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Mese: Ottobre 2016

UN FIUME DI MUSICA
Jimi Hendrix: quando una chitarra elettrica può cambiare il mondo

di Tiziano Albieri

Se dovessimo elencare le figure socio-politicamente e musicalmente più influenti dello scorso secolo, non sarebbe certo sorprendente concordare sul fatto che Jimi Hendrix abbia dato un contributo fondamentale non solo alla musica, ma anche alla società come oggi la conosciamo. Cavalcando l’onda di quel movimento libertario che sarebbe poi sfociato nella cultura dei figli dei fiori, si rese portabandiera dell’unica vera rivoluzione sociale del secolo passato.

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James Marshall Hendrix nasce a Seattle nel 1942, e nel ’66 forma a Londra la “Experience”, anche grazie al suo manager Chas Chandler convinto che nella capitale inglese potrà davvero dimostrare le sue qualità artistiche.
Perchè proprio oltreoceano e non negli Stati Uniti? La risposta può sembrare di primo acchito molto banale, ma non è affatto così. Certo, Londra già dall’inizio degli anni ’60 aveva dato alla luce i Beatles, i Cream ed i Rolling Stones, ed era stata in assoluto la terra più fertile per il Rock N’ Roll, ma la vera “marcia in più” della capitale inglese era, ed è tutt’ora, legata alla natura cosmopolita della città, alla sua apertura mentale e alla quasi totale assenza di pregiudizi verso il colore della pelle di un artista, e, più in generale di una persona. Far “scoppiare” un fenomeno come Hendrix nella sua terra natia, gli States, sarebbe stata un’impresa pressoché impossibile: immaginate come sarebbe stato accolto un artista che predicava la libertà sessuale, l’uguaglianza e la pace, dalla stessa (o quasi) massa che qualche anno prima aveva negato un posto a sedere su un autobus a Rosa Parks, che non consentiva a studenti di carnagione differente di frequentare le stesse scuole e che riteneva la musica rock un artefatto del diavolo. Provateci!
Nell’estate del 1967 prende forma il movimento hippie: San Francisco, “roccaforte” della controcultura della pace e dello spiritualismo viene letteralmente invasa da giovani in contrapposizione ai valori tradizionali della cultura americana, arrivati come in una sorta di pellegrinaggio da ogni angolo degli Stati Uniti. Il festival di Monterey ne è l’attestazione ufficiale: oltre 200.000 spettatori prendono parte ad una tre giorni di concerti unica al mondo. Assieme ad Hendrix parteciparono gli Who, i Grateful Dead, i Jefferson Airplane, Simon & Garfunkel, i Byrds; fece inoltre la sua prima comparsa Janis Joplin: tutti nomi che avrebbero fatto negli anni avrebbero fatto la storia della musica, oltre a quella del movimento hippie. Ad ogni modo, Hendrix fece non poco scalpore e si consacrò a vera e propria leggenda vivente quando, al termine di un’esibizione superlativa, decise di commettere il famoso “sacrificio” della propria Fender Stratocaster, dandola alle fiamme. Un gesto che racchiudeva in sé tutto il senso di innovazione, di sregolatezza, di genio e follia, che avrebbe accompagnato Jimi per il resto della sua, purtroppo breve, carriera. “Sbalorditivo” è minimale per descrivere l’impatto che da quel momento la musica dell’Experience avrebbe avuto non solo sui musicisti a venire, ma sulla società in generale.

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Il ’68 è universalmente conosciuto come l’anno delle rivolte studentesche, della rivendicazione dei diritti dei lavoratori, del disappunto nei confronti del conflitto in Vietnam e della ribellione al sistema capitalista e consumistico statunitense, che coinvolse giovani e non, da ogni parte del globo indistintamente. La cultura hippie vide l’apice della sua portata anche grazie all’ondata di protesta che avvicinava sempre più adolescenti al movimento: la musica era la vera bandiera di questa rivoluzione.
Il sessantotto fu anche l’anno dei Giochi Olimpici di Città del Messico e credo abbiamo tutti presente le fotografie che ritraggono Tommie Smith e John Carlos in piedi sul podio con il pugno alzato ed il capo chino a sostegno del “potere nero”. Era il chiaro segnale che il mondo volesse cambiare, erano le armi pacifiche di una rivoluzione innanzitutto musicale, della quale le chitarre elettriche suonarono la colonna sonora negli anni in cui i giovani furono i veri protagonisti. Per Hendrix è l’anno di Electric Ladyland e dello sgretolamento della Experience, ma il culmine della propria notorietà lo avrebbe raggiunto l’anno successivo, in seguito all’esibizione di Woodstock.
“Three Days Of Peace And Music” recitava la locandina dell’evento che si sarebbe svolto dal 15 al 18 Agosto del 1969, senza dubbio il più grande concerto che la storia della musica ricordi: vi parteciparono molte delle band che due anni prima avevano composto la scaletta del festival di Monterey, ma questa volta i numeri del pubblico superarono ogni limite. Bethel, la piccola cittadina che ospitò il concerto venne invasa da mezzo milione di giovani; le cronache locali raccontano di autostrade intasate nei dintorni della città e di enormi disagi dovuti all’ingente numero di partecipanti, ben oltre ogni aspettativa. Lo spirito dell’evento rappresentò a pieno l’ideale della cultura hippie, della pace, dell’amore e della solidarietà, tanto da far sì che non accadessero incidenti rilevanti. Nonostante ciò, le grandi testate giornalistiche statunitensi avevano forzato i propri reporter a recensire negativamente ciò che stava accadendo al fine di far sembrare non solo l’evento, ma tutta la comunità dei figli dei fiori, una catastrofe sociale. Barnard Collier del New York Times, avrebbe raccontato che i redattori a New York lo incitavano a sottolineare i blocchi stradali, le sistemazioni improvvisate, l’uso di droghe fra i ragazzi e la presunta aggressività di alcuni di loro. Nulla fu sufficiente a smontare l’evento. L’esibizione di Hendrix fu una delle più lunghe della sua carriera, sebbene abbia suonato davanti ad un pubblico quasi dimezzato e stremato (avrebbe dovuto suonare la domenica sera, ed invece suonò la mattina del lunedì, e molti fan dovettero abbandonare il festival). L’intero concerto culminò con l’esecuzione del brano che meglio avrebbe potuto rappresentare il clima di contrarietà alla guerra del Vietnam, di opposizione al sistema socio-politico statunitense e di ribellione al costume ed alla società americana in generale: “Star-spangled Banner”, l’inno “Stars and Stripes” eseguito con la chitarra elettrica, volutamente sporcato con suono acido, spesso in feedback, effetti cacofonici ed un uso esagerato del tremolo, cosa avrebbe potuto rendere meglio l’idea? Sarebbe diventato l’icona della protesta, l’emblema della ribellione di quegli anni d’oro.
La fiamma che ardeva negli animi dei giovani hippie, dopo Woodstock sarebbe andata affievolendosi sempre di più e mai avremmo assistito ad un fenomeno tanto imponente quanto quello che aveva imperversato dalla Summer of Love ad allora.

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Il recente scioglimento della Experience e alcuni obblighi contrattuali firmati prima di arrivare a Londra costrinsero Jimi a formare una band provvisoria e registrare un album; per non “bruciare” le idee migliori, che sarebbero state pubblicate postume, vennero prese in considerazione alcune canzoni scartate da Electric Ladyland ed altre idee del batterista Buddy Miles, che assieme a Billy Cox ed il genio di Seattle componevano la Band Of Gypsys. Pare un caso (ma non tutti sostengono così) che tutti e tre i musicisti fossero di colore, e di fatto nessuna dichiarazione o intervista a riguardo è mai stata rilasciata. Ad ogni modo, l’album omonimo non venne apprezzato a sufficienza dalla critica, che era stata abituata a dischi del calibro di “Are You Experienced?”, “Bold as Love” ed “Electric Ladyland”.
Jimi Hendrix si sarebbe spento in circostanze misteriose il 18 Settembre del 1970 nella sua camera d’albergo a Londra, in presenza della sua compagna dell’epoca: Monika Danneman. Se ne andava così il più grande rocker che il mondo intero avesse mai avuto la fortuna di ospitare, nonché una figura di esempio per le generazioni a venire. Un’icona dello scorso secolo in grado di influenzare e coinvolgere i giovani del tempo con le sue idee rivoluzionarie di libertà, pace, uguaglianza, ma soprattutto, di umanità. Gli stessi giovani che oggi sono diventati adulti, e si spera possano tramandare a loro volta ciò che Jimi avrebbe voluto.

Il deficit ci affossa. Eppure l’Italia è prima della classe per la tenuta dei conti pubblici

L’Italia ha i propri conti a posto: ma allora perché il debito pubblico è così alto?

Tabella 1

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La tabella del nostro Ministero delle Finanze ci mostra come l’Italia sia stata dal 1995 la prima della classe in quanto a entrate / uscite e tenuta dei conti pubblici in fase di avanzo primario. Per chi avesse qualche dubbio su che cosa indichi l’avanzo primario, si immagini la contabilità dello Stato come un foglio sul quale tracciamo una sorta di partita doppia dove da una parte ci sono le entrate e dall’altra le uscite. A fine anno si traccia una riga e si sommano entrate ed uscite (senza conteggiare ancora gli interessi), se le entrate sono superiore alle uscite abbiamo un avanzo primario, se le uscite sono invece superiori abbiamo un disavanzo, ovvero un deficit di bilancio. Ebbene, come ci mostra il MEF, dal 1995 al 2014 l’Italia ha sempre tenuto a posto i conti, anzi ha realizzato dei surplus di bilancio, spendendo meno di quanto ha incassato tranne che nel 2009. Un vero record a livello europeo e quindi siamo, in questo settore, i primi della classe. Continuando con l’esempio della partita doppia dobbiamo però aggiungere al nostro primo totale di entrate ed uscite gli interessi e qui viene la nota dolente. Infatti seppur ho un surplus nel 1997 di 85,952 miliardi dopo aver pagato 123,664 miliardi di interessi sul debito accumulato mi ritrovo con un deficit finale di 37,712 miliardi nonostante il surplus iniziale (ottenuto ovviamente con aumenti di tasse, vendite di patrimonio pubblico e peggioramento dei servizi, quindi nonostante lo Stato sia più povero ho un deficit). Dal saldo primario della prima tabella per l’intero periodo sono stati pagati in totale 1.650 miliardi di euro (pari al 6% del PIL), ma se partissimo dal 1981 (tabella 2) scopriremmo che addirittura ne abbiamo pagato più di 3.100. Cifre spaziali!

Tabella 2.

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Dai dati precedenti e sugli anni considerati nella tabella del MEF l’avanzo accumulato è di 585 miliardi di euro (dalla tabella 2: 740,232 partendo dal 1980 al 2012) contro, ad esempio, quelli della Germania che sono 80 miliardi per lo stesso periodo, mentre la Francia ha disavanzi per – 475 miliardi. Un primato che però non ci ha dato benefici né in termini di crescita né in termini di diminuzione di stock del debito pubblico e nonostante le tante svendite di patrimonio nazionale, a dimostrazione che sono sbagliate sia le politiche economiche intraprese in questi anni dai vari governi che si sono succeduti sia come sono state impostate le entrate e le uscite, un vero disastro. Qualcuno potrebbe dire che si sono succeduti tanti governi e che se hanno tutti seguito questa strada vuol dire che non c’erano soluzioni alternative. La risposta sta’ nel fatto che se è vero che sono cambiati i governi è altrettanto vero che le persone che hanno intrapreso i grandi cambiamenti degli anni ’80 e ’90 sono in realtà sempre presenti sulla scena italiana ed europea. Hanno variato solo la carica, ergo ci hanno governato sempre le stesse persone e gli stessi grandi interessi (da Draghi Monti, da Amato a Ciampi e Andreatta. Ultimamente si è affacciato sulla scena qualche loro figlio politico).

Tabella 3.

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Quest’ultima tabella (fonte DEF 2015) ci mostra la ripartizione del debito, cioè chi detiene i titoli pubblici italiani. Possiamo osservare che l’eurosistema ne detiene il 29,4%, percentuale in calo rispetto agli anni prima del 2011-2012 da quando cioè la fiducia nel nostro Paese e sulla nostra “solvibilità” è cominciata a venire meno. Serve per avere idea di quanto sia il debito vero, cioè quello dovuto all’estero che ha un peso diverso rispetto a quello interno (non vuol dire che non deve essere onorato ma che cambiano i parametri di pericolosità). Inoltre si noti che al 2014 la Banca d’Italia deteneva il 7,8% di questo debito. Il Quantitative Easing (QE) di Mario Draghi è iniziato a Marzo del 2015 per cui la percentuale si è di molto ingrossata calcolando che, secondo il piano della BCE, la stessa ha inizialmente comprato titoli per 8 miliardi al mese e attualmente quasi 10. Se come previsto gli acquisti dureranno fino al 2017 la Banca d’Italia avrà acquistato più di 200 miliardi in titoli di stato sui quali, tra l’altro, versa una percentuale al Tesoro di profitti di esercizio e di tasse sulle plusvalenze (per avere un’idea: nel 2015 la Banca d’Italia ha versato allo Stato 3.169 miliardi – fonte Banca d’Italia). Insomma il Tesoro, l’Italia, guadagna subito sui Titoli detenuti dalla Banca d’Italia e più acquista più il debito diminuisce, del resto il Giappone ne detiene quasi il 50% e Londra circa il 25%. Inoltre un debito detenuto dall’emittente dello stesso, si intuisce, non è poi un debito così problematico.

La fotografia oltre il confine:
“Exodus”, il reportage di Mario Fornasari

“Exodus”: il reportage di Mario Fornasari in una mostra documento a Ferrara fino al 10 novembre 2016 ci mostra la drammatica realtà dei campi profughi.

di Eleonora Rossi

“Continua ad appassionarmi tutto ciò che muove il mondo e si muove nel mondo”.
Mario Fornasari non è solo un giornalista professionista e un reporter. È un viaggiatore.
Sa osservare, mettersi in ascolto; sa adattarsi, o cambiare rotta.
Del vero viaggiatore ha la curiosità, il rispetto, lo spirito libero, il senso della sfida.

“Al liceo sognai d’essere testimone nel mondo e comprai la prima Nikon”.
Il suo lavoro di cronista lo ha avvicinato quotidianamente all’uomo e all’umanità, alle storie dentro alla storia. Dopo anni intensi di giornalismo, oggi Mario Fornasari si dedica alla fotografia: l’obiettivo della macchina fotografica è il suo sguardo, profondo, di attenzione. Di comprensione.

Per la sua pagina Facebook ha scelto il nome “Contrarian”, ovvero “l’investitore in controtendenza”. Forse per questo Mario Fornasari investe proprio in ciò che non ha prezzo: “È il tempo che fa la differenza – racconta con voce pacata e rassicurante -. Nel tempo ritrovato è come se riuscissi a ricongiungere i fili spezzati”.
Sulla pagina “Contrarian” (così come sul sito mariofornasari.net, su blog.Quotidiano.net e flickr) si possono ammirare alcuni degli scatti del fotografo: reportage da inviato accanto a paesaggi interiori e immagini della nostra città.
Una Ferrara dal volto inconsueto, sorpresa nei suoi dettagli inediti: ellissi ritagliate nell’azzurro, architetture di nebbia, “segni agli angeli”, diamanti di pietra imbevuti di luce.
Gli occhi dell’autore si illuminano mentre descrive la “serie del volare”: immagini fotografiche dove i particolari artistici sembrano spiccare verso il cielo, in ascesa vertiginosa.

“Exodus, trappola nei Balcani” è il titolo della mostra al numero 46 di via Ripagrande, allestita nella sala dell’associazione Rrose Sélavy fino al 10 novembre 2016 (mercoledì, venerdì, sabato, 15.30-19).
Professionista scrupoloso, Mario Fornasari ci accoglie con calore nella terra delle sue fotografie: landa di confini da oltrepassare, anche metaforicamente.
“Le mani del profugo siriano, aggrappate alla rete che sbarra la frontiera tra Serbia e Ungheria, sono il marchio di un’ Europa incapace di accogliere il sogno di una vita migliore per chi fugge dalle tragedie della guerra”. È questa l’immagine simbolo di Exodus, mostra documento inaugurata nell’ambito di Internazionale. Qui il reporter è “testimone nel mondo”.
Ogni singolo scatto racchiude una narrazione, racconta un vissuto. Immagini garbate, rispettose, che rivelano nobiltà d’animo e capacità empatica non comuni. Cogliendo “gli sguardi, le sensazioni, i gesti” nell’istante di massima espressività, la fotografia di Mario Fornasari incontra le persone.

Come è nato questo reportage?
La migrazione di popoli in cerca di una vita migliore ha messo sotto pressione l’Italia e, più in generale, l’Europa. Ma l’esodo dal Medio Oriente in guerra ha qualcosa di imponente, di biblico: incalza gli Stati, scuote le coscienze, mette in crisi le classi dirigenti. La rotta balcanica ha visto transitare, lo scorso anno, all’incirca un milione di persone, in condizioni spesso disperate: la chiusura delle frontiere, nel sud dell’Europa, ha acceso il mio desiderio di vedere e capire di più.

Quando sono state scattate le foto?
Sono partito due volte, in agosto e in settembre dell’anno scorso, per testimoniare con immagini e servizi quanto accadeva nel confine settentrionale tra Horgos (Serbia) e Roszke (Ungheria), nei cosiddetti campi di accoglienza o nei bivacchi improvvisati a ridosso dei confini blindati dai muri di rete e filo spinato. Poi, nell’aprile di quest’anno, con tutte le frontiere chiuse, sono arrivato a Idomeni, un paesino greco di 150 abitanti al confine con la Repubblica di Macedonia: ospita il più grande campo profughi assieme alla giungla francese di Calais. Sono all’incirca 5000 foto, tra le quali una cinquantina sono selezionate per le clip e una ventina per la mostra.

Che cosa ha provato Mario Fornasari quando era là?
Immaginate donne e bambini a cui non è permesso di uscire dai campi di accoglienza, sotto tendoni bollenti per il sole, disperati nel chiedere acqua a cronisti o fotoreporter che si ritrovano a lanciare bottigliette sopra le reti di recinzione finché la polizia non interviene. Oppure pensate a giovani donne con figlioletti di pochi mesi che hanno percorso migliaia di chilometri e, stremate, cercano di dormire tra i guard-rail dell’autostrada chiusa. Ti chiedi quanto debba pesare l’essere nato dalla parte (oggi) sbagliata del mondo. Fa pensare la solidarietà tra loro, che vedi nelle situazioni più disperate, nelle parole dei bivacchi, tra tende precarie, immondizia, fumi densi del fuoco che brucia bottiglie, sterpaglie, cassette per riscaldare le persone. Ho passato notti accanto a siriani, afghani o iracheni, senza grandi timori. Situazione diversa a Idomeni, dove le associazioni umanitarie garantiscono comunque cibo per tutti, dove l’emergenza si cronicizza e pian piano rimette in moto le divisioni di genere, di clan, di nazionalità.

Un esempio…?
Una mattina all’alba il vento era terribile, alzava nuvole di polvere che sferzavano i volti e arrivava a spazzare via le tende meno solide. In una parte del campo, quella più battuta dalle raffiche, le tende erano state protette e sormontate da coperte legate tra loro e fissate a pali o per terra: uno sforzo spesso inutile. Due donne irachene, una delle quali in gravidanza ormai avanzata, stavano lottando per mantenere la protezione alle tende, dentro le quali dormivano i figli. Immagini quasi epiche che tentavo di riprendere, prima del dubbio che può inquietare il cronista: lasciare quelle donne sole a lottare contro le intemperie e continuare a lavorare, oppure intervenire per dar loro una mano? Ho riposto la macchina fotografica. Dopo una ventina di minuti di lotta impari contro il vento è esploso un gran vociare e sono tranquillamente usciti dalle tende i due mariti. Le differenze di genere erano già rientrate nel campo, cosa che non avevo mai visto ad Horgos, dove tutti sembravano molto più solidali.

Ed è riuscito a ricreare con le immagini le stesse sensazioni?
Le foto hanno un significato particolare quando sono capaci di darti una chiave di lettura, di farti entrare in un universo che non conosci e di svelartelo confida Paolo Pellegrin, uno dei migliori fotoreporter italiani di sempre. L’obiettivo è ambizioso, mi accontento di essere testimone e tentare di condividere, con le parole e le immagini.

Mi ha colpito nelle fotografie il colore, la caparbietà nell’espressione dei volti. Sono ritratti di vita che resiste, con tenacia. Era questo che voleva catturare nelle immagini?
Non sempre quel che ritrai con la macchina fotografica racconta un percorso intellegibile, predefinito, conscio: a volte è vero esattamente il contrario, è istintivo, assomiglia a una visione che man mano si svela.

Ha raccontato la storia di quelle persone anche con le parole?
Sì, Quotidiano Nazionale e Quotidiano Net hanno pubblicato foto e servizi.

Quale colonna sonora ha scelto per le sue immagini?
Le clip propongono un brano sempre diverso: Trappola nei Balcani, la clip complessiva, è arricchita dal concerto numero 2 di Rachmaninov che mi ricorda il senso della storia, di un fiume che scorre tra gli argini, dei migranti in cammino accanto a muri e sbarramenti. La clip Madonne con bambino seleziona le immagini con madri che curano i propri figli, a volte di pochi giorni, accompagnate da un preludio di Chopin mentre Idomeni ha la voce di Freddie Mercury con i Queen in Who wants to live forever. I Bambini infiniti, dedicata alle centinaia di ragazzini incontrati in questi viaggi, sono accompagnati dalla chitarra di Paco de Lucia in Cancion de Amor.
Giornalismo e fotografia: due talenti che si specchiano e si completano per raccontare la storia. Quando ha iniziato a scrivere?
Talento è un termine impegnativo e non so se lo sento adatto. Al liceo sognai d’essere testimone nel mondo e comprai la prima Nikon (che conservo ancora), grazie a un mese di lavoro estivo: iniziai con reportage dal nord Africa, scritti e fotografici, e con un viaggio tra i ragazzi che morivano di droga a Verona. Quest’ultimo fu acquistato per 100 mila lire. In seguito lavorai all’esperienza degli asili-modello in Emilia Romagna, alla vita nelle case di riposo o nei manicomi prima della riforma Basaglia, mi dedicai al carnevale di Venezia e alla foto di teatro senza grandi risultati per dire il vero. Ma oggi si direbbe che il tutto non era economicamente sostenibile, cioè non riuscivo a vivere di quel tipo di attività: la scelta fu di affinare la scrittura e approfondire i temi del giornalismo. Sono stato a lungo corrispondente di Repubblica che mi sgrezzò grazie a Luca Savonuzzi, il primo di tanti maestri. L’assunzione al Carlino mi cambiò la vita, il giornale mi diede quasi tutto quel che cercavo dal punto di vista professionale e mi costrinse a dare tutto: il ruolo di capo della redazione di Ferrara mi ha permesso di approfondire il legame con la città, il passaggio alla redazione nazionale ha implicato il confronto con i grandi temi italiani e internazionali, l’arricchimento, lo studio continuo. Ho seguito gli sviluppi della grande crisi americana come caporedattore responsabile di politica, economia e finanza, passando notti a tentar di capire cosa potesse esserci dietro ai famigerati prodotti finanziari derivati, l’arma di distruzione di massa per dirla con il guru Warren Buffett. Dal cronista che racconta prevalentemente le persone e le comunità, al cronista che testimonia e commenta fatti politici, mercati finanziari, banche centrali.

Che cosa significa per lei scrivere?
Mi piace soprattutto descrivere le situazioni, gli sguardi, le sensazioni, i gesti, gli odori, i sogni. Il tempo. In politica e in economia bisogna svelare i retroscena, intuire gli indirizzi, capire gli sgambetti e, a volte, raccontare le utopie. Dopo l’uscita dal desk del giornale ho provato a riunificare le varie esperienze di scrittura: raccontando la crisi ad Atene, le operazioni tecniche di blocco della liquidità da parte della Bce e gli errori della Troika si sono impersonificati nelle parole disperate dell’impiegato che ha perso il lavoro con il taglio degli statali, nel volto dell’anziano che non riesca più ad avere medicine o nella rabbia di chi non vede più un futuro in patria.

Cosa rappresenta invece la fotografia?
L’immagine è immediata, arriva subito. È spietata: come giornalista posso essere lontano da un fatto ma riuscire a raccontarlo lo stesso, non è così per il fotoreporter che non può recuperare la foto di un episodio passato a meno di non patteggiare con la propria coscienza e proporre immagini costruite. Grandi fotografi hanno osservato che una bella foto non ha bisogno di descrizioni o didascalie, però in un reportage immagini e parole, magari anche brani musicali, possono completarsi nell’esprimere una sensazione.

Quali sono i progetti futuri?
Continuo a seguire i mercati finanziari che ora guidano il mondo, intriganti nella loro aridità e nell’apparente follia: non so se sia finita per sempre l’era in cui l’ingegneria finanziaria avrebbe dovuto migliorare l’esistenza di tutti. In parte l’ha fatto, nonostante oggi prevalgano avidità e cinismo. D’altra parte mi stimola lo studio sulla luce di Ferrara e quest’anno vorrei continuare lavorare sul tema delle migrazioni e spostarmi sulla rotta italiana, dal Mediterraneo al Brennero. Mi piacerebbe poi tornare dove sono già stato per il giornale in Sardegna, nel Sulcis, quattrocento metri sottoterra dove gli ultimi minatori italiani lottano per continuare un lavoro duro e ottocentesco che non ha più prospettive economiche di sopravvivenza.
E continua ad appassionarmi tutto ciò che muove il mondo e si muove nel mondo.

Bambina di Mario Fornasari
Madre di Mario Fornasari
Mano di Mario Fornasari

Trump o Clinton, Renzi o antirenziani? Vince sempre chi ha la ‘storia’ migliore
Viaggio nei meccanismi della narrazione

Quale può essere il valore di una storia ben raccontata? E quali sono i contesti sociali in cui serve saper raccontare? Bruno Vigilio Turra riflette su usi e forme dell’odierna comunicazione sociale

Raccontare storie è un’arte antica quanto l’uomo. Una storia, infatti, è una struttura capace di connettere in un tutto significativo e compatto eventi ed accadimenti, sentimenti ed emozioni, finalità ed obiettivi, cause ed effetti, valori e preferenze. Il racconto – ricordava Roland Barthes – è una delle grandi categorie della conoscenza che utilizziamo per comprendere e ordinare il mondo. Vediamo chiaramente la forza della narrazione nei miti, nelle saghe, nelle leggende e nelle fiabe che hanno accompagnato e orientato lo sviluppo della civiltà; forse se ne colgono ancora vaghe tracce in quelle culture dove sopravvivono cantastorie e griot.

Le neuroscienze dimostrano oggi ciò che era già evidente un tempo: è la struttura stessa del nostro apparato cerebrale a rendere così importante il meccanismo della narrazione. In fondo, cosa si fa quando ci si presenta, si sostiene un colloquio di lavoro, si racconta la propria azienda o la propria vita, si descrive qualche evento importante? Solitamente, si racconta una storia che vuole essere persuasiva e convincente. Dalla capacità di raccontare storie coerenti e affascinanti dipende, spesso, il successo e, a volte, il potere delle persone. Dalle storie che ognuno di noi costruisce e ripete dentro di sé, dipende il tono della conversazione interiore, dalla quale deriva in buona parte la qualità della nostra vita, il significato della nostra biografia, la bontà delle relazioni che stabiliamo con gli altri.
Chi, dunque, sa produrre storie convincenti che entrino nella conversazione collettiva e, soprattutto, diventino parte della conversazione interiore delle persone, ha immediato accesso a una grande fonte di potere poiché, attraverso le storie, ne può influenzare le opinioni e gli atteggiamenti e ne può indirizzare i comportamenti.

Esattamente per questo la narrazione, è diventata l’ultima frontiera del marketing e della comunicazione politica: lo storytelling è oggi il prodotto di punta dell’industria della persuasione che confeziona per noi le storie che dovrebbero dar senso al nostro mondo. Guru del management, eminenze della comunicazione, spin doctor, ne sono i pagatissimi profeti; le tecnologie digitali ne sono lo strumento principale.

Le storie hanno il potere di costruire una realtà e sono diventate – nella nostra epoca narrativa – un sostituto pericoloso dei fatti, degli argomenti razionali e financo dell’argomentazione scientifica, che viene riconosciuta come autorevole e degna di fede solo se inserita all’interno di un adeguato tessuto retorico di tipo narrativo.

Se le antiche narrazioni si presentavano come un dato, le cui origini si perdevano nella notte dei tempi e proprio da questo traevano autorevolezza, lo storytelling compie in verità il percorso inverso: incolla su una “realtà” voluta e costruita da certi attori sociali qui e ora (grandi imprese, governi, Ong, gruppi organizzati), racconti artificiali, narrazioni che sono in grado di orientare flussi di emozioni, portando gli individui a conformarsi con certi modelli e ad accettare standard determinati.

Se l’economia è una conversazione lo storytelling è allora la capacità di rendere questa conversazione ricca, attiva e coinvolgente, anche a prescindere dai contenuti di verità. Ciò che conta è inventare una storia potente, capace di affascinare, che possa essere venduta con profitto: e la fabbrica delle storie non si ferma mai.
Da oltre venti anni anni lo storytelling ha invaso la comunicazione politica; il marketing l’ha poi introdotta nei media, nei telegiornali, nel cosiddetto no profit, nelle aziende, nelle chiese. Una legione di esperti si adopera per costruire storie convincenti che sono diventate il bene da vendere al posto degli oggetti, dei servizi, dei progetti e delle politiche. Così la storia, la narrazione, da elemento di unione e riconoscimento è diventata anche mezzo di propaganda e temibile arma di disinformazione.

Questa situazione pone una questione di fondamentale importanza per la nostra società e per la democrazia: nel mondo della comunicazione globale esiste ancora il contratto narrativo che consente di separare la realtà dalla finzione? E quale potrebbe essere la realtà per milioni di persone che passano buona parte del loro tempo consumando informazione?

Davanti a noi ci sono due appuntamenti importanti che riguardano il referendum sulla Costituzione e l’elezione del presidente americano; ci possono essere mille buone ragioni per scegliere tra un nome e l’altro, tra un sì e un no; ma al di là di ogni argomentazione razionale è molto probabile che vincerà la parte che sarà riuscita a raccontare la “storia migliore”.

Quelli che l’immigrazione…

Parlare di immigrazione di questi tempi è pericoloso. Certo, grandi e piccole migrazioni fanno parte della storia dell’uomo e lo scontro tra popolazioni residenti e popolazioni nomadi è stato per secoli una costante antropologica. Le migrazioni, legate a condizioni culturali, a guerre ed epidemie, a carestie e disastri ambientali, a miseria o ricerca di fortuna, hanno sempre trovato nei diversi tassi di natalità responsabili delle differenze demografiche un motore biologico inesauribile.
Ma il contesto entro cui, oggi, le migrazioni si manifestano è completamente nuovo: per l’ampiezza della popolazione mondiale innanzitutto (7,46 miliardi di persone in rapida crescita), per l’iniqua distribuzione di una quantità di beni primari che sarebbero sufficienti per soddisfare i bisogni essenziali di tutti, per la diffusione globale delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione che indottrinano e connettono miliardi di persone facendo balenare loro il sogno dell’abbondanza, per l’abbattimento delle barriere che impedivano il libero flusso di merci e capitali finanziari, per la facilità dei movimenti e dei trasporti.
Catastrofi climatiche (basti pensare al Darfour), land grabbing, sfruttamento delle risorse naturali, conflitti geopolitici e guerre, distruzione delle culture locali, il fallimento completo della cooperazione internazionale e del sostegno ai paesi in via di sviluppo, la scoperta di nuovi mercati che potrebbe assorbire l’enorme quantità di merci prodotte, una distribuzione dei beni totalmente iniqua, sono alcuni fattori che stanno alla base degli sconvolgimenti demografici che, su questa scala, non hanno precedenti nella storia.

Se questo è lo sfondo l’Italia si trova nella peggiore posizione geopolitica possibile, e non stupisce dunque che l’immigrazione sia diventato un problema sociale drammatico, ampiamente sfuggito al controllo dello stato. Lo dicono i numeri e le proiezioni demografiche, lo conferma il ragionamento strategico, lo sostiene l’esistenza di enclave aliene sempre più numerose ed impenetrabili sul territorio; lo attesta, oltre ogni ragionevole dubbio, la paura diffusa, il rancore e l’accanimento degli italiani (e dei residenti delle comunità immigrate da più tempo) quando si schierano pro o contro una situazione che, da emergenza che fu negli anni novanta, è diventata un dato strutturale che diventa sempre più inquietante.

Nella varietà di opinioni e di rappresentazioni che circolano nella rete, che si alimentano nei luoghi di incontro, che rimbombano nell’intero sistema dei mass media, si possono riconoscere con molte sfumature e qualche distinguo, due campi avversi brutalmente contrapposti, due poli concettuali intorno ai quali si addensano, ora più vicine ora più lontane, le opinioni delle persone.

Il centro del primo polo è rappresentato dai favorevoli a tutti i costi, da quel nucleo di persone che vede l’immigrazione come una necessità, i migranti come un’opportunità, l’accoglienza come un dovere a prescindere da ogni tipo di conseguenza; quelli che strillano “al razzista” e “al fascista” ogni volta che qualcuno non concorda con questa prospettiva. Attorno a questo centro si addensa la vasta costellazione dei sostenitori del politicamente corretto che, spesso, nasconde dietro la retorica dei buoni sentimenti umanitari floridi affari. Vi ruota inoltre il pulviscolo di quelli che, nell’immigrazione, vedono semplicemente un’opportunità per far crescere il PIL e un mezzo per pagare le pensioni delle generazioni più vecchie, visto che gli italiani non fanno più figli.
C’è chi crede nell’obbligo di accoglienza per ripagare i popoli sfruttati nel passato coloniale e nel presente globalizzato; ci sono tante persone in buona fede, operatori per passione, gente pronta a dare e a condividere il proprio. Ma ci sono anche persone comodamente protette dalla loro condizione di classe o di ceto, che amano a parole l’umanità astratta ma apprezzano assai poco il prossimo in carne ed ossa, con i suoi odori, i suoi vestiti e la sua cultura: gente che vive ben protetta nei quartieri e nelle case blindate dove la scomoda e vasta e brulicante umanità dei poveri non ha accesso.
Il nucleo di questo polo sembra essere formato da quel progressismo mondialista che vede nel melting pot il futuro necessario dell’umanità, da quel laicismo estremo chiaramente volto ad eliminare connotazioni religiose e culturali in nome di un’uguaglianza omologante interamente schiacciata sul dogma del libero mercato.

Il centro del secondo polo è rappresentato dai contrari irriducibili, coloro che vedono nella immigrazione un pericolo, una minaccia per gli italiani e le italiane, un grave danno. Quelli sempre pronti ad evocare la minaccia del terrorismo, la necessità del pugno di ferro contro l’islam. Quelli che sono sempre in prima linea nell’accusare di comunismo, buonismo, calcolo interessato, connivenza e ipocrisia coloro che professano opinioni opposte. Quelli tutt’al più disposti a usare gli immigrati se hanno lavoro, costano meno degli italiani e stanno zitti scomparendo dopo aver concluso le loro prestazioni. Gravitano attorno a questo centro anche persone in buona fede, spaventate e timorose della diversità, insieme a quelli che predicano l’impossibilità dell’integrazione e segnalano la sproporzione dei costi che distolgono fondi che dovrebbero essere assegnati agli italiani bisognosi travolti dalla crisi. C’è gente ben convinta della superiorità del modello occidentale e della sua cultura, persuasa della necessità di un progresso che coincide necessariamente con una modernizzazione che deve essere, innanzitutto, occidentalizzazione forzata. Ma c’è anche quell’umanità semplice ancora ben disposta verso i migranti che serbano un atteggiamento umile, lavorano e si adattano, ma assolutamente contraria all’accoglienza indifferenziata e imposta dall’alto. Ci sono anche razzisti convinti, cittadini che rifiutano qualsiasi segno identificativo di altra cultura ed altra religione. Ruota attorno a questo nucleo un pulviscolo di opinioni che sfociano in visioni religiose, nella difesa dell’identità locale e nazionale e di quei valori dell’occidente che la modernizzazione stessa ha distrutto ben prima dell’arrivo delle ondate migratorie.

Sbagliano gli uni negando le dimensioni perverse della cosiddetta accoglienza; sbagliano gli altri negando le responsabilità dell’intero occidente nelle genesi del fenomeno. Sbagliano tutti quando parlano del fenomeno riducendolo ad una sua drammatica caricatura tesa a far leva sui sentimenti e le emozioni della gente.

Si riconosce da entrambe le parti la presenza ora più netta ora più sfumata di una componente d’odio e di rancore: un muro contro muro che non consente soluzioni innovative che oggi servono come il pane. Nessuno che riconosca nelle ragioni di chi sta sull’altro lato della barricata qualche fondamento o, almeno, il beneficio del dubbio. Una contrapposizione che fa la gioia dei media ma che umilia lo spirito della democrazia e della cittadinanza.
Si riconosce in entrambi i poli una volontà colpevole di ignorare e di escludere informazioni che possano mettere in discussione le proprie incrollabili posizioni, i propri assunti di partenza che rimangono spesse volte oscuri.
Intorno al tema immigrazione si rinnova dunque uno scontro politico e sociale che ricorda ai più vecchi mai sopite contrapposizioni ideologiche che si intersecano in un gioco difficile da riassumere: destra contro sinistra, laico contro religioso, società contro comunità, progressisti contro conservatori.

Ma la dimensione del fenomeno è tale che nessuna contrapposizione frontale potrà portarvi sollievo e soluzione. Nessuna soluzione è possibile in assenza di chiarezza e di una riflessione che parta innanzitutto dalla complessità, rifiutando ogni tipo di semplificazione. E una riflessione dura, dolorosa ma quanto mai necessaria che deve affrontare, tenendoli insieme, aspetti demografici, etnici, culturali, religiosi, sociali, amministrativi, legali, economici, finanziari, geografici, geopolitici, strategici e militari. Senza dimenticare la sana solidarietà, senza scollegare la dimensione locale da quella globale.
Di fronte al totale fallimento della politica dell’immigrazione tocca ai cittadini di buona volontà fare un passo di riconciliazione e di approfondimento che vada oltre la contrapposizione dell’essere pro e dell’essere contro, un passo atteso che apra lo spazio al discernimento.
Non c’è altra scelta: ciò che colpevolmente si rifiuta di vedere adesso si ripresenterà in modo assolutamente peggiore nel prossimo futuro.

DOSSIER
Una scuola nuova è possibile/2

Prosegue e si conclude l’analisi di Giovanni Fioravanti su ipotesi e prospettive per una scuola innovativa e aperta a concetti di organizzazione, apprendimento e formazione delle future generazioni

I Percorsi
L’unità temporale resta l’anno scolastico, ma è unità di tempo dell’organizzazione scuola, non necessariamente dell’allievo che sulla base del percorso concordato all’inizio nel Patto Formativo può averla resa flessibile. Rimane invece invariata, per la scuola e per l’alunno, la durata dei cicli scolastici come prevista dagli ordinamenti nazionali.
La nostra simulazione assume come punto di riferimento l’attuale impianto disciplinare della secondaria di primo grado, con alcune modifiche del monte ore per materie.
Potremmo ipotizzare una proposta formativa che preveda il conseguimento nel corso dell’anno scolastico di dieci crediti per disciplina, ripartiti in cinque crediti per quadrimestre, per un totale di cento crediti ad anno scolastico e di trecento al termine del triennio della secondaria di primo grado.
L’ipotesi non prevede l’insegnamento della religione cattolica, perché l’avvalersi o meno costituisce un’opzione delle famiglie e non concorre a costituire la somma dei crediti.
La Proposta Formativa della scuola su cui concludere il Patto Formativo con l’alunno e la sua famiglia potrebbe prevedere l’opportunità di scegliere tra quattro tipologie di percorso: Ordinario, Potenziato, Recupero, Avanzato.
Poiché l’Ue ci chiede di padroneggiare due lingue straniere, oltre alla conoscenza della lingua madre, il nostro piano orario prevede pari dignità oraria tra prima e seconda lingua. Inoltre, per la sua importanza, l’insegnamento della matematica è potenziato di un’ora rispetto agli attuali ordinamenti.
Se si vorrà inserire l’insegnamento della religione cattolica, occorrerà decidere, tra seconda lingua e matematica, a chi sottrarre un’ora.
Ogni proposta di percorso tiene conto per quadrimestre della motivazione, di quanto ci si intende impegnare o quanto si presume che ci si possa impegnare, del compito e della variabile tempo in funzione della natura del compito.
A ogni percorso corrisponde un numero x di discipline e un numero x di crediti o di debiti da saldare. I percorsi possono essere scelti, sulla base delle necessità formative dell’alunno, o nella loro struttura standard o combinando parte di un percorso con parte di un altro, per quelle discipline, ad esempio, ove si rendesse necessario il recupero di debiti, modificando così il proprio monte ore annuale. L’Ordinario può essere integrato dal Recupero debiti, senza perdere ulteriori crediti, per le sole discipline carenti. Oppure sempre l’Ordinario potrebbe essere integrato dall’Avanzato, anche questo per una sola parte delle discipline.
Il modello si presta a differenti soluzioni, rispetto a come abbiamo conosciuto la scuola fino ad oggi.
Se solo il nostro sistema scolastico, nella prospettiva del widelife learning, si aprisse seriamente al riconoscimento dei crediti acquisiti all’esterno della scuola, potremmo avere percorsi di apprendimento di minore durata settimanale. Finalmente faremmo qualche passo avanti nel sistema di istruzione integrato, pubblico-privato, uscendo dall’angustia asfittica di un privato che sa solo di confessionale. Ma questo a mio avviso sarebbe già possibile oggi, se le scuole sapessero usare, e di conseguenza far valere, la loro autonomia istituzionale.

Ordinario 5 crediti
Potremmo definirlo come il percorso tradizionale di apprendimento. Per cui è possibile sceglierlo all’atto dell’iscrizione in classe prima e seguirlo regolarmente fino alla terza.
Può anche accadere che per una o alcune discipline non abbia raggiunto tutti i crediti del primo quadrimestre sui cinque standard. Nel tal caso dovrò integrare il mio percorso ordinario con quello “Recupero debiti più cinque crediti”. Ciò significa, che se il mio debito è in lingua italiana, nel secondo quadrimestre dovrò frequentare per otto ore alla settimana le lezioni di questa disciplina, se fosse in matematica sei ore e così via, almeno fino a quando non avrò saldato il mio debito.
Pertanto nel secondo quadrimestre il mio tempo scuola aumenterà delle ore necessarie al recupero delle discipline per il tempo che impiegherò a saldare i miei debiti. Il mio orario settimanale potrà arrivare ad essere di 40 ore, qualora avessi accumulato debiti in tutte le discipline, per tutto il secondo quadrimestre o solo per parte di esso, anche se questa possibilità appare piuttosto remota.

Potenziato a credito variabile
Consente di acquisire già nel primo quadrimestre i dieci crediti annuali in musica, arte/immagine e tecnologia, con il vantaggio di poter disporre nel secondo quadrimestre di un pacchetto di sei ore da utilizzare tutto o in parte per eventuali recuperi di debiti disciplinari. Diventerebbe così, nel secondo quadrimestre, un “Potenziato con recupero debiti”, che noi abbiamo ipotizzato in lingua italiana, matematica e lingue comunitarie. Va da sé che le combinazioni possono essere altre e diverse. Chi non avesse debiti, o ne avesse solo in parte, potrà disporre nel secondo quadrimestre di un orario settimanale più leggero o di un pacchetto di ore che potrà spendere dentro o fuori della scuola.

Recupero debiti + 5 crediti
Il percorso permette il recupero dei debiti senza restare indietro, acquisendo, cioè, anche i cinque crediti previsti per ogni quadrimestre. Può coinvolgere, nel caso peggiore, tutte le discipline, ma nei fatti è possibile che avvenga per una sola parte delle discipline del curricolo. Pertanto il monte ore settimanale del percorso sarà in ogni caso superiore a trenta, ma si presume inferiore a quaranta.
Avanzato 5 crediti + 5 crediti
Può essere definito il percorso dell’eccellenza. Offre la possibilità di concludere il curricolo scolastico con un anno di anticipo a chi lo affronta senza ostacoli, perché i dieci crediti annuali per ogni disciplina vengono acquisiti a quadrimestre. Può essere scelto anche per una sola parte delle discipline, consentendo l’anno dopo di avere un carico inferiore di studio e quindi di frequenza scolastica. In alcuni casi particolari potrà consentire il recupero di un anno, in altri potrà essere frequentato per il recupero di un quadrimestre, in parte o per tutte le discipline.

Un’ipotesi di fattibilità
Abbiamo ipotizzato i nostri percorsi prendendo a riferimento l’attuale secondaria di primo grado, ma credo che una volta compresa la struttura e la finalità sia facile immaginare la loro traduzione nella scuola Primaria e nella Secondaria di secondo grado.
Per la Primaria si tratta di scegliere se organizzare il curricolo in 3+2 o in bienni, il cui ultimo comprenda il primo anno della Secondaria di primo grado, ma al momento non mi sembra una questione dirimente, se non per quanto attiene alla proposta formativa elaborata dalle scuole.
Sul piano organizzativo invece coinvolge la didattica per lo meno nel primo triennio, cioè il graduale avviarsi verso la sistematicità propria delle discipline, ma qui sono in gioco le competenze proprie degli insegnanti di questo ordine di scuola.
Sostanzialmente mi sembra che si possano proporre i quattro percorsi: Ordinario, Potenziato, Recupero e Avanzato, con aggiustamenti del monte ore per disciplina.
Per il Tempo Pieno esso non potrà valere come un percorso Ordinario di 30 ore, le ore aggiuntive dovranno essere riconosciute o come percorso Avanzato o come Recupero debiti più 5 crediti.
Ciò che caratterizza la proposta è il superamento dell’insegnante tuttologo, per tornare al maestro che si specializza per disciplina o per aree disciplinari.
Per le scuole Superiori la proposta resta valida in tutta la sua portata, sarà sufficiente intestare la colonna delle discipline con le materie del liceo o dell’istituto, facendo corrispondere ad ognuna il monte ore, ordinario, potenziato, recupero e avanzato secondo la proposta formativa di ogni singola scuola.

L’organizzazione scolastica
Per quanto riguarda gli spazi, la nostra proposta necessita di due laboratori di lingua italiana, due laboratori di matematica, un laboratorio di storia e geografia, un laboratorio di scienze, un laboratorio di prima lingua, un laboratorio di seconda lingua, un laboratorio di musica, un laboratorio di arte, un laboratorio di tecnologia e una palestra.
A seconda dell’orario del proprio percorso gli studenti si spostano di volta in volta da un laboratorio all’altro, non credo sia difficile prevedere un tempo di cinque minuti per consentire questi spostamenti né impossibile garantire sia la necessaria vigilanza che l’assistenza, almeno fino a quando tutto ciò non entrerà a far parte della normalità sia per i ragazzi che per la scuola.
D’altra parte penso che diverse siano le forme che si potranno adottare per facilitare gli spostamenti degli alunni, specie per i più giovani alle elementari, con l’uso di colori e di opportune segnalazioni. Del resto dovremmo prevedere che i più piccoli, una volta cresciuti e passati alle medie, riterranno tutto ciò normale e senza dubbio privo delle difficoltà iniziali.
Se pensiamo ai nostri quattro percorsi come corrispondenti a quattro corsi completi dell’attuale scuola media sarebbero necessarie dodici aule per ospitare ogni singola classe.
Noi abbiano sostituito le classi con i laboratori e poiché solitamente nelle nostre scuole oltre alle aule ci sono un laboratorio di arte, uno di scienze e forse anche uno di musica, oltre all’aula di informatica che spesso viene usata per tecnologia e alla palestra, ci rendiamo conto che il problema di un uso degli spazi diverso dalla tradizionale classe non si pone, anzi potremmo trovarci con qualche spazio in più a disposizione, che potrebbe consentire una migliore distribuzione degli orari tra i laboratori.
Il nodo vero della nostra proposta sta nelle risorse umane e intendo quelle docenti.
Così formulata, la nostra idea di scuola richiede 120 ore settimanali per l’area italiano, storia e geografia (6 docenti+12 ore). Mentre per l’area matematica e scienze: 93 ore (5 docenti+3 ore). Per la prima e seconda lingua 82 ore (4 docenti+10 ore). Per musica, arte e tecnologia 27 ore ciascuna (1 docente+9 ore), infine per scienze motorie e sportive 22 ore (1 docente+4 ore). Un capitale professionale di almeno 22 docenti, contro i 19/20 di un attuale istituto di scuola media, con quattro corsi completi a 30 ore settimanali.

Se però proviamo a considerare la nostra nuova scuola come se fosse una media attuale in cui funzionano due corsi a tempo normale e due corsi a tempo prolungato, il quadro cambia perché in questo caso avremmo qualcosa di più di 22 insegnanti.
È chiaro che far coincidere un’idea del tutto nuova con una struttura vecchia è impresa pressoché improba. Ma per chi fa i conti della spesa, e mi sembra giusto che sia così perché si tratta di denaro pubblico, è importante sapere che, a prescindere dal merito delle cattedre, la spesa non lieviterebbe, sarebbe a pari costo.
A noi però interessa affrontare le questioni pratiche, perché in questo caso il monte ore insegnanti risulterebbe mal distribuito rispetto alle ore curricolari che abbiamo da coprire. Le 30 ore della cattedra di italiano che ci troviamo in più dovremmo poterle scambiare con le ore che ci sono necessarie per poter coprire tutte le ore da noi previste per le lingue, musica, arte e tecnologia.
Purtroppo l’articolo 6 del DPR n.275 dell’8 marzo 1999 è più morto che vivo, mi riferisco all’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo riconosciuta alle scuole, che però non mi pare particolarmente praticata, ma che a tutt’oggi costituisce l’unica strada praticabile per ottenere, sulla base di un progetto riconosciuto, le compensazioni d’organico necessarie.
Altrimenti, per chi volesse nelle condizioni attuali cimentarsi nello sperimentare la nostra idea di scuola, non resta altro che riportare le discipline ai quadri orari ministeriali, sottraendo le ore che abbiamo assegnato in più a matematica e alla seconda lingua. Inoltre non va dimenticato che il percorso Avanzato da noi proposto è sempre costituito da soli due corsi, o consentendo di terminare la scuola con un anno di anticipo o di recuperare un anno perso. Per le ore che restano eccedenti non si tratta di grandi quantità, per cui possono essere compensate con il fondo di istituto o con le risorse previste per le attività di recupero.

Dalla classe al laboratorio
Chi fa il nostro mestiere conosce bene come la didattica per laboratori, a partire da Dewey, è un’idea che almeno dal secolo scorso attraversa la ricerca educativa per il rinnovamento della pedagogia e della scuola. In Italia ha avuto la sua maggiore espressione nel pensiero di Francesco De Bartolomeis.
È la concezione dell’ambiente di apprendimento come luogo in cui si esercitano non la ripetitività dei saperi, ma la ricerca, il pensiero critico, la creatività e la produzione. Obiettivi che possono essere perseguiti solo organizzando la scuola come una struttura a laboratori, con una gestione degli spazi e dei tempi nella massima flessibilità. Il gruppo classe viene superato e sostituito da gruppi mobili, preferibilmente eterogenei al proprio interno. L’insegnante assume la funzione prevalentemente della regia, di guida e di supervisione.
La tradizione migliore della didattica attiva ha individuato nel sistema dei laboratori non un accompagnamento estemporaneo delle attività scolastiche, ma l’ossatura della scuola stessa.
Quest’idea ha segnato uno dei momenti più innovativi della nostra recente storia dell’educazione, quella stagione tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso che tanto contribuì a dare contenuto metodologico al tempo pieno e che indicò nuove vie da percorrere ai servizi educativi territoriali.
È questa riflessione che ci rende difficile pensare che non ci sia una sostanziale differenza tra uno spazio concepito essenzialmente come contenitore di banchi e di alunni, da uno spazio predisposto come luogo di un sapere agito.
Nelle nostre classi attualmente si celebrano indifferentemente tutte le materie. Al contrario, il laboratorio potremmo definirlo come un ‘luogo dedicato’, che difficilmente corre il rischio di tradursi in un ‘non luogo’.
Cosa significa ‘luogo dedicato’? Non è difficile da comprendere, se pensiamo, ad esempio, alle biblioteche. Una biblioteca è concepita per contenere migliaia di volumi e i modi della loro fruizione.
Perfino la palestra è un luogo dedicato, uno spazio che contiene sia gli attrezzi necessari alle attività ginniche, sia lo spazio per poterle esercitare.
Né la biblioteca, né la palestra li definiamo laboratori, ma nei fatti lo sono molto più delle nostre classi, perché in essi si agisce e si produce con un obiettivo specifico, che altrove non potrebbe essere realizzato.
La classe è il luogo della lezione, della trasmissione dei saperi e da questo punto di vista è totalmente indifferente, ora dopo ora, il succedersi delle lezioni.
Il laboratorio è il luogo degli artefatti, contiene gli strumenti per produrli e per questo non può che essere dedicato al suo specifico compito. È il luogo dove i saperi non si ascoltano solo, ma con essi ci si esercita e ci si addestra, attraverso processi trasformativi intenzionali, appunto gli artefatti, i prodotti di quel sapere che permettano di misurare le competenze, prodotti concreti che possano essere mostrati, discussi, esaminati, sondati e ammirati.
Nella classe si succede di tutto, nel laboratorio avviene qualcosa, qualcosa di specifico con la funzione per cui è stato pensato, c’è coerenza tra il mio agire e lo spazio in cui agisco, nel laboratorio si procede per livelli di addestramento e nel mio fare ho la dimostrazione diretta della competenza raggiunta.
Quel livello raggiunto è il credito che la scuola mi riconosce, è la tappa che sul mio percorso di apprendimento di questa o quella disciplina ho già conquistato.

Conclusione
Mi rendo conto che per generazioni cresciute con un’unica idea di scuola sia difficile concepire la possibilità che ne possa esistere un’altra, per di più senza storia e senza riscontri pratici sulla sua fattibilità, convenienza ed efficacia. È sempre troppo rischioso abbandonare le nostre certezze per rincorrere le idee di un improvvisato visionario di questioni di scuola.
Eppure se ho scritto, se ho cercato di misurarmi con una materia così difficile e rischiosa, è perché penso che non sia più rinviabile la nostra responsabilità di adulti, in particolare di chi la scuola la conosce, di offrire ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze una scuola migliore, per loro, per il loro futuro, perché l’avventura dell’apprendimento e del sapere sia sempre una esperienza meravigliosa, non mortificante, ma semmai entusiasmante. E se la scuola continua ad essere sempre la stessa, pressoché identica a quella da noi frequentata alla loro età, questa scuola certo non può essere la migliore.
A me questa scuola è sempre stata stretta, non è mai piaciuta, né da studente, né da insegnante, neppure da dirigente.
Dirò anch’io come Condillac a proposito della sua statua. Credo che i lettori che si metteranno esattamente al mio posto non faticheranno a capire quest’opera; gli altri mi opporranno difficoltà innumerevoli.

Leggi la Prima Parte

Master sulla comunicazione ambientale

Era da tempo che pensavo fosse bello fare una iniziativa di approfondimento della comunicazione ambientale. Per anni in cui ho lavorato nel settore dell’acqua e dei rifiuti mi sono reso conto che tanta superficialità, tanta indifferenza e anche tanta diffidenza hanno spesso impedito lo sviluppo di una cultura verso la sostenibilità. Troppi professionisti del no e troppi eco furbi, come spesso ho detto, hanno inquinato dei sani principi ambientali.  Così dopo aver studiato le scienze della comunicazione e della informazione mi sono proposto come promotore di un master. Il Magnifico Rettore Zauli mi ha dato fiducia e i professori Zerbini e Poletti, che ringrazio, un grande supporto. Poi tanti professori mi hanno aiutato tra cui Masino, Vagnoni e Verlicchi e tutti altri che hanno dato la loro disponibilità e realizzato il programma: i professori Alietti, Alvisi, Baravelli, Bracci, Caleffi, Cavazzini, Fazioli, Franchini, Guidi, Maltoni, Mazzanti, Pasti, Scandurra, Schippa, Spinozzi e Tasso, Una grande squadra di qualificati professori che hanno costruito il master di primo livello di cui vorrei parlarvi.
E’ così nato il Master sulla Comunicazione Ambientale (Green Comunication’s Manager)
L’Università di Ferrara infatti promuove un Master di I livello da 60 crediti dal titolo “Esperto di Comunicazione Ambientale, Etica della Comunicazione per un’etica ambientale”
Il master si pone l’obiettivo della formazione di figure professionali competenti sulle problematiche dell’ambiente e in grado di fare comunicazione ambientale che generi cultura dell’ambiente nella società. Viene tenuto in prevalenza da professori strutturati oltre ad esperti riconosciuti.
L’obiettivo è mantenere alta la sensibilità e la domanda di sostenibilità e qualità sui servizi pubblici ambientali e più in generale sull’ambiente. E’ importante poter dialogare informando, facendo conoscere i pro e i contro di ogni soluzione tecnica e gestionale, coinvolgendo sugli obiettivi e sui principi e ricercando la collaborazione dei cittadini affinché le soluzione proposte possano essere accettate, i servizi possano essere utilizzati nel modo migliore e le modalità di informazione siano percepite, diffuse e corrette soprattutto nei servizi pubblici ambientali acqua e rifiuti.
Si tratta di un Master interdisciplinare (Facoltà di Studi Umanistici, Economia, Ingegneria e altre) incentrato sui temi di economia e management ambientale, sostenibilità e comunicazione; organizzato come corso di studio a distanza, con anche possibilità di attività didattica in presenza (incontri, seminari e laboratori, stage e/o project work) e in cui sono previste anche attività didattiche a distanza.
programma di riferimento, organizzato in quattro moduli:
A- Comunicazione pubblica, politica, ambientale, etica ambientale 21 crediti
B- Economia e Legislazione dei servizi pubblici ambientali 16 crediti
C- Il valore dell’Acqua e il ciclo integrato dei Rifiuti 19 crediti
D- Project work 4 crediti.
Per maggiori informazioni: http://www.unife.it/masters/eca
Per info e pre-iscrizioni: seaeventi@unife.it

La terra: il nuovo affare delle mafie, più facile della droga

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La terra come nuovo business delle mafie, più facile e meno pericoloso rispetto alla droga: è il sistema dei “Fondi rubati all’agricoltura”, raccontato da Alessandro Di Nunzio e Diego Gandolfo nella loro inchiesta vincitrice del Premio Roberto Morrione 2015, dedicato alla memoria del grande giornalista Rai fondatore di LiberaInformazione e riservato ai giornalisti under 31.
Per anni la terra è stato un simbolo di potere della criminalità organizzata, che ora torna alle origini perché si è resa conto che è anche un affare da miliardi di euro.
Cinquanta miliardi di euro: sono i fondi europei destinati all’Italia dalla Pac, la Politica agricola comunitaria, cinque dei quali solo per la Sicilia. Attraverso l’Agea (agenzia per le erogazioni in agricoltura) l’Europa, per un terreno di proprietà o anche solo preso in affitto, arriva a elargire oltre 1.000 euro per ettaro, perciò più terreni uguale più soldi. Ed ecco che, scorrendo la lista dei beneficiari dei fondi, Diego e Alessandro hanno trovato il nome di Gaetano Riina, fratello del noto boss Totò. Leggendo la normativa hanno individuato falle che possono essere sfruttate dalle organizzazioni criminali, come per esempio “i meccanismi di autocertificazione del possesso dei terreni e la mancanza dei poteri dei Centri di assistenza agricola per poter effettuare controlli efficaci”, sottolinea Alessandro Di Nunzio. Noti esponenti della criminalità organizzata o i loro famigliari hanno incassato i fondi per anni, perché i controlli antimafia sono previsti solo per i contributi superiori a 150 mila euro, perciò basta fermarsi sotto quella soglia per evitare fastidiose verifiche. In cinque mesi e mezzo di lavoro in Sicilia, Alessandro e Diego hanno raccolto anche le storie di tanti proprietari che al momento della richiesta di contributi hanno scoperto inesistenti atti di compravendita a personaggi locali della criminalità organizzata o a loro prestanome. Oppure si possono dichiarare come agricoli terreni che non lo sono: quelli dell’aeroporto di Trapani hanno fruttato più di tre milioni di euro.
Fondi che vengono rubati due volte: la prima perché non vanno al sostegno dell’agricoltura, ma spesso vengono reinvestiti in tutt’altri settori, come per esempio il cemento; la seconda perché per la Corte dei conti ormai due terzi dei fondi sono diventati impossibili da recuperare, dato che il meccanismo va avanti da talmente tanto tempo che il reato è andato in prescrizione.

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Alessandro Di Nunzio

I giovani imprenditori agricoli del siracusano e del catanese come Emanuele e Sebastiano però non ci stanno, si rifiutano di abbandonare la loro terra e subiscono perciò minacce e intimidazioni. Accanto a loro lotta Giuseppe Antoci, il Presidente del Parco naturale dei Nebrodi, la più vasta area protetta della Sicilia, che ha bloccato le assegnazioni dei terreni e ha iniziato a richiedere il certificato antimafia agli affittuari e per questo pochi mesi fa ha subito un attentato, per fortuna senza conseguenze. E poi i sindaci dei comuni, come Fabio Venezia, primo cittadino di Troina, che ha deciso di alzare i canoni di affitto dei poderi demaniali, concessi da anni a prezzi stracciati e sempre alle stesse famiglie.
Abbiamo intervistato Alessandro Di Nunzio sabato mattina, mentre era a Ferrara per partecipare all’incontro “Legalità e Lavoro: Fondi rubati all’Agricoltura”, il primo appuntamento della Festa della Legalità e Responsabilità 2016.

Perché tu e Diego avete pensato a un’inchiesta sui fondi comunitari europei per il settore agricolo?
Perché l’agricoltura è il settore destinatario del maggior numero di fondi europei, intendo proprio come somme di denaro, ma nonostante questo è in ginocchio. Proprio lavorando alla nostra inchiesta in Sicilia abbiamo toccato le difficoltà degli agricoltori, che non ce la fanno. Quindi è ancora più disarmante che poi gli aiuti vadano a finire nelle mani sbagliate, quando si potrebbe utilizzarli al meglio per chi fa davvero agricoltura.

Come funziona il sistema di sottrazione dei fondi?
Quella dei Nebrodi è una nuova mafia rurale che attraverso contratti falsi oppure ottenuti con la violenza e l’intimidazione si accaparra i finanziamenti della Pac, la politica agricola comune europea: un affare che vale 50 miliardi di euro per l’Italia, 5 solo in Sicilia.
La Pac si articola in due tipi di interventi, uno sono i Piani di sviluppo rurale che vengono co-finanziati da Europa e Regioni e la cui gestione è affidata a queste ultime, l’altro sono i contributi diretti, finanziati interamente dall’Europa, che li distribuisce in Italia tramite Agea. Sono mirati a un generico sostegno al reddito dell’agricoltore, non devono essere giustificati, vengono calcolati in base all’estensione e al tipo di terreno che si possiede: ciò significa più terra più soldi. Ecco perché la criminalità cerca di accaparrarsi quanta più terra possibile: per ottenere più aiuti possibile. L’accaparramento avviene firmando contratti di affitto veri sotto minacce: noi abbiamo visto contratti firmati per veramente poche decine di euro per ettaro. Poi ci sono contratti di proprietà o usucapione falsi o gli accordi verbali, difficili da verificare perché per un agricoltore solo è difficile dire di no a un boss. Oppure ancora si dichiarano come agricoli terreni che in realtà non lo sono, come quelli dell’aeroporto di Trapani o dell’Arcidiocesi di Agrigento.

Esiste anche un problema sul versante dei controlli
Certo, i controlli sono veramente molto blandi perché sono demandati ad Agea, che non ha potere investigativo, sono controlli a campione e quelli effettuati in loco riguardano al massimo il 5% delle aziende.

I fondi sono rubati due volte perché, come voi spiegate nella vostra inchiesta, molte somme non si possono recuperare perché il reato riguarda annate cadute ormai in prescrizione e poi perché nella maggior parte dei casi questo denaro non viene usato per l’agricoltura, ma per altri scopi.
Esatto, questi terreni affittati per poche decine di ettaro ne fruttano centinaia, ma spesso non vengono nemmeno coltivati. Nella provincia di Caltanissetta un terreno di 300 ettari negli anni ha ottenuto quasi un milione di euro di fondi europei: soldi reinvestiti prevalentemente nel cemento. Ma c’è di più, in questo podere ha passato parte della propria latitanza Bernardo Provenzano. La Commissione Europea ha quindi finanziato un posto dove si è nascosto Bernardo Provenzano.
Questi sono soldi rubati all’agricoltura perché non vengono investiti nella terra e perché non arrivano nelle mani degli agricoltori.

Agricoltori come Emanuele e Sebastiano, intervistati durante il vostro lavoro in Sicilia, che subiscono oltre al danno la beffa di un sistema di finanziamenti che non va comunque alla radice dei problemi del settore agricolo italiano.
Il problema dell’agricoltura è la merce non piazzata al giusto prezzo, perché purtroppo la politica comunitaria per quanto riguarda l’agricoltura è fallimentare, soprattutto per i paesi mediterranei, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. Ci sono pratiche aberranti che sono state portate avanti per anni, come la vendemmia bianca: per calmierare il prezzo dell’uva si incentivava l’agricoltore a potare il vigneto e a non fargli fare il raccolto, è un paradosso. Oppure è capitato che in Sicilia venissero dati contributi per sradicare e poi reimpiantare nuovi vigneti, impiantati secondo le mode: ciò significa che una volta passata la moda, quel vigneto varrà un terzo, ma soprattutto in questo modo si sono persi vitigni autoctoni, radicati in quei territori da secoli. Anche qui un doppio danno. La tragedia è che ormai gli agricoltori vogliono abbandonare la terra e per questo la svendono.

Voi nella docu-inchiesta avete parlato della Sicilia, tu però sei originario di Foggia. Credi che anche nella tua Puglia succeda qualcosa di simile?
So per certo che una cosa che accade anche in Puglia, qualcuno della provincia di Foggia mi ha anche fatto segnalazioni. Ma accade sicuramente anche in Calabria, in qualche paese del centro-nord e in altri paesi dell’Unione Europea. Il problema non sono la Sicilia o la Puglia, il problema è che è troppo facile farlo, è un sistema che non funziona: non può essere che dimostrando semplicemente la conduzione del terreno prendi i soldi come se fosse un’elemosina. Non essendoci controlli è chiaro che si creino distorsioni, in più in territori dove ci sono organizzazioni criminali forti è ovvio che ne sappiano approfittare. Bisogna togliere le condizioni per la creazione di queste truffe.

Dal vostro lavoro non emerge un’immagine lusinghiera delle istituzioni, c’è però chi il suo lavoro lo fa: il Presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, vittima prima di minacce e pochi mesi fa di un violento attentato, per fortuna senza conseguenze.
Giuseppe Antoci ha iniziato a occuparsi del problema, ha rotto il meccanismo e per questo hanno sparato alla sua auto mentre tornava a casa. Antoci ha capito che la normativa è blanda e ha detto “Ci organizziamo da noi”, creando un protocollo di legalità firmato con il Prefetto di Messina e i sindaci dei comuni del Parco e chiedendo la certificazione antimafia a tutti coloro che partecipano alle assegnazioni dei terreni e dei fondi. Ora sembra che questo protocollo si stia allargando a tutta la Sicilia: ha centrato il punto, è chiaro che tentino di ammazzarlo. Possibile che a muoversi sia il Presidente del Parco dei Nebrodi, oppure noi che denunciamo il fenomeno con la nostra inchiesta, e non il viceministro delle politiche agricole Andrea Oliviero? Quando lo abbiamo intervistato la sua risposta è stata “sono certo che c’è un ufficio che se ne sta occupando”. Se non lo affronta lui problema delle agromafie, chi lo deve fare? Non si può dire che se abbassi la soglia di contributi per richiedere la certificazione antimafia da 150 mila a 80 mila euro, poi la criminalità si organizza. Possiamo iniziare a complicargli un po’ la vita o no? L’Istituzione è connivente perché non sta facendo ciò che ha fatto Antoci, che ha dimostrato che una soluzione c’è.

Il vostro lavoro è stato ripreso prima da Presa Diretta di Iacona e pochi giorni fa dalla Iene. Come è stato vedere che chi è già professionista dell’informazione occuparsi di un tema che voi per primi, giovani under 30, avevate affrontato?
È stata una grande soddisfazione professionale per aver centrato un tema di cui evidentemente c’era la necessità e l’urgenza di parlare. Ma soprattutto è stata una grande soddisfazione perché abbiamo potuto dare ancora più visibilità alle storie degli agricoltori che si vedono nel documentario.

Siete rimasti in contatto con questi agricoltori? Com’è la situazione ora lì per loro?
Sì, siamo rimasti in contatto con loro: hanno un coraggio da leoni e venderanno cara la pelle. Soprattutto perché cominciano a intravedere qualche effetto della visibilità: due settimane dopo la nostra inchiesta, alcuni dei soggetti di cui parliamo sono stati messi ai domiciliari. Si sono messi in contatto fra di loro e forse creeranno un’associazione per difendere le loro terre: noi abbiamo innescato una scintilla, ma loro si sanno difendere da soli. E poi ci sono gli uomini delle Istituzioni come Giuseppe Antoci che stanno cercando di dare la batosta finale a questa situazione.

Guarda il trailer dell’inchiesta

Mensa scolastica, Ferrara la più cara in Italia.
L’eccezione? A Fondoreno

Non si spegne la polemica suscitata dalla sentenza del Tribunale di Torino sul diritto degli studenti di portarsi il pranzo da casa. Ecco una soluzione alternativa proposta da un gruppo di genitori di Fondoreno.

Gli italiani, popolo di santi, poeti e giudici. Chi non si sente, infatti, nel pieno titolo di commentare, criticare, avvallare quella tal sentenza che tanto fa discutere? Questo senza aver letto minimamente il testo della stessa. Bastano due titoli sensazionalistici, che della sentenza riprendono tuttalpiù la massima principale, per dar vita a discussioni che dal nocciolo della verità si allontanano sempre più. Recente esempio di questa pratica nazionale è la sentenza 1049 del giugno 2016, emanata dal Tribunale di Torino ad accoglimento del ricorso presentato da un folto gruppo di genitori che chiedevano il diritto, per i propri figli, di poter consumare il proprio pasto casalingo in un clima di condivisione con i propri compagni e negli stessi spazi adibiti a mensa. In definitiva, quella che per i più è la ‘sentenza del panino’ non afferma altro se non che la mensa scolastica è un prezioso servizio pubblico, facoltativo e non obbligatorio, a cui un genitore, per i motivi più disparati, che vanno dalle precarie condizioni economiche a personali convinzioni gastronomiche, ha diritto di rinunciare.

Tale diritto di rinuncia però non deve comportare alcuna discriminazione per il bambino che si porta il pranzo da casa: non deve essere tenuto in una classe a parte e consumare il pasto in solitudine (come spesso accade), né i genitori sono tenuti ad andarlo a riprendere all’ora dei pasti per poi riportarlo a scuola per le lezioni pomeridiane. Quest’ultima soluzione poi non è assolutamente praticabile. Dice infatti il Tribunale di Torino: “Essendo, invece, obbligatoria la presenza a scuola durante la pausa pranzo, in assenza del diritto di scelta vantato dagli appellanti essa si porrebbe in contrasto con la natura di servizio non obbligatorio a domanda individuale della refezione scolastica dovendosi escludere l’alternativa costituita dal digiuno. Ciò si risolverebbe nella violazione dei generali principi di libertà individuale e di eguaglianza di tutti gli studenti in connessione con il diritto allo studio, da ritenersi lesi da parte di un sistema che impone, quale unica soluzione, di allontanarsi dalla scuola per sottrarsi ad un servizio pubblico non obbligatorio”. Sancisce quindi il Tribunale che: “Vi sarebbe, quindi, la mancata protezione del diritto al lavoro dei genitori nonché violazione dell’art. 35 della Costituzione, del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 e di gratuità dell’istruzione inferiore di cui all’art. 34 per effetto dell’imposizione della mensa comunale e del relativo costo, cioè di un servizio che dovrebbe essere facoltativo”. Il “tempo mensa” quindi, rientra nell’esercizio di un diritto soggettivo perfetto: rimanere a scuola anche durante la consumazione dei pasti è dunque un diritto, ma il dover usufruire della refezione scolastica non può diventare un obbligo.

In definitiva si è partiti dalla constatazione che il diritto di scelta non può diventare motivo di discrimine. Applicato ad altri ambiti sarebbe stata una verità sacrosanta, applicato alla mensa, seguita dall’aggettivo “pubblica”, ha provocato un marea di critiche. Perché se è vero che il primo detrattore dello Stato italiano è il cittadino italiano, toccare il servizio pubblico mina ancora le certezze di tantissimi concittadini. Da una recente ricerca di Cittadinanzattiva sul “caro mensa”, a livello regionale svetta l’Emilia-Romagna, con una spesa media di oltre mille euro l’anno, a cui fa da contraltare la Calabria, con circa 500. Fra i capoluoghi di provincia Livorno e Ferrara occupano il primo posto delle città più care, con 128 euro di retta media mensile. Ed è proprio da Ferrara che nasce l’esempio virtuoso del “Comitato gestione mensa scuola elementare di Fondoreno”, organizzazione no profit, che organizza e gestisce la mensa scolastica della scuola elementare statale “F.De Pisis”.

Unica realtà di mensa autogestita nella provincia di Ferrara, il Comitato è formato, per statuto, da un rappresentante per ogni classe, un rappresentante dell’Istituzione Scuola e da un rappresentante del Comune di Ferrara (attualmente l’Assessora Annalisa Felletti). In collaborazione con l’amministrazione comunale e il provveditorato agli studi, il Comitato di Fondoreno, con una retta unica di 95 euro, grazie all’instancabile lavoro dei genitori volontari, fornisce 95 pasti giornalieri, compresa la merenda, per gli alunni della scuola elementare, preparati da una cuoca e un aiuto cuoco regolarmente assunti. Non solo: grazie a una costante opera di autofinanziamento (mercatini di solidarietà e laboratori) il Comitato riesce anche a sostenere, grazie alle donazioni, importanti investimenti per la scuola, come l’acquisto di materiale didattico e attrezzatura scolastica. Maurizio Rossetti, uno degli storici fondatori ne parla con visibile orgoglio: “Nel 1977 la scuola di Fondoreno era costituita da sole tre pluriclassi, a cui venne aggiunta una sezione di scuola materna con mensa interna. Nel tempo la scuola materna venne accorpata a quella che, nel frattempo, era sorta a Cassana. A Fondoreno si erano costituite tutte le 5 classi elementari e, visto che era stato approvato, in via sperimentale per due anni, il modulo del “tempo pieno”, noi genitori chiedemmo all’amministrazione comunale di poter usufruire del servizio mensa. Si è trattato di un passaggio graduale che ha portato, a metà degli anni Ottanta, alla costituzione di un vero e proprio comitato di genitori, dotato di statuto.

“Negli anni 2000 il Comitato è diventato invece un soggetto fiscale a tutti gli effetti, dotato di un proprio statuto costitutivo e partita Iva”, gli fa eco Alessandro Pellegrini, presidente del Comitato: “La vera forza del Comitato sta nell’opera dei volontari. Dal disbrigo delle pratiche burocratiche ai contatti con i fornitori, tutto è curato da noi volontari che crediamo fortemente in questo progetto. Puntiamo alla qualità dei prodotti, privilegiando quelli a km 0 e biologici, e al contenimento degli sprechi. Sicuramente, in questo, siamo avvantaggiati dal fatto che, gestendo una realtà piccola, possiamo curare al massimo i rapporti umani e dare spazio alle esigenze di tutti. L’amministrazione comunale ha sempre dato massima disponibilità nell’accogliere le nostre richieste, anche perchè riconosce in noi non solo la volontà di fornire un servizio di qualità, ma ne vede anche i risultati tangibili”. “Lo abbiamo scritto anche nel nostro statuto – dice Maurizio Rossetti – i genitori possono venire quando vogliono a controllare o a consumare un pasto nella mensa dei propri figli. E nessuno fino ad ora si è mai lamentato”.

Nell’orto dell’ideologia non nascono i fiori.
riflessioni a margine sui fatti di Gorino

Non so se c’è una Casa del Popolo a Gorino, a Goro certamente sì. Negli anni Settanta – quelli che posso ricordare personalmente – era lì che pescatori, braccianti, operai (forse qualche raro studente) andavano a discutere la crisi imminente del capitalismo; era lì che ogni giorno trovavano il loro senso della vita e i loro momenti di svago. Un bar affumicato e affollato dagli uomini del paese al piano di sotto, scale esterne per salire al piano di sopra in una sala vuota e grande che aveva un piccolo tavolo per il relatore e molte sedie, che venivano occupate da poche persone assonnate – perché i giovani non ne vogliono più sapere… Erano più o meno così le Case del Popolo, un luogo di socialità, quando i mezzi di comunicazione odierni non esistevano, quando l’isolamento geografico di molte zone rurali aumentava le difficoltà nel contatto umano e culturale con il mondo.

Era lì che il mondo si divideva nettamente in due parti: i buoni e i cattivi, come nelle vecchie aule delle scuole elementari, ma lì solo i buoni erano presenti, i cattivi restavano fuori. Anche al bar si discuteva animatamente ogni sera, ma nella sala di sopra i compagni si ritrovavano in una specie di rosario in cui i mantra contro il capitale scandivano le tappe di un discorso sempre uguale. Rabbia e speranza, fiducia e fatica e delusione, “perché i giovani non ci credono più”. La crisi del capitalismo che avrebbe fatto crollare il mondo e generato un nuovo mondo dei giusti – di pace, di lavoro e libertà – tardava a palesarsi.

Molte persone per bene che lavoravano pensando che un giorno la crisi avrebbe travolto i padroni e dato ragione alle loro speranze di palingenesi. Persone per bene che alimentavano il loro senso di identità dividendo il mondo in due. Loro erano parte di una comunità chiusa, sostenuta dalla convinzione di essere dalla parte giusta.
Allora di globalizzazione non si parlava e neppure di migrazioni. E la solidarietà scaldava i cuori e si manifestava dentro i confini di un gruppo di uguali: uomini provati dalla dura fatica quotidiana, come in altri piccoli paesi confinati nel nulla. Sentimenti di abbandono e rivolte e un po’ di aiuti in una provincia come Ferrava che fronteggiava il dramma del sottosviluppo e uno spirito di separazione alimentato dall’isolamento geografico. Una comunità di uguali, perché tutti vivevano la stessa condizione di povertà. Una comunità si nutre di certezze; chiude i confini, si difende e attacca, riconosce solo i propri membri, è ostile a tutti coloro che ad essa non appartengono.

Tutta la sicurezza consolatoria alimentata in anni di tenace lavoro dei militanti del PCI non ha prodotto – né poteva produrre – consapevolezza del cambiamento in atto, non poteva produrre cultura – perché la cultura è laica – né poteva produrre un’idea di futuro utilizzabile per migliorare il mondo. La globalizzazione richiede altre categorie di analisi, uno sguardo lungo ai processi irreversibili che l’accompagnano, la capacità di distinguere ciò che si può migliorare e ciò che non può essere contrastato. Un messaggio fondato su credenze, che assumeva un’ipotesi infondata di futuro, non poteva produrre crescita culturale e nemmeno emancipazione (termine ricorrente al tempo), ma solo comunità incapaci di vedere che il mondo è diventato grande, ampio, talvolta spaventoso, altre volte sfidante e, talvolta, persino migliore. E forse questa è la cosa più difficile da accettare. Resta qualcosa di quella visione del mondo, resta lo spirito di isolamento che plasma identità perdenti, alimenta la nostalgia, resta un’idea di solidarietà chiusa nel proprio gruppo di appartenenza.

“Che Tagliani intervenga per tutelare gli abitanti di Gorino e tutti i ferraresi”

Da: Giorgio Fabbri

Ho appena ascoltato la trasmissione ‘La Zanzara’ (Radio 24) nel corso della quale uno dei conduttori (e precisamente David Parenzo) ha vomitato ogni serie di offese contro la gente di Gorino.
Fra le altre cose ha detto che Gorino è un posto che fa schifo dove nessuno vorrebbe andare e che anche gli abitanti di Gorino vorrebbero andarsene dal loro paese.
Mi auguro che il sindaco di Goro telefoni a ‘La Zanzara’ e dica il fatto suo a Parenzo, che accusa gli altri di razzismo e poi ha espressioni volgari e discriminatorie contro la gente di Gorino. Bell’esempio di intellettuale di sinistra!
La stessa trasmissione ha poi mandato in onda la telefonata di un romagnolo (chi non ci crede riascolti la puntata del 26/10) il quale ha affermato “I ferraresi non sono nè veneti, nè emiliani nè tantomeno romagnoli. Non sono nè carne nè pesce. Non confondiamo la m…da con il cioccolato!”.
Mi auguro che anche l’Avv.to Tagliani, che rappresenta la nostra provincia, intervenga per tutelare il buon nome degli abitanti di Gorino e tutti i ferraresi!

Profughi, lasciare in pace i Comuni che non hanno strutture

Da: Organizzatori

Quindici comuni del bolognese e dell’imolese non hanno ancora accolto migranti. In quattro di questi (Galliera e San Giorgio di Piano, ancora nel cratere, e Minerbio e Fontanelice) le minoranze sono già pronti ad alzare le barricate.
Uniti per Galliera, espressione della minoranza, è fermamente contraria all’accoglienza indiscriminata. Il capogruppo Diego Baccilieri commenta: “Prima di tutto vanno distinti i profughi, che hanno diritto di asilo, dai migranti che sono dei clandestini” ed annuncia di aver presentato già due interrogazioni al riguardo, facendo inoltre notare che ‘Galliera non ha strutture pubbliche utilizzabili, quindi si guardi altrove’.

Simone Carapia, residente ed ex consigliere di Fontanelice ed ora ad Imola, commenta ‘Il circondario imolese e la valle del Santerno hanno fatto già la loro parte sulla questione profughi, con Imola, Casalfiumanese, Castel Guelfo e Castel San Pietro Terme. Il nostro territorio ha già dato e mi auguro che i nostri amministratori non subiscano pressioni da Enti sovraordinati e Prefetto per nuovi arrivi. Prima aiutiamo i nostri concittadini che hanno difficoltà sul territorio e poi pensiamo al resto’.

Si uniscono poi i consiglieri di San Giorgio e Minerbio; Marco Bonora (San Giorgio di Piano) commenta:
“Guardiamo con preoccupazione crescente alla politica dissennata dell’accoglienza a livello nazionale. San Giorgio non dispone di strutture attrezzate o attrezzabili utili ad ospitare cittadini stranieri e comunque qualsiasi arrivo di migranti sul nostro territorio deve necessariamente coinvolgere preventivamente tutte le istituzioni locali compreso il consiglio comunale e deve evitare l’imposizione forzata come avvenuto in questi giorni in alcune comunità ” .
Floriano Rambaldi, consigliere a Minerbio afferma: “Questi Comuni, per via degli affitti molto più bassi, in passato hanno già conosciuto una ondata migratoria e si sono raggiunti equilibri che riteniamo non debbano essere toccati: andarli a modificare non può fare altro che creare delle situazioni disastrose e drammatiche. Trovo inoltre piuttosto tendenzioso prendere quale dato di riferimento l’estensione geografica del 27% e non la popolazione di questi territori che, a conti fatti, rappresenta una minima parte della popolazione dell’area metropolitana. Infine, parliamo di territori dove la tensione sociale è già molto alta: pensiamo a Gaggio Montano che sta vivendo una situazione economica poco felice dovuta alla crisi della Saeco. Come è possibile inserire ulteriori persone in un territorio già così provato? Si alimenterebbe una guerra tra poveri che non è ammissibile”.
“Sostegno e solidarietà ai Comuni che hanno avuto il coraggio di dire ‘no’ – conclude Galeazzo Bignami, presidente del gruppo FI in Regione Emilia-Romagna -. Ormai conosciamo l’andazzo. Con la scusa di far arrivare ‘pochi’ profughi, di fatto poi si costringono i Comuni ad accogliere ben oltre le loro possibilità. Anche sindaci che non sono certo di centrodestra ormai stanno capendo che con l’imposizione non si risolve nulla, che niente può giustificare questo presunto stato di emergenza che deriva esclusivamente dal non sapere distinguere i veri rifugiati di guerra da quelli che sono semplicemente clandestini mantenuti con i nostri soldi. La politica del rimpatrio non funziona, la tensione sociale è al massimo e chi ci amministra, a livello regionale, fa finta di non vedere. Ci continuano a raccontare che i sindaci sono informati ma ciò, sempre più spesso, non corrisponde a realtà. Lo vediamo e lo percepiamo quotidianamente. I sindaci e i loro Comuni vanno riportati al centro di questo processo decisionale. I cittadini, lungi dall’essere razzisti, chiedono solo rispetto e considerazione, questo è il segnale che è arrivato da Goro”.

La newsletter del 27 ottobre 2016

Da: Comune di Ferrara

Biblioteca Ariostea – Venerdì 28 ottobre alle 17 incontro con Horacio Czertok
Rileggendo Bertold Brecht, nel sessantesimo anniversario della sua scomparsa

Sarà dedicato a Bertold Brecht, celebre drammaturgo, poeta e regista teatrale tedesco, in occasione del sessantesimo anniversario della sue scomparsa, l’incontro con Horacio Czertok del ‘Teatro Nucleo’ in programma venerdì 28 ottobre alle 17 nella sala Agnelli della biblioteca Ariostea. L’appuntamento è a cura dell’Istituto Gramsci e dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara.
“Caro Brecht, sei stato male interpretato come pochi. Vedi per esempio Madre Coraggio. Scrivi questo apologo in forma di tragicommedia per raccontare come, se è vero che le guerre sono create e fatte dai potenti, ma combattute dai poveracci che ci lasciano le penne, è anche vero che molto popolo reso miope dall’avidità, si fa complice e cinghia di trasmissione. Madre Coraggio ha il coraggio di andare in guerra per fare affari, e tutto le sacrifica, persino i propri figli. Una forma molto particolare di coraggio, bisogna ammetterlo. Ma i giornalisti, e molte persone di penna, i famosi TUI che tanto odiavi, non avendoti mai letto, usano il nome dell’orribile personaggio per battezzare oneste ed eroiche madri in difficoltà, che vanno a sfidare le mafie per trovare i propri cari sequestrati, o intraprendono pericolose azioni per combattere i fornitori di droghe ai loro figli. Di quante Madri Coraggio abbiamo sentito parlare, in questo senso?
Così caro Brecht pensavi di scrivere drammi didattici per istruire le masse mentre le divertivi, perché prendessero coscienza e si liberassero dalla schiavitù del capitalismo distruggendolo e facendo la rivoluzione. Ne hai scritto pure un manuale su come dovessero essere messi in scena e recitati, e dei Modelbuch perché chiunque volesse metterli in scena, ottenuti e pagati i diritti alla tua vedova e poi a tua figlia, lo facessero senza cambiarne una sola virgola. Invece. Purtroppo. Quei drammi e tragicommedie non hanno contribuito a fare la rivoluzione, che non ha avuto luogo. Invece sono messi in scena per il divertimento delle classi dominanti, ma raramente arrivano alle classi dominate, le quali guardano – e sono guardate – da televisione e smartphone.”
Di questo vorremmo parlare in questo incontro, dei suoi avventurosi dribbling sfuggendo al nazismo che montava e agli americani che lo volevano controllare, e della tenerezza e dell’amore che sentiamo per questo maestro. Canteremo alcune delle sue celebri ballate, e reciteremo alcuni indimenticabili poemetti.

Castello Estense – Da sabato 29 ottobre visite guidate, una rappresentazione teatrale e gita in barca nel fossato per i più piccoli
Tutte le iniziative speciali del Castello Estense per il ponte di Ognissanti

In occasione del prossimo ponte di Ognissanti, tante e diversificate sono le attività proposte al Castello Estense di Ferrara.
Da sabato 29 ottobre a martedì 1 novembre sono in programma visite guidate al Castello e alla mostra ‘L’arte per l’arte’ a cura di Itinerando alle ore 11, 14 e 15; a queste se ne aggiungerà una alle ore 16 sabato 29 ottobre e una alle ore 12 martedì 1 novembre.
Domenica 30 ottobre sarà inoltre possibile assistere alla rappresentazione ‘Ritratto di Lucrezia Borgia. Chiaroscuri del mito ferrarese’, una visita teatrale in compagnia della misteriosa duchessa a cura della compagnia TeatrOrtaet (ore 11.30 e 15.30 su prenotazione).
Lunedì 31 ottobre il museo resterà aperto e, alle 15.30, verrà organizzata una speciale visita dedicata alle famiglie con bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni, con storie di maghi e racconti fantastici; anche martedì 1 novembre, sempre alle 15.30, sarà proposta ai bambini una visita guidata con narrazioni, rievocazione di leggende e personaggi curiosi.
Dopo il grande successo ottenuto nei mesi scorsi, la navigazione nel fossato del Castello proseguirà per tutti il 29 e 30 ottobre e l’1 novembre, dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 17. Il 31 ottobre invece la barca sarà completamente a disposizione dei più piccoli per un Halloween con i fiocchi: per i bambini dai 6 agli 11 anni sarà infatti possibile, dalle 17 alle 19, partecipare alla luce delle lanterne ad emozionanti tour nelle acque del fossato della durata di circa 15 minuti, accompagnati da tante storie misteriose.
Per informazioni e prenotazioni, è possibile contattare la Biglietteria del castello Estense allo 0532/299233; e-mail: castelloestense@comune.fe.it.

Cerimonia Intitolazione – Sabato 29 ottobre alle 10, area verde compresa fra le vie Virgili, Viazza, Bregola e Copparo
Il ‘Parco Vita’ di Boara intiolato al medico Antonio Soffritti

Sabato 29 ottobre alle 10 avrà luogo la cerimonia di intitolazione del ‘Parco Vita’ di Boara (area verde compresa fra le vie Virgili, Viazza, Bregola e Copparo) ad Antonio Soffritti, medico condotto della frazione molto apprezzato dalla comunità scomparso nel 2013.
In apertura verrà presentata la figura di Antonio Soffritti. Seguiranno lo scoprimento di una targa commemorativa all’ingresso dell’area verde, interventi di autorità e testimonianze. Alla cerimonia interverranno il vicesindaco e assessore alla Cultura Massimo Maisto e l’assessore ai Lavori Pubblici Aldo Modonesi.
Il provvedimento di intitolazione, approvato con Delibera di Giunta comunale nei mesi scorsi, ha in questo modo accolto una specifica proposta del Comitato spontaneo che si era costituito con il coordinamento di Orieliano Tagliati e dell’Ordine dei Medici della Provincia di Ferrara.
In caso di maltempo la cerimonia si svolgerà al centro sociale La Ruota di Boara.
Giornalisti, fotografi e videoperatori sono invitati
Il Dottor Antonio Soffritti nacque a Boara (Fe) il 17 gennaio 1927. Si laureò in medicina all’Università di Bologna nel 1955 a 28 anni, specializzandosi successivamente in cardiologia e reumatologia e iniziando subito ad esercitare nella 3.A Divisione Medica dell’Arcispedale S. Anna di Ferrara, ove rimase per 22 anni. Contemporaneamente svolgeva il servizio di Medico Condotto nel suo paese natale, che continuò per altri 20 anni, quando le nuove leggi gli imposero di fare una scelta fra l’attività ospedaliera e la “missione” nelle famiglie della sua comunità. Quando il 17 gennaio 1997, al compimento del settantesimo anno di età, lasciò il suo incarico per il pensionamento, rimase sempre disponibile per i suoi già assistiti, spesso senza neppure chiedere una parcella per le sue prestazioni specialistiche. Il 23 dicembre del 2013 a 86 anni di età ha lasciato questa vita e un grande vuoto nelle famiglie da lui assistite.

Cimitero della Certosa – Dal 28 ottobre al 6 novembre
In occasione della Commemorazione dei defunti accessibile anche il primo gran claustro della Certosa

In occasione della festa di Ognissanti e della Commemorazione dei defunti, da venerdì 28 ottobre a domenica 6 novembre sarà, eccezionalmente, consentito l’accesso a tutto il porticato del primo gran claustro all’interno del cimitero della Certosa, attualmente inagibile poiché interessato dagli interventi di restauro post sisma programmati dall’Amministrazione comunale di Ferrara.
Gli orari di accesso al cimitero della Certosa prevedono fino al 31 ottobre l’apertura alle 7 e la chiusura alle 18 e dall’1 novembre l’apertura alle 7 e la chiusura alle 17.

Assessorati Lavori Pubblici e Decentramento – ‘Alla scoperta del nostro territorio’ in compagnia di Carlo D’Onofrio e Francesco Scafuri
Domenica 30 ottobre alle 11.30 passeggiata culturale nella frazione di San Bartolomeo in Bosco

Domenica 30 ottobre 2016 alle 11.30 a San Bartolomeo in Bosco, con appuntamento davanti al sagrato della chiesa in via Masi 174, si svolgerà l’itinerario storico- artistico a partecipazione gratuita in compagnia dello studioso Carlo D’Onofrio e di Francesco Scafuri, responsabile dell’Ufficio comunale Ricerche Storiche.
Durante la breve passeggiata a San Bartolomeo in Bosco i relatori ricorderanno le vicende storiche riguardanti il paese; richiameranno, inoltre, l’attenzione dei partecipanti su alcuni tra gli edifici più significati della frazione, come le scuole elementari (1911-12) e la chiesa attuale (consacrata nel 1959) sorta in parte sul sedime di quella settecentesca, quest’ultima purtroppo distrutta dai bombardamenti del 22 aprile del 1945, che risparmiarono il campanile del 1786. Sarà anche l’occasione per illustrare la storia di alcuni edifici di matrice razionalista, a partire dall’ex Casa del Fascio (1939), caratterizzata dall’interessante torre ‘Littoria’ e oggi destinata a Caserma dei Carabinieri, mentre ci sarà la possibilità di vedere da vicino la ‘Nike’, un pregevole monumento ai caduti della Grande Guerra inaugurato nel 1927, che si staglia nel giardino adiacente alle scuole del paese. Al termine dell’incontro proiezione di un originalissimo video sulla storia del paese.
Si tratta della prima passeggiata alla scoperta del nostro territorio nelle frazioni ferraresi, cui seguirà un secondo incontro, sulle tracce dei Templari, domenica 6 novembre alle 11 presso la chiesa di Mizzana.
L’iniziativa è promossa da Assessorato ai Lavori Pubblici/Beni Monumentali del Comune di Ferrara, in collaborazione con Assessorato al Decentramento/Sport, parrocchie di San Bartolomeo in Bosco e di Mizzana e associazione De Humanitate Sanctae Annae. Il coordinamento e l’organizzazione dell’evento si devono all’Ufficio comunale Ricerche Storiche/Sevizio Beni Monumentali-Centro Storico.
Per info su Cronacacomune

Uffici e Musei Comunali – I servizi riprenderanno mercoledì 2 novembre
Attività degli uffici comunali sospese il 31 ottobre. Musei civici aperti l’1 novembre

Nella giornata di lunedì 31 ottobre gli uffici del Comune di Ferrara rimarranno chiusi, così come martedì 1 novembre, Festa di Ognissanti.
Nelle due giornate saranno chiusi anche l’Archivio storico e le biblioteche comunali (Ariostea, Bassani, Rodari, Luppi e Tebaldi).
Come per altre occasioni, il provvedimento di chiusura degli uffici in una giornata compresa tra due festività è stato programmato dall’Amministrazione comunale per ragioni di risparmio di risorse (energia, gestione dei servizi e del personale), in considerazione anche della ridotta affluenza di utenti che generalmente caratterizza queste particolari circostanze.
Gli uffici riapriranno regolarmente mercoledì 2 novembre.
Musei e aree monumentali
Lunedì 31 ottobre osserveranno il loro consueto giorno di chiusura settimanale anche i musei civici, che saranno invece aperti martedì 1 novembre per offrire a ferraresi e turisti l’opportunità di utilizzare la giornata festiva per visitarne spazi e collezioni: Palazzo Schifanoia e Civico Lapidario (9.30 – 18.00); Museo di Palazzina Marfisa d’Este (9.30 – 13.00 / 15.00 -18.00); Museo del Risorgimento e della Resistenza (9.30 – 13.00 / 15.00 -18.00); Casa di Ludovico Ariosto (10.00 – 12.30 / 16.00 – 18.00); Museo di Storia Naturale (9.00 – 18.00); e Museo della Cattedrale (9.30 – 13.00 / 15.00 -18.00).
Inoltre, in occasione della festa di Ognissanti e della Commemorazione dei defunti, il tempio di San Cristoforo alla Certosa sarà straordinariamente aperto nei giorni 1 e 2 novembre dalle 9 alle 12.
Il percorso museale del Castello estense e la mostra ‘Orlando Furioso 500 anni’ allestita a Palazzo dei Diamanti saranno invece regolarmente aperti tutti i giorni.
Per informazioni:
www.artecultura.fe.it
www.castelloestense.it
www.palazzodiamanti.it

Viabilità – Modifiche per la circolazione e la sosta a cominciare da sabato 29 ottobre fino a mercoledì 2 novembre
I provvedimenti in vigore nelle giornate dedicate alla Commemorazione dei defunti

In occasione della ricorrenza delle giornate dedicate alla Commemorazione dei defunti, l’Amministrazione comunale ha emanato un’ordinanza con i provvedimenti di viabilità in vigore nelle aree cimiteriali e nelle zone limitrofe.
Questi i provvedimenti in vigore:
Certosa.
• Piazza Ariostea, anello interno: sospensione dell’area pedonale ed istituzione di parcheggio a pettine per gli autoveicoli; istituzione di senso unico di marcia, in senso orario, con ingresso da Via Fossato/Cortile e uscita dalla rampa lato Porta Mare fronte via Folegno.
Tale provvedimento avrà validità dalle ore 07.00 del giorno 29 ottobre 2016, alle ore 19.00 del giorno 2 novembre 2016
• Via Borso, Via Guarini, Vicolo del Parchetto, Vicolo del Portone, Viale della Certosa:
istituzione del divieto di circolazione a tutti i veicoli, ammessi gli autorizzati ed i veicoli del trasporto pubblico.
• Corso Ercole I d’Este, tratto da via Guarini al c.n.48° e dal c.n.39 a via Arianuova: istituzione del divieto di fermata.
• Corso Ercole I d’Este, tratto da Via Arianuova a viale O.Furioso: stituzione del senso unico di marcia con direzione viale O. Furioso, ammessi in entrambi i sensi di marcia i mezzi di trasporto pubblico nel solo tratto compreso tra il viale della Certosa ed il C.so Biagio Rossetti.
• Viale Certosa, all’intersezione con C.so Ercole d’Este: istituzione di direzione obbligatoria a destra, eccetto i mezzi di trasporto pubblico.
• Vicolo Parchetto, all’intersezione con C.so Ercole d’Este: istituzione di direzione obbligatoria a destra.
• Vicolo Portone, all’intersezione con C.so Ercole d’Este: istituzione di direzione obbligatoria a destra.
• Via Arianuova, intersezione Ercole I d’Este: istituzione di direzioni consentite a destra e sinistra.
• Viale O. Furioso, tratto da Corso Ercole I d’Este a via Leopardi: istituzione del senso unico di marcia, con direzione via Leopardi.
• Via Santa Maria degli Angeli, tratto da via Leopardi a via A. Novello – lato campo giochi:
istituzione del divieto di fermata, vengono salvaguardati gli stalli a pettine.
• Ercole I d’Este, tratto da Via Arianuova a Santa Maria degli Angeli: sospensione della Z.T.L..
• Ercole I d’ Este, tratto da V.le della Certosa a V.le Orlando Furioso: sosta consentita ambo i lati.
Tali provvedimenti avranno validità dal giorno 30 ottobre al giorno 2 novembre 2016, dalle ore 07.00 alle ore 19.00
Cimitero di Quacchio.
• Via Polonia, tatto dal parcheggio del cimitero di Quacchio a via Caldirolo: istituzione del divieto di fermata ambo i lati.
• Via Caldirolo: istituzione di spazio di sosta per i veicoli al servizio di invalidi o con difficoltà di deambulazione nel tratto davanti al Cimitero di Quacchio – lato Vallo delle Mura – dalla rampa di accesso al sottomura di fronte a via Polonia.
• Via Caldirolo, area del sottomura antistanti il Cimitero di Quacchio: istituzione di parcheggio per i veicoli, con accesso in prossimità di via Chendi e uscita all’altezza di via Polonia.
Cimitero di San Luca.
• Via del Campo, all’ingresso del parcheggio antistante il cimitero di San Luca: istituzione del divieto di transito, ammessi gli autorizzati ed i veicoli del trasporto pubblico.
• Via del Campo, tratto dall’accesso al parcheggio posto in prossimità del c.n. 38 al c.n.40, (parcheggio in corrispondenza della sede del Comando Compagnia Carabinieri): itituzione del divieto di fermata sul lato cc.nn. pari.
Cimitero di San Giorgio.
• Via O. Putinati, tratto dal c.n. 234 a via Pontino: istituzione del divieto di fermata;
• Via O. Putinati, tratto compreso tra il Ponte di San Giorgio ed il Canale Primaro: stituzione del divieto di fermata sul lato dei cc.nn. dispari;
• Via del Pontino, tratto tra via O. Putinati al c.n. 10: istituzione del divieto di transito a tutti i veicoli, ammessi i residenti ed istituzione del divieto di fermata sul ambo i lati.
Cimitero di Pontelagoscuro.
• Strada senza nome, da via Vallelunga al Cimitero di Pontelagoscuro: istituzione del divieto di transito, ammessi gli autorizzati.
• Via Romito, tratto compreso tra la via L. Bottoni ed il ponte sul Canale Boicelli: istituzione del divieto di fermata.
• Via Vallelunga, per un tratto di metri 100 dalla Via Dolcetti e dalla Via Crespano sino al Ponte sul Canale Boicelli: istituzione del divieto di fermata.
Cimitero di Francolino.
• Via del Cimitero, tratto da via dei Calzolai al termine della strada: istituzione del divieto di transito, ammessi gli autorizzati.
Cimitero di S. Bartolomeo in Bosco.
• Via Sgarbata, tratto dal c.n.289 alla via Masi: istituzione del divieto di fermata sul lato cc.nn. pari;
• Via Sgarbata, tratto da via Pandolfina a Via Masi: istituzione del divieto di transito per gli autocarri.
Cimitero di San Martino.
• Via Corazza, tratto compreso tra le Vie Buttifredo/Chiesa e via Pasini, lato civici dispari:
istituzione del divieto di fermata.
Cimitero di Quartesana.
• Via Baiesa, tratto da via Comacchio al termine della strada: istituzione del divieto di transito, ammessi gli autorizzati.
Cimitero di Cona.
• Via Beloc, tratto da via Comacchio al Cimitero di Cona: stituzione del divieto di transito, ammessi gli autorizzati.
Cimitero di Porotto.
• Strada senza nome, che collega il Cimitero di Porotto con la via Cento: istituzione del divieto di transito, ammessi gli autorizzati.
Cimitero di Cassana.
• Via Smeraldina, tratto da Via Modena al c.n. 20: stituzione del divieto di fermata.
Tali provvedimenti avranno efficacia nei giorni 1 e 2 novembre 2016, dalle ore 07.00 alle ore 19.00.
>> I veicoli autorizzati saranno quelli dei residenti, i velocipedi, i mezzi che trasportano persone con gravi difficoltà deambulatorie, limitando la sosta al tempo strettamente necessario per la salita e la discesa dei trasportati, nonché i veicoli al seguito di cortei funebri.
>> Le linee di trasporto pubblico dovranno effettuare le deviazioni conseguenti ai divieti di circolazione previsti negli orari del provvedimento.

Sport e Tempo Libero – Sabato 29 ottobre poi sabato 5 e 12 novembre alle 17.30 in Sala della musica (via Boccaleone 19)
‘Le vie dell’acqua’: tre incontri su oceani, mari e fiumi

Sabato 29 ottobre poi sabato 5 e sabato 12 novembre 2016 alle 17.30 la Sala della musica, a cui si accede dall’interno del Chiostro di San Paolo in via Boccaleone 19 a Ferrara, ospiterà gli appuntamenti del ciclo di incontri su ‘Le vie dell’acqua: oceani, mari, fiumi’. L’iniziativa, nata da un’idea di Enrico Dalpasso con il patrocinio del Comune di Ferrara e dell’Ismar (Istituto di Scienze marine di Venezia del Cnr), fa parte del progetto ‘Parlaredimare’ rivolto a tutti coloro che per passione o per lavoro, per interesse culturale, sportivo o naturalistico o per semplice curiosità sono aperti a nuove suggestioni, sto rie ed esperienze narrative .
Ecco il programma:
– Sabato 29 ottobre incontro dedicato al “Report dall’Oceano” con l’intervento di Andrea Bergamasco, oceanografo, ricercatore subacqueo e fisico interessato principalmente allo studio delle masse d’acqua, docente universitario all’Istituto di Scienze marine di Venezia del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche). Bergamasco parlerà del suo lavoro di ricercatore e appassionato di mare dando aggiornamenti sugli studi scientifici sul campo e accompagnando le parole a spezzoni video tratti dal lungometraggio ‘Mediterraneo bollent'” del regista Eugenio Manghi.
– Sabato 5 novembre incontro intitolato ‘Respiro mediterraneo’ condotto da Fabio Fiori, marinaio e scrittore, che alla passione per vela e nuoto ha associato negli anni l’amore per il remo, il pedale e il cammino. Il dialogo sarà di carattere narrativo con letture e idee tratte da ‘Anemos’ e ‘Thalassa’.
– Sabato 12 novembre l’appuntamento conclusivo intitolato ‘Sul fiume lentamente’ condotto da Giacomo De Stefano, navigatore, comunicatore e film- maker. Dopo una vita dedicata all’architettura e all’arte, da dodici anni è alla ricerca di nuovi modi per sviluppare economie sostenibili e resilienti, legate alle vie di comunicazione fluviali e marittime. Durante l’incontro verranno proiettate scene tratte dal film ‘Man on the river’ (l’uomo sul fiume), un viaggio ecologico e lento a remi e a vela da Londra a Instanbul nel segno di un turismo sostenibile.
Per info e prenotazioni si può contattare l’organizzazione a cura di Enrico Dalpasso e Francesca Alvisi di Ismar-Cnr, email e.dalpasso@ismar.cnr.it, cell. 338 8771445.

La violenza sulle donne portata nei tribunali: qualcosa è cambiato?
di Centro Donna Giustizia Ferrara

Vi è una diffusa convinzione che i Tribunali non siano luoghi preparati a gestire con le giuste parole ed il giusto atteggiamento i casi di violenza sulle donne.
Il problema nasce dal fatto che nei tribunali, ancora, permane la pratica di distrarre l’attenzione dalle responsabilità dell’imputato puntando tutto sulla inattendibilità della vittima.
E ciò col pretesto che le violenze sessuali, le botte, le segregazioni, le minacce ecc., sono tendenzialmente consumate nel privato delle mura domestiche.
Sappiamo benissimo che questa è la strategia tradizionalmente preferita dai difensori degli imputati e che spesso, proprio per evitare il c.d. ‘secondo stupro’, le donne sono indotte a non denunciare.
Ma forse qualcosa è cambiato.
Ieri si è celebrato un processo avanti il Tribunale di Ferrara a carico di un marito accusato di avere per anni sottoposto la moglie a violenze fisiche, psicologiche, sessuali, arrivando a segregarla, isolarla, minacciarla di morte, e ciò spesso davanti ai bambini piccoli.
Noi c’eravamo perché quella donna l’avevamo ospitata, assistita e accompagnata nel percorso di liberazione da quella situazione.
Noi c’eravamo perché il Centro donna giustizia si è costituito parte civile e il Tribunale di Ferrara, che ha accolto quella richiesta, al momento di pronunciare la sentenza di condanna a carico del marito, ha riconosciuto anche il suo diritto al risarcimento del danno non patrimoniale liquidato in euro 15.000,00.
Ebbene, riteniamo che questa sentenza sia importantissima perché non solo dà il giusto riconoscimento al lavoro del Centro Donna Giustizia ma anche perché accoglie una lettura dei fatti che denota la conoscenza di cosa è la ‘violenza domestica’, ovvero una fattispecie caratterizzata dal fatto che la tolleranza della donna anziché manifestare acquiescenza, dimostra la gravità della violenza stessa.
Esprimiamo, pertanto, la nostra soddisfazione convinte che il lavoro culturale di sensibilizzazione, che conduciamo da anni insieme all’Udi, possa produrre risultati tangibili a favore di tutta la popolazione, donne e uomini.
Udi Ferrara – Cdg Ferrara_27 ottobre 2016

Meis – Mercoledì 2 novembre a Tel Aviv. Presenti il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il sindaco Tiziano Tagliani
Il ministro Franceschini presenta in Israele il Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah in costruzione a Ferrara

In occasione della visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in Israele, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, presenterà agli israeliani l’imponente progetto del Meis, Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, in costruzione a Ferrara.
La mattina del 2 novembre, presso il Museo Eretz Israel di Tel Aviv, il Ministro, alla presenza del Capo dello Stato, del Sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani, del Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, del Presidente del Meis, Dario Disegni, e del direttore Simonetta Della Seta, illustrerà agli israeliani le ragioni per cui il governo italiano, e in particolare il suo Ministero, si è impegnato a sostenere una tale iniziativa.
Diecimila metri quadrati, sette edifici (due che facevano parte dell’ex carcere cittadino e cinque modernissimi), uno spazio per il percorso espositivo permanente, uno per le mostre temporanee, auditorium, biblioteca, archivio, sale per attività didattiche, aule per laboratori e incontri, caffetteria, parco e ristorante gourmet. Il Meis è rivolto agli italiani di tutte le età, per spiegare loro che il retaggio ebraico, radicato nella penisola con una presenza di 2.200 anni, è parte del bagaglio nazionale. Ma il Museo conta di attirare anche un pubblico internazionale.
L’interazione degli ebrei italiani con la società circostante ha prodotto nei secoli un dialogo costruttivo da un punto di vista culturale, artistico, letterario, musicale, scientifico ed etico. Un caso unico, soprattutto se si riflette sul fatto che l’ebraismo italiano è ancora una realtà viva e in fermento. Storia che il Meis si sta preparando a raccontare in un percorso moderno, dialettico, e suggestivo.
Il Meis, nel cui Consiglio di Amministrazione siedono autorevoli rappresentanti del Mibact, della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Ferrara e dell’Ucei (l’ex Presidente Renzo Gattegna parteciperà alla presentazione di Tel Aviv), ha radunato attorno a sé anche un Comitato scientifico internazionale di quindici esperti, tra storici, rabbini, sociologi, uomini della comunicazione e competenti in museologia. Tra questi, nomi come Paolo Mieli e Aldo Grasso, Alain Elkann, Donatella Calabi, Manuela Consonni ed Enzo Campelli.
Il Meis nasce a Ferrara, città rinascimentale tra le più belle d’Italia, che ha accolto dal 1300 una grande e operosa comunità ebraica, protetta fino al 1600 dalla dinastia degli Este. La città, fiera del suo passato e della sua presenza ebraica, ha sempre sostenuto il progetto Meis. Anche per questo, il Sindaco Tiziano Tagliani ci tiene ad accompagnare in Israele il concittadino Dario Franceschini, portando con sé una perla della presenza ebraica ferrarese: il manoscritto de ‘Il Giardino dei Finzi Contini’, forse il libro più noto e internazionalmente letto dello scrittore Giorgio Bassani, di cui corrono i 100 anni dalla nascita. Il manoscritto (quattro grandi quaderni autografi), custodito da pochi mesi presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara, è stato donato alla città da Ferigo Foscari – anche lui presente all’evento in Israele -, alla cui nonna, Teresa Foscari, Bassani dedicò il manoscritto.
Daniela Modonesi Ufficio Stampa Meis 333 2537218 www.meisweb.it

Beni Monumentali – Al via il cantiere del progetto Art bonus ‘Adotta una colonna’
Le colonne di piazza Municipio tornano all’aspetto originario con il contributo di aziende e privati

Ci sono anche tre privati cittadini accanto alle aziende del territorio che hanno voluto fare da sponsor per il restauro delle colonne sul lato ovest di piazza del Municipio e del portale su via Garibaldi. Il progetto, che in questi giorni vedrà la partenza della fase esecutiva, è frutto di una collaborazione tra pubblico e privato nata su sollecitazione della Fondazione Geometri di Ferrara, che ha proposto all’Amministrazione Comunale, per quest’opera di recupero denominata ‘Adotta una colonna’, il ricorso allo strumento dell’Art bonus. “Una straordinaria opportunità – ha spiegato stamani in conferenza stampa l’assessore comunale ai Lavori Pubblici Aldo Modonesi – offerta agli enti locali dal Ministero dei beni e delle attività culturali, per recuperare beni monumentali con il contributo di imprese e cittadini, i quali possono in tal modo compiere un’opera utile per i loro territori ricevendo incentivi fiscali. Si tratta – ha precisato ancora l’assessore – del primo intervento a Ferrara di questo tipo e ci auguriamo possa fare da apripista per altre iniziative di restauro analoghe, come ad esempio quella della colonna e della statua dell’Ariosto in piazza Ariostea”. L’operazione ha visto il coinvolgimento anche di Ascom Confcommercio Ferrara e del Gruppo di Comunicazione Dinamica Media che hanno raccolto le adesioni delle imprese, i cui nomi compariranno sui teloni che verranno posizionati nei prossimi giorni lungo il colonnato. A eseguire le opere di recupero delle colonne sarà la restauratrice Federica Bartalini che, come sottolineato dalla dirigente del Servizio Beni Monumentali del Comune Natascia Frasson – “si è resa, con la sua offerta, una sponsor non ufficiale dell’opera”.
L’intervento avrà un costo totale di 9.200 euro, quasi interamente finanziato dalle donazioni private, e la sua conclusione è prevista entro il 22 dicembre prossimo.
All’incontro con i giornalisti sono intervenuti anche il consigliere della Fondazione dei Geometri ferraresi Daniele Bregoli, il direttore di Ascom Confcommercio Ferrara Davide Urban, l’amministratore delegato Gruppo di Comunicazione Dinamica Media srl Raffaele Maragno, la restauratrice Federica Bartalini, i rappresentanti delle aziende sponsor del progetto (Casa di cura Quisisana e concessionaria Bmw e Mini – Erre Effe group) oltre a uno dei privati (Francesco Marchetti di Ferrara) che hanno sostenuto l’iniziativa (gli altri due sono Francesco Capri di Crevalcore e Max Tonioli di Ferrara).

Progetto ‘Adotta una colonna’ – Restauro realizzato grazie al contributo di Art Bonus
L’Art Bonus nel Comune di Ferrara sarà utilizzato per il restauro del colonnato di Piazza Municipale (lato ovest) e del portale su Via Garibaldi.

Cos’è l’Art Bonus?
E’ un’opportunità attraverso cui il Comune individua alcuni progetti emblematici e importanti a cui dedicare eventuali donazioni mentre i cittadini (o anche soggetti giuridici) possono destinare qualsivoglia somma a tali progetti, recuperando buona parte delle somme investite nei successivi tre anni.
Come funziona il recupero delle somme?
E’ un vantaggio fiscale che consente al benefattore, per tutti i versamenti effettuati nel 2014 e nel 2015, di avere diritto ad una detrazione fiscale del 65%, mentre nel 2016 la detrazione diventerà del 50%.
Su sollecitazione della Fondazione Geometri di Ferrara, che ha proposto di attivare l’iniziativa ‘Adotta una Colonna’, l’Amministrazione Comunale ha favorevolmente deciso di aderirvi e di farsi parte attiva nel predisporre il progetto per il restauro e la pulizia degli 8 archi in cotto e delle 9 colonne dell’ala ovest di piazza Municipale.
Gli archi sono in cotto lavorato con cornici, lesene e torciglioni mentre le colonne sono di marmo; sono in buono stato di conservazione dal punto di vista strutturale, ma presentano notevoli depositi di polvere ed incrostazioni, degrado di tipo ambientale, nonché alcune vecchie stuccature mal realizzate con materiali incongrui.
Di seguito le lavorazioni previste sugli elementi in cotto ed in marmo:
A) Pulizia e restauro delle nove colonne marmoree:
1- Rimozione preliminare a secco con pennelli morbidi e con acqua dei depositi superficiali quali polvere, guano, etc.
2- Rimozione di strati di sporco aderenti alla superficie con impacchi a base di polpa di cellulosa e soluzione leggermente basica di Sali di ammonio
3- Successivo lavaggio con acqua a bassa pressione e eventuale idrosabbiatura o micro sabbiatura puntuale sulle croste nere più resistenti;
4- Applicazione di biocida;
5- Rimozione di vecchie stuccature incongrue;
6- Rimozione di elementi metallici quali perni, chiodi, etc. che risultino causa di degrado;
7- Trattamento per l’arresto dell’ossidazione degli elementi metallici da non rimuovere se presenti;
8- Riadesione di eventuali frammenti con resina epossidica;
9- Stuccatura con malte a base di calce e polvere di marmo nella giusta tonalità cromatica;
10- Ricucitura di frammenti pericolanti o smossi mediante inserimento di perni filettati in acciaio inox o fibra di carbonio ed iniezioni di resina epossidica;
11- Ricostruzione di parti cadute o danneggiate con apposita malta;
12- Realizzazione di stampi per riprodurre eventuali decorazioni plastiche mancanti;
13- Raccordo cromatico delle stuccature con l’esistente;
14- Trattamento finale consolidante e protettivo con idoneo prodotto con funzione di antigraffito.
B) Pulizia e restauro degli archi in cotto del loggiato:
1- Rimozione preliminare a secco con pennelli morbidi e con acqua dei depositi superficiali quali polvere, guano, etc.
2- Rimozione di strati di sporco aderenti alla superficie con spray d’acqua e/o acqua nebulizzata
3- Consolidamento del cotto con applicazione di soluzioni a base di silicati di etile
4- Rimozione di vecchie stuccature incongrue;
5- Riadesione di eventuali frammenti con resina epossidica;
6- Stuccatura con malte a base di calce e polvere di cotto nella giusta tonalità cromatica;
7- Ricucitura di frammenti pericolanti o smossi mediante inserimento di perni filettati in acciaio inox o fibra di carbonio ed iniezioni di resina epossidica;
8- Applicazione di pellicola protettiva idrorepellente.
Importo complessivo dell’intervento: 9.200 euro
Importo dei lavori: 7.880 euro

Viabilità e Commercio – Bancarelle in centro storico il giorno di Ognissanti
Anticipato a martedì 1 novembre il mercato settimanale di venerdì 4

Per consentire lo svolgimento delle celebrazioni cittadine per la Festa dell’Unità nazionale – Giornata delle Forze armate, il mercato di venerdì 4 novembre in centro storico sarà anticipato alla giornata di martedì 1 novembre 2016 negli stessi orari e con le stesse modifiche alla viabilità generalmente previste per il mercato settimanale del venerdì.

Sicurezza Urbana – Nella mattinata di oggi, 27 ottobre, insieme al dirigente comunale Fulvio Rossi
Sopralluogo dell’ass. Modonesi al Palaspecchi per verificare le operazioni di chiusura degli accessi

Per verificare se le operazioni di chiusura degli accessi attraverso saldatura fossero in corso, l’assessore alla Sicurezza Urbana Aldo Modonesi, accompagnato dal dirigente comunale Fulvio Rossi, si è recato nella mattinata odierna (27ott2016) al Palaspecchi.
La Ditta sta lavorando in modo da ottemperare alle prescrizioni che sono state indicate a seguito dello sgombro avvenuto ieri, in accordo con il Comune di Ferrara e alla presenza della Polizia Municipale. Nel corso delle operazioni di sgombro sono state individuate 17 persone all’interno del Palaspecchi. L’operazione concordata con la Questura e la proprietà Ferrara 2007 proseguirà fino al completamento dei lavori.

Torna la mostra- mercato ‘Il Fè in Fiera’

Da: Organizzatori

Nuova attesissima edizione per ‘Il Fè in Fiera’, la tradizionale mostra- mercato organizzata dal settimanale di annunci ‘Il Fè’, in collaborazione con Ferrara Fiere Congressi e con il Patrocinio del Comune di Ferrara.

L’iniziativa si svolge al Quartiere fieristico di Ferrara (Via della Fiera, 11), domenica 30 ottobre 2016 dalle 8.00 alle 19.00. Come di consueto saranno centinaia le occasioni esposte; spazio anche a stand del mondo del No profit e all’associazionismo. L’ingresso per i visitatori è gratuito. Per info 335.6540559 – 0544.511337 – www.ilfeinfiera.it.
Con l’iniziativa del 30 ottobre tutti possono essere ‘mercanti per un giorno’. E’ l’occasione, spiegano gli organizzatori, per svuotare soffitte, cantine, garage e armadi; gli oggetti che non si utilizzano più possono servire ad altri e vivere di una seconda vita; si evita così di doverli smaltire e portarli in discarica. Importante è anche la filosofia che sta alla base di queste mostre- mercato, legata ai concetti di riciclo e riuso: e il vintage oltre che bello diventa anche ‘buono’.

Federmanager: Un aperitivo per fare rete

Da: Organizzatori

Al primo appuntamento di ‘Aperitivo con il manager’ si è parlato di ‘Managerialità imprenditoriale e imprenditorialità manageriale’

Si è svolto nella serata di mercoledì 26 ottobre all’Hotel Carlton di Ferrara alla presenza di oltre cinquanta partecipanti il primo appuntamento di ‘Aperitivo con il manager’, il ciclo di incontri dedicati alla creazione e conduzione d’impresa promossi da Federmanager Ferrara.
Il tema prescelto, ‘Managerialità imprenditoriale e imprenditorialità manageriale’ è stato introdotto da Giorgio Merlante, Presidente di Federmanager Ferrara, associazione dei manager, dirigenti, quadri e alte professionalità di Ferrara e Provincia: “Imprenditorialità e managerialità non sono modelli gestionali alternativi ma devono essere visti come due componenti della gestione d’impresa. La managerialità imprenditoriale, tipica delle grandi aziende, consiste nell’introdurre nell’attività di governance elementi di creatività, innovazione e flessibilità tipici delle gestioni imprenditoriali. L’imprenditorialità manageriale, tipica delle Pmi, consiste nel mantenere i benefici della gestione imprenditoriale – creatività, flessibilità, adattabilità – inserendo elementi di maggiore strutturazione nella formulazione della strategia, nell’organizzazione, nei sistemi di controllo. Ci siamo incontrati per favorire l’aggiornamento e lo scambio su questo tema ed altri: manager e imprenditori possono fare rete anche così”.
Hanno portato la loro esperienza alcuni rappresentati del mondo dell’impresa.
Cinzia Ori è intervenuta in qualità di Amministratore Delegato di Distillerie Moccia, azienda ferrarese famosa in particolare per il marchio Zabov che ha appena festeggiato i 70 anni di attività. Con sede unica in città e proprietà 100% italiana ma presente anche in molti paesi nel mondo, ha una struttura business oriented e fa parte di un gruppo dal fatturato di 100 milioni di euro annui. “La nostra azienda è ferrarese e intende restarlo, ma guardando al mondo. Per questo abbiamo avviato, quattro anni fa, il progetto The Spirit of Italy con altre otto realtà a conduzione familiare del settore liquoristico: insieme a Distillerie Moccia, Lucano, Cocchi, Luxardo, Nardini, Pallini, Liquore Strega, Toschi e Varnelli. Si tratta di una rete d’imprese spontanea con la quale ci presentiamo all’estero, all’insegna del made in Italy, per proporre i nostri liquori artigianali. Questa formula innovativa ci sta gratificando con un buon successo ovunque, cito ad esempio gli Stati Uniti. In un quadro di sviluppo il contributo dell’approccio manageriale è importante. Quello che un imprenditore cerca è un braccio destro che nel rispetto dei ruoli e in un clima di fiducia sappia riassumere e semplificare.”
Andrea Barbieri, General Manager di Socotherm, ha fatto un quadro dell’ambiente dei grandi gruppi. Socotherm è oggi parte del Gruppo canadese ShawCor, che con un fatturato nell’ordine dei quasi 2 miliardi di dollari canadesi e più di 6.000 dipendenti, è attualmente il maggiore operatore nel settore dei rivestimenti anticorrosivi e isolanti di tubazioni per il trasporto dell’energia con impianti operativi nei cinque continenti. “E’ in atto una metamorfosi del manager, che deve adattarsi agli scenari mutevoli del mercato e dell’economia. Il futuro è dei manager che agiscono con mandati temporanei orientati a specifici obiettivi, in un percorso concordato con gli imprenditori. Con specificità diverse per la media e grande impresa rispetto a quelle a conduzione più familiare: nelle prime un grande valore aggiunto è costituito dalle figure dei ristrutturatori, oppure da specialisti in un campo o in un’area geografica ambita, diversamente le aziende di dimensioni più ridotte ricercano il manager in grado di offrire competenze in settori più specifici, a partire dall’internazionalizzazione, che ci vede spesso carenti. In questo contesto hanno un ruolo di rilievo la capacità di fare rete e la certificazione delle competenze”.
E proprio ‘Il manager e la sfida dell’internazionalizzazione’ è l’argomento che sarà al centro del prossimo incontro, fissato per mercoledì 23 novembre, stessa ora.
‘Aperitivo con il manager’ ha il patrocinio di Cdi Manager, società di scopo di Federmanager leader del temporary management e della ricerca e selezione di figure direzionali. Ha preso parte a questo primo appuntamento il Direttore generale Federico Sacchi insieme a Michele Monte, area manager della società per il territorio di Ferrara.
Gli appuntamenti avranno cadenza mensile e proseguiranno nel corso del 2017. Si parlerà di ‘Industry 4.0: quali sfide e quali cambiamenti nel ruolo del management’ ma anche dei ‘Processi di headhunting e di selezione dei manager per ruoli chiave’. Altra tematica calda che verrà trattata, ‘Il manager dell’innovazione’.
Il format scelto dà spazio alle esperienze dei partecipanti: dopo l’intervento dei relatori, il pubblico può intervenire con domande e riflessioni sul tema dell’incontro. Al termine di ogni meeting, chiusura conviviale con aperitivo.
Obiettivi del ciclo di incontri: dare la possibilità ai manager di raccontarsi e portare esperienze proprie su temi e stili di managerialità; conoscere le imprese del territorio attraverso spunti di discussione degli amministratori/imprenditori; valutare insieme come la figura del manager si evolve nel contesto dell’economia globale e territoriale.

Federmanager Ferrara, fondata nel 1946 e con all’attivo circa 300 iscritti, tutela e promuove l’immagine e il ruolo della categoria dei manager, dirigenti, quadri e alte professionalità di Ferrara e Provincia e fa capo a Federmanager nazionale. Si propone quale punto di riferimento per manager in attività, temporaneamente inoccupati, in pensione o dirigenti che svolgono attività professionale. Info: http://www.ferrara.federmanager.it

“Perchè Tagliani non ospita a casa sua una di quelle donne?”

Da: Salvina Bassi

Quanto accaduto a Gorino ripugnerebbe alla coscienza cristiana, dice Monsignor Negri.
Non certo alla mia.
In due e due quattro il prefetto requisisce l’unico centro in cui si ritrovano gli abitanti di Gorino (bar/ostello), mandando in fumo il lavoro dei poveri gestori che hanno dovuto annullare le prenotazioni dei turisti (appassionati della natura, di pesca etc.) che difficilmente ritorneranno, per ospitare la probabile avanguardia di altri profughi. Dopo le donne e i bambini spesso arrivano anche mariti e parenti…
Credo che Mons. Negri, con rispetto parlando, abbia perso una buona occasione per tacere, al pari del nostro sindaco che “si vergogna profondamente”. Ma di che cosa?
Tagliani impari da Renzi, che mostrando più intelligenza politica di lui ha detto che non giustifica l’accaduto ma capisce l’esasperazione della gente.
Ecco la differenza fra un politico di razza e un cattocomunista che non perde occasione di fare sfoggio di buonismo da quattro soldi.
Perchè Tagliani non ospita a casa sua una delle donne dirette a Gorino (magari con prole al seguito)?

I docenti a scuola di Bullismo

Da: Organizzatori

Importante incontro di formazione sul Bullismo, fortemente voluto dall’Istituto Superiore di Argenta e Portomaggiore proprio per la sua pregnanza pedagogica volta ai valori di cittadinanza, tenuto dall’Avvocato Piero Giubelli, presidente dell’ordine degli Avvocati di Ferrara, sul tema: il bullismo e i reati ad esso connessi, responsabilità penali del bullo e del docente.
Il legale ha aperto i lavori facendo riferimento al Protocollo d’Intesa per la prevenzione e la lotta ai fenomeni di bullismo e di devianza giovanile siglato dalla Prefettura di Ferrara con diversi attori tra cui l’Ordine degli avvocati di Ferrara, che Giubelli stesso presiede.
L’intervento del legale è proseguito con la seguente domanda: ‘Quando il docente deve informare le Forze dell’ordine o denunciare all’autorità giudiziaria il comportamento del ‘bullo’?
Cosa rischia se non denuncia il fatto e interviene solamente con un’azione pedagogico-educativa?
L’avvocato ha spiegato che l’insegnante è un Pubblico ufficiale ed è tenuto a presentare denuncia se viene a conoscenza, nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, di un fatto – reato perseguibile d’ufficio.
Alcuni tra gli esempi più noti di ‘bullismo scolastico’ sono le percosse, le lesioni, la diffamazione (molto diffusa nel cyberbullismo), il furto, la rapina (rubare la merenda!), l’estorsione, le minacce a pubblico ufficiale e lo stalking.
Come può, però, il docente cercare di prevenire tali comportamenti di violenza e prevaricazione? Un piccolo suggerimento dell’avvocato è stato quello di far capire agli alunni che un comportamento scorretto di oggi lo penalizzerà per il futuro, poiché una condanna oggi, per i reati più gravi, in particolare per gli alunni maggiorenni, potrà inibirgli in futuro la possibilità di accedere a concorsi pubblici o anche solo iscrivere la propria attività alla Camera di Commercio.

Caso Gorino, il Presidente di Anci, Daniele Manca, dimentica il suo ruolo super partes

Da: Organizzatori

Fermo restando che l’episodio di Gorino, nel ferrarese, riaccende uno spinoso dibattito su una gestione dell’accoglienza che ormai è totalmente fuori controllo per l’inadeguatezza delle politiche nazionali messe in campo in tema di immigrazione ma anche di rimpatri qualora lo status di protezione internazionale non venga riconosciuto, riteniamo che le parole del presidente Anci Emilia-Romagna di ieri mattina siano davvero inopportune.
Ancora una volta Daniele Manca dimostra di non assolvere al suo ruolo super partes, dimenticando le difficoltà di tanti sindaci e di tanti Comuni ai quali viene letteralmente imposta l’accoglienza senza possibilità di proferire parola. Paragonare l’episodio di Gorino ai rastrellamenti nazisti, poi, rievoca momenti bui della nostra storia che non sono minimamente accostabili all’odierna storia del nostro Paese che, tra sforzi, difficoltà e imposizioni, accoglie centinaia di migliaia di persone delle quali solo una minima percentuale ottiene di fatto l’asilo politico o una qualche forma di effettiva protezione internazionale. Peccato non aver sentito le stesse critiche, da parte di Manca, quando il sindaco Pd di Capalbio si è lamentato dell’arrivo di 50 profughi nella cittadina dei vip e degli intellettuali ‘radical chic’.
Quanto accaduto a Gorino è il segnale chiaro ed evidente di una esasperazione popolare che sta toccando il culmine. E il sindaco Manca, invece di usare le solite accuse di ‘nazismo’ che sistematicamente si tirano in ballo quando un Comune prova a respingere questa accoglienza forzata, dovrebbe attivarsi come presidente di Anci regionale per dare respiro ai Comuni su queste politiche che non sono più sostenibili. Non si è mai fatta la scelta seria di dare priorità a donne e bambini (le nostre strutture sono piene di uomini giovani e perfettamente in grado di lavorare che però vengono mantenuti in quanto senza documenti), con la conseguenza poi che quelle poche donne e bambini che effettivamente arrivano finiscono nel tritacarne mediatico per effetto di quella esasperazione che fa dire alla gente ‘non ne possiamo più’. A titolo esemplificativo, ricordiamo che nell’Hub regionale Mattei di Bologna sono arrivate, tra il primo gennaio e il 31 maggio 2016, 2616 persone di cui 2371 uomini (quasi tutti in età compresa tra i 15 e i 45 anni) e appena 245 donne.
Paradossalmente l’intervento di Matteo Renzi è stato decisamente più equilibrato, avendo parlato di una necessità di gestire meglio la situazione da parte dello Stato. Ecco, questo diciamo a Daniele Manca. Cominci a stare nel merito delle questioni. Si batta, all’interno di Anci regionale, affinché ai sindaci vengano dati gli strumenti per poter decidere sulle politiche di accoglienza e senza che si ritrovino, dall’oggi al domani, con strutture turistiche requisite per far posto ai profughi. Dica davvero che la priorità va data a donne e bambini. Affronti con gli altri sindaci il tema dei minori stranieri non accompagnati, che hanno famiglie nei loro Paesi di origine e che sono mantenuti dai nostri servizi sociali. Altrimenti, se Manca non se la sente di accettare queste sfide, rassegni le dimissioni da Anci regionale affinché sia eletto un sindaco maggiormente rappresentativo degli interessi collettivi.
Brigida Miranda – consigliera comunale Castel Guelfo di Bologna
Morris Battistini – consigliere capogruppo in consiglio comunale a Marzabotto
Wendalina Cesario – consigliera comunale Castel San Giovanni
componenti Anci Giovani Emilia- Romagna

Il senso della pena, fra giustizia, umanità e sicurezza dei cittadini

Da: La Società della Ragione Onlus

Incontro a Ferrara sabato 29 ottobre presso il Centro Lgbt di Via Ripagrande 12

Sabato 29 ottobre alle ore 10, presso il Centro Lgbt di Via Ripagrande 12, La Società della Ragione organizza un incontro in ricordo di Sandro Margara, ex magistrato di sorveglianza scomparso poche settimane fa a Firenze.
Alessandro Margara, oltre che magistrato è stato anche presidente della Fondazione Michelucci e primo Garante dei detenuti della Regione Toscana, e rimane oggi un punto di riferimento fondamentale per tutti coloro che intendano ragionare sul senso della pena, sulla giustizia e sulla sua umanità.
Nel corso dell’incontro sarà presentato il volume di raccolta di scritti di Alessandro Margara La Giustizia e il Senso di Umanità. Antologia di scritti su carcere, opg, droghe e magistratura di sorveglianza (a cura di Franco Corleone, Fondazione Michelucci Press, Anno 2015).
Le sue riflessioni sulla giustizia, sul carcere, sui diritti dei detenuti aiutano a ricordare oggi, a fronte di una sempre maggiore richiesta di sicurezza, di certezza della pena e di un suo inasprimento, il reale significato del principio del reinserimento sociale scritto e prescritto dall’art. 27 della Costituzione e la reale efficacia dell’uso del carcere nel sistema della sicurezza pubblica.
Dopo un saluto dell’Avv. Marcello Rambaldi (Unione Camere Penali), ne parleranno il Prof. Andrea Pugiotto (ordinario di Diritto Costituzionale dell’università di Ferrara), Franco Corleone (Garante dei detenuti della Regione Toscana), Marcello Marighelli (Garante dei detenuti di Ferrara).
Introduce Leonardo Fiorentini, coordina Ilaria Baraldi (Consiglieri comunali).
Ai partecipanti sarà offerto un caffè di benvenuto.

Chiusa due giorni per lavori la Biblioteca ‘L. A. Muratori’

Da: Organizzatori

Si comunica che nelle giornate del 27- 28 ottobre 2016 la Biblioteca ‘L.A Muratori’ rimarrà chiusa al pubblico per il completamento dei lavori dell’ascensore. Riaprirà normalmente da sabato 29 ottobre 2016. L’opera risulta indispensabile in quanto finalizzata a rendere pienamente accessibile la biblioteca civica, l’Amministrazione Comunale si scusa, pertanto, per il temporaneo disagio e confida nella massima collaborazione.

Ancora disponibili i contributi per l’ acquisto dei piatti a prezzo agevolato

Da: Camera di Commercio Ferrara

La Pera dell’Emilia Romagna Igp nel Piatto Estense 2016
Govoni: “Artigianato artistico e prodotti tipici: un binomio vincente per promuovere il territorio nelle strutture ricettive e sulle tavole dei ristoranti della provincia”

Sono ancora disponibili risorse per l’acquisto del Piatto estense 2016, a prezzo agevolato, con un contributo, della Camera di commercio, che arriva alla copertura dell’80% del costo ( 24,50 euro oltre Iva), del Piatto Estense 2016: solo 4,9 euro più Iva a piatto.
Il progetto, promosso per il dodicesimo anno consecutivo dall’Ente di Largo Castello in collaborazione con le associazioni di categoria e gli istituti ‘Dosso Dossi’, ‘Fratelli Navarra’ e ‘Orio Vergani’, ha visto all’opera, anche quest’anno, l’estro e la professionalità degli studenti del ‘Dosso Dossi’, per la realizzazione di un piatto artistico in ceramica graffita dedicato alla Pera dell’Emilia Romagna Igp.
Il prodotto tipico scelto quest’anno segue la pera, il riso del Delta, la vongola di Goro, la coppia ferrarese, la salama da sugo ferrarese, l’anguilla della valli di Comacchio, i cappellacci di zucca, l’aglio di Voghiera, i Vini Doc del Bosco Eliceo, il Pampepato/Pampapato di Ferrara e la Zia ferrarese.
La Pera dell’Emilia Romagna ha ottenuto nel 1998 dall’Unione Europea il riconoscimento di Igp,
Identificazione Geografica Protetta. Un riconoscimento a tutela della unicità e tipicità. Le pere marchiate con il bollino Igp, infatti, sono solo quelle coltivate secondo uno specifico disciplinare di produzione, volto ad esaltarne i requisiti di qualità e salubrità, riconosciute e riconoscibili per le caratteristiche organolettiche gustative uniche che possiedono.
Ecco la mappa dove si coltivano le pere più buone d’Europa con evidenziati in colore azzurro i Comuni della Provincia di Ferrara
Negli anni ’50, in particolare nel triennio 54-57 si producevano in Italia circa 4 milioni di quintali di pere, ma questa quantità è salita con la nascita di nuovi impianti presenti soprattutto nel ferrarese.
Nella provincia di Ferrara vi era un grande sviluppo delle coltivazioni di William, Passacrassana, Abate Fetel e Kaiser Alexander e infatti gli anni 60 segnano per la pera emiliana il periodo di massima espansione seguito da un processo di riconversione proprio di tutta la produzione europea con una progressiva ripresa delle superfici coltivate solo negli anni ’80.
Il Piatto estense è quindi una occasione imperdibile, per tutti gli imprenditori ferraresi per offrire ai propri clienti, visitatori o turisti un ricordo caratteristico del nostro splendido territorio, che coniuga gusto e cultura, arte e tradizione, qualità ed accoglienza, unitamente a straordinarie bellezze architettoniche e naturalistiche.
Le imprese interessate possono scaricare il bando dal sito della Camera di Commercio www.fe.camcom.it che, per l’occasione, a seguito di apposita gara pubblica, si avvale dell’impresa Monica Grandi Maioliche d’arte, in via 2 Febbraio 82 a Berra/ Via Garibaldi n. 155 a Ferrara, presso la quale occorrerà preliminarmente ordinare ed acquistare i Piatti telefonando al n. 0532-206097, fax: 0532-831625 o scrivendo una mail a m.grandimaioliche@libero.it ed inviando, per conoscenza, la medesima richiesta a urp@fe.camcom.it con il seguente oggetto: Ordinativo Piatto estense 2016.

Uno studio Unife, Units e Ospal sui marcatori del mesotelioma maligno della pleura

Da: Università di Ferrara

Uno studio coordinato dal Prof. Mauro Tognon del Dipartimento di Morfologia, chirurgia e medicina sperimentale dell’Università di Ferrara, svolto in collaborazione tra i gruppi della Scuola di Medicina di Unife dei Proff. Tognon, Piera Boschetto, Massimo Negrini, della Scuola di Medicina dell’Università di Trieste (Units), dei Proff. Manola Comar e Massimo Bovenzi e dell’Ospedale di Alessandria (Ospal), dei Dottori Roberta Libener e Roberto Guaschino, ha consentito di identificare nuovi marcatori nel siero di pazienti affetti da mesotelioma maligno della pleura e di lavoratori ex-esposti all’amianto. I risultati delle ricerca sono stati pubblicati dalla prestigiosa rivista scientifica americana di oncologia molecolare ‘Ocotarget’.
“La ricerca – affermano gli studiosi – ha impiegato sieri di pazienti affetti da mesotelioma maligno della pleura, di lavoratori ex-esposti all’amianto e di individui sani. Obiettivo dello studio era ricercare nel siero la presenza variabile, sia come numero che come concentrazione, di diverse piccole molecole denominate microRna tra le circa 1.200 indagate”.
“I risultati dell’indagine molecolare – proseguono i ricercatori – sono molto significativi perché ci hanno permesso di verificare una maggiore ed alta concentrazione principalmente di tre molecole di microRna nel siero dei pazienti affetti dal tumore, mentre altre molecole di microRna sono presenti con minore concentrazione nel siero di lavoratori ex- esposti all’amianto. La diversa quantità di specifiche molecole di microRna, e la presenza/assenza di altre molecole di microRna, permetterà ora di valutare se questi microRna sono dei nuovi marcatori dosabili nel siero in una larga casistica. Infatti, i microRna individuati nel siero sono potenzialmente da considerarsi come marcatori del tumore e prognostici dell’insorgenza del mesotelioma maligno della pleura. Inoltre, i microRna e le proteine da essi regolate potrebbero diventare nuovi bersagli per terapie innovative. I dati di questo lavoro lasciano intravedere una possibile applicazione per identificare il tumore già nelle prime fasi e predittivo del rischio di insorgenza del mesotelioma maligno della pleura nei lavoratori ex-esposti all’amianto. I risultati conseguiti sono preliminari e necessitano di ulteriori studi per una loro validazione ed impiego in medicina”.

La ricerca è stata finanziata dall’Airc, dal Lions Club International Distretto 108 Tb, Fondazione Buzzi Unicem, Aslem, Fondazione Cassa di Risparmio di Cento, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.
Per informazioni: Carlotta Cocchi – 0532/293554 – 338/6195391

Terremoto: Coldiretti, rinviata mobilitazione sul grano

Da: Coldiretti

Nelle campagne nuovi crolli con stalle, fienili e laboratori inagibili

A seguito delle nuove scosse di terremoto che hanno colpito un territorio già ferito, con case rase al suolo e tremila sfollati, la Coldiretti ha deciso di rinviare la mobilitazione con migliaia di agricoltori attesi per domani, venerdì 28 ottobre, al Palaindoor di Ancona, con il presidente nazionale Roberto Moncalvo per difendere il grano italiano.
“In questo momento di drammatica difficoltà abbiamo scelto di rinviare la manifestazione anche al fine di non creare problemi alla viabilità, considerato l’alto afflusso di agricoltori previsto, e di non distogliere le forze dell’ordine dall’emergenza sisma” spiega il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, nell’esprimere ‘solidarietà e vicinanza alle popolazioni colpite da questa nuova tragedia’. “Spenderemo ora tutte le nostre energie per portare soccorso e aiutare la ricostruzione e la ripresa economica in un territorio a forte vocazione agricola” conclude Moncalvo.
Secondo una prima ricognizione effettuata dalla Coldiretti le scosse di terremoto hanno causato nelle campagne nuovi crolli, con stalle, fienili e laboratori inagibili, oltre ad avere aggravato la situazione dei fabbricati lesionati in seguito al sisma del 24 agosto. Ma sono molti gli agricoltori che hanno visto anche la propria casa danneggiata, anche qui con molte abitazioni inagibili.

La violenza sulle donne portata nei tribunali: qualcosa è cambiato?

Da: Organizzatori

Vi è una diffusa convinzione che i Tribunali non siano luoghi preparati a gestire con le giuste parole ed il giusto atteggiamento i casi di violenza sulle donne.
Il problema nasce dal fatto che nei tribunali, ancora, permane la pratica di distrarre l’attenzione dalle responsabilità dell’imputato puntando tutto sulla inattendibilità della vittima.
E ciò col pretesto che le violenze sessuali, le botte, le segregazioni, le minacce ecc., sono tendenzialmente consumate nel privato delle mura domestiche.
Sappiamo benissimo che questa è la strategia tradizionalmente preferita dai difensori degli imputati e che spesso, proprio per evitare il c.d. ‘secondo stupro’, le donne sono indotte a non denunciare.
Ma forse qualcosa è cambiato.
Ieri si è celebrato un processo avanti il Tribunale di Ferrara a carico di un marito accusato di avere per anni sottoposto la moglie a violenze fisiche, psicologiche, sessuali, arrivando a segregarla, isolarla, minacciarla di morte, e ciò spesso davanti ai bambini piccoli.
Noi c’eravamo perché quella donna l’avevamo ospitata, assistita e accompagnata nel percorso di liberazione da quella situazione.
Noi c’eravamo perché il Centro donna giustizia si è costituito parte civile e il Tribunale di Ferrara, che ha accolto quella richiesta, al momento di pronunciare la sentenza di condanna a carico del marito, ha riconosciuto anche il suo diritto al risarcimento del danno non patrimoniale liquidato in euro 15.000,00.
Ebbene, riteniamo che questa sentenza sia importantissima perché non solo dà il giusto riconoscimento al lavoro del Centro Donna Giustizia ma anche perché accoglie una lettura dei fatti che denota la conoscenza di cosa è la ‘violenza domestica’, ovvero una fattispecie caratterizzata dal fatto che la tolleranza della donna anziché manifestare acquiescenza, dimostra la gravità della violenza stessa.
Esprimiamo, pertanto, la nostra soddisfazione convinte che il lavoro culturale di sensibilizzazione, che conduciamo da anni insieme all’Udi, possa produrre risultati tangibili a favore di tutta la popolazione, donne e uomini.
Centro donna giustizia Ferrara
Udi e Cdg

Uno speciale annullo postale per l’iniziativa ‘La Città che vorrei’ organizzata da Confesercenti

Da: Poste italiane

La Filiale di Ferrara di Poste Italiane, in occasione dell’iniziativa ‘La città che vorrei’, su richiesta della Confesercenti, ha approntato un servizio temporaneo con uno speciale annullo postale che si potrà ottenere domenica 30 ottobre dalle 11 alle 16.30 presso lo spazio allestito in Piazza Trento e Trieste a Ferrara.

Confesercenti ha inoltre commissionato 1.000 cartoline filateliche che verranno messe a disposizione del pubblico per l’annullo. Poste Italiane presenterà anche i suoi folder dedicati alle eccellenze alimentari italiane come Nutella o Lavazza, nonché il nuovo prodotto filatelico ‘Francobolli da Chef’ nel quale ricette dedicate da cuochi di fama internazionale sono corredate da francobolli da collezione.
Nei giorni successivi alla manifestazione, i marcofili e coloro che volessero richiedere l’annullo possono inoltrare le commissioni a Poste Italiane / U.P. Ferrara Centro / Sportello Filatelico V.le Cavour, 27 – 44121 Ferrara (tel. 0532 297336).
Poste Italiane attiva Servizi Filatelici Temporanei dotati di bolli speciali che riproducono con scritte e immagini il tema di manifestazioni legate ad eventi di notevole interesse culturale, economico e sociale: convegni, congressi, raduni, fiere, mostre, celebrazioni di eventi storici, manifestazioni filateliche, sportive, culturali, umanitarie, anniversari di personalità non viventi, inaugurazioni di opere pubbliche di particolare rilevanza locale o nazionale.
Il servizio è rivolto a chi intenda pubblicizzare e storicizzare il proprio evento con la realizzazione del bollo speciale (Enti Pubblici o privati, Associazioni, Società, Partiti Politici, Organizzazioni sindacali, comitati promotori o organizzatori di manifestazioni).

Goro, Gorino e il capitano Achab

Da: Organizzatori

Alla notizia della ‘eroica’ difesa del proprio territorio da parte dei cittadini di Gorino a fronte dell’invasore rappresentato da dodici profughe esauste e disperate, la prima reazione è stata per me di grande arrabbiatura. Ma a mente fredda mi pare che questo fatto, comunque da condannare, ponga in primo luogo degli interrogativi.
Le foto dei giornali e i Tg mostravano persone, maschi, con i volti solcati dalle asperità del mare e della terra ed era facile immaginare mani grandi e callose. Lì accanto l’immagine di una grigliata richiamava le certezze anche gastronomiche di una festa paesana. A prescindere dagli agitatori di professione, da evitare come la peste, specie se incarnati da politici sfascisti, solo un sentimento di ossessione può spiegare quei fatti, ossessione rivolta contro il diverso, contro l’altro da sé; intanto si trattava di donne, per di più nere, e persino, forse, musulmane. Il cardine interiorizzato di Dio, Patria e Famiglia ne risultava disturbato e questo era causa di disagio profondo: di qui ecco una reazione quasi ancestrale, un atto dettato dall’arcaismo. Un luogo isolato e con residui istinti tribali, per altro crescenti in tutta la società, reagiva come se fosse turbato dal tentativo di profanare un immaginario muro rassicurante e di protezione con in cima “cocci aguzzi di bottiglia”, posto tutto attorno all’abitato.
Quelle donne non bisognava neppure vederle, tanto meno parlare con loro e ascoltare le sofferenze disumane dalle quali erano state sfregiate; se fosse avvenuto potevano riaffiorare o comunque manifestarsi istinti di umanità, innati in tutti coloro che appartengono alla stessa specie homo sapiens.
Ossessione che in qualche modo rimanda in altissima forma letteraria al capitano Achab, l’ossessione disperata e la paura atavica del grande Leviatano, del diverso; paura del nemico inconoscibile ma anche brama di conoscere legati in forma indissolubile. Forse soprattutto paura dei propri demoni profondi e nascosti e rifiuto di indagarli: in Melville la terribile balena bianca Moby Dick, a Goro povere donne indifese. Deficit di identità o identità confusa, anche.
Il sindaco di Goro, a qualche ora dai fatti, parla giustamente di reazione a caldo, ovvero di reazione immediata, prerazionale e profonda. Più che ai sociologi direi che sarebbe utile rivolgersi e interrogare quanti scavano nel profondo, antropologi e psicanalisti, non per condannare ma per cercare di capire. Per cercare di risolvere conflitti nascosti e irrisolti. Mi auguro che ci sia la possibilità di farlo.

Mario Zamorani
Pluralismo e dissenso

Gorino, le associazioni cattoliche: “Ci sentiamo responsabili”

Da: Rete Associazioni Cattoliche

Come associazioni cattoliche, impegnate ciascuna secondo la propria sensibilità nelle nostre comunità della provincia di Ferrara, esprimiamo viva preoccupazione per le divisioni e lo scontro che stanno animando i territori e le comunità di Goro e Gorino e più in generale il dibattito sulla accoglienza e sulla solidarietà.
Nella logica di unione siamo contro ogni speculazione semplicistica che vuole due comunità, due Italie, due fronti contrapposti, pro o contro l’accoglienza, pro o contro la sicurezza, pro o contro la legalità. Ribadiamo il desiderio e l’impegno ad operare per costruire ponti invece di erigere muri, per affermare il valore e la dignità della vita umana, innanzitutto dei più indifesi, dei poveri, degli oppressi, dovunque risiedano e da dovunque siano arrivati.
Ci sentiamo responsabili e chiamiamo tutti alla responsabilità, come cittadini, educatori, operatori, politici, giornalisti, perché cessi ogni logica di paura ed odio, di cui oggi guardiamo i frutti. Lo facciamo insieme a tutte le realtà che con noi condividono le parole espresse nel comunicato della diocesi di Ferrara- Comacchio, desiderosi di fare la nostra parte, e consapevoli che solo sul terreno del confronto e dell’educazione dei nostri ragazzi e ragazze possiamo gettare i semi delle nostre prossime comunità, aperte, accoglienti e capaci di essere e rendere felici.

A nome di :
Acli Ferrara
Azione Cattolica – Ferrara Comacchio
Agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani) Zona di Ferrara
Ferrara Bene Comune
Masci Movimento adulti scout cattolici italiani

Spazio Crema – show cooking a base di zucca

Da: Organizzatori

Sabato 29 ottobre alle 10,30 le porte di Spazio Crema si riaprono al pubblico per ospitare, nell’elegante cornice del palazzo al civico 13 di via Cairoli, un incontro culinario- didattico inserito nella rassegna sul tema agroalimentare avviata lo scorso settembre: ‘La zucca di Ferrara. Tortelli e non solo tra storia e cultura. Show cooking a cura dell’Istituto Vergani- Navarra di Ferrara’.
Il ciclo di conferenze ‘Dire, fare … mangiare’, con iniziative che mirano a formare un consumatore più consapevole e attento alla propria salute, si svolge infatti presso la sede della Fondazione Carife, che mette a disposizione della città i propri spazi per farvi convergere eventi che uniscono la cultura del vivere sano con la promozione dei prodotti del nostro territorio.
Per il prossimo appuntamento l’Istituto ‘Vergani – Navarra’ propone un approfondimento del prodotto agroalimentare che nell’immaginario collettivo è da sempre associato a Ferrara e alla sua tradizione culinaria: la zucca. Ne verranno illustrate le proprietà nutritive suggerendo nel contempo ricette creative che ne evidenzieranno la grande versatilità in cucina.
Il programma prevede, dopo gli onori di casa del Dr. Pier Carlo Scaramagli, Vice Presidente della Fondazione Carife, i saluti della Prof.ssa Roberta Monti, Dirigente Istituto Vergani- Navarra, che introdurrà lo show cooking del Prof. Liborio Trotta, Chef e Direttore Tecnico della scuola alberghiera, che con i suoi allievi di cucina (Francesca Caprifogli, Angela Perboni, Antonio Tarallo) illustrerà come preparare alcune particolari ricette. Seguirà il Prof. Massimo Pagano, Maitre, che con l’aiuto dei propri allievi di sala (Samuele Aleotti, Nicola Berto, Lucia Dimitriu, Tatiana Massarenti) mostrerà come preparare cocktail e bevande ispirati alla zucca. Infine, la Dott.ssa Claudia Artioli, responsabile Scenografia Conviviale, interverrà sul tema: ‘I colori dell’autunno in tavola con la zucca’, nell’ambito del quale darà dimostrazione di come il nostro ortaggio possa diventare originale decoro di eleganti tavole autunnali.
L’incontro, ad ingresso libero e gratuito, terminerà con un assaggio offerto al pubblico presente.