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Giorno: 19 Settembre 2016

Orlando ai Diamanti, curiosità e aneddoti dal dietro le quinte della mostra. E una scoperta: l’Ariosto siamo noi!

Una cornice per specchio in legno di noce intagliato del 1505 (da Londra), un’arazzo in lana e seta del 1475 raffigurante la battaglia di Roncisvalle (da Londra), “Una battaglia fantastica con cavalli e elefanti”, disegnata da Leonardo da Vinci (e gentilmente concessa dalla regina Elisabetta), un’armatura da giostra e battaglia integrale del 1510 (da Parigi), la lettera di Isabella d’Este a Ippolito d’Este (da Modena), la Minerva del Mantegna (da Parigi), il cavaliere di Maggio del Maestro dei mesi (dal Museo della Cattedrale di Ferrara), la Giuditta con la testa di Oloferne di Vincenzo Catena (da Venezia), il San Giorgio e il drago di Paolo Uccello (da Parigi), La “Charta del navicare per le isole novamente trovate in la parte de l’India del 1500 (da Modena), il manoscritto delle Tragedie di Seneca del XIV secolo (Biblioteca apostolica Vaticana), il Globo dell’obelisco vaticano in bronzo dorato, recante i colpi degli archibugi dei Lanzichenecchi (da Roma), l’archibugio a ruota del 1520 (da Parigi).

Basterebbe sbirciare nella lista delle opere giunte da poco a Palazzo dei Diamanti per capire che la mostra che aprirà i battenti questo sabato, 24 settembre, non è una mostra come le altre. Tutti questi oggetti sono le tappe di un labirinto fatto di quadri, incunaboli, arazzi, armi, lettere, immagini, trame che conducono nella mente di Ludovico Ariosto. L’obiettivo insomma è sondare le sinapsi di una delle menti più geniali del Rinascimento Italiano. Non per niente sarà obbligatoria, o per lo meno vivamente consigliata, l’audioguida (inclusa nel prezzo del biglietto) da usare come un tomtom per non perdersi nel labirinto di fantasia, realtà, epoche e personalità diverse che è l’intreccio di questa esposizione.
Se ciascun oggetto, artistico o storico, rappresentasse un punto, collegare i punti è stata la straordinaria impresa compiuta da Guido Beltramini e Adolfo Tura, curatori della mostra che celebra i 500 anni dell’Orlando Furioso. In breve varcando le soglie dello spazio espositivo del Palazzo estense dobbiamo essere pronti ad un’avventura senza tempo e senza limiti, perlustrare stanza dopo stanza per poter rispondere alla domanda: Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi? “La scelta più facile sarebbe stata quella di fare una mostra sulla fortuna figurativa dell’opera di Ariosto – ha spiegato Beltramini -, ma sarebbe stata una mostra sugli altri, su Tiziano, Cosmé Tura, Dosso Dossi e così via. Noi volevamo parlare di Ariosto, del suo immaginario e di come questo si è formato”.

Questa mattina 19 settembre siamo entrati a dare una sbirciata dietro le quinte, per vedere la mostra che prende vita, i curatori e gli studiosi che mettono a punto gli ultimi ritocchi, gli operai che sistemano, spostano, scartano, illuminano. Fermandosi a guardare la prima carta geografica che raffigura le verdi coste americane da poco scoperte, opera di un anonimo porteghese, si rimane a bocca aperta. Ma è proprio in quel momento che si capisce che durante la visita della mostra in realtà noi non andiamo in cerca di Ariosto, noi siamo Ariosto. Lo riportiamo in vita. Noi cioè, è questa la grande idea che sottende tutta l’esposizione, riproduciamo nei nostri occhi spalancati quelli dell’artista che ha fruito le stesse opere elaborandole poi nel suo capolavoro. In questo percorso mentale e visivo, l’allestimento è un cantiere aperto, perché si rinnova ad ogni fruizione. Come in molte opere contemporanee e videoinstallazioni. Una mostra-opera che starebbe bene anche alla Biennale di Venezia.

Passando di sala in sala, dalla tela di Cosme Tura a quella di Raffaello, dalla Minerva del Mantegna alle sculture di cavalieri medioevali, si scopre di quanti elementi è fatta un opera, di quanti incontri è fatta un’idea. Ma soprattutto si scopre qualcosa in più di noi che come Ariosto abbiamo il nostro immaginario, il nostro paese interiore popolato da forme, ideali, immagini. L’impegno alla fine della mostra è ricostruire quali elementi formano il nostro paesaggio, stanare i nostri ippogrifi. Per questo l’evento espositivo dei Diamanti è dedicato sia ai superesperti che ai profani assoluti: è un labirinto dove ognuno può prendere le strade che vuole con la certezza di incontrarsi alla fine in un solo uomo: Ludovico Ariosto.
“Dopo questa mostra – assicura l’assessore alla Cultura, Massimo Maisto – il rapporto tra Ferrara e Ariosto non sarà più lo stesso”. Tra l’altro, come si evince anche dalle ultime sale, il panorama politico ed economico nostro e del poeta non è poi così diverso. Lo ha spiegato Beltramini: “Allora l’Italia affondava in una grave crisi economica, in balia delle varie potenze straniere, le istituzioni e i governi del Paese litigavano tra di loro”. In questa situazione drammatica cosa può unire il Paese? La risposta è, oggi come allora, la cultura e la creatività tutta italiana.

La mostra che oltre al lavoro dei curatori ha visto l’apporto fondamentale di Maria Luisa Pacelli, Barbara Guidi e di un comitato scientifico composto da studiosi di letteratura e da storici dell’arte, resterà aperta fino all’otto gennaio del prossimo anno.

Da non perdere: Il baccanale degli Andrii, di Tiziano Vecellio, il pezzo più bello dei Camerini di alabastro di Alfonso che non tornava in Italia dal 1500; l’opera grafica a cura dello studio Fludd e della professoressa Cristina Montagnani, esperta dell’Ariosto, che raffigura la trama del Furioso.

Scuola, la dittatura dei libri di testo: ecco come immobilismo e mediocrità stanno uccidendo l’istruzione

Con l’inizio dell’anno scolastico si ripropone un tema del caro scuola alle famiglie: scuola mia quanto mi costi!

La scuola chiede a ciascuno di attrezzarsi: libri, materiale didattico e quant’altro; è perfino invalso l’uso che, soprattutto all’ingresso della scuola primaria e secondaria di primo grado, gli insegnanti forniscano alle famiglie la lista delle strumentazioni necessarie ad affrontare l’impegno scolastico. Ovviamente su tutto prolifica l’industria dell’editoria scolastica e l’indotto che gravita attorno ad essa.

C’è una sorta di vegetazione che si innesca nel corpo della scuola che ormai si dà per scontata e che si alimenta per via di simbiosi parassitaria, qualcosa di cui, nonostante l’autonomia, gli istituti scolastici pare non siano in grado di liberarsi; secondo i dati del rapporto Eurydice del 2012, i soli paesi europei che impongono agli insegnanti l’uso dei libri di testo sono Grecia, Cipro e Malta, che sono, peraltro, gli unici paesi in cui la selezione dei libri di testo è compiuta a livello centrale.
E allora c’è da chiedersi perché nonostante l’autonomia didattica, organizzativa e di sperimentazione sancita del DPR 275 del 1999, nelle nostre “buone scuole” continui a resistere un arnese così vecchio ed equivoco come il libro di testo in tempi di nuove tecnologie che mettono a disposizione in tempo reale la biblioteca e l’emeroteca più grandi del mondo che permetterebbero di scrivere tanti libri di testa anziché compulsare il libro di testo.

Come mai dai tempi di “Dio, patria e caramella” alla biblioteca di lavoro di Mario Lodi il libro di testo continua a resistere come sintomo di una scuola incapace di cambiare se stessa?

È una questione grave che denuncia una scarsa spinta al rinnovamento e la resistenza di ampie sacche di pigrizia e di ignoranza.

Nell’altra società, che è il mondo separato della scuola in cui da noi s’usano aggregare per ore quotidiane le infanzie e le adolescenze, si continuano a celebrare antiche usanze e rituali che hanno negli insegnanti i loro sacerdoti, mentre la forza del verbo risiede tra le pagine dei libri di testo, tutti uguali come i messali in chiesa, specificatamente scritti per l’uso scolastico, per onorare le richieste del sacro dio “programma” o “curricolo standard”, secondo una versione più aggiornata del lessico.

Pensiero, intelligenza, creatività non abitano le nostre aule dove la mediocrità degli insegnamenti nutre altra mediocrità negli allievi in una sorta di coazione a ripetere. Del resto perché meravigliarsi, quando il sito del Miur celebra il libro di testo come “…lo strumento didattico ancora oggi più utilizzato mediante il quale gli studenti realizzano il loro percorso di conoscenza e apprendimento. Esso rappresenta il principale luogo di incontro tra le competenze del docente e le aspettative dello studente, il canale preferenziale su cui si attiva la comunicazione didattica”?
Non so se l’autore di questo testo, lo stesso ministero, si renda conto dell’idea di scuola che propagandano: il libro di testo come percorso di conoscenza e apprendimento… luogo di incontro tra docenti e studenti… canale della comunicazione didattica…

Questa sarebbe la buona scuola del ventunesimo secolo?

L’idea più malinconica di scuola, di sapere in pillole, di morte della ricerca, di costruzione del sapere, di confronto tra intelligenze. In questa scuola cattedre, banchi e libri di testo sono gli unici ad essere a loro agio, ciò che non potrà mai essere a proprio agio sono le menti dei nostri studenti.

C’è da chiedersi se esistono docenti in grado di far scuola senza il pannolone del libro di testo; c’è da chiedersi cosa si faccia nel nostro paese per far crescere professionalità docenti del tutto nuove, al passo con le sfide dei tempi che viviamo, ma che soprattutto attendono la vita delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi.
Le nostre sono scuole ancora chiuse al sapere, non c’è vita, non c’è dinamica, e soprattutto sono troppo costose per le famiglie che pagano cara una formazione sempre più scadente; pare che almeno in materia di libri di testo il ministero preferisca stare dalla parte del “si è sempre fatto così” quello che la “Buona scuola” al suo esordio si proponeva di superare, per “pensare in grande”, prometteva. Per il momento il grande non si vede e il “si è sempre fatto così” resiste con la partigianeria dello stesso Miur.

Realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica…

“Scuola aperta”, “laboratorio permanente”, dove “permanente” è l’opposto di “saltuariamente”, mica l’hanno scritto persone da una vita didatticamente eversive come il sottoscritto, è solo il testo del comma 1 dell’articolo 1 della legge 107 di riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione. Al momento le uniche cose che le nostre scuole promettono di aprire sono le pagine dei quaderni e dei libri di testo sui banchi nelle aule.
Continuo a credere che “la buona scuola” non sia in grado di curare i mali del nostro sistema nazionale di istruzione e formazione, perché neppure l’accanimento terapeutico può pretendere di tenere in vita nel terzo millennio un sistema scolastico, sottolineo sistema, che ha avuto da tempo il suo momento e che meriterebbe di conquistarsi finalmente il riposo eterno.

La Torah in mostra al Meis: suggestioni di un culto millenario aperto alle domande di tutti

di Lorenzo Bissi

Avvicinare gli spettatori di ogni età e provenienza al culto e alle tradizioni della fede ebraica attivando, oltre alla sola vista, anche l’olfatto e l’udito.
Questa è la proposta del Meis, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di via Piangipane, che ieri, domenica 18 settembre, in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, ha deciso non solo di aprire le porte alla cittadinanza, ma anche di offrire il tour guidato alla mostra intitolata Torah, fonte di vita.
Nonostante la collocazione degli oggetti esposti non sia quella originale, quella cioè del Museo della Comunità Ebraica ferrarese in via Mazzini, a causa del terremoto del 2012, che tuttora costringe la comunità a svolgere le proprie celebrazioni esclusivamente nel tempio Fanese, le opere trovano ampio respiro e mantengono il loro valore, disposte in tre sale del palazzo e avvolte da un’atmosfera allo stesso tempo suggestiva, intima e accogliente. Tutti gli oggetti all’interno del palazzo sono legati alla Torah, e di conseguenza alla vita religiosa di un uomo ebreo.
L’antico testo è il filo conduttore dell’esposizione: un’intera sala è dedicata agli oggetti con cui questo viene decorato, curato, letto. Un’altra riproduce uno spaccato della sinagoga dove il rotolo sacro viene custodito durante le celebrazioni, mentre l’ultima sala, la più simbolica e astratta (non a caso dedicata al tema del pensiero), trova al suo interno libri ed enciclopedie riguardanti i commenti riguardanti questa, oltre a grandi punti interrogativi disegnati sulle pareti: ognuno può porre una domanda, avviare un dibattito, lasciare una riflessione, scrivendola sul muro.
Sharon Reichel, la curatrice della mostra, sembra dunque voler rendere la mostra il più fruibile a tutti, attraverso percorsi didattici dedicati anche ai più piccoli, e dare allo spettatore l’opportunità di essere attivo nel suo percorso, facendolo pensare, riflettere, domandare, utilizzando anche l’ausilio di profumati bastoncini di cannella, chiodi di garofano, anice stellato e bacche di ginepro.
Le piccole dimensioni della mostra non devono per forza essere considerate un difetto, poiché ogni oggetto richiede, per assumere il giusto valore, un’attenta analisi delle descrizioni e una buona dose di curiosità.
In aggiunta al percorso di base, si può assistere ad un video umoristico prodotto dalla Comunità ebraica di Torino riguardante le parlate giudaico-italiane trattate attraverso ironia, doppio senso e metafora.
La mostra sarà aperta fino al 31 dicembre 2016, e merita di essere vista, pensata, ascoltata e annusata.
Per info: http://www.meisweb.it/