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Giorno: 19 Giugno 2016

Triathlon: grande prova per Di Fresco

da: Cus Ferrara

Ennesima prova di spessore per Daniele Di Fresco che, nonostante un curva non
segnalata dagli organizzatori che l’han portato a perdere alcuni minuti, si
piazza al 100° posto in classifica generale e 12° di categoria. Eccoci a
raccontare la gara triathlon Olimpico Bardolino del 18 giugno, edizione con zona
cambio doppia, praticamente “soppalcata”. Ben 2000 atleti han partecipato
all’evento e i ragazzi del Cus Ferrara Triathlon si son comportati davvero bene
in gara.
Tornando al resoconto dei risultati, a Di Fresco segue Mirco Bertasi ben 299° in
classifica generale, poi troviamo Alex Lerch che si piazza ugualmente al n.742°
in classifica generale. E ancora, per quanto riguarda i cussini, Luca Montanari
che si piazza 878° e Gozzo al 899°. Si segnalano anche gli esordienti Pietro
Abate 1154° e Denis Grandi 1327°. Prossimo appuntamento per gli atleti cussini
sabato 25/6 a Sirmione.

All’Orto botanico ed Erbario di Unife pozioni, piante magiche, fate, elfi, gnomi e folletti nel corso della “Festa di Mezza Estate”

da: Ufficio Comunicazione ed Eventi

Tra fate, elfi, gnomi e folletti, l’Orto Botanico ed Erbario dell’Università di Ferrara si tinge di magia. Da martedì 21 a giovedì 23 giugno dalle 9 alle 18 si svolgerà la “Festa di Mezza Estate”, una tre giorni dedicata ai ragazzi che avrà come ambientazione il “Bosco delle Fate di Oberon e Titania”, in cui verranno realizzati seminari didattici, laboratori interattivi e numerose attività sul tema delle “erbe magiche”.

Ad aspettarvi la casa delle fate e l’officina degli elfi per seguire corsi di magia, sedersi nell’osteria degli gnomi per assaggiare gustose bevande fresche e andare a conoscere gli abitanti del bosco lungo il sentiero dei folletti.

Il primo corso “Le erbe dello zodiaco nel Calendario Tebaico”, si terrà martedì 21 giugno alle ore 16, dove in base al proprio segno zodiacale sarà svelata la pianta portafortuna personale. Appuntamento successivo mercoledì 22 sempre alle 16 con il corso di “magia verde” per principianti, in cui verrà insegnato come creare pozioni magiche, amuleti e talismani verdi. Giovedì 23 giugno alle 16 sarà la volta del corso “Le erbe di Nefertum, dio egizio dei profumi”, per imparare a creare unguenti, incensi e profumi magici. Ogni giorno in tarda mattinata, inoltre, sono previste visite guidate gratuite.

“Una vecchia leggenda inglese racconta che le fate vivono dentro ad alcuni fiori, in particolare in quelli a forma di campanella – racconta Fabrizio Negrini, Curatore dell’Orto Botanico ed Erbario – La Digitalis purpurea è chiamata anche ‘ditale delle fate’ perchè è una delle loro dimore preferite. Se porti in casa dei fiori di digitalis, lascia aperte le finestre di notte, per permettere alle fate di uscire. Altrimenti si arrabbiano e te ne combinano di tutti i colori. Se ti piacciono le piante e sei appassionato di magia, vieni alla Festa di Mezza Estate. Potrai ascoltare altre storie come questa, conoscere la tua pianta portafortuna e imparare come si costruiscono amuleti e talismani vegetali. Perchè si chiama Festa di Mezza Estate se si svolge all’inizio dell’estate? Non è un errore, il motivo c’è. Vieni alla Festa e lo scoprirai.”

Nel corso della tre giorni l’Orto Botanico rimarrà aperto senza interruzioni dalle 9 alle 18.

Laboratorio “Teatro ed Empatia” per gli studenti di Odontoiatria e Protesi Dentaria di Ferrara

da: Centro Teatro Universitario

Martedì 21 giugno 2016 al CTU primo importante incontro di lavoro e formazione fra teatro e medicina.
Che rapporto esiste tra arte della scena e arte della cura? Può la pratica teatrale offrire risorse professionali all’operatore sanitario e al paziente?
Queste e altre sono le domande che da qualche tempo vengono poste affiancando teatro, pratiche della salute e processi di cura. Dall’incontro tra performing arts e medical humanities non nascono semplicemente spettacoli o interventi artistici negli ospedali, ma si possono creare percorsi di formazione professionale inediti e innovativi.
E’ quanto accadrà martedì 21 giugno presso la sala del Centro Teatro Universitario grazie a una prima esperienza di laboratorio teatrale condotto da Michalis Traitsis e riservato ad allieve e allievi del Corso di Laurea Magistrale  in Odontoiatria e Protesi Dentaria.
Da anni al CTU viene offerta tramite il laboratorio di teatro l’opportunità di confrontarsi, viversi, vedersi all’interno di un gruppo, nel quale si propagano affettività, conflitti, regole. “La pratica teatrale – afferma Traitsis – mira infatti a stimolare uno stato di benessere ed è particolarmente attenta al processo che l’individuo e il gruppo attraversano, riempiendolo dei propri contenuti, materiali, sogni, fantasie, fantasmi”. Si tratta, in fondo, di riconoscere fuori dagli schemi mentali convenzionali la valenza terapeutica del teatro nota sin dall’antichità.
Conseguenza naturale è la nascita, a Ferrara, di un primo significativo progetto di collaborazione fra teatro e ambito medico-scientifico, in particolare con il Corso di Laurea Magistrale  in Odontoiatria e Protesi Dentaria la cui attività formativa clinica si svolge presso l’UO di Odontoiatria della Azienda Ospedaliero-Universitaria, dove gli studenti devono confrontarsi con pazienti spesso fragili sia dal punto di vista medico che psicologico.
“Quotidianamente durante i loro tirocini i nostri studenti interagiscono con i pazienti, e ciascuno porta con sé un bagaglio emotivo unico e prezioso”, commenta la Dott. Renata Vecchiatini, ricercatrice universitaria presso l’UO di Odontoiatria e rappresentante del Dipartimento di Scienze Biomediche Chirurgico-Specialistiche nel consiglio del CTU. “Comprendere ciò – aggiunge – è la chiave per il successo della terapia stessa, la cui accettazione e applicazione da parte del paziente è influenzata sensibilmente dal modo in cui viene trasmessa, insegnata e comunicata”.
“L’idea iniziale che abbiamo avuto per gli studenti di Odontoiatria è solo il primo passo di un percorso condiviso con il CTU”, aggiunge il Prof. Leonardo Trombelli, coordinatore del Corso di Laurea in Odontoiatria e presidente della Scuola di Medicina di Ferrara. “Stiamo immaginando di coinvolgere quanti più studenti dei Corsi di Studio della Scuola di Medicina, poiché una terapia appropriata è anche quella che il paziente riesce a portare a termine nelle migliori circostanze umane e assistenziali”. 
La pratica teatrale e le arti e scienze mediche unite, dunque, per favorire la conoscenza di sé, per sviluppare la consapevolezza dei propri linguaggi verbali e non verbali, per acquisire la capacità di osservare e ascoltare se stessi e gli altri: un significativo passo per la formazione di medici e operatori in maniera complessa e integrata rinnovando la relazione tra statuto umanistico e sapere scientifico.
E un altro significativo percorsi dell’Ateneo ferrarese nella direzione delle best pratices.

Martedì 21 giugno, con il Barioca 4Et, serata in salsa carioca al Park Gallanti Holiday Village del Lido di Pomposa (Fe)

da: organizzatori

Martedì 21 giugno, ore 21.00 – Park Gallanti, Lido di Pomposa (FE)
Barioca Quartet
Chica Piazzolla, voce;
Luca Quadrelli, sassofono;
Luca di Luzio, chitarra;
Max Ferri, batteria

Serata in salsa carioca, martedì 21 giugno, al Park Gallanti Holiday Village del Lido di Pomposa in compagnia del Barioca Quartet formato da Chica Piazzolla alla voce, Luca Quadrelli al sassofono, Luca di Luzio alla chitarra e Max Ferri alla batteria.

Martedì 21 giugno (ore 21.00) il Brazilian tinge del Barioca Quartet avvolge d’atmosfera il Park Gallanti Holiday Village al Lido di Pomposa (FE).
Quello del Barioca Quartet – formato da Chica Piazzolla alla voce, Luca Quadrelli al sassofono, Luca di Luzio alla chitarra e Max Ferri alla batteria – è un viaggio à rebours nel Brasile anni ’60 che sarà ripercorso attraverso la musica di grandi cantautori come Antonio Carlos Jobim e Vinicius de Moraes. Ad essa si alterneranno pezzi indimenticabili della canzone d’autore italiana finemente arrangiati in chiave latin jazz.
Seppur provenienti da ambiti musicali differenti, i quattro musicisti fondono le rispettive esperienze dando vita ad una coinvolgente tavolozza sonora atta a creare un’atmosfera suggestiva, ricca di inebrianti sfumature.
Pugliese d’origine, Chica Piazzolla si è trasferita a Ferrara dove, nel 2011, si è diplomata presso il Conservatorio cittadino. La passione per la bossa nova l’ha avvicinata spontaneamente al jazz, genere che ha potuto approfondire grazie a maestri quali Maria Pia De Vito, Ada Montellanico e Paola Fortini tra gli altri, e partecipando a numerosi seminari tenuti da Franco D’Andrea, Michelle Hendrix e Bob Stoloff. Serata ad ingresso libero, per informazioni 0533 380130.

INFORMAZIONI
www.parkgallanti.com
Infoline 0533 380130

DOVE
Park Gallanti Holiday Village
Viale Alpi Orientali Sud, 118 Lido di Pomposa (FE)

COSTI E ORARI
Ingresso libero
Inizio concerto ore 21.00

Nicola Minarelli include nella sua giunta Alessandro Vacchi

da: Sinistra Ecologia Libertà

Apprendiamo con sorpresa e delusione la decisione di Nicola Minarelli, riconfermato Sindaco di Portomaggiore, di includere nella sua giunta Alessandro Vacchi, giovane esponente della destra portuense e candidato sindaco contro lo stesso Minarelli per la lista civica “Portomaggiore Viva”, arrivata terza.
La nostra scelta di appoggiare la lista Portomaggiore Futura non è stata una decisione leggera e frettolosa, dettata dalla volontà di garantirci ad ogni costo una posizione all’interno del governo cittadino. Al contrario, è maturata a seguito di una profonda riflessione, il cui risultato è stata la scelta di confermare la nostra piena fiducia ad una formazione di centrosinistra che, in totale controtendenza rispetto a quanto sta accadendo a livello nazionale, ha dimostrato, nel corso del mandato amministrativo appena concluso, di saper amministrare la città mettendo in primo piano temi fondanti della sinistra quali welfare, scuola e servizi pubblici, beni comuni e accoglienza. Mandato che noi ci onoriamo di aver contribuito ad adempiere.
L’inattesa virata a destra a cui oggi assistiamo sconfessa quanto fatto finora e tradisce non solo gli accordi sottoscritti dalla coalizione, ma anche la fiducia che, meno di due settimane fa, la stragrande maggioranza dei cittadini ha riposto in essa, dando la propria preferenza al progetto di centrosinistra.
Al Sindaco che parla di “comunità che si governa se si tengono insieme tutte le forze politiche e le potenzialità” noi rispondiamo che risulta chiara la volontà di chiudere una importante pagina di buon governo cittadino, scegliendo di perseguire la strada incerta delle larghe intese. Strada che noi non possiamo e non vogliamo condividere. Se è vero che “gli steccati e le ideologie indeboliscono e separano, mentre l’apertura e la condivisione aiutano sempre a raggiungere risultati positivi” noi chiediamo quali valori e punti programmatici il Sindaco sente di poter condividere con gli esponenti della destra cittadina. Per quel che ci riguarda la risposta è nessuno. E, con profonda amarezza, prendiamo atto che, per scelte avulse da ciò che è la nostra volontà, il nostro rapporto di collaborazione per il governo del territorio si interrompe qua.

La Costituzione e la bellezza:tra aneddoti e opere d’arte di un Italia in cammino verso l’identità repubblicana

E’ tempo di riforme, è tempo di votazioni ed è tempo, si dice, di cambiamenti. Senza voler esprimere un giudizio rispetto la votazione alla quale gli italiani dovranno partecipare che riguarderà appunto la riforma costituzionale, sarebbe utile per tutti leggere il libro edito da La Nave di Teseo, scritto dal critico d’arte ferrarese Vittorio Sgarbi e dal giurista e costituzionalista siciliano Michele Ainis dal titolo: “La Costituzione e la bellezza”. L’opera è ricca di aneddoti e curiosità che mettono in comunicazione due mondi, apparentemente così distanti come quello della giurisprudenza e quello dell’arte e della cultura, ma che si rivelano all’interno della nostra carta costituzionale essere vicini e inscindibili, uniti da un’alchimia di bellezza, ma non tanto estetica quanto profonda e vera. All’interno del volume sono citati numerosi articoli della costituzione Italiana, ma senza dubbio quello che è più importante a livello di “bellezza” è l’articolo 9 che così recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Sarebbe opportuno riflettere su ogni singolo concetto espresso in questo crogiolo di valori e di stupendi propositi che i padri costituenti hanno voluto inserire all’interno della costituzione. Senza dubbio tanto si è già detto e tanto ancora si dirà sulla carta costituzionale del nostro paese, ma il valore aggiunto del libro “La Costituzione e la Bellezza” è che si parla non solo, come purtroppo molto spesso accade, di bellezza formale, ma bellezza sostanziale. La bellezza di cui Sgarbi e Ainis parlano è una bellezza universale, la bellezza della democrazia, dell’essere tutti uguali davanti alla legge, dell’essere tutti cittadini con pari dignità, di essere cittadini liberi. Il bello è un concetto da sempre dibattuto nel corso della storia, e della storia dell’arte, ma solo chi non ha cuore e non ha una sensibilità rimarrebbe freddo e impassibile dinnanzi ad un’ opera di Tiziano, di Piero della Francesca, di un Donatello, di un Caravaggio, e così via. Ciò che è fondamentale recepire dalla lettura di questo interessantissimo volume è che ci sono, o meglio che ci dovrebbero essere valori e insegnamenti che sarebbe opportuno facessero parte del bagaglio culturale di ogni italiano, di ogni cittadino che si rende artefice giorno per giorno del futuro della sua Nazione perché crede fermamente in questi valori Repubblicani e democratici che con tanto sforzo nel corso della storia sono stati conquistati. Quindi prima di “toccare” la nostra carta costituzionale, si deve considerare che ciò che è scritto al suo interno è frutto di un impegno e di uno sforzo di una Nazione intera, che aveva voglia di rinascere a seguito del disastroso conflitto mondiale. Ma ancora più importante è questo: per evitare scontri, guerre e diatribe, molto spesso causate da una grande ignoranza di fondo si dovrebbero guardare più musei, frequentare mostre, e quindi educarsi alla bellezza, per evitare disastri. Direi che la summa di questo libro potrebbe essere una frase di Fedor Dostoevskij: “L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe vivere”.

“Io, senza stipendio”. Storia di ordinario precariato nella Buona Scuola

aula materna vuota(Pubblicato il 15 dicembre 2015)

Una storia fra migliaia, migliaia di storie che si perdono dietro gli slogan della Buona Scuola e i buoni propositi della Leopolda.

Chiara S. è un’insegnante di scuola materna, ha 41 anni, un marito e una figlia adolescente. Ha la fortuna di fare un lavoro che ama, anche se a 800 chilometri di distanza da casa, e da settembre non percepisce stipendio. Come lei altre migliaia di insegnanti pecari che sono stati risucchiati nelle novità della Buona Scuola, per i quali i sindacati non smettono di sollecitare il ministero dell’Istruzione e quello delle Finanze senza ottenere una precisa risposta.

“Ho insegnato diversi anni in una scuola paritaria, poi sono stata chiamata da Napoli a Copparo per un incarico da settembre 2014 fino al 30 giugno 2015 e ho accettato la proposta di buon grado, seppure comportasse notevoli sacrifici personali e familiari. – ha raccontato Chiara – Lo scorso 7 settembre alle 13 mi hanno chiamata dalla segreteria della scuola dell’infanzia statale “Giglio Zarattini” di Porto Garibaldi per una sostituzione di maternità a Lido degli Estensi, avrei dovuto prendere servizio il giorno seguente alle 8. Ho accettato, ho messo delle cose in valigia e sono partita notte tempo, dormendo un paio di ore in automobile all’arrivo. Al mattino sono entrata in un bar, mi sono cambiata e mi sono presentata a lavoro puntuale. Ho riorganizzato quindi la mia vita a Comacchio ma dalla scuola, nel frattempo, non avevo notizie delle condizioni economiche rispetto all’incarico che avevo assunto. Questo perché, per un cambio di dirigenza e di personale amministrativo all’interno dell’istituto, non era stato ancora nominato il direttore dei servizi generali e amministrativi, ossia la persona preposta a gestire le questioni economiche di ogni scuola.”

Alla metà dello scorso novembre questa situazione si è sbloccata ma il direttore fresco di nomina non ha avuto potere di sistemare la questione degli stipendi, fermi a causa della situazione caotica che attanaglia tutte le segreterie scolastiche. Il sistema del pagamento dei compensi è alquanto macchinoso: il docente si ritrova a dover far riferimento alla segreteria scolastica perché questa inserisca il contratto con il periodo di servizio svolto nel portale del Sistema informativo dell’istruzione e che, attraverso questo, il ministero delle Finanze effettui il pagamento del suo stipendio, magari in modo regolare e mese per mese.
“Non sono iscritta ai sindacati ma, grazie all’interessamento di una collaboratrice scolastica, mi sono informata presso di loro su cosa potessi fare. Mi hanno suggerito di chiedere la messa in mora, ad oggi però non si è sbloccato nulla.”

Il ministero ha da diverso tempo creato un sistema informativo realizzato per gestire i dati dei dipendenti amministrati e assicurare la presa in carico del trattamento economico della Pubblica amministrazione, che si chiama NoiPa. Nemmeno da qui la maestra napoletana trasferita a Comacchio riesce a fare luce su quello sta succedendo.
“Sono migliaia i cedolini di pagamento fermi, come si evince dal sistema. – ha spiegato ancora Chiara – Il problema è che adesso le sostituzioni di maternità vengono considerate come supplenze brevi e queste ultime sono sempre pagate con tempistiche fra le più varie. Sta di fatto che i miei stipendi, che dovrebbero ammontare a circa 1.300 euro mensili, sono fermi da qualche parte. Nel frattempo io vivo lontana da casa e la mia famiglia deve gestire tutto, mutuo incluso, con le sole entrate di mio marito che è un poliziotto, fa i turni e non guadagna milioni. Frattanto, mi hanno chiamata per diverse supplenze annuali, pagate un po’ meglio e con maggiore regolarità, ma ho fatto una scelta di coscienza e sono rimasta qua con i miei bimbi, perché non si può abbandonare una classe a metà anno per comodità. Nonostante la situazione in cui mi trovo vengo a lavoro regolarmente e con gioia, ho dalla mia parte l’appoggio e il calore dei genitori e dei colleghi, ma non c’è niente da fare, se sei una persona coscienziosa e perbene vieni ripagata con la moneta opposta.”

Il ministro Giannini, nel giorno in cui la riforma della scuola venne pubblicata sulla Gazzetta ufficiale e dunque entrò ufficialmente in vigore, disse in una intervista al Messaggero TV : “La riforma prevede la fine di quella instabilità: le scuole che il primo settembre devono mettersi a chiamare i potenziali supplenti, i precari che restano in attesa di una telefonata… tutte cose che ora vengono superate. E’ una riforma pensata per portare ordine e stabilità, sarebbe molto strano se invece generasse caos, sono convinta che quest’anno la macchina funzionerà meglio di prima”. Ma i conti non tornano. Pochi giorni fa, inoltre, durante il question time con il pubblico della Leopolda la stessa era stata interrogata sul piano assunzioni della sua Buona Scuola e aveva ribattuto con un’altra domanda: “Essere passati dalla cultura del povero precario alla responsabilità pericolosa e coraggiosa di assumere centomila insegnanti è stato un errore o è un passo di civiltà?”.

Ci si chiede dove può essersi nascosta la civiltà nella disavventura della maestra Chiara e di tutti gli altri docenti senza stipendio. Forse che lavorare senza stipendio sia diventato un segno di civiltà? Magari presto diventerà anche motivo di gloria.

Dietro i banchi: c’era una volta “la scuola”

(pubblicato il 10 ottobre 2015)

C’era una volta “la scuola”, quella che non aveva aggettivi, che significava lezioni, insegnanti e compagni, il bidello, la ricreazione e i compiti in classe. Quella che ti tirava giù dal letto da ottobre a giugno, che diventava argomento di discussione a tavola durante la cena, quella che ti accompagnava in un percorso abbastanza lineare da quando riuscivi a stare nel banchetto tre ore senza fare pipì fino quando riuscivi resistere tre ore senza accenderti neanche una “paglia”.
Pochi lo sanno ma la nostra idea di scuola non è tanto antica: materna, elementari, media (inferiore e superiore) sono state invenzioni del periodo fascista. Per la precisione correva l’anno 1923 quando il filosofo Giovanni Gentile, ministro della Pubblica istruzione del primo governo Mussolini, decretò l’obbligo scolastico fino ai 14 anni: 5 anni di scuola elementare uguale per tutti (preceduta da 3 anni di scuola materna), organizzata in classi omogenee per anno di nascita. Poi la media inferiore, che a secondo dell’indirizzo scelto apriva la strada alle scuole “alte”: il liceo, gli istituti tecnici e magistrali, il conservatorio. “Era sicuramente una scuola di classe – ha raccontato uno degli ex allievi della scuola elementare di Bologna in un documentario prodotto dal Dipartimento di Scienze dell’ Educazione dell’Università di Bologna dal titolo “La scuola elementare durante il fascismo”, del 2010 – che muovendosi dal centro città alla campagna deperiva visibilmente. Pensate che la maggior parte di noi nemmeno parlava italiano ma solo dialetto stretto!”.

Da lì a qui, Ferrara 2015, sono passate le scuole di avviamento professionale (abolite nel ’63 ma che furono la base della creazione di molti campi di eccellenza del nostro artigianato, quello che oggi esportiamo con il blasonato nome di “Made in Italy”), il ’68, l’accesso all’università da qualsiasi scuola superiore e non più solo dal liceo classico, i “decreti delegati” che portarono nelle scuole le rappresentanze di studenti e del personale Ata, il tempo pieno alle elementari e gli insegnanti di sostegno con la legge Falcucci del 1977, i progetti Brocca e Progetto ’92 che cercarono di rinnovare l’impianto didattico della scuola pubblica superiore senza però riuscire a cambiarne la struttura.
Fino alla “Riforma Berlinguer”. Quando la legge fu approvata definitivamente correva il febbraio del 2000: nuovo secolo, nuovo millennio, e l’Ulivo – che nel 1996 aveva vinto alle elezioni battendo quel Berlusconi che, per mettere mano a qualcosa, aveva abolito gli esami di riparazione – voleva rinnovare la scuola pubblica italiana per portarla al pari con le scuole degli altri paesi europei.
In effetti il ministro all’Istruzione Luigi Berlinguer, con alle spalle una commissione “di peso”, avrebbe voluto dare uno scossone al sistema scolastico nel suo complesso. La Riforma prevedeva un riordino dei cicli dell’istruzione in sette anni di ciclo primario (dai 6 ai 13 anni) e 5 per il ciclo secondario (13-18 anni), estendeva l’obbligo scolastico a 15 anni e quello formativo ai 18. Per questo inquadrò il sistema della formazione professionale, della formazione superiore non universitaria, l’ istruzione superiore universitaria e introdusse il concetto di formazione continua. Nel 1° articolo della legge si leggeva anche che “Tutti i giovani hanno diritto all’istruzione e alla formazione fino al diciottesimo anno di età” e che “Il sistema di istruzione e formazione si caratterizza per l’offerta lungo tutto l’arco della vita di percorsi formativi anche individualizzati, che, valorizzando tutte le capacità, consentano alle persone di realizzare in modo consapevole e responsabile il proprio progetto di vita.”, nonché “Lo Stato, le Regioni e gli enti locali, nell’esercizio delle proprie competenze, attuano gli interventi necessari a garantire la frequenza della scuola dell’obbligo.”.
Il passaggio “in corsa” da Berlinguer a Tullio De Mauro sulla sedia da ministro non variò l’impostazione della riforma ma i suoi principi andarono a cozzare con gli interessi dei sindacati, delle amministrazioni e dell’opinione pubblica. Occorre ricordare che nel 1997, con un provvedimento di carattere economico, si era delegata agli istituti l’amministrazione delle scuole, a livello economico e organizzativo: i direttori didattici diventavano manager, con il compito di traghettare di anno in anno le proprie scuole fra conti, supplenze, attività e proposte didattiche da offrire e realizzare con quattro fichi e tre noci gentilmente offerti dal governo. Inoltre Berlinguer aveva messo a punto il famoso “concorsone” per gli insegnanti (una prova basata su quiz e colloquio) con l’obiettivo di riconoscere e incentivare economicamente il lavoro professionale partendo dalla valutazione dell’attività svolta nel lavoro in classe. Su questa iniziativa si coagulò un clima di contrapposizione e di resistenza conservatrice e corporativa di una larga parte dei docenti (di destra quanto di sinistra) che si spostò sull’intero progetto di riforma dei cicli e della stessa autonomia scolastica. E gli studenti? All’epoca erano preoccupati che l’autonomia scolastica potesse creare disparità e diseguaglianze fra scuole e all’interno delle scuole stesse, ma pensavano anche che avrebbero potuto ottenere scuole aperte secondo le esigenze dell’utenza in orari extra curricolari e che magari avrebbero potuto usufruire di progetti innovativi, visto che il nuovo assetto dei cicli di studio avrebbe dovuto portare una ventata di aria fresca nelle aule e fra gli insegnanti. La riforma Berlinguer fu in parte congelata e con il successivo governo Berlusconi, che vide la discesa in campo della ministra Moratti, la scuola italiana fece retrofront.

1. continua [Leggi]

Guarda il video: Libro e moschetto

Guarda il video: La scuola elementare durante il fascismo

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
A scuola con le emozioni

(pubblicato il 24 maggio 2016)

Nella nostra cultura ragione e sentimento hanno divorziato perlomeno dai tempi di Cartesio e del suo Discorso sul metodo. Ora, pare che questo divorzio non si avesse da fare.
Ce lo dicono le ricerche più recenti nel campo delle neuroscienze, che dai neuroni specchio in poi hanno dichiarato guerra a tutti i nostri pseudoconcetti.
Se vogliamo imparare ad apprendere, innamorarci del piacere di studiare abbiamo bisogno delle emozioni. Se gli apprendimenti non si attaccano alle emozioni come a una sorta di attaccapanni, non siamo poi in grado né di ricordare né di far uso di quello che erroneamente pensavamo di aver imparato.
Che le emozioni incidessero sulla strada dei nostri saperi, ne avevamo sempre nutrito il sospetto. Ora le neuroscienze sono in grado di dimostrarlo.
“La gente pensa che le emozioni portino fuori strada, ma non è così. L’emozione dirige il nostro pensiero. È il timone che orienta la nostra mente e organizza quello che dobbiamo fare”, sostiene Mary Helen Immordino-Yang, professore associato di pedagogia, psicologia e neuroscienze all’Università di Southern in California, autrice del libro “Emotions, Learning, and the Brain”.
Immordino-Yang e i suoi colleghi dell’USC’s Brain Creativity Institute hanno scoperto che gli studenti impegnati in un compito imparano nuove regole, come per esempio il modo più efficace per rispondere a un problema di matematica o la migliore strategia da scegliere in un gioco di carte, fornendo risposte emotive ancor prima di essere consapevoli delle regole o di essere in grado di applicarle. Queste risposte emotive del pensiero provengono da una sensazione, dall’impressione d’aver trovato la strada giusta. E questo è il primo segno di apprendimento, quando si è impegnati nella soluzione di un compito.
L’esperienza di Immordino-Yang nasce da vent’anni di ricerche in laboratorio con pazienti affetti da diversi tipi di danni cerebrali, che hanno però preservato le abilità dell’area cognitiva, sebbene totalmente incapaci di gestire la loro vita quotidiana. Gli studi che ne sono derivati dimostrano che le persone con un particolare tipo di danno al cervello, a quella parte che connette emozioni e strategie cognitive, non apprendono dal fallimento e continuano a scegliere condotte inadeguate a risolvere un problema, anche se consciamente “conoscono” le regole. Questo succede perché il pensiero che non si accompagna alle emozioni non ci rende in grado di ricordare.
Nel contesto di una classe significa che se emozione e apprendimento non si incontrano sarà sempre più difficile ricordare e applicare. La capacità di provare emozioni per qualcosa è una competenza.
Dobbiamo insegnare ai bambini che l’emozione, l’appassionarsi per qualcosa non sono limiti, ma promesse. È in questo modo che può nascere l’interesse anche per ciò che inizialmente può presentarsi privo di interesse.
Queste ricerche aiutano a provare anche l’effetto negativo di emozioni come l’ansia, la paura, la noia. Funzionano come feedback, fin dalle elementari, incidendo sull’impegno e sul rendimento, in definitiva sul destino scolastico di ciascuno.
Il modello emotivo diviene sempre più negativo nel corso degli anni di scuola, il piacere decresce, l’ansia da prova e la noia aumentano, innescando la spirale del fallimento scolastico. Uno studente in ansia durante la lezione di matematica in seconda classe alla fine dell’anno otterrà risultati più bassi. Sarà quindi ancora più ansioso al terzo, accrescendo il rischio di prestazioni in matematica ancora più basse e così via attraverso l’intero arco della scuola elementare. Anche la noia produce un ciclo negativo, mentre gratificazioni precoci in matematica innescano un ciclo di feedback positivi.
I ricercatori dell’Università Ludwig Maximillian di Monaco di Baviera hanno scoperto che le emozioni negative degli studenti, come rabbia, ansia e disperazione, sono contagiose, nel corso del tempo si trasmettono anche ai loro amici. Lo stesso però non accade per le emozioni positive come la soddisfazione e l’orgoglio.
Il piacere di apprendere è, dunque, qualcosa che ogni studente costruisce nel corso del tempo e suggerisce la necessità che la scuola prenda in seria considerazione le emozioni dei suoi alunni, in modo che a scuola ognuno ci stia bene fin da subito.
Immordino-Yang raccomanda agli insegnanti tre strategie per migliorare l’influenza emotiva sull’apprendimento: rendere significativo l’apprendimento nutrendolo di emozioni; incoraggiare gli studenti a usare le loro intuizioni nell’apprendere e nel risolvere problemi; creare un clima non solo aperto all’errore, ma di autentica fiducia e di reale rispetto.
Il messaggio delle neuroscienze è chiaro: non è più possibile pensare all’apprendimento come scisso dalle emozioni, il successo di ciascun studente non è responsabilità esclusiva del singolo, ma investe il clima e le strategie d’aula. Studenti e insegnanti interagiscono socialmente, imparano gli uni dagli altri in modi che i soli ‘freddi’ saperi scolastici non sono in grado di spiegare. Come altre forme di apprendimento e d’interazione, anche a scuola emozione e intelligenza si devono integrare nel contesto sociale della classe. Gli apprendimenti della scuola, per essere tali, è necessario che siano ‘caldi’, non ‘freddi’, non gelidi come la routine dell’attenzione e dell’ascolto senza emozione.
Piuttosto che diffidare delle emozioni, gli insegnanti possono usare questa prospettiva offerta dalle neuroscienze per promuovere un clima emotivo nella classe, in grado di saper cogliere i sottili segnali delle emozioni. Se gli studenti apprendono a riconoscerli ed a raffinarli, allora i loro saperi diverranno sempre più rilevanti e significativi, in definitiva sempre più generalizzabili e utilizzabili nella vita quotidiana.

IL DOSSIER SETTIMANALE
Scuola, la divulgazione del sapere

Giugno, tempo di esami e di bilanci per chi con la scuola fa i conti tutti i giorni. Insegnanti, presidi, alunni, maturandi e “primini”, fra chi la scuola la frequenta, chi la fa e chi la pensa l’inizio dell’estate è un punto di non ritorno. Finiti gli esami, svuotate le aule, si guarda avanti: cosa sarà a settembre? Quanti nuovi insegnanti avranno diritto alla cattedra, chi rimarrà nelle graduatorie, a che punto sarà in “concorsone”, quale sezione chiuderà per mancanza di iscritti? e il caro-libri? e il recupero di matematica?
Questa settimana abbiamo deciso di parlarvi di come vediamo noi la scuola attraverso venticinque articoli raccolti nel tempo, che affrontano il tema da diversi punti di vista ma che raccontano di come la scuola sia soprattutto un mezzo di trasmissione dei saperi.

Tutto il percorso lo si può racchiudere in una sola parola: “aperta”. Perché l’istruzione, e quindi la scuola, devono essere aperte – in tutti i sensi che riuscirete a cogliere. Per tutti noi la scuola è un dato di fatto, nel bene e nel male resta quasi una banalità delle nostre esistenze, eppure non è così. Cosa sarebbe il futuro senza la scuola pubblica? Cosa sarebbe il futuro se i nostri giovani non potessero più imparare le lingue straniere o semplicemente come utilizzare un computer per lavorare?

Perché la scuola non sia mai un tema banale abbiamo quindi scelto di rifarci alle parole di Malala Yousafzai, giovane donna pashtun premio Nobel per la pace nel 2014 che si batte per l’istruzione universale.

“L’istruzione è una delle benedizioni della vita – e una delle sue necessità. Me lo dice l’esperienza dei miei 17 anni di vita. A casa mia nella valle di Swat, nel nord del Pakistan, ho sempre amato la scuola e imparare cose nuove. Ricordo quando io e i miei amici ci decoravamo le mani con gli henna (decorazioni floreali, ndr) per le occasioni importanti. Invece di disegnare dei fiori e motivi geometrici, usavamo le formule matematiche e le equazioni. Avevamo sete di conoscenza perché il nostro futuro era lì, in classe. Ci sedevamo e studiavamo e imparavamo insieme. Adoravamo indossare i nostri grembiuli puliti e stare lì seduti con grandi sogni negli occhi. Volevamo rendere orgogliosi i nostri genitori e dimostrare che potevamo eccellere negli studi e ottenere cose che secondo alcuni solo i ragazzi possono fare. (…) Viviamo nel mondo moderno, nel ventunesimo secolo, e crediamo che nulla sia impossibile. Possiamo raggiungere la luna, forse a breve atterreremo su Marte. Per questo, in questo ventunesimo secolo, dobbiamo essere determinati a far realizzare il nostro sogno di un’istruzione di qualità. Realizziamo uguaglianza, giustizia e pace per tutti. Non solo i politici e i leader del mondo, ma tutti dobbiamo fare la nostra parte. Io. Voi. È nostro dovere.”

 

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