacere di passare del tempo insieme, fra una birra e un piatto vegan, per fare quattro chiacchere con gli amici e conoscerne di nuovi, riscoprire il senso dell’essere comunità. È il Totem Arti Festival di Pontelagoscuro, che si svolgerà dal 3 al 5 giugno ed è giunto in questo 2016 alla sua quarta edizione.
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Quest’anno, ha spiegato in conferenza stampa il direttore artistico Natasha Czertok, proprio come le oasi lungo le rotte delle carovane “il teatro e il festival diventano un luogo e un momento di incrocio di esperienze”. Inoltre si è voluto puntare “sul radicamento nel territorio e sulla valorizzazione del lavoro” che viene prodotto durante tutto il resto dell’anno con i laboratori, per grandi e piccoli, e con i nuovi talenti che il Teatro Cortazar ospita durante l’anno come sede di residenze artistiche.
Proprio sulla scia di questo forte accento sull’aspetto della formazione va una delle novità di questo 2016: il workshop con operatori sociali di diverse provenienze, che si terrà nell’ambito del progetto europeo “ARTS: Alternative Routes To Success” (di cui Teatro Nucleo è partner) nelle ore mattutine dei giorni del Totem e che verterà sul teatro come “strumento di trasformazione e di inclusione sociale” e sul tema “dell’arte come diritto e momento indispensabile nella vita dell’individuo e della comunità”, ha spiegato Natasha.
Altra novità di quest’anno è la collaborazione con Witoor Sport (eventi in bici, cicloturismo). “Tutto è nato – ha detto Simone, presidente di Witoor – per risolvere il problema di far arrivare anche i ferraresi al Festival a Pontelagoscuro” e da qui è nata la domanda “come fanno a incontrarsi le biciclette e il teatro?” La risposta la avrete partecipando a “La migliore delle pedalate possibili”, una ‘sbiciclata con sorpresa’ che partirà venerdì 3 giugno alle 19.30 (ritrovo 19.15) da Palazzo Savonuzzi in via Darsena e arriverà al Totem giusto in tempo per assistere al primo spettacolo serale in programma: “Il migliore dei mondi possibili”, ispirato a “Candido” di Voltaire, di Magdalena Barile con regia di Simona Arrighi, Sandra Garuglieri.
Ad aprire la tre giorni sulle rive del Po, venerdì 3 giugno a partire dalle 16.30, saranno tre performance che arrivano a conclusione di progetti di formazione svolti durante l’anno: “una scelta simbolica”, ha sottolineato Natasha. “Quadri di un’avventura” è la performance conclusiva delle attività condotte dalla cooperativa Teatro Nucleo nell’ambito del Progetto teatrale per l’infanzia sul territorio; poi lo spettacolo di circo “Sdisordine” di Henri Camembert, alias Enrico Formaggi, giovane componente ferrarese del collettivo di circo contemporaneo Laden Classe, che è stato presente al Cortàzar in residenza artistica lo scorso marzo; infine la restituzione dell’esperienza “Corpo e azione in rete”, progetto di formazione sulla performance contemporanea, che ha visto tra i formatori coinvolti Natasha Czertok, con tre performance: “Ti trovo”, “Rimbalzi” e “Bestiario universale”.
Per quanto riguarda la musica si conferma la collaborazione ‘storica’ con l’associazione Radio Strike, che curerà la musica nel parco Tito Salomoni per tutti e tre i giorni. Da segnalare, sabato 4 giugno, la serata Borderline a sostegno di etichett e produzioni indipendenti. Eugenia di Radio Strike ha spiegato che il progetto Borderline è “nato quattro anni fa dall’esigenze di discutere il sistema del diritto d’autore e i temi del diritto all’arte e alla creazione”, ecco i punti in comune con il Totem 2016. Sabato sera si esibiranno i Cut “gruppo bolognese già affermato e non iscritto Siae, affiancati dai più giovani Jakson pollock. Inoltre – ha continuato Eugenia – il dj set sarà curato da Radio Barn, un gruppo di ragazzi con diversi tipi di disabilità”.
Domenica 5 giugno gran finale con il concerto jazz e la jam session con Carlo Atti e “Tenebra”, di e con Davide Della Chiara e Natasha Czertok, liberamente tratto da “Cuore di Tenebra” di Joseph Conrad, produzione del Teatro Nucleo realizzata con il sostegno della Joseph Conrad Society (Uk).
Durante tutti i tre giorni del Totem Arti Festival sarà sempre aperta nel Parco “Tito Salomoni” la mostra “Sahara occidentale e Palestina. Due popoli occupati”, in collaborazione con il Festival dei Diritti, inoltre sono previsti anche spettacoli per bambini e un servizio di animazione e sarà sempre presente il punto ristoro anche quest’anno a cura di “La Vegana”, mentre il bar offrirà bevande analcoliche e birre artigianali.

Sito del Totem Arti Festival

Da non perdere: i paesaggi di Tullio Pericoli a Urbino

Dopo la mostra dell’autunno scorso a Bologna, il pittore e disegnatore Tullio Pericoli torna ad esporre nella sua terra, le Marche.

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La locandina

Inaugurata qualche giorno fa ad Urbino da Vittorio Sgarbi, nelle Sale del Castellare del Palazzo Ducale, la mostra  dal titolo “Sulla Terra. 2006 – 2016”, presenta una scelta molto ampia di lavori, in parte appositamente creati per questo appuntamento: olii, matite, e inchiostri realizzati fra i primi anni Duemila e questi ultimi mesi. L’esposizione permette al visitatore di addentrarsi nel mondo naturale dell’autore: pianure, colline, borghi campi coltivati, tratteggiati e resi vivi dal colore e dalla materia.

Quella di Urbino è un’occasione particolare perché il visitatore si troverà in un palcoscenico del tutto speciale: basta uscire dal Palazzo Ducale, affacciarsi dalla mura rinascimentali che circondano la città dei Montefeltro, per aprire lo sguardo su una natura che riproduce le medesime increspature, i colori e le armonie che hanno ispirato i lavori di Pericoli.

Sulla Terra. 2006 – 2016, i paesaggi di Tullio Pericoli, fino al 7 agosto 2016, Sale del Castellare del Palazzo Ducale. Orari: 10 -13  / 16 – 19, martedì giorno di chiusura.

Per visitare il sito di Tullio Pericoli clicca qui

Mare nostrum

Oggi una preghiera laica per tutte le persone, uomini, donne, anziani e bambini, che continuano a partire e a compiere quelli che noi europei – forse perché ci conviene – seguitiamo distrattamente a chiamare ancora viaggi della speranza, ma che sono in realtà viaggi di morte.

erri de luca
Erri De Luca

Mare nostro che non sei nei cieli
abbracci i confini dell’isola e del mondo
sia benedetto il tuo sale
sia benedetto il tuo fondale
accogli le gremite imbarcazioni
senza una strada sopra le tue onde
i pescatori usciti nella notte
le loro reti tra le tue creature
che tornano al mattino
con la pesca dei naufraghi salvati

Mare nostro che non sei nei cieli
all’alba sei colore del frumento
al tramonto dell’uva di vendemmia,
Ti abbiamo seminato di annegati
più di qualunque età delle tempeste
tu sei più giusto della terra ferma
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le abbassi a tappeto
Custodisci le vite, le visite cadute
come foglie sul viale
Fai da autunno per loro
da carezza, da abbraccio, da bacio in fronte
di padre e madre prima di partire.
(Erri De Luca)

Lookin’ for the joke with a microscope

Un grande ritorno: Berlusconi e le barzellette.
La storia non è freschissima ma è importante.
In fondo non sono freschissimi nemmeno i due protagonisti.
E che protagonisti, cribbio.
Allora, ci sono Barbara D’Urso e Berlusconi, seduti in uno studio televisivo, circondati da un sacco di luce divina quando a un certo punto…
PARTE LA BARZELLETTA.
E che barzelletta, cribbio.
Una grandiosa (e personalissima) variazione su un vecchio standard, proprio come si confà ai jazzisti più consumati.
Quando ha finito di raccontarla mi stavo per alzare in piedi davanti al pc per applaudire.
Ma non ho avuto la forza perché ancora scosso dalla performance.
Cinque minuti dopo mi sono ripreso e ho pensato: dio santissimo ma che cartola è quest’uomo?
Cribbio, se la sinistra l’avesse capito prima a quest’ora saremmo tutti felici e contenti.
Mi sono passati davanti agli occhi tutti quei momenti che ci ha regalato negli anni.

reposoundtrack
Brano: Repo Man di Iggy Pop

E a 80 anni non ha perso un briciolo del suo “essere cartola”.
Mica come Renzi e quel suo SHISSH che ti costringe al “lookin’ for the joke with a microscope”.
E Matteo Renzi ha 40 anni in meno di Berlusconi, quindi c’è qualcosa che non va.
Mi vengono in mente le parole di un uomo molto saggio:
“Questi giovanotti di oggi conoscono alla perfezione gli spartiti ma non sanno neppure cosa significa vomitare”.
Quindi possiamo fare 2 + 2.
Perché questi politici di oggi conoscono alla perfezione tutti i modi per fare schifo, ma non sanno neppure cosa significa ridere.
Non racconterò la barzelletta perché voglio che sia una grande sorpresa per tutti.
Allora – gentilmente offerto dall’uomo molto saggio citato prima – ecco il pezzo a tema.

Ogni giorno un brano intonato alla cronaca selezionato e commentato dalla redazione di Radio Strike.

Selezione e commento di Andrea Pavanello, ex DoAs TheBirds, musicista, dj, pasticcione, capo della Seitan! Records e autore di “Carta Bianca” in onda su Radio Strike a orari reperibili in giorni reperibili SOLO consultando il calendario patafisico. xoxo <3

Radio Strike è un progetto per una radio web libera, aperta ed autogestita che dia voce a chi ne ha meno. La web radio, nel nostro mondo sempre più mediatizzato, diventa uno strumento di grande potenza espressiva, raggiungendo immediatamente chiunque abbia una connessione internet.
Un ulteriore punto di forza, forse meno evidente ma non meno importante, è la capacità di far convergere e partecipare ad un progetto le eterogenee singolarità che compongono il tessuto cittadino di Ferrara: lavoratori e precari, studenti universitari e medi, migranti, potranno trovare nella radio uno spazio vivo dove portare le proprie istanze e farsi contaminare da quelle degli altri. Non un contenitore da riempire, ma uno spazio sociale che prende vita a partire dalle energie che si autorganizzano.

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