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Giorno: 14 Ottobre 2016

La Notte Rossa, sabato 15 ottobre

Da: Arci Ferrara

Le Case del Popolo si rinnovano tra storia e divertimento
La Notte Rossa 2016 è dedicata a Dario Fo

Sabato 15 ottobre La Notte Rossa a Ferrara inizierà con un ospite d’eccezione: Achille Occhetto verrà infatti nella città estense a presentare “L’utopia del possibile”, una conversazione sulla sinistra di ieri e l’attualità di oggi, moderata dal vicesindaco Massimo Maisto. L’appuntamento è alle 17 alla libreria Feltrinelli (via Garibaldi, 30). La Notte Rossa continua a Ferrara con un evento in collaborazione con il circolo Sabir Network: sabato 15 ottobre, alle 18.30, verrà presentato al Circolo Bolognesi (piazzetta San Nicolò, 6) il documentario To Kyma: rescate en el mar Egeo. Durante la serata gli interventi di cooperativa Camelot e di Emergency permetteranno di approfondire i temi dell’accoglienza, protezione internazionale ed asilo politico. A seguire il “rescue drink”, un aperitivo di sostegno alla Ong Proactiva Open Arms, durante il quale sarà anche allestita per l’occasione la “Mostra Programma” Italia di Emergency. In provincia si celebrerà La Notte Rossa con musica, letteratura e l’immancabile gastronomia tradizione, senza perdersi un pizzico di magia. Nella Casa del Popolo di via Ranuzzi ore 16 La Magia di Fabian, spettacolo dedicato ai bambini e non solo. Alle 21.30, il Contrarock di via Massafiscaglia ,19 (Contrapò), si scatenerà con il rock dei Fev, in concerto per testimoniare il legame tra la musica, la resistenza e la memoria collettiva. Al circolo Arci di Cona (via Comacchio, 943) una serata intensa tra note e parole: alle 18.30 ci sarà la presentazione di Adelmo Cervi, che parlerà del suo ultimo libro “Io che conosco il tuo cuore”, e a seguire, alle 19.30 il coro delle Mondine di Porporana, che proporrà canti della tradizione contadina, operaia e di resistenza. La Casa del Lavoratore di Villanova (via Ponte Assa, 85), ospiterà la Cena Rossa, alle 20, mentre contemporaneamente ad Ariano Ferrarese (piazza Garibaldi, 52), si ascolterà la musica di Valeriano & Perry al piano-bar. La casa del popolo di Corlo, in via Copparo, 426, organizzerà una cena sociale, prevista per le 20, mentre al Circolo Il Mulino di Ro (Piazza Umberto I, 16), l’aperitivo musicale comincerà dalle 18. Ancora musica alla Casa del Popolo di Ravalle, dove dalle 19 si potrà partecipare a un aperitivo dove si potrà cantare al karaoke, e per finire musica anche alla Casa del Popolo di Sabbioncello San Vittore (piazza 21 giugno, 44) dove, dalle 21, si farà “Musica con Walter’. Per qualsiasi informazione o approfondimento contattare la segreteria organizzativa di Arci Ferrara (via della Cittadella 18/A): tel 0532241419, sito www.arciferrara.org.

Convocazione del Consiglio Comunale in seduta straordinaria

Da: Comune di Copparo

18 ottobre 2016 – ore 21
Sala Consiliare Residenza Municipale
Seduta pubblica
Ordine del Giorno

1) Esame ed approvazione verbali sedute precedenti e formalita’ preliminari;

2) Comunicazioni del Sindaco;

3) Surroga Consigliere dimissionario del Gruppo Consiliare Partito Democratico;

4) Ordine del Giorno d’urgenza presentato dal Gruppo Consiliare Partito Democratico: “Crisi BERCO S.p.A.”;

5) Interpellanza presentata dal Consigliere Veronese Luana del Gruppo Consiliare Lega Nord: “Situazione ex Mosquito”;

6) Interpellanza presentata dal Consigliere Veronese Luana del Gruppo Consiliare Lega Nord: “Situazione richiedenti asilo politico nel Comune di Copparo”;

7) Interpellanza presentata dal Consigliere Ama’ Alessandro del Gruppo F.I.: “Locazioni ai migranti in strutture private”;

8) Mozione presentata dal Consigliere Amà Alessandro del Gruppo F.I. contro l’abbattimento indiscriminato delle alberate;

9) Sostituzione Consigliere componente Commissioni Consiliari Cultura e Pari Opportunità con contestuale sostituzione Consigliere Commissione Ragioneria”;

10) Comunicazione prelevamento dal fondo di riserva ai sensi dell’articolo n. 166 del D.Lgs n. 267/2000;

11) Convenzione con i Comuni dell’Unione per la realizzazione del servizio integrazione scolastica e formativa degli alunni disabili dal 1 luglio 2016 al 30 giugno 2019

12) Approvazione schema di convenzione tra Lepida S.p.A, INFRATEL e il Comune di Copparo per lo sviluppo di infrastrutture per la banda ultra larga nelle aree produttive bianche in attuazione dell’azione 2.1.1 del POR FESR 2014/2020. I fascicoli riguardanti gli oggetti sopra elencati sono depo sitati presso la Segreteria Co-munale a disposizione dei Signori Consiglieri Comunali dal giorno 14-10-2016 dalle ore 08.00 alle ore 13.00 e consultabili nell’apposita area riservata ai Consiglieri Comunali nel sito del Comune di Copparo.

Campagna amica: Ferrara a ‘non solo Saba’

Da: Coldiretti Ferrara

PRODOTTI DI STAGIONE DELLA FILIERA CORTA E PIGIATURA DELL’UVA PER I BAMBINI A NON SOLO SABA

Sabato 15 e domenica 16 ottobre in piazza Municipale a Ferrara, dalle 10 a sera, il trionfo della saba, dell’aceto balsamico, dei vini e dei prodotti tipici autunnali.
Alle 11 ed alle 16 la pigiatura in piazza per i più piccoli.

Tra le tante cose che saranno presenti a Ferrara in piazza Municipale, tra i prodotti tipici e distagione, tra saba, vino, funghi, confetture, formaggi miele e tante altre, ci sarà anche la possibilità per i più piccoli di pigiare l’uva e ricavare quel mosto che poi potrà diventare vino, oppure saba, o sugoli…
A cura di Campagna Amica Ferrara sarà allestito uno spazio dedicato dove, alle 11 del mattino ed alle 16 del pomeriggio, i grappoli di uva Fortana appena raccolti potranno essere schiacciati con i piedi come un tempo o con un torchio, con la possibilità di assaggiare il frutto del proprio lavoro, il dolce mosto!
La manifestazione sarà aperta alle 10.30 dalla sfilata in abiti rinascimentali per le vie del centro storico, portando in trionfo la saba; dalle 11 alle 23 ristorante con piatti della tradizione ed innovativi che prevedono l’uso di Saba, Cugnà e Aceto Balsamico. Alle 17 il laboratorio dimostrativo di preparazione dei tradizionali sugoli a cura del Rione San Paolo.

Le aziende di Campagna Amica Coldiretti Ferrara presenti sabato saranno:
La Cavallerizza di Mario Benin (mozzarelle e formaggi di bufala)
Antonio Santi (funghi coltivati e ortaggi)
Riccardo Sarto (miele e altri prodotti a base di miele)
I Sapori dell’Orto di Fabrizio De Zen (ortaggi, vino, confetture)
Sopramonte di Loi Giovanni (formaggi ovini e caprini ricotte e salumi)
Marilena Franchi (miele di valle e prodotti a base di miele).
Domenica troverete
La Cavallerizza di Mario Benin (mozzarelle e formaggi di bufala)
Antonio Santi (funghi coltivati e ortaggi)
Riccardo Sarto (miele e altri prodotti a base di miele)
Gregorio Marangoni e Donatella de Zen (ortaggi, confetture, conserve, vino)
Sopramonte di Loi Giovanni (formaggi ovini e caprini ricotte e salumi)
Mariotti Mirco (saba, sugoli, vino)

agr. Riccardo Casotti
Responsabile Stampa Coldiretti Ferrara

UE: storico via libera a etichetta ‘Made in Italy’ sul latte

Da: Coldiretti Emilia- Romagna

Storico via libera della Unione europea alla richiesta italiana di indicazione di origine obbligatoria per il latte e i prodotti lattiero-caseari perché sono scaduti senza obiezioni alle ore 24 del 13 ottobre i tre mesi dalla notifica previsti dal regolamento 1169/2011 quale termine per rispondere agli Stati membri che ritengono necessario adottare una nuova normativa in materia di informazioni sugli alimenti. E’ quanto afferma la Coldiretti che in occasione dell’apertura del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio ha presentato in anteprima le confezioni di latte, burro e mozzarella con le nuove etichette per aiutare i consumatori a scegliere. Il provvedimento fortemente sostenuto dalla Coldiretti era stato annunciato dal premier Matteo Renzi e dal Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina in occasione della Giornata nazionale del latte Italiano a Milano, organizzata proprio dalla maggiore organizzazione degli imprenditori agricoli in Europa.
Il via libera comunitario – continua la Coldiretti – risponde alle esigenze di trasparenza degli italiani che secondo la consultazione pubblica online del Ministero delle Politiche agricole, in più di 9 casi su 10, considerano molto importante che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione.

Il provvedimento riguarda – sottolinea la Coldiretti – l’indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari che dovrà essere indicata in etichetta con:
a) “paese di mungitura: nome del paese nel quale è stato munto il latte”;
b) “paese di condizionamento: nome della nazione nella quale il latte è stato condizionato”
c) “paese di trasformazione: nome della nazione nella quale il latte è stato trasformato”;

Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari sia stato munto, condizionato e trasformato nello stesso paese, l’indicazione di origine può essere assolta – precisa la Coldiretti – con l’utilizzo della seguente dicitura: “origine del latte: nome del paese”. Se invece le operazioni indicate avvengono nei territori di più paesi membri dell’Unione europea, per indicare il luogo in cui ciascuna singola operazione è stata effettuata possono essere utilizzate le seguenti diciture: “miscela di latte di Paesi UE” per l’operazione di mungitura, “latte condizionato in Paesi UE” per l’operazione di condizionamento, “latte trasformato in Paesi UE” per l’operazione di trasformazione. Infine se le operazioni avvengono nel territorio di più paesi situati al di fuori dell’Unione Europea, per indicare il luogo in cui ciascuna singola operazione è stata effettuata possono essere utilizzate le seguenti diciture: “miscela di latte di Paesi non UE” per l’operazione di mungitura, “latte condizionato in Paesi non UE” per l’operazione di condizionamento, “latte trasformato in Paesi non UE” per l’operazione di trasformazione.

“Con l’etichettatura di origine si dice finalmente basta all’inganno del falso Made in Italy con tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia che sono stranieri, cosi come la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “si tratta anche di un importante segnale di cambiamento a livello comunitario sotto la spinta dell’alleanza con la Francia che ha adottato un analogo provvedimento”.

Le 1,7 milioni di mucche da latte presenti in Italia possono finalmente mettere la firma sulla propria produzione di latte, formaggi e yogurt che – sottolinea la Coldiretti – è garantita a livelli di sicurezza e qualità superiore grazie al sistema di controlli realizzato dalla rete di veterinari più estesa d’Europa, ma anche ai primati conquistati a livello comunitario con la leadership europea con 49 formaggi a denominazione di origine realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione.

Ad essere tutelati sono anche i consumatori italiani che hanno acquistato nel 2015 – secondo una analisi della Coldiretti – una media di 48 chili di latte alimentare a persona mentre si posizionano al settimo posto su scala mondiale per i formaggi con 20,7 chilogrammi per persona all’anno dietro ai francesi con 25,9 chilogrammi a testa, ma anche a islandesi, finlandesi, tedeschi, estoni e svizzeri. L’obbligo di indicare l’origine in etichetta – continua la Coldiretti – salva dall’omologazione l’identità di ben 487 diversi tipi di formaggi tradizionali censiti a livello regionale territoriale e tutelati perché realizzati secondo regole tramandate da generazioni che permettono anche di sostenere la straordinaria biodiversità delle razza bovine allevate a livello nazionale.

Il provvedimento salva 120mila posti di lavoro nell’attività di allevamento da latte che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi che è la voce più importante dell’agroalimentare italiano dal punto di vista economico, ma anche da quello dell’immagine del Made in Italy. La scelta di trasparenza fatta in Italia – conclude la Coldiretti – è importante per essere piu’ forti anche nella lotta all’agropirateria internazionale sui mercati esteri dove i formaggi Made in Italy hanno fatturato ben 2,3 miliardi (+5%) nel 2015.

L’ entrata in vigore e fissata 60 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e quindi – conclude la coldiretti – auspicabilmente dal primo gennaio 2017 come è stato previsto per un testo analogo in Francia.

Pesca: in Europa rivista taglia vongole

Da: Partito Democratico

Un successo per tutto il partito Ittico

‘La riduzione della taglia minima delle vongole pescabili in Italia è una misura che il comparto ittico attendeva da tempo. Oggi, finalmente, la Commissione Europea ha adottato un atto che stabilisce un piano di gestione delle vongole nelle acque italiane: la taglia minima viene ridotta da 25 a 22 millimetri per un periodo di tre anni a partire dal gennaio 2017’. Lo rende noto la senatrice Maria Teresa Bertuzzi, capogruppo Pd in Commissione Agricoltura a Palazzo Madama.
‘Le imprese italiane aspettavano questo atto da tempo. Il percorso scelto, suggerito dal sottosegretario Castiglione, era quello giusto. Molto è stato fatto anche in Commissione agricoltura – spiega – Abbiamo agito sia sui regolamenti italiani, che ancora riportavano quel limite dei 25 mm, e lo abbiamo fatto nel collegato agricolo, sia a livello europeo. Importante il contributo del mondo scientifico. Se penso che alcuni europarlamentari del Movimento 5 Stelle hanno anche parlata di ‘furbata tutta italiana!’. Andiamo avanti così, con serietà e fermezza. Alla fine i risultati arrivano’.

La sicurezza sismica in gioco: parte il progetto KnowRisk

Da: Università di Ferrara

La sicurezza sismica in gioco

Unife, INGV e Comune organizzano un gioco di ruolo per parlare di prevenzione del rischio terremoto. Parte il progetto KnowRISK

A Ferrara si torna a parlare di prevenzione del rischio sismico. Domenica 16 ottobre alle ore 11 il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con il Comune, coinvolgeranno i cittadini in un Playdecide, un “gioco serio” per discutere con i partecipanti sulla comunicazione in caso di terremoto. Si giocherà attorno ai tavoli dell’Istituto Universitario di Studi Superiori IUSS-Ferrara 1391, (via Scienze 41/b).

L’esperienza dei precedenti terremoti ha insegnato che per poter gestire l’emergenza è necessario pianificare l’intervento “in tempo di pace”. I giocatori del Playdecide saranno invitati a discutere e prendere decisioni a seconda del ruolo che interpretano (sindaco, esperto, cittadino, insegnante, ecc).

Con questa iniziativa prende il via a Ferrara KnowRISK, il progetto finanziato dalla Commissione Europea a cui partecipa INGV, attivato nella nostra città dal Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza in collaborazione con il Comune, che mira ad individuare strategie efficaci e sostenibili per la riduzione del rischio, ponendo l’accento sulle misure per diminuire la vulnerabilità non-strutturale delle abitazioni.

A oggi la scienza non è in grado di prevedere i terremoti. È invece certo che non sono solo le scosse a provocare morti e feriti, ma anche ciò che ci può cadere addosso nelle nostre case, come librerie, armadi, o semplici oggetti.

Per questo motivo il focus del progetto, che si svilupperà nei prossimi mesi, sono le strategie di coinvolgimento di cittadini ed esperti ai fini della riduzione del rischio sismico degli elementi non strutturali degli edifici (pareti divisorie, controsoffitti, rivestimenti, mobili, librerie, ecc.).
Con il Playdecide e le successive iniziative, il Master Unife in collaborazione con INGV, intende riprendere, valutare e rilanciare il percorso laboratoriale sulla prevenzione sismica svolto assieme all’Urban Center del Comune di Ferrara nel 2013, che ha portato all’elaborazione del “Decalogo per rendere più sicure le nostre case”.
I posti sono limitati: per iscrizioni e informazioni rivolgersi alla coordinatrice didattica del Master, Mariasilvia Accardo, email ccrmsl@unife.it

Leonardo Veronesi sarà ospite del Liceo Carducci di Ferrara

Da: Organizzatori

Il cantautore LEONARDO VERONESI sarà ospite del Liceo Carducci di Ferrara nell’ambito di un incontro che si terrà sabato 15 ottobre 2016 dalle ore 11.10 con gli studenti del Progetto di Musica e Spettacolo. L’incontro organizzato dalla Prof.ssa Patrizia Braga sarà una conversazione in musica in cui Veronesi parlerà del suo percorso artistico con canzoni, videoclip e parole e gli studenti potranno attraverso domande e curiosità avere una visione più ampia del panorama musicale attuale e conosceranno in maniera più approfondita un artista ecclettico come Veronesi che sarà accompagnato alla chitarra e ai cori da Eugenio Cabitta. Lodevole questo percorso didattico della scuola che apre le porte a tante realtà esterne fornendo stimoli più accattivanti ai ragazzi e rendendo molto più fruibili le nozioni acquisite sui libri. Si parlerà di musica ma non solo e soprattutto si cercherà di mettere in luce tutto ciò che c’è dietro la costruzione di una carriera e le difficoltà che ogni artista deve affrontare per proporre adeguatamemte il frutto del proprio lavoro.

Leonardo Veronesi ha iniziato la sua carriera come cantante di cover band nel 1997 fino al 2000, anno in cui si stacca dai gruppi per proseguire come solista e autore.
Dopo aver pubblicato alcuni singoli e scritto alcune sigle televisive, nel 2008 esce il suo primo album “UNO” prodotto con Paolo Martorana. Nel 2011 è ritornato con “DOMANDARIO” prodotto con Paolo Valli e il 9 luglio 2013 è stato presentato il suo terzo album “L’ANARCHIA DELLA RAGIONE” prodotto con Nicola Scarpante. Ora è al suo quarto album “NON HAI TENUTO CONTO DEGLI ZOMBIE” prodotto con Francesco Cairo (etichetta Jaywork) uscito il 6 novembre 2015.
Ha partecipato al 53° Zecchino d’Oro come autore con il brano “I suoni delle cose” ed è arrivato al terzo posto del 55° Zecchino d’Oro come autore del brano “Il blues del manichino” (di questo brano è stata registrata una versione spagnola interpretata da Carmen Gonzalez Aranda).
Nel 2014 scrive e realizza 3 brani nel nuovo album di Frenk Nelli. Sempre nel 2014 ha scritto il brano “Quel che non c’era” interpretato da War-K. Lo stesso brano è stato tradotto in spagnolo e cantato al Festival Armonia in Spagna. Nell’estate 2014 viene pubblicato contemporaneamente in Italia ed in Spagna un suo brano intitolato “Acqua (Agua)” cantato da Carmen Gonzalez Aranda. A dicembre 2014 esce “Il colore giallo”, brano scritto da Leonardo Veronesi ed interpretato da Enrica Bee, inserito nella colonna sonora dell’ultimo film di Marco Lui “John, il segreto per conquistare una ragazza”. Sempre in Dicembre 2014 hapresentato il videoclip ufficiale “Segreti” tratto dal brano omonimo contenuto nell’album L’ANARCHIA DELA RAGIONE”. In Settembre 2015 è uscito il suo nuovo singolo “Non hai tenuto conto degli zombie” e il videoclip ufficiale. Il 6 novembre 2015 è uscito il suo quarto album dall’omonimo titolo “NON HAI TENUTO CONTO DEGLI ZOMBIE” insieme ai videoclip ufficiali che accompagneranno la promozione dell’album. Cantautore originale Leonardo Veronesi in modo ironico canta un quotidiano che per quanto rientri in uno schema di normalità ha sempre un margine di imprevedibilità, qualcosa che non si riesce a valutare, qualcosa che sfugge al nostro controllo… in questo ultimo album appunto l’arrivo degli zombie! Prosegue quindi un percorso stimolante improntato su una ricerca di sonorità e soluzioni musicali originali che lo porterà in giro per live, spettacoli teatrali ed eventi culturali in nome di una forte volontà di creare nuove sinergie da sempre alla base dei suoi progetti E’ iniziato il suo nuovo progetto di live tour che lo vedrà collaborare oltre che che con i musicisti che lo accompagnano da sempre (Valentino Fuschini, Andrea Polidori, Stefano Peretto, Beppe di Marco, Paolo Valli, Mario Manfredini) anche con i Kozmic Floor (Silvia Zaniboni, Filippo Dallamagnana, Michele Dallamagnana) e altri. E’ uscito il 7 ottobre 2016 il brano “OGNI GIORNO CHE PASSA” da lui composto e interpretato da Silvia Boreale.

Oggi alla libreria Ibs-Libraccio di Ferrara Chiara Baratelli presenta il libro “Esiste un amore felice? sul trattamento psicanalitico delle crisi di coppia” di Roberto Pozzetti

da: organizzatori

Oggi venerdi 14 ottobre alle ore 18 presso la libreria ibs – Libraccio di Ferrara Chiara Baratelli, psicoanalista, presenterà il libro di Roberto Pozzetti (psicoanalista lacaniano di Como): ”Esiste un amore felice? Sul trattamento psicoanalitico delle crisi di coppia”.
È un testo che parte da una domanda per porre una questione universale. Parlare d’amore è parlare un linguaggio universale (riguarda tutti i tempi) e nel contempo contemporaneo nel senso che è segnato dal tempo e dalla cultura in cui viviamo.
Pozzetti articola la trattazione di questo tema a partire dall’orientamento psicoanalitico di Freud e Lacan e lo fa esponendo casi della sua pratica clinica privata e istituzionale.
Il libro è molto ben articolato. Presenta un indice ricco. Esplora diversi aspetti di questo sentimento: l’amore genitoriale come l’amore più durevole nel tempo nonostante le ambivalenze, l’amore omosessuale, la differenza tra amicizia e amore, la scelta del partner.
Il tema che attraversa tutto il libro è la crisi di coppia (nel sottotitolo) tema privato ma anche sociale, che mostra la crisi del legame e delle relazioni. I legami di coppia sempre più volubili, pronti a sciogliersi, instabili. È l’epoca degli amori liquidi (c’è un capitolo che si intitola matrimoni liquidi)
Frequenti sono le separazioni per diverse cause: l’amore svanito, il desiderio affievolito. Questo tempo ha il culto collettivo dell’amore senza vincoli, vi è un’insofferenza nel confronti de legame come responsabilità, si cerca un godimento sempre nuovo.
Oggi l’imperativo è “goditela più che puoi!”.
Nel libro viene ben mostrato come l’amore sia caratterizzato da una tensione infinita, tensione che non trova mai appagamento.
Si ama qualcuno per esser a propria volta amati come esseri particolari.
Ciò che amiamo nell’altro non può mai essere ridotto ad una qualità circoscritta del suo essere.
Nel libro viene ben descritto come l’avvio della domanda di cura si produce solitamente proprio quando si constata che il tentativo di fare Uno con l’Altro è un miraggio e non si riesce a rinunciare a tale miraggio.
A mio avviso occorre recuperare un discorso sull’amore che non sia né un culto libertino di un desiderio senza legami né una rassegnazione ad una routine senza vitalità. Occorre contrastare due menzogne del nostro tempo: credere che l’uomo sia libero, autonomo e l’idea dell’esaltazione del Nuovo come il principio che orienta il desiderio.
L’amore rimane un enigma, una questione che ognuno deve esplorare soggettivamente.
Nulla dà frutto senza coltivazione: l’amore vive finchè si fanno progetti e sogni in suo nome, finché si usano verbi al futuro, finché coloro che si amano non smettono mai, almeno un poco di mancarsi.

La Rievocazione Storica a Ferrara, un viaggio alla scoperta del tardo XIV secolo

da: ufficio stampa Compagnia d’Arme del Santo Luca

volantino-ottobre-2016-modificato-webSono ormai passati 2 anni da quando la Compagnia d’Arme del Santo Luca ha dato vita alla Rievocazione Storica a Ferrara. Molte persone si chiedono cosa effettivamente voglia dire “rievocare”… molti confondono la Rievocazione Storica con il mondo dei Pali (a Ferrara è presente il Palio più antico del mondo) e spesso vengono proposti eventi e personaggi di pura fantasia hollywoodiana, spacciati per “rievocazione storica” e legati a uno stereotipo di immaginario medievale che fin da bambini ci siamo abituati a vedere sul grande e piccolo schermo.

La vera Rievocazione Storica è tutt’altra cosa: la ricostruzione di abiti, oggetti, armature, armi e accampamenti rispecchia perfettamente illustrazioni e fonti storiche accertate; ogni “rievocatore storico” si dedica allo studio e alla preparazione degli usi e costumi dell’epoca rievocata, si addestra nell’uso delle armi, nella disciplina militare e cerca sempre la riproposizione più veritiera possibile di quello che la storia ci ha consegnato fino ad oggi.
La Compagnia d’Arme del Santo Luca si è data questi obiettivi e attualmente conta 12 componenti tra militari e civili, partecipa a rievocazioni storiche in buona parte del nord e centro Italia e ha conseguito numerosi successi nei diversi tornei di fanteria e cavalleria durante i suoi 2 anni di attività.
“Per noi la parola d’ordine è ‘divertimento’ – racconta Marco Roccella, segretario della Compagnia – siamo quasi tutti ragazzi giovani, l’età media è 24 anni, abbiamo creato un gruppo molto affiatato e tutte le settimane lavoriamo duro per affinare la scherma storica, allenarci al combattimento in armatura e alla disciplina militare. Quest’anno siamo contentissimi poiché siamo riusciti a chiudere una stagione molto ricca di eventi (a dicembre 2016 le attività svolte nell’intero anno ammonteranno a 27 eventi) e il gruppo continua a crescere sia di numero che di passione”.

Chiunque sia interessato a provare questo mondo, anche senza necessariamente dover combattere, ma interpretando semplicemente personaggi e mestieri non legati al mondo militare, può trovare tutte le informazioni sul sito www.compagniadarmedelsantoluca.it, sulla nostra pagina Facebook o scriverci una mail a: compagniasantoluca@gmail.com.

REALITY ON THE ROAD/QUARTA PARTE
Australia, il racconto della nostra giornalista in viaggio tra music contest, tappe segrete e… canguri

Tra gli alberi… a spasso sospesi nel vuoto!
Prosegue l’avventura della nostra giornalista Silvia Malacarne sul suolo australiano, e ogni giorno… una sorpresa!

Dopo tre giorni immersi nella natura gli organizzatori di Feeling The Street hanno deciso che non eravamo abbastanza isolati, cosí ci hanno portato in un posto ancora piú immerso nella bellezza di questa selvaggia natura australiana: Blue Mountains.

La mattina siamo andati direttamente a fare la prima attivitá prevista, il cosidetto “Tree adventure”, una sorta di persorso tra gli alberi in cui ci si lega ad una corda e con delle carabine si deve riuscire ad arrivare alla fine dei tanti ostacoli che s’incontrano sul cammino. Sono partita dalla pista blu, la piú semplice, e dopo aver sperimentato la rossa ho deciso di osare con la nera, la piú ostica. È stato pazzesco, mai avrei pensato di riuscire a camminare su un filo tenendomi in equilibrio con una sola mano o di essere in grado di lanciarmi nel vuoto, perchè, pur sapendo di avere una corda legata in vita, essere appesi quasi al nulla a decine di metri d’altezza infonde un’adrenalina incredibile.
Dopo un pranzo improvvisato, ci siamo ritrovati al freddo e al gelo in una caverna sperduta dove la band ha continuato ad esercitarsi per l’esibizione finale che si terrá a Sydney. Dopo numerosi scatti ci siamo recati al prossimo albergo. Siamo rimasti tutti senza parole: qui ciascuno ha una camera immensa con due letti matrimoniali a testa!! Abbiamo passato la sera tutti insieme a cantare, suonare, bere e scherzare, pronti per le avventure che avremmo vissuto il giorno successivo.
Nonostante il freddo a cui non eravamo decisamente preparati, ci siamo svegliati con un sole cristallino. Con la truope di videomaker e fotografi ci siamo recati al Blue Mountains National Park dove abbiamo osservato nel loro ambiente naturale canguri, cavalli e pavoni. Successivamente siamo andati allo “Scenic World” che prevede una serie di tragitti in una vallata panoramica mozzafiato. Abbiamo prima preso una cabinovia, a 270 metri d’altezza, dove abbiamo visto le cascate di Katoomba alte 240 metri, immerse nella foresta pluviale. Poi è stata la volta di provare la ferrovia panoramica con un’enorme pendenza che ci ha fatto trattenere il fiato per qualche istante. Il tour si è concluso con una passeggiata nel verde e una visita ad un’antica miniera. All’orizzonte sono comparse le cosidette “Tre sorelle”, tre immense pietre simmetriche antichissime.
Dopo una cioccolata calda presa sulla via del ritorno, alle ore 18:00 avremmo dovuto presentarci a cena (orario improponibile!), ma io e un’amica francese abbiamo preferito recarci nella spa e trascorrere due ore in una jacuzzi a 34 gradi centigradi…quale modo migliore per concludere una giornata giá grandiosa e rilassarsi prima di tornare nell’incredibile Sydney?

Senza uguaglianza ci perdono tutti, anche i privilegiati

Il libro “Disuguaglianze. Quante sono, come combatterle”, degli economisti Maurizio Franzini e Mario Pianta (Laterza, 2016), presentato recentemente alla Biblioteca Ariostea di Ferrara per iniziativa di Istituto Gramsci, Istituto di Storia contemporanea e Spi-Cgil, richiama l’attenzione su un problema certamente non nuovo, ma sempre più grave. È sconcertante sapere che oggi la ricchezza posseduta dall’1 per cento più ricco della popolazione mondiale è uguale a quella del restante 99% dell’umanità (Oxfam, 2015), ma questa è solo la dimostrazione più clamorosa di una palese ingiustizia.

I fattori sono tanti, come dimostrano con dovizia di esempi Franzini e Pianta: da quelli macroeconomici – i rapporti tra gli Stati – a quelli, per citare Gramsci, molecolari, che riguardano i rapporti tra le persone. Fattori riassumibili in quattro grandi cause : il crescente potere del capitale sul lavoro, l’affermarsi di un capitalismo oligarchico; l’individualizzazione nei rapporti di lavoro e la concorrenza tra lavoratori; l’arretramento della politica sul fronte della riduzione delle disuguaglianze.
Oggi un mare di dati smentisce l’assunto del pensiero dominante secondo cui la disuguaglianza economica è la condizione necessaria per raggiungere gli obiettivi della crescita e dell’efficienza di mercato. Cito dal libro di Franzini e Pianta: l’Ocse, nel 2015, ha scritto in un suo rapporto che “la crescente disuguaglianza è un male per la crescita a lungo termine”, raccomandando i governi a comportarsi di conseguenza. Il Fondo monetario internazionale, in un recente studio, ripropone questa tesi, affermando che “la redistribuzione (della ricchezza, ndr) appare generalmente benigna in termini di impatto sulla crescita”.

In poche parole, se una massa enorme di persone non ha di che vivere o vive male, quale mercato può mai essere alimentato? Quale produzione umana potrà mai essere incentivata? E, se ci spostassimo ai rapporti tra gli Stati, se una notevole parte di essi è economicamente sfavorita negli scambi, quale crescita può mai essere conseguita? Dunque, la diseguaglianza è un potente fattore di destabilizzazione economica, sociale, culturale. Sì, perché le sue conseguenze investono tutta intera la nostra vita. Se sei povero, mangi male, non puoi istruirti, né curarti, non puoi aspirare ad avere una famiglia, né una casa ed un lavoro dignitosi: sei in balia dei flutti dell’esistenza, di regole dettate da altri, in una società dove prosperano pochi privilegiati. Questo è un primo, fondamentale punto fermo ideale per chiunque non tolleri la disuguaglianza. E ciò richiama alla mente quale soggetto possa oggi efficacemente contrastare lo stato di cose esistente e battersi per ottenere cambiamenti, anche parziali. Senza farsi illusioni, poiché parliamo di una sfida mondiale, che la finanziarizzazione del capitale ha reso assai difficile per chi vuole sedersi dalla parte del torto, per dirla con Brecht. Penso che ridurre al massimo possibile la disuguaglianza possa e debba ancor più, nei suoi vari aspetti, diventare una permanente rivendicazione di movimenti e di parti importanti della società.

Non parlo, per stare in Italia, dei partiti politici che stanno dominando la scena: li vedo incapaci di assumere questa responsabilità. Parlo invece, e per esempio, del sindacato (in particolare della Cgil) che a livello nazionale (ed europeo) dovrebbe fare della costante lotta alla disuguaglianza e della forte richiesta di politiche economiche riparatrici nei confronti della parte più debole della società uno dei baluardi della propria azione, ora e per i prossimi anni.

LETTERATURA – Integralismo, aria irrespirabile e “donne-incubatrici”:
il romanzo della Atwood è già realtà?

Sbarre, guardiani, pungoli elettrici, torture, esemplari esecuzioni quotidiane in pubblica piazza, brutali linciaggi, misteriose sparizioni. Quello che emerge dal romanzo ‘Il racconto dell’Ancella’ di Margaret Atwood è uno scenario spettrale che conduce a un crescente disagio, un’inquietudine che diventa a volte orrore. Siamo in pieno day after di una catastrofe ambientale che ha lasciato come eredità aria tossica, sostanze chimiche e radiazioni, imponendo all’umanità un nuovo stile di vita e ricreando un mondo dove tutto è severamente controllato e blindato.

La Costituzione è stata abolita, il vecchio governo sterminato, le libertà di pensiero, parola, stampa ed azione sono state soppresse e la censura interviene e punisce incessantemente come una gigantesca macchina che fagocita ogni tentativo di resistenza. Spie e delatori competono per arrogarsi angoli e spazi di favori e vantaggi mentre la gente comune è costretta ad assoggettarsi alle regole e ai dettami restrittivi richiesti, pena la morte. Il richiamo all’ortodossia religiosa che sfocia nel più violento integralismo e fanatismo, è il primo precetto al quale si ispira il nuovo governo e la prima regola di vita vincolante per tutti.

Gli uomini assolvono con efficienza il compito di comando e decisione per garantire la sopravvivenza, le donne giovani assurgono al ruolo di incubatrici, gelidi contenitori di nascituri che costituiranno le generazioni future e garantiranno la continuazione della specie. Coloro che non rispondono ai canoni imposti, diventano le vittime del sistema, le Nondonne, inviate nelle Colonie e adibite alla rimozione delle scorie radioattive, i Nonbambini, rimossi sbrigativamente da questa vita. Un’immagine di società ancora più terribile di quella malata e corrotta che l’ha preceduta e fa rimpiangere ciò che è stato, anche le false sicurezze e il permissivismo eccessivo di prima.

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Prolifera la borsa nera di ogni tipo e genere come molte altre pratiche, ma tutto deve rimanere rigorosamente segreto per non intaccare l’immagine integra del nuovo assetto sociale, fatto di rigore spartano, parsimonia, uso e consumo del minimo richiesto, rimozione di tutto ciò che richiami al passato. Gli individui si aggirano come fantasmi completamente spersonalizzati in un contesto urbano dalle tinte fosche, stravolto nella storia e nelle radici più profonde, dove i rapporti diventano bisbigli, supposizioni, segreti insondabili, parole non dette, movimenti sotterranei misteriosi. Per le strade vagano strane figure infagottate in tuniche dai diversi colori: rosso sangue per le Ancelle, poco più che schiave, destinate alla procreazione, azzurro per le Mogli che mantengono una loro presenza ufficiale, divise severe per i Comandanti, il grigio destinato alle ‘zie’, che educano e controllano le giovani donne e così via, ad ogni colore corrisponde tristemente un ruolo preciso nel nuovo mondo severamente gerarchizzato.

Margaret Atwood, attiva scrittrice canadese, scriveva di questo trent’anni fa, nel romanzo ‘Il racconto dell’Ancella’, suscitando estremo interesse e sgomento. Così visionaria e anticipatrice, da essere immediatamente accostata a George Orwell nel suo famoso ‘1984’, così intuitiva da preconizzare fatti e tempi che noi, nel nostro adesso, conosciamo molto bene. Nel diario dell’Ancella Difred, riconosciamo fatti, eventi, possibilità, paure, minacce, sospetti e prospettive future che ci sono familiari perché appartengono drammaticamente alla storia dei nostri giorni. Margaret Atwood è molto più di una scrittrice di fantascienza: è un’attenta analista di tempi e tendenze, una penna sferzante che traccia con forza il ritratto di una società che, in molti aspetti e in qualche angolo di mondo, sta già delineandosi brutalmente. ‘Barbarizzazione’, l’ha definita qualcuno, un ritorno ad un medioevo oscurantista che toglie luce e ossigeno a tante conquiste e tanto progresso.

Un romanzo incalzante che non lascia tregua, quello della Atwood, che crea un senso di oppressione ma allo stesso tempo genera una grande curiosità nel lettore che desidera capire, sapere, arrivare all’epilogo di una storia così attanagliante, quasi ne andasse del suo stesso futuro. E l’autrice, molto generosamente, permette di intravvedere uno spiraglio di speranza e svolta, nonostante tutto, lasciando al lettore il compito e la responsabilità di trovare un finale possibile e sostenibile.

MUSICA – ‘Piccolo e malato’, il nuovo ep di LinFante, l’artista underground italiano

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“Lì dentro ci sono tutti i miei vent’anni” : Stefano LinFante racconta il suo nuovo EP. Autore di quello che è stato considerato il terzo miglior disco italiano del 2014 dalla rivista Indie Italy, LinFante torna alla carica con “Piccolo e Malato”: disco dalle sonorità graffianti, scarne e sincere, “Piccolo e Malato” oltre a naturale proseguimento dell’album “Non Mi Piace Niente” ne è anche una valida conferma dal punto di vista artistico.

Sappiamo vita, morte e miracoli di tantissimi musicisti mainstream; più raro è invece potere aprire una finestra sulla vita dei tanti artisti underground, spesso altrettanto validi e interessanti, che popolano lo scenario musicale italiano. Qualche parola su LinFante.
Sono nato a Cremona, per puro caso, quando mio padre trovò lavoro in una scuola come insegnate di matematica e decise di stabilirsi in quella città con mia madre. Nacquero prima i miei due fratelli, ed infine io. Ho sempre avvertito forte la mancanza di radici, che da sempre in me si è fatta arte. Sono cresciuto ascoltando Beatles, Dalla e Battisti nei lunghi viaggi in macchina che portavano me e la mia famiglia in Belgio o in Puglia, i luoghi dove si trovavano i miei parenti lontani. Da adolescente scoprii il grunge e da lì cambiò tutto. Avevo capito che la mia strada era la musica, attraverso cui potevo urlare in faccia a tutti il mio disagio. Devo dire che non sono cambiato molto.

Ascoltando le tracce audio si ha l’impressione che queste siano collegate da un “filo rosso”, con al centro le esperienze di vita personali. Può trattarsi di un “Concept EP”?
Sì, in qualche modo lo è. Lo stato d’animo con cui ho composto queste canzoni, anche se non provocato dalla medesima situazione, fa sì che abbiano un sapore simile. Di certo anche perché sono state scritte negli stessi anni, forse negli stessi mesi. Il filo rosso potrebbe essere l’amaro in bocca per la fine di una storia d’amore, con tutte le conseguenze che essa genera: il sentirsi abbandonati, inadeguati, sbagliati.

Si tratta comunque di brani non di recente composizione, che momento della tua vita rappresentano e cosa ti ha portato a ripercorrere quei sentieri?
Rappresentano l’affacciarsi alla maturità, quel momento della vita in cui te ne sei andato di casa e ci ritorni solo per salutare ogni tanto i tuoi vecchi amici. Storie d’amore in bilico tra vecchia e nuova vita. Delusioni che ti soffocano e ti fanno dire che non starai mai più bene. Sono molto affezionato a queste canzoni, lì dentro ci sono tutti i miei vent’anni. Per questo ho deciso di registrarle, chiamando con me in studio gli amici e musicisti con cui le ho sempre suonate dal vivo, in cantina, in sala prove: Le Jacobin de La Scapigliatura, col quale ho un progetto musicale che si chiama “Il Re dei Boschi”, e Andrea e Muke dei Sydrojé, la mia band.

In tutti e 5 i pezzi appare costante la presenza della figura femminile, causa, ma spesso anche soluzione, dei dolori d’animo dell’Autore. Vedi la donna come musa ispiratrice o come causa di innumerevoli tempeste sentimentali?
Entrambe le cose. La figura femminile ha sempre rappresentato per me motivo di turbamento, nel bene e nel male. Grandi passioni e grandi delusioni, fino alla depressione.

Cosa ti ha portato a trasferirti per alcuni anni in Spagna e cosa ti ha spinto a ritornare? L’esperienza spagnola ha condizionato la tua vita artistica?
La scusa era lo studio, la realtà la voglia di nuove esperienze. I periodi più belli della mia vita li ho trascorsi vivendo a Barcellona e a Madrid. A Barcellona ho trovato inaspettatamente spazio per la mia musica, riuscendo a confrontarmi con tanti musicisti e nuovi pubblici. Girando la Spagna con la mia chitarra sono cresciuto molto. Sono tornato in Italia solo perché volevo finire l’università. Poi ho trovato un lavoro che mi permette di stare a Roma, città che amo. Ma chiaramente non escludo la possibilità di andarmene di nuovo. Certo, scrivo e canto in italiano, ci tengo molto, e soltanto in Italia posso pretendere che questo aspetto venga valorizzato. Ma non è detto che il mio futuro abbia al centro la musica. Ho molte passioni e aspirazioni.

L’arrangiamento delle canzoni è semplice ed efficace, con una chitarra acustica preponderante, come nascono le canzoni di LinFante?
Nascono tutte sulle corde della mia chitarra. A casa mia, sul divano, sul letto, a partire da una parola, un’idea, un sentimento. Suono fino a che la combinazione degli accordi non mi convince e non inizia a venirmi spontanea una melodia che mi piace. Il testo, di solito, lo scrivo alla fine, anche se alcune parole mi si fissano in testa fin dall’inizio. Siamo in una fase di grande cambiamento per quanto riguarda il mercato musicale: se da un lato siamo invasi dalla musica liquida, salvata in grandissime quantità in memorie miniaturizzate o addirittura on line su piattaforme come Spotify, dall’altro lato, soprattutto da parte dei giovani, sembra esserci una disaffezione per quanto riguarda la musica dal vivo, in particolare per quella non di massa.

Hai notato questa cosa anche nei tuoi concerti? Pensi che tutta questa disponibilità di musica sia un bene o sia un male?
È effettivamente difficile trovare giovani curiosi che vanno ad ascoltarsi band o cantautori sconosciuti nei piccoli locali, e quando ne incontro qualcuno mi fa sempre molto piacere. Questa grande disponibilità di musica è sicuramente un bene per l’ascoltatore, un po’ meno per chi suona, che trova più difficoltà a emergere e a sopravvivere. Ad ogni modo, quello che conta per me è che sia la musica a vincere, non il mercato.

Vorrei infine sapere quali sono i tuoi progetti futuri e se avremo la possibilità di ascoltarti dalle nostre parti.
Ho molte idee per la testa, a incominciare da un nuovo disco, questa volta di canzoni scritte negli ultimi mesi e che rappresentano come mi sento ora, alla soglia dei trent’anni. Mi piacerebbe tantissimo suonare dalle vostre parti… anzi se hai qualche posto da consigliarmi…

Se capita l’occasione molto volentieri! Per ora ti ringrazio molto per la chiacchierata e ti faccio un in bocca al lupo per il futuro! A presto!
Grazie a te, è stato un vero piacere! Ci vediamo!

IL FATTO
Diritto di copiare? Gli studenti dicono “no”: una scuola più difficile apre più porte

Qualche giorno fa un gruppo di studenti dell’Università di Bologna si è riunito in assemblea per discutere la dichiarazione pubblica di un professore tesa a stigmatizzare la pratica del plagio tra i docenti. La dichiarazione suonava più o meno così: “poiché troppi docenti copiano e non vengono sanzionati, da oggi non prenderò alcun provvedimento se sorprenderò i miei studenti a copiare durante un esame”.Un invito generale a infrangere le regole motivato con l’incapacità dell’Ateneo di farle rispettare ai docenti. Gli studenti, invece, hanno votato a larghissima maggioranza contro il “diritto di copiare”. Mi sembra una bella lezione a quanti sono tentati di rispondere ad una cattiva pratica con il diritto ad un’ulteriore generalizzazione della stessa. Una buona notizia: ci sono giovani a favore del rispetto delle regole e che non assumono i vizi altrui, come è frequente tra gli adulti, a giustificazione delle proprie mancanze.

Questa notizia segnala qualcosa di ancor più importante in un tempo in cui l’accesso al lavoro, insidiato da cambiamenti epocali, è sempre più problematico. Comincia a diffondersi la consapevolezza che la qualità dell’istruzione sia ancora più importante in un mercato del lavoro in forte mutamento e che, insieme all’istruzione, contano un insieme di requisiti che un giovane matura con le proprie scelte di vita. Come è noto, sulla probabilità di ottenere una buona occupazione, oltre al titolo di studio, incide il fatto di conoscere perfettamente le lingue e l’avere svolto un tirocinio o un periodo di stage preferibilmente all’estero. Conta anche la disponibilità a lavorare fuori dall’Italia e in generale la possibilità di dimostrare di avere impiegato proficuamente il tempo durante l’università.

Tutto ciò è ormai noto da anni e conforta verificare che gli studenti (almeno i migliori) questo chiedono: una buona formazione, non piccoli escamotage per studiare meno, non solo diritti, ma doveri. Chi frequenta gli studenti universitari verifica quotidianamente che almeno una parte di loro chiede di essere messa alla prova ed è consapevole che un esame difficile rappresenta una chance per aspirare ad un lavoro migliore.

Questa vicenda può essere l’occasione per ragionare sulla necessità di superare un approccio (duro a morire) che confonde il diritto a pari opportunità di accesso ai livelli più elevati di istruzione con una scuola facile, fatta di poche verifiche e di voti minimi garantiti. Nella risposta degli studenti in questione emerge la consapevolezza che la possibilità di una laurea facile non rappresenta un vantaggio per loro, ma si traduce in una discriminazione ulteriore verso coloro che partono da una posizione di svantaggio sociale. Una scuola facile contribuisce a incrementare le disuguaglianze sociali. Coloro che hanno possibilità economiche frequentano le migliori università, che spesso sono private e possono accedere a costosi master negli Stati Uniti o in Inghilterra. La cosiddetta generazione del diritto allo studio, che negli anni Settanta si batteva per l’accesso di massa all’istruzione, si confrontava con un tempo in cui di lavoro ce n’era tanto e ciascun laureato ne avrebbe trovato uno, probabilmente a vita, nel pubblico impiego.

Oggi non è più così: l’effetto congiunto dell’innovazione tecnologica e della globalizzazione convergono nel rendere più dicotomico il mercato del lavoro: da un lato si trovano i giovani dotati di competenze e dall’altro quelli destinati ad attività marginali e di basso profilo. Non ci saranno diritti in grado di contrastare questo esito. Per questo una scuola difficile è una scuola più egualitaria, perché consente a coloro che intendono impegnarsi, di sfidare coloro che hanno una strada già spianata dai privilegi familiari.

Maura Franchi insegna Sociologia dei Consumi presso il Dipartimento di Economia di Parma. Studia le tendenze e i mutamenti sociali indotti dalla rete nello spazio pubblico e nella vita quotidiana.

L’EVENTO
A Bologna torna ‘H2O’, la fiera europea sull’acqua

Dal 19 al 21 ottobre a Bologna ci sarà H2O. E’ la manifestazione di riferimento del settore idrico perché ospita figure di rilievo nazionale e internazionale e le maggiori aziende del settore, perché stimola il confronto e la condivisione tra professionisti, perché promuove la formazione e l’informazione, grazie a un intenso programma di convegni. Un evento da non perdere per creare opportunità di business e per aggiornarsi sulle innovazioni di oggi e le tecnologie di domani in termini di efficienza idrica.
Nella rubrica “ecologicamente” in questi due anni ho scritto molto sull’acqua e questa è una occasione per approfondire meglio questi temi.
In Italia purtroppo il deficit impiantistico è ancora rilevante:
• il 4% della popolazione è ancora priva di impianti acquedottistici adeguati
• il 30% della popolazione non dispone di impianti di fognatura e depurazione adeguati

Attualmente, l’ammontare degli investimenti nel servizio idrico è di 1,5 miliardi di euro, ma per il miglioramento del servizio, la tutela della salute pubblica e la salvaguardia dell’ambiente sono necessari almeno 65 miliardi di euro nei prossimi 30 anni.
Per questo l’anno in corso è uno dei più rilevanti per il settore idrico in Italia; è stata definito il nuovo metodo tariffario; è stata definita la convenzione tipo per l’affidamento e la gestione del servizio idrico integrato; l’autorità di vigilanza ha impostato un nuovo quadro regolatorio per agevolare lo sviluppo di un settore che soffre una significativa carenza infrastrutturale. Questo sta determinando le condizioni per importanti investimenti che saranno effettuati dai gestori dei servizi idrici.

La necessità di puntare su innovazione tecnologica e sviluppo delle infrastrutture per l’adeguamento del servizio a standard ottimali di qualità e la necessità di mantenere una regolazione forte a livello nazionale con un fattivo supporto locale saranno tra i temi principali della iniziativa fieristica H20 che anche in quest’edizione sarà accompagnata da un articolato programma di convegni e seminari tecnici con relatori di rilievo internazionale.
Importanti contributi sono attesi anche dal mondo universitario e degli istituti di ricerca con tematiche che variano dalle tecniche di ricerca perdite (da quelle basate sul controllo delle pressioni, alle tecniche basate su misure di portata e pressione in diversi nodi della rete), alle metodiche di approvvigionamento idrico in condizioni di scarsità di risorsa, alle modalità per caratterizzare la sostenibilità di particolari forme di approvvigionamento e alle più recenti strategie di intervento per la gestione delle acque di prima pioggia, passando in rassegna sia gli aspetti scientifici che tecnologici relativi al monitoraggio, al controllo del loro impatto mediante invasi e alle metodologie di trattamento.

Altri contributi importanti arriveranno da società di ricerca sul tema delle performance e strategie delle water utility italiane e sul confronto sulle possibili vie alla crescita delle dimensioni delle gestioni del servizio anche grazie a presentazione di esperienze e best practices.
Ma una eccellenza è la parte convegnistica internazionale con la Conferenza IWA WaterIDEAS 2016 in collaborazione con l’International Water Association (IWA),perchè riunirà gli esperti di tutto il mondo, le tecnologie più innovative, i più recenti progetti di ricerca finanziati dalla Commissione Europea e dalle Università. Un focus speciale è riservato alle nuove tecnologie nel settore ICT, smart metering, gestione delle perdite, telemetria-monitoraggio, modellazione e regolazione ed ottimizzazione dell’uso dell’acqua.

Per questo H20 è tra le principali rassegne specialistiche a livello europeo per il settore dei servizi idrici. Grazie ad una rinnovata e più articolata visione strategica, l’edizione 2016 si posiziona come il luogo in cui trovare, attraverso i percorsi Urban, Industry e CH4, risposte per gli operatori alla ricerca di informazioni, soluzioni e tecnologie in settori di alta complessità.
Scusate per il taglio promozionale, ma come coordinatore scientifico ci lavoro da tanto tempo e mi farebbe piacere incontrarvi tra i padiglioni.

Dalla famiglia alle famiglie: fenomenologia di una mutazione in atto

di Cecilia Sorpilli

Non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore per tutti […] La famiglia di oggi non è né più né meno perfetta di quella di una volta: è diversa, perché le circostanze sono diverse.

Èmile Durkeim

Unioni civili, famiglie ‘allargatissime’ o ‘ristrettissime’, coppie miste, divorzi che diventano guerre all’ultimo sangue, convivenze brevi o a lungo termine. La famiglia sta scomparendo? Anche le fiction della tv, ‘I Cesaroni’ o ‘Un medico in famiglia’, tanto per citarne alcune, ci mostrano un modello di famiglia molto distante da quello a cui siamo sempre abituati a pensare e alcuni, soprattutto i più nostalgici, potrebbero concludere che la famiglia non esista più. Niente di più sbagliato! Semplicemente il concetto di famiglia sta evolvendo e mutando come evolve e muta la società.
Anna Laura Zanatta, docente di Sociologia della famiglia presso l’Università La Sapienza di Roma, autrice di numerosi saggi sul tema, sostiene che vi sia una scissione tra strutture e relazioni familiari e che la famiglia, nella vita individuale, tenda a passare sempre più da esperienza totale e permanente in esperienza parziale e transitoria. Per questo, nel libro ‘Le nuove famiglie’, afferma: “possiamo vedere l’instabilità familiare come uno degli aspetti dell’instabilità dell’intera società di oggi, definita da autorevoli sociologi come società del rischio o società dell’incertezza”.

Notare che oggi si parla sempre più di famiglie e non di famiglia al singolare perché emerge una molteplicità dei modi di vivere insieme e di esperienze relazionali che l’individuo può sperimentare nel corso della propria esistenza. L’uso del plurale ‘famiglie’ chiarisce che non vi è in atto una dissoluzione o crisi irreversibile, ma una trasformazione.
Nel passato la famiglia non era immune da instabilità, ma tale instabilità era causata da eventi ineluttabili o involontari, come un lutto, che non mettevano in discussione il matrimonio come istituzione. Oggi invece il moltiplicarsi delle forme familiari e l’instabilità che spesso le caratterizza sono originate da scelte volontarie dei soggetti, a livello individuale o di coppia, come la scelta di separarsi e ricostruirsi una vita fuori dal matrimonio.

Numerosi autori oggi cercano di indagare gli elementi economici, sociali, culturali, che contribuiscono a mettere in discussione il modello tradizionale di famiglia nucleare e che allo stesso tempo spiegano l’emergere delle nuove forme familiari. Maria Caterina Federici, professore ordinario di Sociologia all’Università di Perugia, afferma che sul mutamento della famiglia influisce la trasformazione delle “morfologie abitative” che permette alla coppia di essere autonoma e indipendente dalla famiglia di origine sia perché sceglie di vivere in altro luogo, sia per le abitudini e la cultura che costruisce per il nucleo formato. Secondo Piergiorgio Sensi, filosofo e docente di Teologia Morale Fondamentale presso la Scuola diocesana di Teologia ‘Leone XIII’ di Perugia, nell’epoca attuale, definita ‘modernità liquida’ da Zygmunt Baumann, anche i rapporti tra i sessi assumono la caratteristica della liquidità fuggendo dal consolidamento, dall’assumersi un impegno e una responsabilità nel lungo periodo. Inoltre l’inserimento della donna nel mondo del lavoro comporta che le madri abbiano meno tempo da dedicare ai figli e che, spesso, il padre non riesca a supplire sia temporalmente che affettivamente al vuoto generato dall’assenza della madre. Questo porta le famiglie a rivolgersi sempre più spesso ad agenzie formative extradomestiche a cui i genitori finiscono per delegare molti dei loro oneri educativi. Infatti Luigi Pati, preside della facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, afferma che “si assiste ad un depotenziamento socio educativo della famiglia che ha creato una vera e propria dipendenza dai cosiddetti ‘esperti’, incaricati di risolvere qualsiasi problema”.

Accertato che la famiglia non corre il rischio dell’estinzione constatiamo semplicemente una mutazione. Non a caso Alessandra Gigli, ricercatrice in Pedagogia generale e sociale e docente di Pedagogia delle famiglie, Pedagogia generale e sociale e Pedagogia della comunicazione e della gestione dei conflitti presso la Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione Università di Bologna, intitola il proprio volume ‘Famiglie mutanti’. La mutazione di cui parla Gigli racchiude in sé una pluralizzazione delle forme familiari che non per forza deve essere visto come elemento negativo. Vanna Iori, Professore Ordinario di Pedagogia Generale e sociale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nel libro ‘Separazioni e nuove famiglie: l’educazione dei figli’, afferma che “l’universo familiare assume sempre più l’aspetto di una ‘costellazione di famiglie’ eterogenee nella composizione, nella tipologia, nei vincoli relazionali, nei fini e nei modi dell’educazione dei figli”.

La frammentazione che connota oggi le famiglie italiane non crea solo una differenziazione e moltiplicazione delle strutture, ma anche dei bisogni, degli stili di vita, dei consumi, dei rapporti con il sistema di welfare e con il mondo del lavoro. Per comprendere al meglio struttura, funzionamento, criticità e risorse della famiglia odierna è opportuno focalizzare l’attenzione sulle principali tipologie in cui essa si estrinseca: famiglie ricostituite, monogenitoriali, ricongiunte, famiglie di fatto, coppie miste.

Nelle prossime settimane verrà dedicato un articolo di approfondimento ad ogni tipologia familiare per comprendere al meglio peculiarità, punti di forza e di criticità delle diverse costellazioni che compongono l’universo famiglia.

Eleonora Rossi, insegnante e giornalista, scelta da Mogol per scrivere in musica

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Ho avuto il piacere di essere tenuta a battesimo da Eleonora Rossi: un battesimo giornalistico dato che con lei ho condotto la mia prima intervista. Le domande di rito hanno però presto lasciato spazio ad una conversazione libera da formalismi, dove il tema della morte e della rinascita, della poesia e della musica l’hanno fatta da padrona.
Eleonora Rossi, ferrarese, insegnante e giornalista, grazie alla poesia ‘Gli occhi non muoiono’ lo scorso 22 aprile, è arrivata prima al concorso ‘Scuola autori di Mogol’, organizzato da Aletti editore. L’autrice avrà l’opportunità di frequentare la scuola del maestro Mogol in Umbria grazie alla borsa di studio assegnata al vincitore.
Ed è proprio dal racconto di questa vittoria che prende avvio la nostra chiacchierata.

Come è iniziata l’avventura che ti ha portato a vincere il concorso ?
Sono felice. Mi sembra di aver vinto alla lotteria: avevo smesso di credere alle favole. Nel febbraio 2014 ho vinto un concorso di poesie indetto dalla casa editrice Aletti. Ad Aprile ho avuto notizia di essere tra i sessanta finalisti del concorso “ Scuola autori di Mogol”. Il 21 aprile abbiamo partecipato ad una maratona di poesia, durata oltre tre ore, durante la quale i nostri testi sono stati letti da attori. Il giorno dopo, noi dieci finalisti, abbiamo avuto la fortuna di conoscere Mogol e poter leggere noi stessi le nostre opere.

Sono curiosa: come è Mogol?
Un uomo gentile, naturale e spontaneo. Ci ha invitato ad essere semplici, ad essere noi stessi. “Le parole sono come il whisky, non vanno annacquate”, gli piaceva ripetere. Ero molto felice di aver avuto modo di leggere la mia poesia davanti a lui, mi bastava così.

E invece hai vinto. Come hai avuto notizia della vittoria?
Noi dieci finalisti avevamo dei componimenti molto vari: testi rap, poesie molto complesse ed elaborate. Mogol, al termine della serata, ci ha comunicato che gli serviva tempo per decidere, perciò sono tornata a casa convinta che l’avventura fosse terminata lì. Io ho partecipato al concorso con la poesia “ Gli occhi non muoiono”, dedicata a mio padre. In genere non uso il termine poesia, mi sembra troppo pretenzioso, preferisco parole. Non pensavo che un testo così semplice e diretto, potesse vincere su altri componimenti più elaborati. Invece il 30 aprile ricevo un messaggio di complimenti da parte di uno dei finalisti, poi la notizia è stata resa ufficiale dalla stessa casa editrice. Non riuscivo a crederci.

Mi hai detto che la poesia “Gli occhi non muoiono” è dedicata a tuo padre. Cosa ti ha ispirato?
Sembra incredibile da raccontare. Un fatto semplice di per sé, ma per me molto forte.
Un pomeriggio, mentre mio figlio era intento a disegnare, mi ha guardato ed in una frazione di secondo ho visto, nei suoi occhi, lo sguardo di mio padre, venuto a mancare alcuni anni prima. Siamo rimasti a guardarci per un tempo breve, che mi è sembrato lunghissimo, passato il quale sono rimasta stupita da quanto appena successo. Ecco spiegato il titolo. Mio figlio è nato esattamente un anno dopo la morte di mio padre, la rinascita della vita un anno dopo che si era celebrata la morte. Sono segni a cui credo.

Ti capisco. Io stessa sono molto sensibile al tema della rinascita, dei nuovi inizi dopo momenti di difficoltà…
Il mio libro “Le sette vite di Penelope”, da cui è tratta la poesia vincitrice, parla proprio di questo tema. Nella mia dedica iniziale infatti scrivo “Dedico queste parole a chi mi ha fatto nascere. E rinascere”.
Ci sono stati nella mia vita, come in quella di tutti, dei momenti difficili, ma la penna è sempre rimasta al mio fianco, mi ha aiutato come una luce nel buio.

Facciamo un passo indietro. Vorrei sapere come è nata questa tua passione per i libri e la poesia
Questa passione è nata in famiglia, coltivata da mia madre che ci leggeva sempre le poesie di Pascoli. Ho sempre amato scrivere e ricordo con affetto la mia maestra elementare che mi invogliava a coltivare questa mia passione. Ho iniziato ad insegnare molto giovane, e contemporaneamente mi sono laureata in Lettere Moderne a Bologna, ma ho voluto continuare a scrivere collaborando negli anni con il Resto del Carlino e svolgendo la professione di addetto stampa per una importante azienda ferrarese. Vinto il concorso da insegnante, ho scelto di dedicarmi completamente a questa professione, poi ho conosciuto Gianna Mancini, presidentessa dell’Associazione “Gruppo Scrittori Ferraresi” che per me, culturalmente parlando, è stata una mamma putativa. Non ho mai quindi abbandonato la voglia di scrivere.

Credo che Ferrara sia una città molto viva, culturalmente parlando. Cosa ne pensi?
Ferrara ha una sua vita culturale molto viva. Ci sono tantissime associazioni formate da persone che dedicano il proprio tempo libero alla promozione della cultura, a promuovere libri. Io stessa faccio parte dell’associazione “Gruppo del Tasso” e condividiamo il nostro amore per i libri organizzando degli incontri alla Biblioteca Ariostea. Giovedì 13 alle 17, per esempio, abbiamo presentato il libro “ Il Battello Scalzo”, una raccolta di racconti inediti per ragazzi.

Parlando di emozione: con che stato d’animo affronti questa nuova avventura?
Sono entusiasta, è un nuovo orizzonte di luce. Ho voglia di imparare cose nuove, di viaggiare. A settembre, dopo molte riflessioni, mi sono decisa a prendere un anno sabbatico dalla scuola. Avevo la necessità di tornare a dedicarmi alla scrittura a tempo pieno, a far riemergere parti di me che avevo dovuto accantonare perché presa da tanti impegni.

Vorrei mi lasciassi con un verso di una tua poesia che possa sintetizzare ciò che stai vivendo in questo momento
Non so…Non sono mai stata a così stretto contatto con la musica, però penso che la musica metta le ali alle parole. Amo la poesia perché fatta anche di spazi bianchi, di pause. Amo l’idea che, grazie alla musica, le parole non muoiano chiuse in un libro ma possano volare e raggiungere persone diverse in diverse situazioni. Una rinascita anche per loro. Scusa, ho parlato a ruota libera ma non ho citato nessun mio verso.

Evidentemente era necessario poter esprimere questo flusso di parole in libertà…
In genere non mi piace fantasticare troppo nel futuro, ma frequentando la scuola autori di Mogol mi piacerebbe dare forma ai sogni.

‘Avanti il prossimo’, la prostituzione raccontata da Giovanna De Simone, operatrice del Centro Donne e Giustizia

di Eleonora Rossi

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Avanti il prossimo. Il prossimo utente, la prossima prostituta, il prossimo cliente. Avanti il prossimo destino. Arrampicato su marciapiedi, su permessi di soggiorno, su giorni instabili, spesso beffardi. “Avanti il prossimo. Storie di ordinaria prostituzione”, biancaevolta edizioni, 2016, opera prima di Giovanna De Simone, è stato accolto con favore di critica e pubblico ed è già alla seconda ristampa. Un libro scomodo, sorprendente, necessario. Per leggere con occhi disincantati una realtà che appartiene a tutti, ma che molti preferiscono non vedere. La lama che rende questo libro tagliente (e unico) è l’ironia: l’autrice sa raccontare con un sorriso (seppure a denti stretti) le contraddizioni del sistema italiano: sfruttamento, droga, prostituzione. Compromesso.

“La contraddizione è il fulcro dell’intero lavoro, niente è come sembra”. Mentre mi parla Giovanna accartoccia e sbriciola la carta stagnola del cioccolatino, lasciandomi una miriade di minuscole palline luccicanti sul tavolo. Autoironica e diretta, sorride (e ride di gusto) e mi racconta la sua avventura letteraria. Decisa ma al tempo stesso riservata, l’autrice a tratti abbassa lo sguardo, nascondendolo dietro le piccole lenti rettangolari. Disinvolta e disinibita sempre, invece, la sua scrittura. Classe 1971, Giovanna De Simone opera da 10 anni al Centro Donna Giustizia di Ferrara. Come lei Tina, la protagonista del libro, lavora in un centro di accoglienza per donne vittime di tratta e di violenza. Lavorando a contatto diretto con la disperazione e l’estremo disagio, per evitare di rimanerne sopraffatta, la protagonista è stata capace di costruire tra sé e le sue utenti un muro di efficienza, professionalità e vestiti griffati; allo stesso modo Tina gestisce marito e figlio. Un giorno arriva Blessing, prostituta, nigeriana, clandestina. L’incontro fra le due donne è l’inizio di una nuova storia: struggente, sarcastica, vera. Faccia a faccia con i ruoli, con le maschere, con i sensi di colpa che da sempre segregano l’universo femminile. Lungo la strada, sia Tina che Blessing riescono a togliersi di dosso le etichette (prostituta, moglie, clandestina, donna), per riprendersi finalmente la propria identità. Come il suo personaggio Tina, Giovanna De Simone non riesce a smettere di fumare ed è ferocemente spaventata dagli scarafaggi. Ha scritto un libro coraggioso, ma sul comodino staziona in maniera permanente una bomboletta di insetticida.

Partiamo dalla copertina del tuo libro, “rosa shocking”, femminile, su sfondo nero: esplicita, allusiva, eppure raffinata. Come è nata questa immagine?
Doveva essere fortemente legata al titolo del libro. Abbiamo impiegato un paio di mesi per elaborare quel titolo, scegliendo da una lista di oltre 50; per un’intera giornata io e l’editrice Antonietta Benedetti ci siamo chiuse nella saletta colloqui del Centro Donna Giustizia per fare la correzione delle bozze e decidere: è uscito infine Avanti il prossimo. Abbiamo abbozzato quindi uno schizzo per l’illustratore, Alessandro Di Sorbo, grafico di Roma. Sulla copertina volevamo evidenziare il ventre femminile, non solo l’apparato sessuale, simbolo dell’accoglienza in senso cattolico/solidale, accoglienza della nascita ma anche dell’utente. Il ventre come emblema della donna. Sullo sfondo di quel simbolo, una fila di uomini tutti uguali, indistinti, in una sorta di imbuto, creano visivamente il sesso femminile: la caratterizzazione della donna nell’immagine (mi è stato fatto notare) è data unicamente da questo elemento maschile.

La scia di uomini in coda traduce dunque il titolo “Avanti il prossimo”: chi è questo “prossimo”?
La parola ‘prossimo’ si riferisce sia al cliente e allo sfruttatore, sia alla vittima che chiede aiuto, un vero ‘prossimo’ in senso biblico. Anche nel titolo c’è questa dualità.

Avanti il prossimo fagocitato dal “sistema”, il prossimo reietto, la prossima lucciola che non splende. La trama rimanda esplicitamente alla tua professione: puoi spiegarci di che cosa ti occupi esattamente al Centro Donna Giustizia di via Terranuova 12b?
Principalmente il nostro lavoro si articola in tre 3 progetti: Uscire dalla violenza (rivolto alle vittime di violenza domestica); Oltre la strada ( dedicato alle vittime della tratta e della prostituzione); Luna Blu (un progetto di unità di strada a tutela del diritto alla salute delle sex workers). Lo scorso anno abbiamo accolto e seguito, tra i tre progetti, 278 donne.

Le due protagoniste del libro, Tina e Blessing, sono speculari. In un intrigante rovesciamento, si scopre che anche Tina – donna, madre , moglie – finisce per essere schiava di una società e di un ruolo che le viene imposto.
L’operatrice cerca di salvare una donna da un primo sfruttamento, ma la sua assistita passerà ad un nuovo sfruttamento lavorativo. Tina stessa poi si scopre schiava del giudizio dei maschi in una società che costringe ad essere sempre desiderabile, perfetta. Schiava anche a casa sua: Tina deve provvedere a tutto, dalle pulizie ai compiti, dalla palestra fino alle mutande del marito. Nel libro a un certo punto Tina protesta: “Che cosa ho conquistato io dopo tanti anni di lotte?!?”

Ci si può liberare di questa schiavitù?
Basta volerlo. Lo devono volere le donne, che spesso si accollano compiti, sono accondiscendenti e permettono che le ingiustizie avvengano. Sono loro che lo permettono. Sono io che lo permetto. La protagonista del libro a un certo punto cerca di cambiare il suo destino. L’unica soluzione per lei è uscire dalla scena. Molte persone reali si sono riviste nei tuoi personaggi e nelle situazioni che hai ricreato sulla carta. Qual è secondo te il rapporto tra letteratura e vita? La vita reale è la vetrina dalla quale scelgo le cose che mi servono, per trasformarle poi come vuole la storia. La stessa protagonista è una parte di quello che sono io, di quello che vorrei essere e di quello che non vorrei diventare. Dentro ci ho messo tutto, sogni e frustrazioni, le risposte che avrei voluto dare, le persone che avrei voluto essere.

Dunque la scrittura è una sorta di bacchetta magica che sublima o trasforma il reale?
Sì. Le situazioni sono volutamente esasperate, accentuate per evidenziare il lato comico. L’effetto è comunque realistico perché il libro muove da situazioni vissute, rilette però con ironia: un paio di occhiali che ti aiuta vedere situazioni che altrimenti non riusciremo a guardare, come gli stupri e lo sfruttamento.

Avevi in mente un destinatario quando hai iniziato a scrivere?
In principio me stessa e le mie colleghe. Scrivevo per cercare di trovare un lato comico (che c’è sempre) all’interno della nostra quotidianità sfibrante. Poi ho iniziato a pensare alle istituzioni che finanziano il Centro, per far capire a chi non ci conosce come si lavora e qual è il carico emotivo degli operatori. Andando avanti nella scrittura, scoprivo che il destinatario a cui pensavo era un pubblico sempre più vasto: tutti quelli che non conoscono il carico di disperazione di tutte le donne, anche italiane, che arrivano a bussare ad una porta per chiedere una mano. Che cosa rappresenta per te questo libro? Ti ha cambiata in qualche modo? È molto importante. È un sogno che si realizza. Un’editrice ha creduto nel mio lavoro e l’ha sostenuto. Tante persone mi hanno dato feedback positivi. Il libro ha suscitato molto interesse: quasi nessuno conosce il fenomeno della prostituzione, molti pensano che sia un reato, ma non lo è. Questo libro per me è un seme piantato.

Quanto tempo hai impiegato a scriverlo?
Due anni. Il primo anno ho scritto i racconti a puntate slegati (pubblicati su un blog), poi, su suggerimento della casa editrice, ho creato la trama di un romanzo più complesso, e ho unito con un filo rosso tutte le storie precedentemente raccontate.

Il libro è stato presentato alla Feltrinelli a Ferrara per la prima volta a maggio, poi al festival Estoria di Gorizia, Bologna, al Festival delle Culture in Romagna, a Internazionale; sei stata intervistata da reti televisive e il tuo libro è apparso su testate come Donna Moderna e Italia Oggi: come hai vissuto questi mesi di presentazioni e novità?
Le presentazioni mi emozionano molto, mi imbarazzano. A tu per tu riesco a dare risposte più “sensate”. Ho scritto un libro perché mi sento meglio quando resto dietro alle quinte. Che cosa significa per te scrivere? Chi sono i tuoi Autori? Scrivere è lo spazio per me. È la “stanza tutta per sé” di Virginia Woolf. Però non ho una stanza per me perché scrivo in cucina dalle dieci di sera in poi, quando vanno tutti a letto (ride). Tra i miei autori preferiti metto Paolo Nori, Giuseppe Culicchia, Bohumil Hrabal, John Irving, Doris Lessing.

Stai scrivendo qualcosa di nuovo? Ci puoi dare qualche anticipazione?
Sì, sto scrivendo. Ma ancora non so cosa devo scrivere… sono i personaggi che mi guidano nella storia.

A proposito di storia e di personaggi, torniamo a Tina, e a te: hai smesso di fumare?
No (sghignazza)… mi sono iscritta di nuovo al corso del Sert per smettere.

E gli scarafaggi? Ti fanno ancora paura?
Paura? Sono terrorizzata.

“Qualcuno sostiene che…”
Cronaca e manifesto di una felicità possibile

La corsa iniziò nel 1950 e allora sembrava ancora una tranquilla passeggiata; poi tutti iniziarono a camminare a passo spedito lungo una stessa direzione, alcuni più veloci altri più lenti. Dopo venti anni la corsa era diventata veloce e a qualcuno venne il dubbio che la direzione non fosse quella giusta; alcuni pensarono bene di rallentare, fermarsi o cambiare direzione.
Dopo trenta ci fu chi nella massa ancora piuttosto compatta dei consumatori prese propriamente a galoppare e gli altri dietro, ad inseguire. Per quasi venti anni ulteriori la corsa proseguì ciecamente al punto che sembrava impossibile ed insensato fermarsi; poi diventò spietata: le persone in preda al panico sgomitavano ed usavano ogni mezzo per rimanere in piedi e stare nella mandria impazzita, arrancando. Sempre più persone travolte rimanevano a terra, mentre quelli in fuga, ormai, guardavano solo in avanti, spinti da una oscura paura più che attratti da un sogno luminoso.
Intanto la fama e la fame del consumo si era diffusa ai quattro angoli del mondo, sulle ali delle trombe e delle voci che ne decretavano il pieno e assoluto trionfo. Tra i molti che si accorgevano di essere stati esclusi dalla gara, alcuni guardavano con un certo distacco, altri con invidia, i più cercavano in ogni modo di gettarsi nella mischia per accaparrarsi qualcosa; arrivavano con ogni mezzo e a piedi nudi iniziavano la loro sfida personale e disperata.
Pochi spettatori che da qualche tempo si erano isolati ed osservano gli accadimenti, lanciavano grida di allarme che continuano tuttora: ma il grosso ormai non può più sentire e trotta, dicono quelli, verso l’abisso. Da tempo molti si sono fermati sfiancati con le scarpe rotte, altri si guardano in giro alla ricerca di percorsi diversi, perché, oscuramente hanno iniziato a capire che non c’è più un unica direzione da seguire, che la libertà di consumare non è propriamente una liberazione; girano perfino voci che tutto fosse truccato. Intorno ai più arditi si sono raccolti gruppi di esploratori mentre una gran massa prosegue ancora la sua corsa in una nuvola di polvere che già nasconde i partecipanti alla vista.

Oggi, dopo sessant’anni di consumismo sfrenato i più hanno perso le coordinate, tanti procedono per inerzia; tantissimi non riescono più a mantenere lo standard e si interrogano, si arrovellano con gran rumori di pancia per trovare una causa, individuare un colpevole. Sfatto e moralmente imbolsito, il consumatore compulsivo, incattivito ed indifferente a tutto, ha un prodotto per ogni sua patologia che un sistema instancabile costantemente scopre e puntualmente diagnostica. La linea della normalità è sfumata nel discorso sempre contraddittorio di esperti ben pagati e sempre in conflitto. Guru improbabili e profeti commerciali offrono a pagamento soluzioni stupefacenti. Tutti sono iper connessi e per questo implacabilmente soli, molti oscillano dall’esaltazione alla disperazione sempre alla ricerca di un equilibrio a pagamento. Dietro alle facce sorridenti e ai ruoli si stenta a riconoscere la persona. Qua e là affiorano però quelle che sembrano essere perle di saggezza vera e gratuita.

Qualcuno sostiene che bisogna cambiare paradigma personale: rinunciare a voler essere i primi e decidere, una volta per tutte, di essere unici. Una pressione implacabile inesorabilmente cresciuta negli anni, spinge ad una competizione esasperata per primeggiare, per arricchire e per poter esibire i segni distintivi del consumo vistoso che attestano il successo. Ma più si accetta questo tipo di condizionamento sociale, che non fa affatto parte della natura umana come si vorrebbe far credere, più si sposta l’attenzione sul fuori di da sé, più si perde il contatto con l’unicità del mondo interiore, con le dimensioni umane più genuine, con la fonte assolutamente personale della felicità.

Qualcuno sostiene che la vita sociale comporti necessariamente dei ruoli ma che mai, in nessun caso, si debba ridurre sé stessi ad un ruolo o a una somma di ruoli. La medesima pressione ha convinto milioni di persone a percepirsi prima e a viversi poi come consumatori, clienti, pazienti; insomma come destinatari di servizi e fruitori di beni. Sono venuti meno ruoli che sembravano consolidati: padre, madre, figlio, figlia richiedono ormai l’aiuto degli esperti per poter essere correttamente definiti. Il ruolo di cittadino è stato surrogato da quello di un portatore di diritti formali. Così, nel gran teatro del mondo molti non riconoscono più una loro identità profonda; l’ottusa certezza del “sapere chi sono”, che derivava dall’essere parte di una società rigida e stabile, di comunità chiuse, è andata in frantumi e con essa la tranquillità interiore di molte persone. Tolte le maschere una alla volta, resta il dubbio inquietante sull’identità dell’attore; e resta la sfida, enorme, dell’imperativo socratico “conosci te stesso!”.

Qualcuno sostiene che, malgrado i problemi del lavoro, la felicità consiste nel fare per mestiere quello che si farebbe per amore. La corsa al consumo e il mantenimento della maschera sociale dominante richiedono soldi in misura crescente con le ambizioni personali di successo e dominio. Impegnare la propria vita per questo tuttavia, distoglie dal momento presente – l’unico luogo dove si può esperire la felicità – spostando l’attenzione su obiettivi futuri, compiti obblighi da ottemperare obtorto collo. Non così per le cose che si ama fare: contengono in se stesse il motivo della gratificazione che si prova nel farle. Senza distinzione di attività, la semplice attenzione per ogni piccola cosa, la presenza in ogni atto è fonte di felicità.

Qualcuno sostiene che la mente sia stata ridotta alla ragione calcolante umiliandone di fatto e distorcendone le potenzialità. Che quella che chiamiamo coscienza sia stata fatta coincidere con il senso comune. Il pensiero nella maggioranza delle persone è involontario, automatico e ripetitivo; la voce nelle nostre teste ha una vita propria che spesso coincide con i discorsi che si sentono li fuori. Bisogna liberarsi di questa schiavitù scoprendo e liberando le potenzialità del corpo, delle emozioni e della mente; entrare in connessione profonda con il prossimo e con la natura di cui indubitabilmente siamo parte.

Qualcuno sostiene che la scienza e la tecnologia siano in gran cosa ma che, da sole, non possono risolvere il dilemma umano; esse piuttosto spingono a coltivare l’intuizione e ad evolvere spiritualmente man mano che diventano capaci di sostituire il lavoro fisico ed intellettuale che si pensava essere l’attributo qualificante e distintivo dell’essere uomini e donne civili.

Qualcuno sostiene che serve come il pane una nuova consapevolezza, uno sguardo sincronico capace di abbracciare l’intero sistema senza perdersi nelle sue componenti, per capire che nulla può essere separato e fatto funzionare senza conseguenze per le altre parti con cui è in relazione. L’informazione segue le sue vie che sono ormai quelle esclusive della manipolazione: per far comprare, per far accettare un sistema i cui vizi sono conclamati, per convincere a fare delle cose e non altre, per legittimare una cosa e delegittimarne un’altra, sempre e comunque per rispondere alle tattiche e alle strategie dei poteri dominanti, in un gioco assurdo che sposta verso un astrazione crescente che allontana dalla realtà, dai corpi e dalla terra. Nessuna informazione è in grado di restituire questa consapevolezza in assenza di un impegno e di un forte lavoro interiore.

Qualcuno sostiene che fuori da questo non può esserci responsabilità e che proprio la responsabilità di ogni singolo essere umano è la cosa oggi più importante. L’indifferenza e il calcolo dell’interesse di breve periodo sono i peccati più gravi quando diventano comportamento comune. Meglio seguire la regola aurea: “fai agli altri quello che vorresti che essi facessero a te”.

Qualcuno sostiene che bisogna alzare lo sguardo, contemplare ed imparare l’arte sottile e quanto mai necessaria del discernimento, quella qualità consapevole che consente di giudicare, valutare, distinguere rettamente ciò che è bene e ciò che è male all’interno di un contesto complesso e profondamente umano.

Il fumo e la polvere si diradano un poco intorno alla gran massa dei consumatori galoppanti, ciechi credenti nel dio del denaro e della crescita infinita: sembra che qualcuno abbia visto le stelle, circola persino voce che di correre forsennatamente picchiandosi con gli altri non ci sia più bisogno…

ARTE – La missione di Sergio Scarcelli:
“Una seconda occasione agli scarti portati dal mare”

Cuore, mani e memoria, l’arte di Sergio Scarcelli vien dal mare. Nell’ultima edizione di Riscarti Festival abbiamo incontrato l’artista pugliese che dà vita ai materiali di scarto pescati dai fondali. E i suoi “Moai” messaggeri materici di una richiesta di aiuto a sostegno del pianeta. Il riciclo declinato in ogni sua possibile forma: dal design all’arte visiva, dalla musica alla quotidianità.

Questo è ‘Riscarti – Festival Internazionale di Riciclo Creativo’, ideato e diretto da Marlene Scalise, che si è tenuto a settembre al Quirinetta Caffè Concerto di Roma e a Villa Ada. Dieci giorni per immergersi nell’etica e nella pratica del riciclo e scoprire le mille vite degli oggetti di scarto, attraverso l’originalità e la creatività dei tanti maker e artisti italiani e non solo. Qui abbiamo incontrato Sergio Scarcelli, artigiano e artista, che ha fatto del recupero, riciclo e riuso dei tanti materiali scartati dalla società del benessere una ragione di vita. E i suoi Moai, “i guardiani del tempo perduto”, simboli archetipici e messaggeri materici di una richiesta di aiuto, gridata ai fondali del cuore, a sostegno del pianeta.

Le opere uniche di Scarcelli, che ha casa e atelier a Locorotondo nei suoi trulli, sono costruite con materiali di scarto catturati in prevalenza dal mare: “Gli scarti, le mille cose che io recupero dal mare, sono un po’ come i diseredati del mondo: nessuno li vuole e li butta via, ma entrambi possono avere una nuova opportunità di vita. I rifiuti attraverso il riciclo, le persone concedendo loro nuove occasioni. Ed è quello che io racconto ai bambini nelle scuole, mostrando loro un pezzo di legno, di plastica o altro”. In tutti i periodi dell’anno il cinquantaquattrenne barese scandaglia le coste della provincia portando a casa quintali di materiali di ogni genere – plastica, legno, ferro, tubi in pvc – per poi plasmarli in opere d’arte oppure in oggetti che rivelano di avere ancora una propria utilità.

Sergio, che ogni giorno si alza alle 5 del mattino e va a dormire alle 17 del pomeriggio, ha iniziato la sua personalissima raccolta nel 1979. Poi nel 1983 la prima mostra di opere d’arte ottenute da materiale recuperato e riciclato e poi il sodalizio con Marlene Scalise e Riscarti Festival. Riciclo, manualità, memoria, sono le tre componenti chiave del lavoro di Scarcelli: “Io costruisco opere che tolgono dal ciclo dei rifiuti materiale pericoloso come ad esempio la plastica che i pesci possono ingerire prima di finire sulla nostra tavola. L’uso delle mani salvaguardia tradizioni che vanno pericolosamente via via scomparendo, tutela la memoria dei materiali e degli oggetti che ci parlano, ci raccontano la loro storia.

Gli scarti hanno il segreto del racconto, questo è il mio impegno: raccontare con le mani attraverso il contatto del materiale recuperato”. Incontrare le “creature” di Scarcelli è come fare un viaggio tra racconti nascosti, che l’artista rende leggibili attraverso le opere, perché ogni materiale, ogni scarto, conserva un’energia tutta propria, quella delle mani che l’hanno lavorato e forgiato. Un impegno, quello di ripulire le coste, che non sempre viene riconosciuto e che fa di questo narratore solitario un uomo che crede in quello che fa seriamente ma senza prendersi troppo sul serio: “Io con l’immondizia ci gioco … L’importante, è riuscire a trasmettere il messaggio alle giovani generazioni sull’importanza degli scarti, degli ultimi e della loro dignità”. Per saperne di più: https://www.facebook.com/sergiosud Riscarti Festival   e https://www.facebook.com/riscarti/

L’economia dà spettacolo: uno show per scoprire gli ingranaggi del presente (Ed essere un po’ più liberi)

“Conoscere e capire l’economia non è poi così difficile”. E soprattutto serve, perché l’economia domina le nostre vite, a cominciare dalla possibilità di comprare questa o quella cosa fino all’opportunità di avere un lavoro dignitoso, un’identità professionale e un’autonomia materiale. E’ questa la prima cosa che viene fuori quando ci si avvicina al gruppo “Cittadini economia”, che a Ferrara – due settimane fa alla sala estense di piazza Municipale – ha messo in scena uno spettacolo di teatro civile intitolato ‘Si possono creare soldi per i cittadini’. A fare gli attori sul palco ci si è messa gente che, nella vita, fa il falegname, il funzionario ministeriale, l’insegnante, la stilista, il fisioterapista, il militare di carriera, l’informatico. Tante idee diverse nella testa, persone con storie differenti: qualcuno che viene da gruppi parrocchiali, altri dal volontariato, uno dal mondo della finanza e un altro dall’artigianato. Gente quadrata che si è formata nell’esercito e menti creative che hanno fondato attività imprenditoriali, dipendenti pubblici e lavoratori autonomi.

Prof e allievi in scena nello spettacolo di teatro civile messo in scena dal Gruppo Cittadini Economia
Prof e allievi in scena nello spettacolo di teatro civile messo in scena dal Gruppo Cittadini Economia

Ma allora cos’è che fa stare insieme questo gruppo di “Cittadini Economia”? Cos’è che li motiva così tanto da riportarli a studiare sui libri il funzionamento monetario e le dinamiche economiche, cosa li spinge da anni ormai a riunirsi ogni settimana per parlare tra di loro di quello che hanno letto? Qual è quell’energia che poi li fa andare in giro per i paesi della provincia di Ferrara, per sale civiche, centri sociali, biblioteche e case private, con l’obiettivo di spiegare agli altri quello che hanno capito da queste letture e approfondimenti? C’è una voglia di condividere così forte da fargli persino trasformare le loro informazioni in quattro scenette teatrali, improvvisandosi attori per cercare di spiegare queste cose a tutti quelli che hanno anche solo curiosità di capire perché – secondo loro – la crisi economica che stiamo vivendo non si può risolvere con ulteriori tagli, sacrifici e rinunce. Questo è quello che ci tengono a dire, a fare sapere, a condividere.

L’idea che emerge è quella della necessità di trovare una strada migliore e diversa per l’economia nazionale e, quindi, per la vita quotidiana di ogni persona: per chi è giovane e si affaccia al mondo del lavoro, così come per chi intravede il traguardo della pensione. Perché, in base ai testi e ai materiali che hanno studiato, sono arrivati alla conclusione che la strada dei licenziamenti, dei contratti precari, dell’Iva sempre più alta e delle risorse a disposizione sempre più basse non può portare al benessere economico nazionale . Anzi, in questo modo – comunicano attraverso i loro sketch, ma anche proiettando testi di economisti, dichiarazioni di capi di Stato ed esperti di finanza – la situazione non solo non potrà migliorare, ma si rischia, così, di perdere pian piano anche tutte quelle forme di benessere sociale e di diritti che rendono civile un Paese, che ne fanno un luogo attivo, produttivo, non discriminante e accogliente.

Sul palco una signora dall’aria un po’ altezzosa interpreta la Bce, la Banca centrale europea, quella alla quale è stata affidato il compito di stampare il denaro per tutti i Paesi dell’Unione Europea. E in quella scena la signora spiega che i soldi, adesso, lei li dà ad altre banche e mercati finanziari, non agli Stati. Così le decisioni di quali imprese e attività finanziare non le prende più lo Stato, non sono cose che stabiliscono più i governi. Paesi come l’Italia, anzi, devono chiedere i soldi a lei anche per fare interventi fondamentali e urgenti, come nel caso di catastrofi naturali, e dipendono dalle sue decisioni pure per stabilire la presenza di medici, chirurghi e infermieri in un ospedale pubblico.

Scena con la Bce nello spettacolo di teatro civile messo in scena dal Gruppo Cittadini Economia
Scena con la Bce nello spettacolo di teatro civile messo in scena dal Gruppo Cittadini Economia

Il messaggio si stempera con le musiche della Ziziband e con le gag degli attori. Intanto però lo spettacolo-lezione suddiviso in quattro sketch fa capire che le politiche monetarie sono quelle che determinano il benessere di una nazione e il benessere di ciascuno di noi. Dalle politiche monetarie – sottolinea Claudio Pisapia – dipende la possibilità per un’impresa di portare avanti la sua attività e di creare di conseguenza posti di lavoro. Le politiche monetarie stabiliscono che ci siano o meno risorse per prendersi cura della scuola e della sanità; insomma, servono per crescere, per essere istruiti, sani, produttivi e occupati. E, se è una banca che decide cosa e perché dare finanziamenti, è ovvio – viene fuori – che non possa avere criteri di utilità sociale e anche che non abbia a cuore la produzione reale di beni e servizi, ma solo un profitto che fa bene alla finanza, agli azionisti, non alle attività concrete.

In platea è seduto Claudio Bertoni, amministratore delegato per diciotto anni della società cooperativa Commercio Alternativo di Ferrara. Un’impresa che importava e distribuiva senza intermediari prodotti alimentari e artigianali provenienti dai Paesi del Sud del mondo, come il caffè dall’Ecuador e le fave di cioccolato dal Perù. Ed è Bertoni che, chiacchierando a spettacolo finito, spiega come e perché è nato questo gruppo “Cittadini Economia”. E’ stato lavorando nel commercio equo solidale – ricorda – che “mi sono reso conto che qualcosa non funzionava più. La gente che comprava i prodotti c’era, ma a partire dal 2008 le difficoltà sono diventate sempre maggiori. Alcuni clienti non riuscivano a pagare la merce ordinata e alcuni fornitori chiudevano”. La decisione di ridurre il personale non basta a contenere la crisi. Così tra il 2011 e il 2012 Commercio Alternativo si rassegna ad avviare un concordato di chiusura. Nel frattempo segnali simili di difficoltà economiche arrivano a Claudio da colleghi imprenditori o amici che lavorano in altri campi. Come Gianni Belletti che, dal suo punto di osservazione della comunità ferrarese di Emmaus, si rende conto di come la situazione economica stia peggiorando. Famiglie che fino a un anno prima stavano bene, all’improvviso sono in difficoltà; se una persona perde il lavoro, succede che non riesca più a pagare il mutuo o l’affitto della casa dove abita insieme a moglie e figli. Chi lavora nel sociale e chi nella finanza, dice Bertoni, arriva alle stesse conclusioni: “Non è sufficiente che un intero popolo sia onesto e che le imprese siano efficienti. Se le emissioni monetarie non sono controllate dallo Stato e dal popolo, noi saremo sempre indebitati e ‘schiavi’ di chi emette la moneta e decide a chi e come concederla. Le persone che lavorano, producono beni e servizi. Bisogna che qualcun altro ci metta i soldi. E che ci sia magari una banca statale pubblica a fare da intermediaria”.

E’ il 2010 quando il gruppo di amici comincia a parlare insieme di queste cose, poi a documentarsi, leggere e studiare. Informazioni – dice Bertoni – che in questi 6 anni abbiamo condiviso con più di 6mila persone di Ferrara e provincia attraverso più di 10 conferenze con economisti, 3 spettacoli e più di 60 incontri di conversazione civile intitolati “L’altra faccia della moneta”. Dopo avere seguito i dibattiti, in 230 cittadini hanno fatto proprio e sottoscritto il testo “Uno, nessuno, 10.000” che è una dichiarazione di realtà. E circa 400 persone hanno chiesto di continuare a essere informate ogni settimana su quello che facciamo”.

Lo spettacolo è finito, ma la crisi no. Il gruppo “Cittadini Economia” cresce e cerca attenzione. Vogliono che il loro messaggio arrivi a chi governa, vogliono che qualcuno faccia scelte politiche ed economiche che aiutino il Paese a riprendere in mano il benessere collettivo.

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