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Giorno: 25 Novembre 2016

Gli esercizi di vicinato Ascom supportano la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare a Cento

Da: Ascom Ferrara

Partecipazione convinta tra gli esercizi di vicinato, aderenti ad Ascom Confcommercio, alla XX Giornata Nazionale della Colletta Alimentare in programma sabato 26 novembre anche sul territorio comunale di Cento.
La raccolta, promossa dalla Fondazione Banco Alimentare Onlus, per l’edizione 2016 nella zona della zona del Centese vedrà raccogliere derrate alimentari da devolvere a sostegno di enti benefici e caritatevoli locali.
“Si tratta di un azione meritoria – sottolineano dalla Confcommercio – e quindi siamo ben lieti di poter supportare la Fondazione Banco Alimentare e ringraziamo tutti gli associati che hanno aderito con entusiasmo a dimostrazione che il commercio di vicinato riveste un ruolo sociale, solidale oltre che economico”.
I negozi partecipanti sono già stati riforniti di apposito materiale sia a livello informativo che per facilitare la raccolta della spesa donata da parte dei clienti.

Ecco l’elenco delle attività alimentari Ascom che hanno aderito alla giornata del 26/11 nel Centese:

Antolini Mario di Buonacompra Via Bondenese, 206 (7,.00-13,00)

Ferranti Alda di Renazzo Via Renazzo, 117 (7,00-13,00 / 14,00-19)

Albertini Enrica di Cento Via Penzale, 25 (7,00-13,00 / 16,30-19,00)

Marchesini Gabriele di Cento Via Matteotti, 32 ( 7,00-13,00 / 17,00-19,00)

Papi Mauro di XII Morelli Via Maestrola, 15/b ( 7,00-12,45 / 16,30-19,00)

Baldini Gianni di Cento Via Donati, 11 (7,00-13,00)

Ceresi Augusto di Cento Via Ugo Bassi, 29 ( 7,00-13,00 / 16,30-19,00)

Toselli Stefano di Renazzo Via IV Novembre, 5 ( 7,00-13,00 / 16,00-19,00)

Govoni Alberto di Cento, Via Ugo Bassi, 21 (7,00-13,00 / 16,30-19,00)

Roncarati Katia di Cento Via Risorgimento, 17/B (7,00-13,00)

Forno Palladino di Cento nei due punti vendita di Via Provenzali n. 1 e di Via Donati n. 7

Grandi progetti Beni culturali. 16 milioni per l’Emilia-Romagna: 7 a Castello e Pinacoteca a Ferrara, 9 al Museo Fellini Rimini.

Da: Regione Emilia-Romagna

Grandi progetti Beni culturali. 16 milioni per l’Emilia-Romagna: 7 a Castello e Pinacoteca a Ferrara, 9 al Museo Fellini Rimini. Mezzetti: “Buona notizia, che integra altri interventi già approvati”

Parere favorevole della Conferenza unificata al piano del Ministero Beni culturali

Bologna – 7 milioni al Castello e alla Pinacoteca di Ferrara e 9 milioni al Museo Fellini di Rimini. La Conferenza unificata ha dato oggi parere favorevole a 16 milioni di interventi proposti dal Mibact e destinati all’Emilia-Romagna.

“Una buona notizia- commenta l’assessore regionale alla Cultura Massimo Mezzetti- che va a integrazione dei finanziamenti del Piano già approvato tempo fa, e che prevedeva altri interventi meno rilevanti ma non meno significativi per la nostra regione”.

A Ferrara i 7 milioni saranno destinati al trasferimento della Pinacoteca dal Palazzo dei Diamanti al Castello Estense, con nuovi allestimenti, per aumentare la capacita’ attrattiva di entrambi i musei. In particolare è prevista un’area espositiva di quasi 1.500 metri quadrati, una sala dedicata al laboratorio di restauro e un’area per la didattica, oltre a depositi, uffici e servizi.
A Rimini invece sono previsti 9 milioni per la realizzazione del Museo Fellini, dedicato al piu’ conosciuto dei registi italiani.
Tra gli interventi previsti, quelli al cinema Fulgor e Castel Sismondo, le cui sale rinascimentali si trasformeranno in set e ambienti felliniani.
/CL

La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina

Da: Organizzatori

Sabato 26 novembre, alle ore 17.00 (con replica alle 21.30 su invito per i clienti di Banca Fideuram), nel Salone d’Onore della Pinacoteca Nazionale di Ferrara, in occasione delle celebrazioni per i 500 anni dalla prima pubblicazione dell’Orlando Furioso, Bal’danza in collaborazione con la Pinacoteca Nazionale di Ferrara e i Conservatori ‘G. Frescobaldi’ di Ferrara e ‘N. Piccinni’ di Bari, presentano La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina, prologo e tre scene di Francesca Caccini.
Direttore e maestro concertatore Elena Sartori.
Maestro del Coro Maria Elena Mazzella.
Maestra di danza storica Laura Fusaroli Pedrielli.

Lo spettacolo è l’esito finale di un progetto multidisciplinare che ha visto coinvolte molte realtà cittadine e che si è composto di una fase laboratoriale e una fase di studio, con conferenze realizzate con la collaborazione dell’Università degli Studi di Ferrara sullo stato dell’arte e del teatro musicale del primo Seicento.

La scelta del luogo – la Pinacoteca Nazionale di Ferrara, che ha appena riaperto le sale dedicate alla pittura del Cinquecento ferrarese, e che è situata al piano nobile di Palazzo dei Diamanti – è caduta non a caso su uno dei luoghi più significativi della città estense, simbolo della potenza e della magnificenza del casato che rese Ferrara famosa nel mondo.

La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina, prima opera italiana ad essere stata rappresentata all’estero, venne commissionata a Francesca Caccini (1587-1640) dall’allora Reggitrice di Firenze, l’Arciduchessa Maria Maddalena d’Austria, per il Carnevale del 1625 con lo scopo di affermare l’autorità e lo stile del suo governo. E’ perciò uno dei primissimi esempi di scrittura operistica al femminile e presenta una lettura mitologica attuale e potente, intessuta di spunti simbolici profondi e visionari sui temi dell’appartenenza, dell’identità e del potere di genere. Alcina è anche la prima opera musicale scritta sui temi dell’Orlando Furioso. Il libretto, redatto dal poeta di corte Ferdinando Saracinelli, è tratto da un episodio dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e fa riferimento alla nascita della dinastia estense da Bradamante e Ruggiero.

Il progetto, che è l’espressione di un ‘fare condiviso’ ampio e decisivo al tempo stesso, è organizzato e promosso da Bal’danza in collaborazione con la Pinacoteca Nazionale di Ferrara, i Conservatori ‘G. Frescobaldi’ di Ferrara e ‘N. Piccinni’ di Bari, dall’Ensemble vocale ‘San Giorgio’, dal Gruppo Danza l’Unicorno – Contrada di S. Maria in Vado, dal Rione S. Spirito e si avvale della collaborazione e del sostegno del Soroptimist International Club di Ferrara, dell’Università di Ferrara e di Banca FIDEURAM di Ferrara.

“Realizzare al museo le prove e l’allestimento di un’opera – commenta così l’esperienza Martina Bagnoli, direttrice delle Gallerie Estensi – è un proposito che vorremmo ripetere presto nelle nostre sale. Perché l’essere creativi oltre che contemplativi è la missione del nostro museo”.

L’ingresso allo spettacolo è di 4 euro biglietto intero, 2 euro biglietto ridotto sino ad esaurimento dei posti disponibili.

Per informazioni: 0532 205844 – 335 6091160

Kurt Rosenwinkel presenta ‘Caipi’: nuovo atteso progetto che valica confini geografici e di genere

Da: Jazz Club Ferrara

Sabato 26 novembre Stati Uniti, Europa e Brasile confluiscono sul palcoscenico del Jazz Club Ferrara con ‘Caipi’, nuovo progetto guidato dall’osannato chitarrista di Filadelfia Kurt Rosenwinkel. Al suo fianco Pedro Martins alla chitarra e tastiere, Olivia Trummer al pianoforte e tastiere, Frederico Heliodoro al contrabbasso, Antonio Loureiro alle percussioni e Bill Campbell alla batteria.

Nei suoi venticinque anni di carriera il chitarrista Kurt Rosenwinkel ha dato prova di possedere formidabili qualità esecutive, un suono ricercato e peculiare, e una concezione compositiva innovativa e talvolta visionaria.
Caratteristiche che lo hanno confermato al centro dell’attenzione della critica e gli hanno procurato un vasto seguito di fan in tutto il mondo. Sabato 26 novembre (ore 21.30) il Jazz Club Ferrara è lieto di ospitare l’osannato chitarrista di Filadelfia che calcherà il palcoscenico con ‘Caipi’, articolato progetto affiancato dall’uscita dell’omonimo disco con cui Rosenwinkel inaugura la Heartcore, sua etichetta discografica nata con il sostegno dell’amico Eric Clapton.

‘Caipi’ è frutto di un lavoro durato circa una decina d’anni in cui elementi di musica brasiliana e rock sposano la cifra stilistica del leader che si è circondato, per l’occasione, di straordinari musicisti provenienti da diverse nazionalità (Brasile, Germania, Stati Uniti) quali Pedro Martins alla chitarra e tastiere, Olivia Trummer al pianoforte e tastiere, Frederico Heliodoro al contrabbasso, Antonio Loureiro alle percussioni e Bill Campbell alla batteria. Strumento tra gli strumenti è la voce della maggiorparte dei componenti che contribuisce e ravviva il colore, già sgargiante, delle forze messe in gioco.

Di fatto ‘Caipi’ e la Heartcore segnano un passaggio importante nella carriera di Rosenwinkel,  poiché rappresentano qualcosa di assolutamente nuovo, una sorta di rinascita artistica alla luce di una popolarità internazionale acquisita principalmente quale chitarrista jazz, sebbene non abbia mai mancato di includere nella sua musica elementi fortemente innovativi ben testimoniati da album come ‘The Enemy Of Energy’ (Verve, 1999) e ‘Heartcore’ (Verve, 2003). Preziose infine anche le sue numerose collaborazioni sia con nomi storici come Gary Burton e Paul Motian sia con straordinari musicisti come Brad Mehldau e Mark Turner, con i quali ha contribuito a connotare, riscrivendolo, il linguaggio del jazz di questi ultimi anni.

INFORMAZIONI
www.jazzclubferrara.com
jazzclub@jazzclubferrara.com
Infoline 339 7886261 (dalle 15:30)
Prenotazione cena 333 5077059 (dalle 15:30)
Il Jazz Club Ferrara è affiliato Endas, l’ingresso è riservato ai soci.

DOVE
Torrione San Giovanni via Rampari di Belfiore, 167 – 44121 Ferrara. Con dispositivi GPS è preferibile impostare l’indirizzo Corso Porta Mare, 112 Ferrara.

COSTI E ORARI
Intero: 25 euro
Ridotto: 20 euro (la riduzione è valida prenotando la cena al Wine Bar, accedendo al solo secondo set, fino ai 30 anni di età, per i possessori della Bologna Jazz Card, per i possessori di MyFe Card, per i possessori della tessera AccademiKa, per i possessori di un abbonamento annuale Tper, per gli alunni e docenti del Dipartimento Jazz del Conservatorio ‘G. Frescobaldi’ di Ferrara)
Intero + Tessera Endas: 30 euro
Ridotto + Tessera Endas: 25 euro
NB Non si accettano pagamenti POS
Apertura biglietteria: 19.30
Cena a partire dalle ore 20.00
Primo set: 21.30
Secondo set: 23.00

DIREZIONE ARTISTICA
Francesco Bettini

Petitti: “Dalla Regione un milione di euro per sostenere chi si occupa quotidianamente di sostegno alle donne”

Da: Regione Emilia – Romagna

Pari opportunità, il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza alle donne. Petitti: “Dalla Regione un milione di euro per sostenere chi si occupa quotidianamente di sostegno alle donne. E, grazie al via libera della Conferenza Stato-Regioni al nuovo piano di riparto, potremo contare per il prossimo anno su quasi due milioni per finanziare nuove attività”

I dati sui finanziamenti e le attività dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna. Domani un convegno in Regione dedicato al fenomeno della violenza in gravidanza

Molti sono presentati in partnership tra più soggetti, sia pubblici che privati. Propongono il potenziamento di servizi e azioni di formazione e di sensibilizzazione. Alcuni si dedicano a campi finora poco esplorati, come il contrasto ad ogni violenza e discriminazione sessista nell’ambito dello sport. La maggior parte vede la scuola come interlocutore naturale, perché è nella scuola che si formano convinzioni e sensibilità. Il comune denominatore: far crescere una consapevolezza e una coscienza fatta di rispetto, fatta di contrasto alla violenza contro donne, fatta di educazione alla vera parità di genere.
Sono i 49 progetti rivolti alla promozione e al conseguimento delle pari opportunità e al contrasto delle discriminazioni e alla violenza di genere, che la Regione sceglie di presentare in occasione della giornata internazionale dedicata all’eliminazione della violenza contro le donne, fissata per domani, 25 novembre. In sintesi, si tratta dei risultati del primo bando per la concessione di contributi, per un totale di 1 milione di euro, a sostegno di progetti contro la violenza alle donne.
L’occasione offre la possibilità di tracciare anche un bilancio sulle attività realizzate nel contrasto alla violenza di genere. Secondo l’assessore con delega alle Pari opportunità, Emma Petitti, il bando rappresenta “un primo passo decisivo per un sostegno concreto a chi sul territorio si occupa quotidianamente di contrasto alla violenza sulle donne”.
Spiega ancora l’assessore che “sono arrivate tante richieste, con un pieno coinvolgimento di diverse realtà del territorio. Continueremo a rafforzare questo nostro impegno dando piena attuazione al piano regionale contro la violenza sulle donne, anche tenendo conto del fatto che proprio oggi abbiamo finalmente avuto la conferma (grazie al via libera della Conferenza Stato-Regioni la piano di riparto) che potremo contare per il prossimo anno su quasi due milioni per finanziare nuove attività nei centri antiviolenza e case rifugio e per avviare un ulteriore piano straordinario. Nella Cabina di regina interistituzionale, di cui la Regione Emilia Romagna fa parte, abbiamo già presentato le istanze che ci sono arrivate dal territorio. Continua inoltre la nostra campagna di informazione e sensibilizzazione. Nei prossimi giorni saranno diffuse tre importanti pubblicazioni”.

I dati del bando
Sono 52 i soggetti che hanno presentato domanda. Di questi, 49 progetti sono risultati ammissibili: 27 con capofila Comuni, città metropolitana, province e unioni di comuni, i rimanenti 22 con capofila associazioni e organizzazioni del privato sociale. La maggioranza delle iniziative vede ampie partnership per la loro realizzazione e azioni sia di potenziamento di servizi che di formazione e sensibilizzazione, rivolti in particolare alle scuole.
Sono pervenute richieste di contributo per un ammontare complessivo di 1.915.959 euro e con le risorse disponibili si è deciso di finanziare comunque tutti i progetti, essendo tutti coerenti con gli obiettivi del bando, in modo da consentire interventi su tutto il territorio regionale, premiando i migliori con l’assegnazione di una quota superiore di finanziamento (sono stati finanziati i progetti con una percentuale di contributo che varia dal 75% al 25% di quanto richiesto).
Tra i progetti presentati, ve ne sono alcuni particolarmente innovativi che si propongono di diffondere una cultura plurale delle diversità anche come strumento di prevenzione e contrasto di ogni violenza e discriminazione sessista nell’ambito dello sport. In tali ambiti è importante contrastare gli stereotipi legati al maschile e al femminile, anche attraverso una maggiore consapevolezza sui temi della corporeità e nell’ambito delle relazioni affettive.

Rispetto all’educazione di genere, si segnala che moltissimi progetti formativi utilizzano la metodologia della peer education (educazione tra pari), strategia educativa capace di attivare un processo naturale di passaggio di conoscenze, emozioni ed esperienze tra pari diventando protagonisti della propria formazione.
I centri antiviolenzadella Regione hanno presentato una serie di progetti caratterizzati da collaborazioni tra i vari soggetti del territorio, tesi al rafforzamento della rete territoriale di prevenzione e assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli, al supporto in percorsi di uscita dalla violenza e di autonomia, alla realizzazione di progetti di ospitalità in emergenza per le donne vittime di violenza che necessitano di ospitalità immediata, e alla formazione per le figure professionali e per chi svolge attività di volontariato nella prevenzione nel contrasto alla violenza contro le donne, rispondendo alle esigenze specifiche di ogni territorio.

I dati sulla violenza aggiornati al 31 ottobre 2016
Le donne accolte nei 13 centri antiviolenza del Coordinamento regionale dal 1 gennaio al 31 ottobre 2016 sono in totale 2930. Di queste, 2.739 hanno subito in modo diretto violenza (93,5%).
Quelle che si sono recate per la prima volta a un centro antiviolenza sono 2094, pari al 76,3% di tutte coloro che si sono rivolte ai Centri. Di queste, 751 sono di provenienza straniera (36,4%). Le madri sono 1517, pari al 77,4%. I figli che subiscono violenza sono pari al 55,2% (1440).
Nel corso del 2016, il 65,2% delle donne (1365) ha subito violenze fisiche; il 43,2% ha subito violenze economiche (905); il 13,9% ha subito violenze sessuali (291); il 92,6% ha subito violenze psicologiche (1940).
Le donne ospitate nella case rifugio al 31 ottobre scorso sono state complessivamente 192, i figli/e 191. Le notti di ospitalità di donne e figli/e sono state complessivamente 35.550, in media 92,8 giorni di ospitalità per donna e figli/e, in leggera diminuzione rispetto al 2015, anno in cui la media di notti è stata pari a 113,6 giorni.

Pubblicazioni
Nei prossimi giorni saranno inoltre presentate e diffuse le seguenti pubblicazioni:
1- Un volume che raccoglie Piano regionale contro la violenza di genere e Linee di indirizzo regionali per l’accoglienza di donne vittime di violenza.
2- Femicidio. I dati raccolti sulla stampa a cura della Casa delle donne per non subire violenza. Anno 2015.
3- Monitoraggio dati di accoglienza dei Centri antiviolenza del Coordinamento dei centri antiviolenza della Regione Emilia-Romagna. Anno 2015
4- Violenza di genere. Raccomandazioni per la valutazione clinica e medico-legale (curata da Maria Stella D’Andrea e Rosa Maria Gaudio). Numero speciale della Collana Maltrattamento e abuso sul minore – I quaderni del professionista.

Lino Capolicchio a Ferrara: “Un destino di nome Finzi-Contini”

Da: Meis

È un legame profondo e inestinguibile, quello che porta spesso Lino Capolicchio a Ferrara, la città dove nel 1970 girò con Vittorio De Sica ‘Il Giardino dei Finzi-Contini’, tratto dall’omonimo romanzo di Giorgio Bassani.
Ed è al romanzo di Bassani, oltre che a due poesie – ‘Le leggi razziali’ e ‘Rolls Royce’ –, che Capolicchio è tornato a dare voce e corpo ieri sera, nella lettura promossa a Casa dell’Ariosto dal Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS e dall’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara, guidato dalla instancabile professoressa Anna Quarzi, nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore.

“Ho contattato Lino a fine ottobre – ricostruisce Simonetta Della Seta, Direttore del MEIS –, quando siamo stati chiamati a presentare il Museo in Israele. Mi era tornata subito in mente la prima de “Il Giardino dei Finzi-Contini” a Gerusalemme, di cui Lino mi aveva mostrato delle foto bellissime. E credo che questa lettura, proprio nelle sale della mostra che Eric Finzi ha dedicato al Giardino di Bassani, sia il modo migliore per ricollegarci ancora una volta all’opera – libro e poi film – e per mostrare quanta anima, quanti messaggi ‘Il Giardino dei Finzi-Contini’ possa ancora trasmetterci”.

Di quella prima in Israele, Lino Capolicchio fa rivivere, in particolare, un episodio: “Mi trovai a cena con Moshe Dayan, Ministro della Difesa, e seduto accanto al Primo Ministro Golda Meir che, dopo avermi guardato diverse volte, mi disse: “Scusi la domanda, ma lei è ebreo? Perché nel film lo sembra proprio”. E io, dopo un attimo di imbarazzo: “Non mi risulta, è che cerco di entrare in profondità nei ruoli, di documentarmi”. In effetti, a uno degli aiuto-registi di De Sica, Giorgio Treves, che era ebreo, avevo fatto parecchie domande sulla cultura ebraica”.
Quando parla del successo del film che lo ha consegnato indelebilmente alla storia del cinema, Capolicchio si dice sbalordito: “L’anno scorso, a San Francisco, ne è stata proiettata una copia restaurata e gli spettatori paganti erano mille! Del resto, non solo “Il Giardino dei Finzi-Contini” si era aggiudicato l’Oscar come miglior film straniero, nel 1972, aiutando molto il libro a uscire dai confini italiani, ma tuttora i critici statunitensi lo collocano tra le dieci migliori pellicole di tutti i tempi. E i riscontri non sono meno clamorosi a Parigi e in altre città del mondo”.

In tutto questo, come nel rapporto che lo ha saldato a Bassani e a Ferrara, per Capolicchio la casualità c’entra poco o nulla: “Parlerei semmai di un destino, come se un fiume ci avesse condotti esattamente lì, a incontrarci. A Roma, Giorgio Bassani fu mio insegnante di Storia del Teatro all’Accademia di arte drammatica ‘Silvio D’Amico’. Ricordo le sue lezioni come dei momenti straordinari, perché era un uomo coltissimo, ma anche lunatico, raramente ironico e spiritoso, sicuramente severo e assai temuto da noi studenti. Ecco, non è normale che proprio un tuo professore sia l’autore del film che interpreterai e che ti cambierà per sempre la vita. Tanto più che, all’inizio, pareva che la regia sarebbe stata affidata a Valerio Zurlini e probabilmente lui non mi avrebbe mai scelto”.
Invece le cose andarono nel verso giusto: “Nell’estate del ’62 lessi il romanzo appena uscì e più di una volta mi ritrovai a pensare che mi sarebbe piaciuto avere il ruolo di Giorgio, con cui mi sentivo parecchio in sintonia. Poi ebbi davvero l’opportunità di fare il provino a Cinecittà. Vittorio De Sica mi conosceva già come attore, ma voleva capire soprattutto se ero esteticamente adatto a interpretare la parte del protagonista. E dopo una decina di giorni, la mia agente mi chiamò per dirmi che il contratto era pronto”.

Della serie, i sogni qualche volta si avverano: “De Sica all’epoca era un monumento e con lui ebbi un ottimo rapporto. Lo considero, con Strehler, il migliore insegnante di recitazione con cui abbia mai lavorato. Era pure un giocatore incallito: dopo l’ultimo ciak, si faceva la doccia, indossava lo smoking e scompariva con l’autista, direzione Casinò di Venezia. Rientrava all’alba, dormiva forse un’ora e si presentava lucidissimo sul set, dove io gli chiedevo ogni volta: “Commendatore, com’è andata?”. E lui: “Cinquanta”, nel senso di cinquanta milioni dell’epoca, cioè un sacco di soldi. “Intende vinti?”. Allora lui allargava le braccia e, con aria rassegnata, ammetteva: “Perduti”, ricordandomi che d’altronde già Dostoevskij aveva scritto che i giocatori sono dei masochisti”.
E parlando del set di De Sica, Capolicchio ha davanti agli occhi una “Ferrara misteriosa e affascinante, assolata e calda, in cui dovevo indossare sciarpa e cappotto. C’era grande curiosità intorno a noi: non mi vedevo particolarmente bello eppure, quando uscivo dalla sartoria, trovavo ogni giorno duecento ragazze ad aspettarmi. In tutta la mia carriera, ho ricevuto circa cinquemila lettere di ammiratrici, comprese delle proposte di matrimonio, persino dal Giappone. E quasi tutte si erano innamorate di me per il personaggio di Giorgio. Senza che potessimo prevederlo, “Il Giardino dei Finzi-Contini” aveva stregato lettori e spettatori, trasformandoci in icone dell’immaginario collettivo”.

Una nuova occasione ecologica – progetti concreti, già attivi e produttivi

Da: Organizzatori

Una nuova occasione ecologica che, questa volta, coinvolgerà l’intera provincia ferrarese,
attraverso quelle realtà che si impegnano per cambiare il modo di fare economia, abbattendo l’impatto ambientale.

Oggi a Villa Bighi la due giorni dedicata a voci e visioni di sostenibilità ambientale
INNESTI è una rassegna di due giorni dedicata alla sostenibilità ambientale e alla conoscenza dello stato di salute del nostro Pianeta curata da GruppoZero all’interno ‘dell’incubatore di futuro’ del centro studi Dante Bighi. Innesti partirà oggi, sabato 26 e si concluderà domenica 27 novembre 2016 negli spazi di Villa Bighi a Copparo. Il programma è fitto e le attività di genere vario, dedicate sia al mondo dei piccoli, visti come veicolo di trasmissione al futuro di buone pratiche, sia a quello degli adulti, con diversi appuntamenti: laboratori per le scuole medie ed elementari, proiezione di documentari e film, tre tavole rotonde con ospiti locali e internazionali appartenenti al terzo settore – associazioni, no profit, ong -, una mostra fotografica e due ‘proposte enoiche’ a base di vini biodinamici e prodotti della terra a chilometrozero.

“Il centro studi Dante Bighi da sempre realizza progetti culturali aperti sostenendo la crescita culturale come fondamento del presente. Avrà, per questa occasione, una doppia veste: da un lato quella di luogo programmato per accelerare interessi e visioni critiche proposte da altri (in questa occasione dal giovane e neonato GruppoZero); dall’altro di centro culturale di riferimento per l’intera Unione Terra e Fiumi, i cui confini amministrativi sfumano di fronte a temi di più ampio valore che coinvolgono le comunità rivierasche roesi, passando per le terre copparesi fino ai paesaggi di Jolanda.” ha affermato Maurizio Bonizzi del centro studi Dante Bighi durante la presentazione dell’iniziativa alla stampa. L’ingresso ai diversi incontri è sempre gratuito, con la possibilità di lasciare un’offerta libera a sostegno delle iniziative del neonato GruppoZero del progetto Innesti. La scelta di attività a cui partecipare è ampia, il programma, che riproponiamo di seguito e si può consultare sul sito www.dantebighi.org/news, è articolato e pensato anche per dar voce a realtà del territorio regionale che fanno impresa in modo sostenibile, nell’ottica di dimostrare che un cambio di rotta é possibile.

Programma della rassegna
Sabato 26 Novembre 2016
h.9:00 – 10:30 / 10:45 – 12:00 ‘Pirati per un giorno!’ laboratorio per bambini 6 – 14 anni, (in 2 sessioni, la prima per le medie, la seconda per le elementari) a cura di Sea Shepherd. Attraverso storie, giochi e semplici attività, i ragazzi potranno rendersi conto che tutti noi possiamo fare la differenza e fare la nostra parte in difesa delle specie marine e del nostro habitat.

h.16:00 Apertura mostra fotografica a cura di Sea Shepherd

h.16:30 TALK I: Sea Shepherd presenta Operazione Siracusa e Operazione Pelagos con proiezione docu-film sulle campagne italiane in difesa delle acque e delle specie marine, contro lo sfruttamento dei mari e la distruzione degli ecosistemi.

h.17:30 TALK II: un confronto a più voci sulla pesca di frodo, sul bracconaggio ittico e sulle forme per preservare l’ecosistema marino: un problema che ci riguarda da vicino.
interverranno: Sea Shepherd Italia | Guardie Ittiche Volontarie provinciali, ref. Marco Falciano | Museo di Storia Naturale di Ferrara, ref. Marco Caselli

h.18:30 Cordiali & Aperitivo curato da GruppoZero

Domenica 27 Novembre 2016
h.17:30 TALK III: Nuovi comportamenti di vita a impatto minimo. Una tavola rotonda moderata dal giornalista Matteo Bianchi, con ospiti che presentano le loro esperienze e le loro visioni di futuro partendo dall’impegno profuso in vari ambiti.
Arvaia| Il Turco| EKW Movimento d’avanguardia enoica| Azienda Agricola BioPastoreria| Witoor

h.19:30 Aperitivo con degustazione vini biodinamici naturali curato da EKW & BioPastoreria + piccola cucina di GruppoZero

h.20:30 Voices of Transition un film di Nils Aguilar, 2012, 1h 5m
Proiezione in collaborazione con Cinema Boldini
“… a new model of human existence… in a balanced and sustainable way…” un docu-film sui problemi dell’agricoltura industriale, che esplora il motivo per cui l’attuale modello industriale non è all’altezza del compito di nutrire e sostenere la crescita del Pianeta.

La newsletter del 25 novembre 2016

Da: Comune di Ferrara

BIBLIOTECA ARIOSTEA – Incontro con l’autore Roberto Roda lunedì 28 novembre alle 17
Il fumetto e l’Orlando furioso: storia di un’infatuazione narrativa

Indaga sulle innumerevoli forme di ispirazione offerte dall’Orlando furioso al mondo del fumetto il libro di Roberto Roda ‘…e per cimiero tenea ‘na nuvola’ (Editoriale Sometti 2016) che lunedì 28 novembre alle 17 sarà presentato nella sala Agnelli della biblioteca Ariostea. Nel corso dell’incontro dialogherà con l’autore Giulio Cesare Cuccolini, esperto di letteratura disegnata, già collaboratore e curatore degli almanacchi bonelliani.
L’appuntamento è inserito nel ciclo di conversazioni etno-antropologiche ‘Il presente remoto 2016 – Sulla fortuna popolare dell’Orlando furioso’ a cura dello stesso Roberto Roda, studioso di etnografia e antropologia culturale del Centro Etnografico Ferrarese.

Storia breve, ma non troppo, di un’infatuazione narrativa che ha lasciato il segno e tanti disegni. Storia e storie di come la letteratura verbo-visiva ha saputo saccheggiare e reinventare il poema dell’Ariosto. L’Orlando furioso, infatti, ha rappresentato un ‘bene rifugio’ per tanti sceneggiatori e disegnatori di fumetti, un serbatoio di idee e situazioni a cui attingere, a volte senza scrupoli e, pure, a mani basse, per catturare l’attenzione di lettori giovani e meno giovani. Col Furioso sono state insaporite avventure a fumetti di genere pseudostorico, fantasy, fantascientifico, horror, mystery, persino erotico. Grandi autori della letteratura verbo-visiva e più modesti artigiani del fumetto popolare, hanno, dagli anni ’30 del ‘900 ad oggi, trovato nel Furioso un’enciclopedia di idee, situazioni, spunti, da rielaborare. Hanno, in questo modo, puntellato la loro azione narrativa. Alla fine, e non è cosa di poco conto, hanno potuto, anche grazie all’Ariosto, sbarcare dignitosamente il lunario, in una professione certo non facile. Oh, potenza dei cavalieri antiqui!

Incontro organizzato in occasione dei Cinquecento anni dalla pubblicazione della edizione dell’Orlando furioso. Con il patrocinio del Comitato Nazionale V Centenario dell’Orlando furioso – Mibact.

CONFERENZA STAMPA – Martedì 29 novembre alle 12 – Cittadella S. Rocco (corso Giovecca, 203 – settore 4 scala A 1°piano)
Presentazione dell’avvio attività del Centro servizi Integrati per l’immigrazione nella Cittadella S. Rocco

Sarà dedicata alla presentazione dell’avvio attività del Centro servizi Integrati per l’immigrazione nella casa della salute Cittadella S. Rocco la conferenza stampa congiunta AUSL e Comune di Ferrara in programma martedì 29 novembre alle 12 alla Cittadella S. Rocco (corso Giovecca, 203 a Ferrara – sala riunioni di Distretto e di Cure Primarie – settore 4 scala A 1°piano).

Parteciperanno all’incontro:

• Chiara Sapigni, assessora Sanità e Servizi alla persona Comune di Ferrara
• Chiara Benvenuti, direttore Distretto Centro Nord AUSL Ferrara
• Cristiano Guagliata, Progr. Socio-sanitaria e Politiche migratorie – servizi alla persona
• Federico Tsucalas, coordinatore Centro Servizi Integrati per l’immigrazione

LAVORI PUBBLICI E VIABILITA’ – I principali interventi previsti in città dal 28 novembre al 4 dicembre 2016
Procede il rinnovo dell’illuminazione in città; interventi al ponte Bailey di via Golena; riqualificazione dei giardini Giordano Bruno; ricerca sul rischio sismico

Questo l’elenco dei principali interventi e cantieri operativi o in fase di attivazione nel territorio comunale nel periodo dal 28 novembre al 4 dicembre 2016, condotti sotto la supervisione dei tecnici e degli operatori del Settore Opere pubbliche e Mobilità del Comune.
Maggiori informazioni sugli interventi più significativi sono disponibili sul sito http://mappaopere.comune.fe.it

>> AVVIO NUOVI LAVORI

INTERVENTI STRADALI

– Lavori per la messa in sicurezza del ponte Bailey di via Golena, con chiusura al transito l’1 dicembre
Nella giornata di giovedì 1 dicembre saranno eseguiti lavori urgenti, a cura dell’Amministrazione comunale, per la messa in sicurezza del ponte Bailey di via Golena, con chiusura al transito dalle 8,30 alle 16,30 di via Golena in tutto il tratto tra via Comacchio e via della Ginestra (ammessi i soli veicoli dei residenti e i cicli, nei tratti non interessati dai lavori).
Nel caso in cui le lavorazioni non dovessero concludersi nella giornata di giovedì 1, la chiusura al transito potrebbe protrarsi, eccezionalmente, anche alla giornata di venerdì 2, sempre dalle 8,30 alle 16,30.
A partire dal momento della riapertura al transito veicolare, in via Golena sarà in vigore, oltre alle prescrizioni già esistenti di divieto di transito ai mezzi con massa superiore a 2,5 tonnellate e ai veicoli aventi una larghezza superiore a 2 metri, anche il divieto di transito ai veicoli aventi un’altezza maggiore di 2,1 metri. Il tutto sarà indicato con apposita segnaletica, in entrambe le direzioni di marcia veicolare, sia in via Golena sia in via della Ginestra e in via Comacchio.

ILLUMINAZIONE PUBBLICA

– Lavori di rifacimento degli impianti di pubblica illuminazione nell’area delle vie Montebello, Palestro, De Pisis, e vicolo del Voltino
Nei giorni scorsi sono stati completati i nuovi impianti di illuminazione pubblica di via Palestro, via San Guglielmo e di vicolo del Voltino (v. foto in allegato a fondo pagina). L’intervento ha previsto il completo rifacimento di 37 punti luce, con il passaggio dal tipo di alimentazione ‘in serie’ a quello in ‘derivazione’.
I nuovi impianti sono costituiti da apparecchi per arredo urbano, installati a centro strada su tesata, dotati di lampade a ioduri metallici da 70W e da 40W per il Vicolo del Voltino, ad alta efficienza luminosa; la temperatura di colore è pari a 3000°K, particolarmente adatta alle vie del centro storico e alle zone di aggregazione. Tutti gli apparecchi sono conformi a quanto prescritto dalla Legge Regionale in materia di risparmio energetico ed inquinamento luminoso, sono inoltre dotati di sistema di dimmerazione per la riduzione dell’intensità luminosa nelle ore centrali della notte, in conformità alle attuali leggi e normative in materia di inquinamento luminoso. Si è provveduto anche al totale rifacimento dei quadri elettrici di alimentazione, delle linee di alimentazione e delle tesate.
L’intervento in questa zona della città proseguirà nei prossimi giorni con il rifacimento della pubblica illuminazione di via De Pisis, via Mentessi e via Boldini.

– Lavori di rifacimento della pubblica illuminazione in via Pomposa, via Pacinotti, via Algeria, via Tunisia, piazza Europa, via Messico, via Portogallo, via della Fornace e via della Siepe.
Nelle scorse settimane è stato ultimato e acceso il nuovo impianto di pubblica illuminazione di via Pomposa, nel tratto tra via Pontegradella e via Caldirolo (v. foto in allegato a fondo pagina).
Il nuovo impianto è costituto da 27 punti luce, di cui 17 costituiti da apparecchi illuminanti stradali a Led da 136W/84W, installati su pali in acciaio zincato di 9 metri di altezza fuori terra posizionati nei bauletti verdi, completi di sbraccio per l’illuminazione della via Pomposa, e 10 costituiti da apparecchi illuminanti stradali a Led da 24W, installati su pali in acciaio verniciato di 6 metri di altezza fuori terra per l’illuminazione della pista ciclabile. La temperatura di colore è pari a 4000°K.
Tutti gli apparecchi sono conformi a quanto prescritto dalla Legge Regionale in materia di risparmio energetico ed inquinamento luminoso, con indice IPEA corrispondente alla classe A++; sono inoltre dotati di sistema di dimmerazione per la riduzione dell’intensità luminosa nelle ore centrali della notte. L’impianto ha indice IPEI corrispondente alla classe A++. Si è provveduto anche al totale rifacimento dei quadri elettrici di alimentazione, delle linee di alimentazione, e l’esecuzione di tutte le opere civili quali scavi, plinti, pozzetti, ripristini del manto stradale. Il nuovo impianto garantisce, grazie ad un adeguato livello di illuminamento e una buona resa cromatica, un’ottima illuminazione delle persone, migliorando la percezione di sicurezza della zona. Nonostante l’aumento del livello di illuminamento, l’utilizzo di apparecchi Led di ultima generazione ha permesso un risparmio energetico di circa il 30% rispetto al vecchio impianto.
I lavori in questa area della città proseguiranno nelle prossime settimane con il rifacimento della pubblica illuminazione di via Algeria, via Tunisia, piazza Europa, via Messico, via Portogallo, via della Fornace e via della Siepe.

VERDE PUBBLICO
Riqualificazione dei giardini di piazzale Giordano Bruno
Sono iniziati nei giorni scorsi i lavori di riqualificazione dei giardini di piazzale Giordano Bruno, che prevedono la realizzazione di un campo di beach volley/tennis, il ripristino di un campo di street basket con sistemazione del sottofondo e una nuova area dedicata al parkour.
I lavori, che comprenderanno anche la riqualificazione dell’impianto di illuminazione pubblica saranno completati entro il prossimo anno.

OPERE DI PROTEZIONE DELL’AMBIENTE

Rischio sismico: al via indagini nel sottosuolo cittadino con sistemi innovativi

(link alla notizia su Cronacacomune http://www.cronacacomune.ithttp://www.cronacacomune.it/notizie/29752/rischio-sismico-al-via-indagini-nel-sottosuolo-cittadino-con-sistemi-innovativi.html)

Hanno preso il via in questi giorni e proseguiranno fino ad aprile 2017 le operazioni a cura del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università di Ferrara per la determinazione di parametri di risposta sismica del sottosuolo lungo alcuni tratti di strade cittadine. Le indagini rientrano nel progetto ‘Clara’ (già Smart Underground Cities) al quale il Comune di Ferrara ha aderito come ente sperimentatore.

Finanziato dal Miur, il progetto è finalizzato allo sviluppo di sensori, tecnologie e sistemi innovativi finalizzati alla diagnostica non invasiva del sottosuolo per la mitigazione del rischio sismico e idrogeologico nei territori comunali di Ferrara, Matera ed Enna.
Al momento sono già stati eseguiti alcuni profili nelle strade interne alla sede comunale di via Marconi e alla sede della Fiera. Mentre nei prossimi giorni le misurazioni saranno effettuate, in primo luogo, lungo una traccia che si sviluppa nella zona verde del sottomura, nel tratto che si estende all’incirca da via Rampari a San Giorgio; poi in corrispondenza di alcuni edifici comunali nel centro cittadino.
La tecnica utilizzata si chiama MASW (Multy Channel Analysis of Surface Waves) e l’acquisizione dei dati sismici avverrà lungo ‘array’ lineari finalizzati all’analisi spettrale delle onde superficiali (onde di Rayleigh). Per accelerare la fase di acquisizione dati è stato costruito un sistema denominato “streamer” composto da 24 geofoni verticali collocati su piastre in allumino che fungono da slitte per facilitare il trascinamento dell’array con un automezzo. Lo streamer ha una lunghezza di 90 m ed occupa 3-4 m di larghezza (carreggiata).

In alcuni tratti di strade del centro urbano, dove la viabilità esistente lo renda necessario, sarà limitata la sosta degli autoveicoli ed eventualmente anche la circolazione, per il tempo necessario alla esecuzione delle misure (1 o 2 giorni al massimo).

Questo l’elenco (a cura di Unife) delle vie e dei siti interessati (l’elenco potrebbe subire qualche variazione dopo l’esecuzione dei sopralluoghi):
– via Galileo Galilei presso ‘scuola Materna Statale\Bianca Merletti’, lungo tutto la carreggiata ovest della via,
– via Valle Pega, lungo tutto la carreggiata ovest della via,
– controviale di v.le Cavour presso ‘scuola Media Inferiore Statale\T.Tasso’ nel tratto compreso tra c.so Isonzo e via Panfilio uscita,
– controviale v.le Cavour, presso ‘scuola Media Inferiore Statale\M.M.Boiardo’, nel tratto tra via L. Ariosto e via Don Enrico Tazzoli,
– c.so B. Rossetti, presso ‘scuola Materna Comunale\Casa del Bambino’, lungo tutto la carreggiata nord della via compreso tra via Pavone e via Ariosto,
– via Previati, presso ‘scuola Elementare Statale\A. Costa’, lungo tutto la carreggiata sud della via,
– via Sant’Andrea, lungo tutto la carreggiata sud della via, presso ‘scuola Media Inferiore Statale \ D.Alighieri’,
– via Bellaria, presso ‘scuola Materna + Elem. Statale \ G.B.Guarini’, lungo il tratto da via Mortara a vicolo Pero
– via Castel Tedaldo, vicino alla ‘scuola Elementare Statale \ C. Govoni’, lungo tutto la carreggiata sudoccidentale nel tratto compreso tra via Fortezza e via Paolo V e per tutta la carreggiata occidentale di via della Fortezza nel tratto compreso tra via Castel Tedaldo e via Paolo V,
– via Italo Scalambra presso sede del ‘Servizio Sistemi Informativi e Statistica’ nel tratto compreso tra via Maverna e via G. Puglisi
– presso Palasport ‘Struttura prima assistenza’, nel tratto compreso tra via Spighi e via Tassoni

>> PROSEGUIMENTO LAVORI IN CORSO

INTERVENTI STRADALI
– Riqualificazione di via Saraceno
Proseguono i lavori per la riqualificazione di via Saraceno promossa dall’Amministrazione comunale nell’ambito del Programma Speciale d’area, con il coinvolgimento di Hera spa.
AGGIORNAMENTO del 25 novembre 2016:
Sono terminati i lavori di Hera, mentre proseguono quelli per la posa della nuova pavimentazione nel tratto tra via Carmelino e Porta San Pietro. La viabilità del tratto terminato è ripristinata con senso unico verso via Terranuova. Via Cavedone resterà a fondo chiuso fino al termine dei lavori.
La conclusione dell’intera opera è prevista per metà dicembre 2016.
(per tutti i dettagli sul progetto e le fasi di realizzazione vedi CronacaComune del 4 aprile 2016)

– Un nuovo tratto ciclabile in via Bologna, tra le vie Caselli e Malagù
Avrà una lunghezza di circa 500 metri il nuovo percorso ciclo-pedonale a margine di via Bologna in via di realizzazione dal 21 novembre scorso. Il percorso, destinato a cicli e pedoni, si svilupperà nel tratto di via Bologna compreso tra via G. Caselli e via G.U. Malagù, sul lato destro della strada con direzione centro città, andando a costituire un ulteriore tassello del percorso realizzato, in più fasi, in questi ultimi anni, dall’Amministrazione comunale, nel segmento da via Malagù sino a piazza Travaglio. Il nuovo percorso avrà una larghezza di 2,5 metri, con pavimentazione in conglomerato bituminoso, e a separazione dalla sede stradale sarà realizzato un bauletto di 50 cm di larghezza. E’ previsto anche il rifacimento dell’impianto di pubblica illuminazione.
L’intervento sarà eseguito dalla ditta Asfalti Zaniboni di Finale Emilia per conto della Società Sara Costruzioni srl, sulla base di una convenzione sottoscritta con il Comune di Ferrara nell’ambito dell’attuazione del comparto Poc ‘5ANS-03′. La durata stimata dei lavori è di circa 90 giorni.
Nel periodo di esecuzione dell’intervento la viabilità potrebbe subire variazioni (restringimenti di carreggiata, modifiche agli attraversamenti pedonali esistenti, eventuale modifica di una fermata bus,…), che saranno indicate sul posto da segnaletica provvisoria, per consentire all’impresa di lavorare in sicurezza. Il costo totale dell’opera è di 274.044 euro (a carico della Società Sara Costruzioni srl).

LAVORI A CURA DI HERA (ripristino manti stradali, manutenzione reti gas, idrica e fognaria e teleriscaldamento)
AGGIORNAMENTO del 25 novembre 2016:
Prenderanno il via lunedì 28 novembre lavori a cura di Hera per il ripristino del manto stradale, a seguito di interventi agli impianti sottoservizi, in vicolo del Chiozzino, con chiusura al transito.
Sono in conclusione i lavori di scavo urgenti, a cura di Hera, per la riparazione di condotte del teleriscaldamento in via Cosmè Tura, nel tratto da via Ariosto a via Ercole de’ Roberti, con divieto di transito e sosta.
Proseguono i lavori, a cura di Hera, per la sostituzione di condotte del gas in via Buonporto e via delle Volte angolo via Buonporto. Così come i lavori di manutenzione della rete fognaria in via Penavara (loc. San Martino) e via Poledrelli (da corso Isonzo a via Vittorio Veneto).
Nelle vie interessate sono possibili modifiche al traffico indicate con segnalazioni sul posto.

ILLUMINAZIONE PUBBLICA (AGGIORNAMENTO del 25 novembre 2016):
– Lavori di rifacimento degli impianti di pubblica illuminazione in corso Isonzo, via Monte Nero, via Poledrelli e via Manini
Sono in via di conclusione i lavori nel controviale di corso Isonzo. A seguire saranno eseguiti gli interventi nelle vie Monte Nero, Poledrelli e Manini

– Lavori di rifacimento degli impianti di pubblica illuminazione di via degli Spadari, via Malborghetto, via Frizzi e via Baruffaldi
La prossima settimana proseguiranno i lavori in via Spadari e limitrofe. Impatto sul traffico: i lavori potranno comportare qualche rallentamento nei tratti interessati.

EDILIZIA SCOLASTICA
– Interventi per l’abbattimento delle barriere architettoniche alla scuola Tasso
Sono in corso alla scuola secondaria di I grado T.Tasso (in viale Cavour) i lavori per l’installazione della piattaforma elevatrice necessaria all’abbattimento delle barriere architettoniche, per la quale nei mesi scorsi sono state realizzate le lavorazioni edili preliminari. In corso anche i lavori per la realizzazione di una rampa all’esterno dell’edificio.
Gli interventi si concluderanno, salvo avversità, entro il 12 dicembre prossimo.

– Interventi di adeguamento e messa a norma antincendio della scuola primaria Poledrelli
Sono in corso gli interventi per l’adeguamento alle normative antincendio della Scuola primaria Poledrelli. AGGIORNAMENTO: gli interventi nell’edificio scolastico principale sono ultimati, mentre restano da completare quelli nell’ex casa del custode situata nel cortile interno (conclusione prevista per la fine di novembre, senza disagi per l’attività scolastica regolarmente in corso).

EDIFICI STORICI E MONUMENTALI
– Finanziato con l’Art bonus il restauro delle colonne di piazza Municipio
E’ in corso l’intervento di restauro delle colonne sul lato ovest di piazza del Municipio e del portale su via Garibaldi. Il progetto è frutto di una collaborazione tra pubblico e privato nata su sollecitazione della Fondazione Geometri di Ferrara, che ha proposto all’Amministrazione Comunale, per quest’opera di recupero denominata ‘Adotta una colonna’, il ricorso allo strumento dell’Art bonus. L’intervento sarà realizzato dalla restauratrice Federica Bartalini che provvederà alla pulizia e al restauro delle nove colonne marmoree e degli archi in cotto del loggiato.
L’opera avrà un costo totale di 9.200 euro, quasi interamente finanziato dalle donazioni private, e la sua conclusione è prevista entro il 22 dicembre prossimo.
(per tutti i dettagli sul progetto vedi CronacaComune del 27 ottobre 2016)

– Restauro post sisma della Certosa monumentale di Ferrara
Sono iniziati il 26 settembre scorso i lavori programmati dall’Amministrazione comunale per il restauro e il miglioramento strutturale post sisma della Certosa monumentale di Ferrara.
Il progetto è stato impostato dopo una attenta analisi del quadro fessurativo e dopo avere individuato i principali meccanismi che lo hanno determinato. Gli interventi saranno realizzati per cantieri distinti e successivi, tutti all’interno dell’area cimiteriale.
Saranno eseguiti interventi sulle strutture in elevazione, sugli archi, sulle volte in muratura, e sulle coperture lignee e in laterizio.
Durata prevista dei lavori 510 giorni (conclusione al 17/02/2018)
Per i dettagli v. CronacaComune del 26 settembre 2016

– In conclusione al Conservatorio ‘G. Frescobaldi’ gli interventi di riparazione post-sisma
L’intervento di riparazione e miglioramento strutturale post-sisma dell’Auditorium e della sede del Conservatorio ‘G. Frescobaldi’ di Ferrara, a seguito degli eventi sismici del 2012, iniziato il 16 maggio scorso, sta volgendo al termine.
Dopo agosto, sono stati completati i consolidamenti strutturali previsti all’interno dell’Auditorium quali la connessione con profili metallici dei principali elementi lignei alla sommità delle murature, l’iniezione di leganti idraulici nelle lesioni in corrispondenza ad intonaci decorati, le opere impiantistiche per l’illuminazione del sottotetto, la posa dei nuovi pluviali ed i raccordi con gli scarichi esistenti; cosi come si sono conclusi i lavori previsti alle strutture del corpo di fabbrica uffici/aule.
Sono state smontate, sia all’esterno che all’interno dell’Auditorium, le impalcature ed è stata ridotta l’area di cantiere, ora presente solo su parte di piazzetta Sant’Anna. Sono in corso il ripristino delle parti rimosse della centinatura lignea che ‘avvolge’ la sala. Resta da eseguire il riposizionamento degli elementi ornamentali di coronamento del fronte su piazzetta Sant’Anna (due pinnacoli atterrati dal sisma), che avverrà nei prossimi giorni.
In considerazione di una perizia di variante suppletiva avanzata alla Struttura Commissariale, resasi necessaria per fare fronte ai maggiori oneri per puntellature e ponteggi, il cantiere potrà concludersi definitivamente, con la pulizia delle aree interessate dallo stesso, solo dopo la formale approvazione della stessa (presumibilmente entro novembre).
L’intervento, dell’importo complessivo di 260.000 euro, è interamente finanziato dalla Regione Emilia-Romagna con i fondi per la ricostruzione post-sisma di cui al D.L. 74/201 – assegnati al Conservatorio ‘G. Frescobaldi’ in qualità di Stazione Appaltante.

– A Palazzo Massari in corso i lavori di consolidamento post sisma
Sono in corso i lavori di consolidamento di Palazzo Massari, sede del Museo Boldini, in corso Porta Mare, pesantemente lesionato in occasione del sisma del maggio 2012. Conclusa questa fase di lavorazione verrà attivata l’operazione di restauro di interni ed esterni. L’importo dei lavori appaltati è di € 1.610.663,26. Il finanziamento è a carico del Commissario Delegato per il recupero delle Opere Pubbliche e dei Beni Culturali danneggiati dal Sisma 2012 (per un importo di 790.917 euro) e delle Assicurazioni stipulate dal Comune (per un importo di € 819.745 euro). Il costo totale dell’intervento è di € 2.504.557.
A eseguire gli interventi sarà l’impresa Emiliana Restauri soc. coop di Ozzano Emilia (Bo).
Gli interventi riguarderanno sia Palazzo Massari che l’adiacente Palazzina dei Cavalieri di Malta. Entrambi i fabbricati hanno subito lesioni importanti ma non gravi, che hanno comunque peggiorato un quadro fessurativo preesistente e da anni trascurato. Le operazioni di consolidamento comunque sono varie e articolate e coinvolgono tutti gli elementi strutturali del complesso in oggetto, implicando inevitabilmente anche aspetti tipicamente architettonici. Per entrambi i Palazzi sarà eseguito il restauro di tutti gli elementi decorativi, in cotto, pietra e stucchi.
(per ulteriori dettagli sul progetto vedi CronacaComune del 6 ottobre 2016)

– Casa Niccolini in ristrutturazione per ospitare la sezione ragazzi della biblioteca Ariostea e la sede della Società Dante Alighieri
Sono in corso a Casa Niccolini i lavori per la ristrutturazione dell’edificio destinato a ospitare la sezione della biblioteca Ariostea dedicata ai ragazzi con spazi appositi per la lettura e per la didattica. Al proprio interno, Casa Niccolini ospiterà anche la sede della Società Dante Alighieri. La conclusione dell’opera è prevista per il luglio 2017. Per tutti i dettagli del progetto v. CronacaComune dell’1 luglio

– Alla Palazzina ex Mof interventi di riqualificazione nel segno della conservazione
Sono in corso gli interventi di riqualificazione della Palazzina ex Mof destinata a ospitare la sede dell’Urban Center comunale e dell’Ordine degli Architetti di Ferrara. La conclusione dell’opera è prevista per il luglio 2017. Per tutti i dettagli del progetto v. CronacaComune del 7 luglio

EDILIZIA SPORTIVA
Al campo sportivo ‘Fulgor’ lavori urgenti di messa in sicurezza degli spogliatoi
Sono in fase di ultimazione i lavori, avviati con urgenza nelle scorse settimane dal Servizio Edilizia del Comune, per la messa in sicurezza della struttura degli spogliatoi del campo sportivo ‘Fulgor’ in corso Porta Mare a Ferrara. Gli interventi si sono resi necessari per far fronte allo stato fessurativo del solaio emerso da un sopralluogo. La spesa per gli interventi, ammonta a 21.642 euro.

VERDE PUBBLICO

Operazioni di sfalcio dell’erba e manutenzione del verde

Sono in corso nelle aree di verde pubblico cittadino le operazioni di sfalcio dell’erba curate da Ferrara Tua srl, sotto la supervisione dei tecnici dell’Ufficio Verde del Comune di Ferrara.

Immagini:
nuovi impianti di illuminazione pubblica di via Palestro (foto 1 e 2), vicolo del Voltino (foto 3) e via Pomposa (foto 4 e 5)

BIBLIOTECA TEBALDI – Martedì 29 novembre alle 17 nella sala di via Ferrariola a San Giorgio
‘Nel ventre del veliero’, letture per bambini dai 3 ai 10

Martedì 29 novembre alle 17 alla biblioteca comunale Dino Tebaldi di San Giorgio (via Ferrariola 12) è in programma il nuovo appuntamento con le letture per bimbi dai 3 ai 10 anni “Io leggo a te e tu leggi a me”.

Novembre ha per tema ‘Arrivano i pirati’ e l’incontro di questa settimana sarà dedicato alla lettura del racconto ‘Nel ventre del veliero’ di Alain Surget. Dopo la narrazione da parte di un adulto verrà data la possibilità ai bambini presenti di esprimesi a loro volta in veste di narratori in erba portando le proprie proposte.

Per info: Biblioteca comunale Tebaldi del quartiere di San Giorgio, via Ferrariola 12 a Ferrara, email bibl.sangiorgio@comune.fe.it, tel. 0532 64215.

BIBLIOTECA LUPPI – Martedì 29 novembre alle 17.20 nella sala di via Arginone
Belle storie da ascoltare per bambini dai 2 agli 8 anni

E’ dedicato a narrazioni e animazioni l’appuntamento con il nuovo ciclo di letture ‘Belle storie a Porotto’, in programma martedì 29 novembre alle 17.20 per bambini dai 2 agli 8 anni, alla biblioteca Aldo Luppi di via Arginone 320.

I volontari del gruppo ‘Briciole di fole’, che curano l’attività di promozione della lettura, proseguono la nuova stagione dedicata alle storie per i più piccoli con Jessica che si dedicherà alla lettura dei racconti ‘Il paese di gelatina gommosa’ e ‘Aiuto!’.

Per info: biblioteca Aldo Luppi, via Arginone 320, Ferrara, tel. 0532 731957, email bibl.porotto@comune.fe.it

INTERPELLANZA – Presentata dal gruppo FI in Consiglio comunale
Richiesta in merito al degrado nella zona di via Gobetti

Questa l’interpellanza pervenuta:

– la consigliera Peruffo (gruppo FI in Consiglio comunale) ha interpellato il sindaco Tiziano Tagliani e l’assessora all’Ambiente/Lavoro/Attività produttive Caterina Ferri in merito al degrado nella zona di via Gobetti.

>> Pagina riservata alle interpellanze/interrogazioni presentate dai Consiglieri comunali e relative risposte (a cura del Settori Affari Generali/Assistenza agli organi del Comune di Ferrara)

PROMOZIONE SOCIALE – Sabato 26 novembre alle 19 a Wunderkammer (via Darsena 57)
‘Tutta un’altra Darsena’, mostra e presentazione finale del progetto Smart Dock

Comunicato a cura di Smart Dock
Domani sabato 26 novembre 2016 alle 18.30, si terrà il momento conclusivo del progetto biennale Smart Dock, dove verrà realizzato un manifesto per la gestione della darsena di Ferrara come bene condiviso, al quale tutti i cittadini possono contribuire.

‘Tutta un’altra Darsena’. Domani a Wunderkammer per realizzare il manifesto partecipato
Alle 19 al Wunderkammer inaugura la mostra fotografica ‘Volano, bene comune’ curata da Maria Bonora, Mauro Borghi, Paola Chiorboli e Leopoldo Santini.

Cultura e turismo, mobilità e ambiente, sport, lavoro, abitare. La darsena può essere rivista sotto tutti questi diversi aspetti, ed è quello che succederà domani – sabato 26 novembre – al Wunderkammer di Palazzo Savonuzzi, in via Darsena 57, con ‘Tutta un’altra darsena’, il momento finale di ‘Smart Dock: tattiche di riuso intelligente della darsena di Ferrara’.

La giornata si articola in tre fasi. Dalle 14.30, chi si è iscritto potrà partecipare al laboratorio partecipato ‘Darsena bene comune’ per la costruzione di una mappa memoriale della darsena di Ferrara e per la realizzazione del manifesto ‘Darsena bene comune’. Dalle 18.30 i partecipanti al laboratorio presenteranno l’esito del lavoro svolto alla cittadinanza.

Alle 19 verrà inaugurata la mostra fotografica ‘Volano, bene comune’, curata da Maria Bonora, Mauro Borghi, Paola Chiorboli e Leopoldo Santini, che focalizza l’attenzione sulla vita e sulle attività che si svolgevano sul Volano e di alcuni tratti dell’Idrovia Ferrarese, tra la seconda metà dell’Ottocento alla seconda metà del Novecento. La vita sul fiume, le attività economiche, artigianali e industriali, la costruzione del Canale Boicelli per favorire il polo industriale; lo sviluppo della Darsena di San Paolo negli anni Trenta; il trasporto di merci e persone fino agli anni Settanta non sono che alcuni degli spunti con cui rileggere questo bene comune.
Verrà inoltre presentato ‘Fiume in classe’, il lavoro di ricerca svolto in questi mesi dai giovani studenti dell’istituto comprensivo statale Alda Costa, della classe III E della scuola Boiardo e del liceo scientifico Antonio Roiti.

L’iniziativa Tutta un’altra darsena è curata da: associazione di promozione sociale Basso Profilo, Dipartimento di Architettura di Ferrara-CITER, Istituto comprensivo Alda Costa Ferrara, Liceo scientifico Roiti Ferrara, con la collaborazione di ‘è Ferrara’ Urban Center e consorzio Wunderkammer, il contributo dell’Ibc Emilia-Romagna e il patrocinio del Comune di Ferrara.

I giornalisti e la cittadinanza sono invitati a partecipare.

ASP FERRARA – L’avviso consultabile sul sito www.aspfe.it
Procedura aperta per l’affidamento per tre anni di servizi per minori
25-11-2016

Scadrà il 29.12.2016 alle 12 al Centro Servizi alla Persona – ASP la nuova Procedura aperta per l’affidamento per tre anni dei seguenti servizi (Lotto unico CIG 68802967DE):

A) Centri educativi per minori pomeridiani
B) Centri educativi per minori estivi
C) Interventi individualizzati presso i centri educativi

Il fabbisogno annuo è pari a 297.501,14 euro (senza IVA), per la triennalità è pari a 892.503,41 euro. Sono ammessi a partecipare alla procedura i soggetti di cui all’articolo 45 del D. L.gs. 50/2016 sulla base dei requisiti specifici di cui alla documentazione di gara.
La procedura aperta sarà aggiudicata mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui agli artt. 60 e 95, D. L.gs. 50/16.

Per tutte le modalità di partecipazione consultare le pagine internet all’indirizzo ‘www.aspfe.it‘ sezione ‘Gare e concorsi’, oppure rivolgersi all’Asp Ferrara in Via Ripagrande 5 – Ferrara.

BORDO PAGINA
Intervista a Elia Felisati e il “Dark Pop”, protagonista a “Rosa d’Inchiostro”

Elia Felisati, ancor giovane artista contemporaneo e noto anche curatore (con L. Guio) di Blackstar, circolo Arci dedicato a David Bowie, tra i piu brillanti e innovativi attualmente in città, ha esposto (2016) a Milano alla Terrazza Martini: il celebre Martini Red party, con altri artisti emergenti anche nella Moda, sfilata inclusa, un superevento. Inoltre, l’estate scorsa ha partecipato con diverse opere a Bologna, Dynamo location per la mostra “Incontri Informali”. Suoi lavori sono esposti ed ospitati nello stesso Blackstar di Via Ravenna e proprio in questi giorni – nel weekend -è protagonista nell’evento “ferrarese” collettivo “Rosa d’Inchiostro”, a cura di Jam Ink Tattoo Family , Area Acquedotto: presenti molti artisti di diverse tendenze artistiche, nell’ambito della rassegne nazionali in corso “Contro la violenza sulle donne”.

D1: Elia, da qualche tempo protagonista della new wave artistica ferrarese e non solo, un autoritratto?
R – Sono nato a Ferrara il 22 maggio ’88 e nipote di Giovanni Lovetti, pittore famoso di Ferrara, anche noto gallerista in città per tutta la sua brillante vita… Sono inserito nell’arte fin da piccolo e c’è l’ho pure nel sangue..,, non ho mai preso in mano un pennello fino a febbraio 2016 e non ho mai studiato nulla riguardo le tecniche di pittura. L’arte è per me una terapia di sfogo per urlare il malessere interiore di una persona che si sente totalmente esclusa da quello che dovrebbero essere i concetti attuali sociali. Tendo sempre a volermi elevare verso qualcosa di ultraterreno, qualcosa che ha un valore vero rispetto a tutte le cazzate che viviamo ogni giorno. Non mi accontento e detesto non avere risposte o vivere come tutti senza farmi domande su cosa ci sia oltre a noi e dopo di noi..

D2: …Tra neoastrattismo e neopop, a quanto pare, il tuo giovanissimo ma potente percorso d’arte, un approfondimento?
R – Come dicevo prima, ho cominciato a dipingere a Febbraio come uno sfogo mio che ho avuto dopo una crisi esistenziale non indifferente. Ho preso in mano il pennello e ho semplicemente “sputato” fuori istintivamente quello che sentivo dentro lanciando colori a “caso”: a caso lo dico tra virgolette perchè in ciò che l’istinto creativo ti muove, non è mai mera casualità. Mi sono “usciti” lavori astratti niente male; come la chiamano ora, tipo arte postmoderna o arte minimale.. poi piano piano ho affinato le tecniche e diventava sempre più pensato ciò che facevo. Da lì sono passato a fare pop art.. che ho denominato – la mia – Dark Pop, dato che scelgo sempre personaggi molto dark come soggetti. Ho infatti una visione della vita molto dark, mi è sempre piaciuta questa dimensione fin da bambino grazie al nonno che in casa, a suo tempo, mi ha fatto conoscere degli Schifano e dei Franco Angeli originali, oltre a molte “stampe” di Warhol che adoro da morire..

D3: Ferrara artistica e no nel 2030, il tuo Sogno?
R – Beh io spero non solo per Ferrara ma a livello mondiale che per l’arte torni ad esserci ispirazione e spazio. Purtroppo, ora come ora, è un periodo sia di stallo – è difficile creare un nuovo movimento o una nuova tecnica perche tutto si è gia visto – e sia perchè con la tecnologia e sopratutto nel caso dell’Italia della crisi economica… le persone tendono a non dare valore a un bene materiale come può essere un quadro, ma preferiscono investire i priopri soldi in oggetti – appunto tecnologici, vestiti automobili ecc.. Spero si posa tornare ad apprezzare l’arte come la si è apprezzata e ricercata fino agli anni 90.. epoca in cui io mi ritengo appartenere. Avrei voluto avere la mia attuale età in quegli anni..

Info
Elia Felisati Facebook
Blackstar Facebook

La violenza sulle donne

 

tolte dal lager malsano di stoviglie panni muri
assi da stiro
l’ infinito tempo
di cibo e cucito
le donne italiche
dagli occhi spianati lontano
moderne Mnemosine cadono
sotto i colpi
dei loro uomini imbestialiti
di ferocia muti
come la morte
che procura
no…   troppi i torti troppi cambiamenti
le viltà
la storia accelerata
le solitudini
i pregiudizi
sotto traccia
di una società esteriore
che spaccia l’uguaglianza
la parità
come acquisite
per diritto
senza l’amore

 

ROBERTO DALL’OLIO

Copparo – Inaugurazione della pista del ghiaccio

Da: Comune di Copparo

Inaugura oggi (sabato 26 novembre) alle ore 15 la Pista del Ghiaccio gestita da ComArt, unica struttura coperta nel territorio provinciale, permetterà di pattinare con qualsiasi tempo.
È in pieno svolgimento il Black Weekend con occasioni e offerte imperdibili in tutti gli esercizi commerciali di Copparo, che per l’occasione resteranno aperti anche nella giornata di domenica 27 novembre. Un fine settimana di anticipazioni sulle molte iniziative del Natale a Copparo.

Copparo – Semaforo in riparazione

Da: Comune di Copparo

Semaforo fuori uso sull’incrocio tra via Alighieri e via idris Ricci per la rottura della centralina. I lavori, a cura della Elettrocostruzioni, prevedono la sostituzione dell’apparato e la ditta è in attesa della fornitura. Il ripristino del semaforo è previsto per la prossima settimana.
Sempre sul medesimo incrocio sono in corso lavori di manutenzione straordinaria, da parte di Hera, della centralina del gas metano. Anche per questo intervento si prevede il ripristino entro la fine della prossima settimana.

25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Da: Comune di Ferrara

“La società spesso perdona il criminale, ma non perdona mai il sognatore”. L’aforisma di Oscar Wilde mi torna in mente quando si parla di uomini che ammazzano le donne; quando mariti, fidanzati, o ‘ex’ usano violenza sulla donna che dicevano di amare. Mi viene in mente quando su tali crimini cade il velo, poco pietoso, della ‘passionalità’ o si descrivono come delitti di impeto, di gelosia, ‘raptus’.

Quando si compie una violenza di genere, la donna muore in maniera atroce, crudele, terribile, troppo spesso tra le mura di casa e per mano di un ‘amore’ o di un ‘ex’, magari per aver scelto la libertà di ricominciare a vivere lontano da chi le maltrattava.

Eppure, con la frequenza alla quale la triste cronaca ci ha abituato, è sempre la vita delle vittime a finire sotto la lente d’ingrandimento di chi narra e di chi ascolta. E’ il suo comportamento ad essere indagato, investigato e troppo spesso giudicato. E’ il corpo della donna ad essere scrutato, in vita e nella morte, alla ricerca dell’origine del “gesto insano”.

Davanti al bollettino di guerra delle statistiche non c’è gesto passionale che tenga, non possono esistere giustificazioni. Chi arma la propria mano contro una donna, generalmente ha già manifestato la propria violenza in altri modi. Alcune volte capita che la denuncia venga sottovalutata, in virtù della relazione affettiva; talvolta neppure le leggi garantiscono una pena certa ed esemplare a carico dei violenti. Così registriamo (ultimi dati Istat) la drammatica cifra di 6 milioni e 788 mila donne che hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza, fisica o sessuale, delle quali il 31,5% ha un’età compresa tra i 16 e i 70 anni.

La poeta polacca Wislawa Szymborska scrive:

“La vita sulla terra costa abbastanza poco.

Per i sogni ad esempio qui non paghi un soldo.

Per le illusioni – solo se perdute.

Per il possesso di un corpo – solo con il corpo”.

Il possesso è il movente più frequente quando si parla di “femminicidi”, un termine che nella sua sgradevole durezza racchiude tutto un mondo, la forza di un sogno spazzata via dalla debolezza di una sconfitta.

Allora se il 25 novembre – giornata mondiale contro la violenza sulle donne – ha un senso, questo è tutto racchiuso nella potenza di un percorso comune da compiere, uomini e donne. Consapevolezze da acquisire e impegni da assumere, ad esempio la consapevolezza che ogni violenza subìta è un reato e l’impegno verso la parità dei diritti che no, non è ancora acquisita.

Nel mondo ci sono quasi 900 milioni di adulti analfabeti, i due terzi sono donne. In questo modo, non solo si nega il diritto umano all’istruzione, ma – come afferma l’Unicef – tale esclusione rappresenta una grave ipoteca sul futuro di una società intera.

Ce lo confermano ogni giorno i migranti che arrivano nel nostro ‘mondo’, coloro che fuggono dalle guerre, assieme a chi abbandona situazioni di povertà estrema. Ce lo raccontano le storie delle profughe arrivate a Goro, già vittime di abusi e maltrattamenti, forti del sogno di una nuova vita ed invece respinte in modo irragionevole.

Il 25 novembre è anche per loro, per i figli che hanno in grembo, per i loro sogni. Ma soprattutto è per quegli uomini che non riescono a tollerare l’idea di vivere con chi gli è pari in diritti e dignità.

Annalisa Felletti

L’Emilia Romagna prima in Italia: la tutela vaccinale diventa legge

E’ l’Emilia Romagna la prima regione in Italia ad aver reso obbligatorio, per legge, la vaccinazione dei bambini per l’iscrizione alla scuola d’infanzia. Lo prevede il progetto di riforma dei servizi educativi per la prima infanzia della Giunta regionale, approvato dall’Assemblea legislativa. Nel ridisegnare i servizi 0-3 anni, la norma introduce come requisito d’accesso ai servizi «l’avere assolto gli obblighi vaccinali prescritti dalla normativa vigente», La percentuale di vaccinati che garantisce la migliore protezione a tutta la popolazione deve essere superiore al 95%, limite indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità: in Emilia-Romagna tale copertura è stata del 93,4% nel 2015 dopo essere scesa al di sotto di quella richiesta nel 2014, quando arrivò al 94,5%.

Il Comunicato trasmesso dalla Regione Emilia Romagna agli operatori sanitari, parla chiaramente di una soglia percentuale di bambini vaccinati scesa pericolosamente sotto la soglia minima raccomandata e sottolinea l’importanza di iniziare le vaccinazioni fin dalla primissima età del bambino. Si legge infatti che “A due mesi di vita il sistema immunitario del bambino è già in grado di rispondere alla vaccinazione; ogni ritardo nell’inizio delle vaccinazioni prolunga solo il periodo in cui è esposto alle infezioni che si possono prevenire. Inoltre alcune malattie come la pertosse e la meningite da emofilo b sono particolarmente gravi proprio nel primo anno di vita: è quindi indispensabile che i bambini vengano vaccinati tempestivamente affinché siano protetti il prima possibile”.

Rimarca l’importanza della legge appena approvata anche la dott.ssa Marisa Cova, Responsabile M.O. Prevenzione e Controllo delle Malattie trasmissibili – Dipartimento vaccinazioni della Ausl di Ferrara- sommersa di telefonate e richieste di vaccinazioni dopo i recenti casi di mortalità a causa della meningite in Toscana. “I vaccini rappresentano uno strumento fondamentale di tutela per la nostra società. Non dobbiamo dimenticare che malattie ora quasi dimenticate, come la poliomielite, fino agli anni’60 era ancora molto diffusa. Si deve ad una capillare campagna di vaccinazione condotta in passato in Italia se oggi possiamo beneficiare di una buona situazione sanitaria. L’impegno era stato quello di raggiungere la cosiddetta “immunità di gregge”, cioè l’immunità che si ottiene quando la vaccinazione di una porzione della popolazione offre una protezione agli individui non protetti”. L’abbassarsi della soglia di immunità comporta il comparire di malattie ormai ritenute scomparse come la pertosse o la difterite. “Non dobbiamo mai dimenticare- continua la dott.ssa Cova- che le vaccinazioni sono importanti non solo per gli individui che ad esse si sottopongono ma anche per tutelare la salute di bambini incolpevoli che, per immunodeficienze o altri gravi motivi medici, non possono vaccinarsi. Se la soglia di bambini vaccinati si abbassa i primi a rischiare la vita sono proprio loro”.

Di fatto la legge appena approvata ripristina quella che era la situazione prima che, negli anni ’90, l’allora Ministro della Sanità Maria Pia Garavaglia stabilisse che non si potesse rifiutare l’iscrizione a scuola di un alunno che non forniva il proprio libretto dei vaccini. Il diritto allo studio veniva fatto prevalere sul diritto alla salute e da quel momento, pur essendoci dei vaccini obbligatori per legge, di fatto il non farli non precludeva la frequentazione del bambino a scuola.

La raccomandazione della dott.ssa Cova è quella di non abbassare mai la guardia: “ Se è vero che nell’ultimo secolo la morbosità e la mortalità per malattie infettive sono notevolmente diminuite, è anche vero che negli ultimi decenni, la nostra società è molto cambiata. Ci si muove sempre più spesso da un paese ad un altro motivo per cui la copertura vaccinale rimane fondamentale. Basti pensare che noi confiniamo con il Veneto, la prima regione in Italia ad aver abolito l’obbligatorietà dei vaccini”. E’ innegabile che negli ultimi anni il livello vaccinale si sia abbassato anche a seguito di una sempre più diffusa aderenza a delle teorie “mediche” prive di alcun fondamento scientifico o “complottiste” che vedono le industrie farmaceutiche colpevoli di voler lucrare con la vendita dei vaccini sulla vita dei bambini.

“ A parte tutte le teorie che circolano intorno ai vaccini, io credo che la ragione per cui, in questi ultimi anni, sia così calato il numero dei bambini vaccinati sia anche di livello psicologico – dice la dott.ssa Cova- Molti genitori appartengono alla fortunata generazione che non ha mai conosciuto la poliomielite o casi mortali di morbillo. La percezione quindi che tali malattie quasi non esistano più disincentiva molti a non far vaccinare i propri figli. L’errore è proprio questo: non riconoscere nel vaccino l’unico strumento scientificamente efficace per tutelare la salute dei nostri bambini e la salute di chi non ha la possibilità di vaccinarsi”.

I DIALOGHI DELLA VAGINA
Una nuova rubrica per esprimersi in libertà

Nasce su Ferraraitalia I dialoghi della vagina, uno spazio per raccontarsi, e inizia nei giorni in cui buona parte del mondo crede ancora si possa combattere, anzi eliminare, la violenza contro le donne.

È violento chi dice stai zitta, chi non risponde, chi non ascolta e non ci accoglie perchè pensa che non abbiamo nulla di particolarmente interessante da dire. Eppure sono tanti i colori della nostra vita, fatta di momenti interminabili e attimi velocissimi. Tante le parole che non vorremmo rimbalzassero contro un’occhiata prepotente o un tono di voce senza repliche. Mettere all’angolo è violenza, negazione. Confinare nel silenzio è esclusione, buio.
Non esiste un giorno uguale a un altro se proviamo a spostare lo sguardo anche solo di un po’, potrebbe essere uno sforzo enorme, ma anche una grande libertà. Come quella di raccontarsi, perchè capita sempre qualcosa per cui è valsa la pena.

Vi chiediamo di scriverci una piccola libertà che vi siete prese, un moto che è sgorgato e avete assecondato. È cambiato qualcosa? Ha bussato ancora? Quale parte di voi è stata libera di essere abbracciata da voi stesse, anche solo per un po’? Quale pensiero si è accomodato lieve e significativo?
Le piccole libertà possono diventare una segreta abitudine e poi una conquista, una traccia verso il cambiamento che non richiede approvazione da parte di nessun altro.

Ci ha messo in moto e ci piace così.

Potete mandare le vostre lettere a:
parliamone@gmail.com

Giornata mondiale contro la violenza sulle donne: non è più tempo di subire in silenzio

Da ormai 17 anni si celebra, a livello mondiale, la giornata dedicata alla eliminazione di ogni forma di violenza sulle donne. Il 25 novembre è stato scelto nel 1999 dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite che ha ufficializzato la scelta fatta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981.
Il 25 novembre del 1960, infatti furono brutalmente assassinate le tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo, il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nel caos per oltre 30 anni.
La violenza sulle donne si consuma ogni giorno: sono quasi 7 milioni, secondo i dati dell’ultimo rapporto Istat, le vittime che hanno subìto qualche forma di abuso nel corso della propria vita.: il 31,5% delle donne tra i 16 e i 30 anni. Praticamente uno donna su tre. Secondo poi quanto emerge nel dossier “Rosa Shocking 2″ dell’associazione We World Onlus, su un campione di persone under 30, uno su tre gli episodi di violenza domestica subiti dentro le mura di casa.

La disciplina giuridica delle molestie è stata introdotta soltanto di recente nel nostro ordinamento con il Decreto legislativo n. 145 del 2005, poi trasfuso nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (Decreto legislativo n. 198 del 2006).
Secondo il D.lgs. 145/2005 che ha attuato la D.73/2002 le molestie sessuali sono definite come discriminatorie qualora:
– consistano in comportamenti indesiderati posti in essere per ragioni connesse al sesso aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, umiliante, degradante od offensivo
– consistano in comportamenti indesiderati a connotazione sessuale espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità della persona e di creare un clima intimidatorio,degradante, umiliante od offensivo.
I comportamenti possono essere molto vari, ma a base direttamente o indirettamente sessuale, e sono caratterizzati dal fatto che non sono né desiderati da chi li subisce, né graditi.
La vera svolta giuridica contro le molestie si è però avuta in tempi recenti, con la stipula della convenzione UE di Instabul, l’11 maggio del 2011, che la violenza contro le donne diventa violazione dei diritti fondamentali dell’uomo.
La convenzione infatti è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell’ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela.

Eppure, a dispetto delle convenzioni e delle legislazioni sempre più sensibili al tema della violenza contro le donne, le cronache ormai quotidiane ci rimandano le immagini terribili di donne uccise, violate, vendute, oltraggiate. Si rimane stupefatti davanti a tanto orrore, quando l’orrore assume dei contorni eclatanti, ma si dimentica che la violenza a cui le donne devono far fronte ogni giorno spesso è molto più strisciante e subdolo, molto meno palese. E si annida tra le pieghe di una società latina e maschilista, dove la “palpatina”, il commento sguaiato, la donna-oggetto sessuale è dura a morire.
Una donna su tre subisce violenza nel corso della propria vita, e non parliamo solo di stupro o omicidio ma di donne molestate dentro le mura domestiche o sul posto di lavoro: difficile addittare il “mostro” se ha l’aspetto del fidanzato, o ex marito, o del collega della scrivania accanto alla nostra, se non del capo, a cui si sente di dovere della gratitudine per aver dato un lavoro.

Racconta D.: “ Ero felicissima di poter svolgere il mio periodo di pratica legale nello studio del professore con cui avevo redatto la mia tesi di laurea. Era uno studio prestigioso e sentivo di poter imparare tanto da una persona di così comprovata esperienza. Il capostudio era un uomo sui sessant’anni, elegante nel modo di porsi, con una galanteria d’altri tempi. Eppure, in poco tempo, seppur impercettibilmente, le cose erano cambiate: pur non abbandonando un atteggiamento formalmente educato, era evidente la volontà di avvicinarmi al di fuori dal rapporto lavorativo. C’era sempre una scusa per rimanere soli in studio da soli, gli sguardi diventavano insistenti e così i commenti, camuffati da complimenti, sulla mia persona e il mio fisico. I saluti, prima cordiali ma formali, erano diventati baciamano, se non lunghi abbracci, dove, pur contro la mia volontà, venivo trattenuta a lungo contro di lui. In poche settimane il clima in studio era cambiato: in sua presenza mi sentivo in imbarazzo, con i suoi occhi sempre addosso, con i suoi commenti sempre pronti a sottolineare il mio aspetto fisico. Ma cosa potevo dire? Noi donne siamo troppo abituate a passare sopra ai nostri sentimenti e forse a considerare poca cosa la nostra dignità. Siamo abituate ad essere prima fisico e poi mente, cosa inaccettabile sul posto di lavoro. Ma ero una ragazzina e, come spesso succede in questi casi, non ne parlai con nessuno.

Fino a che, una mattina, dopo avermi chiamato nel suo studio, porta rigorosamente chiusa, per “parlarmi di lavoro” mi ha spinto contro un muro cercandomi stringendomi e baciandomi con la forza. Sono riuscita a scappare e ho sentito alle mie spalle la sua voce che diceva “Scusa, forse ho frainteso il tuo atteggiamento”. Ma io cosa avevo fatto per essere fraintesa? Niente, mi dico ora. Ma allora, scesa in strada, con il cuore a mille, anche io, come altre mille donne violate, mi sono chiesta in cosa avessi sbagliato. La colpa è sempre nostra”.
Quasi una donna su tre è vittima di molestie nel corso della sua vita. Te la sei cercata è stato per troppo tempo la mentalità sociale che copriva e comprendeva questo tipo di atteggiamento aggressivo nei confronti delle donne. Per troppo tempo le vittime ci hanno creduto non denunciando . Il 25 novembre è l’occasione per dire basta.

Un naso rosso per gli ambasciatori del sorriso

Intervista a “Pepita”, volontario dell’associazione “Dharmic clown”

di Eleonora Rossi

Sono “ambasciatori del sorriso”. Ma loro preferiscono essere chiamati più semplicemente Pepita, Banana, Piuma, Caramella, Piritillo, BonBon, Trombetta, Tritolo. Insieme formano l’associazione “Dharmic clown”, un gruppo di volontari che, attraverso l’antica e nobile arte della clownerie, mette in pratica l’arte del sorriso e la “clownterapia” in strutture ospedaliere, case di cura, orfanotrofi, asili e scuole, ricoveri per anziani e disabili, case di accoglienza, e in ogni altro luogo ove è importante donare momenti di allegria. Con abiti buffi e gag, ma anche con parole e gesti di conforto, i clown colorano le giornate dei bambini ospedalizzati, scombinano la routine di un ricovero di anziani, oppure rallegrano le lezioni scolastiche, “liberando” gli alunni dai banchi e dai libri. I bambini li accolgono e li abbracciano come fossero supereroi. E in fondo, un po’ lo sono davvero.

Li abbiamo visti all’opera nelle scuole, e toccato con mano la bellezza e il significato profondo dei loro interventi. Come ricordo i clown lasciano sempre un “fiore della bontà”, da annaffiare ogni giorno con una buona azione. “Sono un Clown e faccio collezione di attimi”, così ha intitolato Titti Giordano un interessante articolo dedicato ai clown nelle corsie d’ospedale: “Il loro compito è sdrammatizzare la permanenza in ospedale, capovolgere le emozioni negative, come paura, rabbia, tristezza e gestirle, cambiarle in positivo, verso il sorriso, la gioia, il riso (…). Una risata può avere lo stesso effetto di un antidolorifico: entrambi agiscono sul sistema nervoso anestetizzandolo e convincendo il paziente che il dolore non ci sia”.

Il naso rosso è la maschera più piccola del mondo: nel momento in cui si infila la pallina sul naso, l’immaginazione può galoppare in libertà e inventare mondi paralleli. Dietro quel naso rosso – gli abiti stravaganti e i buffi cappelli di questo straordinario gruppo di clown non professionisti – si celano splendide personalità, che all’anagrafe corrispondono ad altrettanti nomi e cognomi (in rigoroso ordine alfabetico): Franco Borghetti, Giovanni Cinelli, Mauro Contini, Corinna Di Gregorio, Claudio Giannini, Marino Marchi, Luigi Visentin, Roberto Zoldan (assdharmiclown.blogspot.it). E che sorpresa riconoscere, dietro “Piritillo”, Giovanni/Gianni Cinelli: proprio lui, l’attore di Zelig, il barman dell’Arcimboldi, uno dei “Boiler” – insieme a Federico Basso e Davide Paniate – i tre spassosi “giornalisti alla conferenza stampa”. “Piritillo è uno dei nostri maestri o istruttori di clownerie”, ci racconta “Pepita” (Franco Borghetti), referente dell’associazione.

A Ferrara il clown Pepita lo conoscono un po’ tutti, per la sua simpatia, per la magia di riuscire a comparire nei momenti difficili e a trasformarli in un regalo. Ma Franco si distingue anche per il suo garbo e la capacità di ascolto. E questo i bambini (e non solo) lo apprezzano davvero. Conversiamo con Pepita per conoscere meglio lui e i suoi amici dal naso rosso.

Puoi raccontarci come è cominciata questa avventura? A chi vi siete ispirati?
L’associazione a Ferrara è nata nel 2005, ci siamo sicuramente ispirati al famoso film “Patch Adams”, ma ognuno ha seguito un suo percorso personale. Io, ad esempio, da bambino avevo due sogni: diventare maestro elementare e fare il clown. Il secondo desiderio si è realizzato.

Che cosa significa essere clown?
Il poeta si esprime con le parole, il clown con i gesti; il poeta parla, il clown “è”. Essere clown fa rivivere il bambino che c’è dentro ognuno di noi, quello che ha voglia di giocare e scherzare, ma è al tempo stesso una forma alta di spiritualità e di responsabilità. “Il clowning profondo credo sempre evochi la consapevolezza del contrasto e dell’unità dei nostri aspetti opposti – ha osservato Deon van Zyl, professore di psicologia dell’università di Pretoria – . Il clowning ci permette di abbracciare entrambi gli aspetti ed essere ‘elevati’ a una più ‘alta’ prospettiva”. Poi c’è la gioia di intrattenere, di vedere i bambini sorridere. Un’arte che ho appreso da mio padre, che faceva il burattinaio.

Come si diventa “ambasciatori del sorriso”?
La forte motivazione è il punto di partenza. In Italia ci sono diversi corsi di formazione e tantissime pubblicazioni al riguardo. Io ho incontrato alcuni clown che mi hanno affascinato con le loro esperienze e sono diventati i miei insegnanti. In particolare un amico clown di Forlì mi raccontò che una volta, in occasione delle festività, si travestì da Babbo Natale per regalare caramelle ai bambini in centro. Ne aveva acquistate molte, così decise di distribuirle anche nel vicino ospedale. Arrivò tra le corsie, portando emozioni tra i ricoverati meno gravi, poi si trovò in un reparto in cui le porte delle stanze erano chiuse. Bussò e una voce gli chiese chi era; lui rispose semplicemente: “Babbo Natale!”. Di fronte all’incredulità dell’infermiera che chiedeva ancora: “CHI?!?”, confermò senza scomporsi: “Babbo Natale”. L’infermiera consultò il primario, che non si oppose all’insolita “visita” e osservò che cosa succedeva mentre l’uomo vestito di rosso si recava nella stanza di un’anziana gravemente ammalata. La signora, seppure stremata, trovò la forza di sollevarsi sul letto e di sorridere, sussurrando, come una bambina: “C’è Babbo Natale…”. Fu una scena commovente. L’indomani l’anziana signora purtroppo venne a mancare, ma l’infermiera raccontò che “si era addormentata serena, perché aveva visto Babbo Natale”. Il primario chiamò il mio amico clown e gli disse: “Non so chi sia lei, ma sappia che può tornare qui in ospedale quando vuole…”. Esperienze come questa mi hanno toccato il cuore e mi hanno spinto a diventare clown.

Come hai scelto il nome “Pepita”?
Durante un corso di clownerie, la mia insegnante Ulrike ci chiese di scegliere, pescando in una montagna di travestimenti, quello che ci piaceva di più. Io amo i colori e scelsi una tuta di ciniglia sgargiante: quando la indossai mi accorsi che dietro c’era la scritta “Pepita”. Fu un segno. Ma i nomi non arrivano mai a caso e mi accorsi in seguito del significato bellissimo di quel nome: il cuore è come una pepita d’oro. I nostri cuori vanno ‘ripuliti’ dal fango, come si fa setacciando le pepite nel fiume. Ogni persona ha delle qualità e dei talenti, a volte sono nascosti o soffocati: sta a noi farli risplendere. Come oro. Un messaggio molto importante anche per i bambini, che hanno sempre un forte bisogno di credere nelle proprie capacità.

Quali esperienze proponete nelle scuole?
Proponiamo storie interattive che cercano di riportare l’attenzione sull’essenza dei cinque “Valori Umani”: Verità, Retta Azione, Pace, Amore e Non violenza. Ogni storia è illustrata, messa su lucidi e proiettata in modo che gli studenti possano interpretare le parti o discuterla in modo partecipato, seguendo il principio: “Chi ascolta dimentica, chi vede capisce, chi fa impara”. La discussione favorisce la comunicazione e la creatività attraverso la lettura, la drammatizzazione e la riflessione spontanea su contenuti che in seguito gli insegnanti potranno approfondire in classe. A seconda delle diverse età, dalla scuole primaria alle superiori, proponiamo storie dedicate al rispetto, alla fiducia, al “per-dono”, alla gentilezza e alla generosità. L’intercalare di “gag clownesche” allieta le due ore di incontro regalando sorrisi e battute.

Come è possibile sostenere l’associazione?
I volontari dell’associazione “Dharmic Clown” non accettano compenso per il loro servizio. I fondi con cui provvedono all’attività e alla vita dell’associazione derivano dai contributi volontari degli associati e da eventuali donazioni di terzi. Le somme eccedenti l’attività associativa vengono devolute a istituzioni ospedaliere, in particolare alla Biblioteca Blu, promossa dall’Associazione Circi per i bambini e i ragazzi dei reparti pediatrici dell’Ospedale S. Anna di Cona. Nei luoghi dove è più forte il disagio, come le corsie d’ospedale, il compito di portare il sorriso è un impegno non facile, una vera e propria “missione”.

Quali sono le difficoltà che si incontrano? Quali le soddisfazioni?
Di fronte alla sofferenza è fondamentale non lasciarsi coinvolgere, non identificarsi troppo con la situazione. Noi non possiamo togliere il dolore, ma alleggerirlo sì. Quando incontro un bambino ammalato e i suoi genitori, sono messo anch’io alla prova, ma tengo sempre presente che sono un clown e il mio compito è portare un sorriso.

Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Il mio sogno sarebbe passare il testimone ai giovani, donare la mia esperienza di clown affinché le nuove generazioni continuino “la missione del sorriso”. I ragazzi hanno bisogno di esempi, e di coerenza. Ora stiamo lavorando ad un progetto nelle scuole superiori di Ferrara realizzando laboratori e di clownerie (palloncini, gag, spettacoli di magia, narrazione di storie, canzoni,…) che gli studenti proporranno nel tirocinio nelle scuole d’infanzia. Un altro mio sogno sarebbe portate il sorriso negli istituti penitenziari, ma è ancora assai complicato realizzare questo desiderio.

Che cosa hai imparato in questi anni?
Ho imparato che alla fine sono io che porto a casa qualcosa da queste esperienze. Sensazioni impagabili. Spesso dopo un incontro intenso vissuto con i bambini in ospedale, soprattutto nei reparti oncologici, io e il mio partner di clownerie, “Banana”, ci guardiamo negli occhi. E non abbiamo bisogno di dirci nulla, tanta è l’emozione per quello che abbiamo vissuto.

Puoi raccontarci un episodio di questi anni?
Una decina di anni fa io e Banana, durante una delle nostre visite in ospedale, incontrammo un bambino di 6 anni, ricoverato in oncologia – ora è guarito, sta bene! – ma allora era in uno stato di profonda sofferenza. Non parlava più. Ricordo che la madre era affranta, non voleva farci entrare nella stanza del piccolo. Con una certa titubanza entrammo, per cercare di portare un pochino di spensieratezza. Gli regalammo la pallina rossa da mettere sul naso. La settimana successiva la madre uscì in corsia a cercarci: il suo bambino voleva che tornassimo a trovarlo. Aveva ripreso a parlare.

E a questo punto chi scrive non può che esprimere la sua riconoscenza a Pepita e a tutti i clown volontari, perché, come è scritto nel motto dell’associazione, “ciò che si conquista con un sorriso…rimane per sempre”. Grazie per il dono di una pallina rossa, come una goccia d’amore. Nel silenzio bianco di un ospedale, nulla paga più dell’immagine di quel piccino dal naso rosso. E sotto quella ciliegia accesa, la luce di un indescrivibile sorriso.

“L’economia è una menzogna” di Serge Latouche

di Alberto Melandri

Nel libro  “L’economia è una menzogna” l’economista e filosofo francese Serge Latouche, considerato uno dei padri della teoria della DECRESCITA, viene intervistato da tre studiosi, l’economista Didier Harpagès, il filosofo dell’urbano Thierry Paquot, e Daniele Pepino del Gruppo Abele. Il titolo dell’edizione italiana è diverso da quello originario francese, molto distaccato (“ Itineranza. Dal terzomondismo alla Decrescita”) e legato al percorso intellettuale ed esistenziale dell’autore. Il titolo scelto dalla B&B è, invece molto più provocatorio e forse va anche un po’oltre le intenzioni di Latouche che nel testo parla di ‘invenzione dell’economia’ più che di menzogna: ”L’economia non ha niente di naturale, ma (::)è stata inventata.

Gli animali non hanno economia, e neppure gli uomini, almeno fino al neolitico.” L’intento dell’autore è quello di contribuire alla decolonizzazione del nostro immaginario e del nostro linguaggio, per “demercificare quantomeno una parte della realtà” liberandoci dalla condanna a cui il sistema ci ha costretti ad abituarci, quella di considerare l’inevitabilità di rapporti ‘mercificati’ fra esseri umani. Certo, afferma Latouche, “Se un certo livello di sicurezza economica è essenziale, la felicità dipende molto di più dalla qualità delle relazioni sociali che si hanno” Quindi viene citato il cosiddetto ‘paradosso di Easterlin’ così denominato dall’economista statunitense che ha dimostrato “come il livello di felicità delle persone non cresca in funzione del PIL”- Latouche racconta come le sue prime esperienze di studio fuori dalla Francia gli hanno fatto incontrare nel Laos “società che stavano al di fuori dallo sviluppo” ma i cui abitanti (..) erano incredibilmente felici, o meglio relativamente felici (..) erano festose e lavoravano molto poco” , e nel Senegal forme di ‘società informale’ in cui gli esclusi” reinventano legami sociali” “stando fuori dall’economia” “con il riciclaggio e il recupero degli scarti”.

A queste esperienze si sono aggiunti poi gli stimoli provenienti da Ivan Illich, da Cornelius Castoriadis,e da Nicholas Georgescu- Roegen,(“Una crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito”), ma anche da tutte le forme di saggezza antiche “basate sulla capacità di autolimitarsi” come stoicismo ed epicureismo, buddismo o come le sapienze africana e amerindiana. Così si è delineato meglio col tempo il progetto della società della decrescita, che si presenta come “un orizzonte di senso, un progetto che non sarà mai interamente realizzato”, un “progetto sociale, o meglio di società” dice Latouche : “Si tratta di trasformare la società, non di prendere il potere”, “L’idea è piuttosto di creare un forte movimento di contropotere che non cerca di prendere il potere, ma vuole imporre al potere, quale che sia (..), di andare nella direzione del rispetto degli ecosistemi, (..) della volontà popolare, della democrazia, di una vera democrazia di base”.

Analogamente già il 1 gennaio 1994 aveva dichiarato nel Chiapas messicano il subcomandante Marcos, leader del movimento neozapatista :” Noi non vogliamo prendere il potere, perché sappiamo per esperienza che, se prendessimo il potere, saremmo catturati dal potere.” La Decrescita si contrappone decisamente sia al progetto dell’austerità , sostenuta dalla destra europea, sia alla scommessa della crescita, fatto proprio dalle sinistre. Dice Latouche : “Oggi la crescita non è più possibile, e neppure desiderabile. Il nostro pianeta non può sopportare altra crescita. Abbiamo inquinato tutto: l’aria, l’acqua, il suolo. Inoltre la crescita (..) non crea neppure occupazione” I capisaldi della decrescita sono la rilocalizzazione, la ristrutturazione e la riconversione ecologica e la riduzione dell’orario di lavoro (‘lavorare meno per lavorare tutti’) .

Gli ‘obiettori di crescita’ non si oppongono a ogni tipo di crescita: vogliono la crescita della qualità dell’acqua, del cibo, dell’aria e delle relazioni umane, perché, come afferma un proverbio wolof “E’ povero chi non ha nessuno”. Ci sono nel mondo moltissime esperienze che dimostrano come si possano realizzare già qui e ora dei pezzi di società della decrescita, come le transition towns, diffuse dal movimento della transizione di Rob Hopkins; inoltre sia in Cina che in Giappone, soprattutto dopo Fukushima, si stanno studiando soluzioni che si ispirano ai principi della decrescita. Latouche è quindi , anche se cautamente, ottimista e verso la fine della seconda intervista cita uno dei temi su cui insiste di più: l’opposizione alla obsolescenza programmata dei beni di consumo tecnologici, ricordando un esempio da non dimenticare: il giorno di Natale del 1924, i rappresentanti dei maggiori produttori mondiali di lampadine decisero, incontrandosi a Ginevra, che la vita di una lampadina non poteva superare le mille ore di luce, introducendo nei loro prodotti un difetto che prima non esisteva, dato che praticamente le lampadine erano pressochè eterne; a testimoniare questo fatto Latouche ricorda che nella caserma dei pompieri di Livermore, in California, fa ancora luce a tutt’oggi una lampadina del 1912, fabbricata prima delle modifiche peggiorative del 1924. Livermore potrebbe diventare un simbolo internazionale della società della decrescita.

Donne contro: perché le donne sanno il vero significato delle parole onore e rispetto

“Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”. (Franca Viola)

Anche quest’anno è arrivato il 25 novembre, la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. E anche quest’anno sono arrivati i dati. Ecco quelli del coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia Romagna, resi pubblici lunedì 21 novembre: sono 2.930 le donne che nel 2016 (dal 1 gennaio al 31 ottobre) si sono rivolte a un centro antiviolenza regionale. Fra di esse, quelle che hanno subito violenza sono il 93,5%; le donne di origine straniera sono 751 (36,4%), mentre le italiane 1.305 (63,2%). Sono soprattutto di donne sposate o conviventi con figli: le madri sono 1.517 pari al 77,4%, le donne accolte con figli 1.814.
La grande maggioranza delle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza della regione subisce violenza da partner o ex partner, nel contesto quindi di una relazione di intimità: si tratta infatti per lo più di donne sposate o conviventi con figli/e. La violenza si estende spesso anche a loro: i minori che subiscono violenza diretta o assistita sono 1440, pari al 55,2% di tutti i figli/e delle donne accolte.
Per quanto riguarda le forme di violenza, le più diffuse sono le violenze psicologiche (92,6%), seguite dalle violenze fisiche (65,2%), dalle violenze economiche (43,2%) e da quelle sessuali (13,9%).
Fin qui i numeri: testimoni evidenti di un fenomeno sociale e culturale – purtroppo non un’emergenza, come spesso viene impropriamente definita, perché non è per nulla transitoria e non riguarda affatto solo l’ordine pubblico – che non accenna a cambiare, se solo nella nostra regione da gennaio 2016 si contano 9 femicidi e 4 tentati femicidi (nel 2015 erano stati 6).

E se per quest’anno provassimo a invertire la narrazione? A usare questa giornata non per parlare della violenza, che tragicamente si consuma ogni giorno sulle donne, vista e analizzata sempre considerando la donna-vittima, ma per narrare storie, esistenze di donne protagoniste di cambiamento contro la violenza.
Donne che anche in quanto madri, figlie, sorelle, tentano di sgretolare il sistema della violenza criminale, interrompere una catena di morte, rompere il silenzio omertoso alla base delle organizzazioni mafiose: ‘Donne contro’, come le ha definite il dossier “Sdisonorate”.

Anche nelle mafie, come nella società legale, a partire dagli anni Settanta, le donne hanno iniziato a svolgere dei ruoli prima esclusivo appannaggio degli uomini. Questo però non ha significato, come scrive Ombretta Ingrascì nella postfazione al dossier, il raggiungimento di una ‘parità di genere’: le donne sono ancora considerate proprietà degli uomini, le associazioni mafiose rimangono luoghi maschili, dove la virilità gioca un ruolo fondamentale e dove “la persistenza” e “la riattualizzazione del codice d’onore” continuano a produrre “pratiche di assoggettamento femminile”.
Le donne però sono anche quelle che quando si ribellano mettono in crisi l’intero sistema, perché sono in grado di infrangere il silenzio omertoso e interrompere la trasmissione dei valori su cui si regge.
È quello che ha fatto, per esempio, Felicia Impastato, madre di Peppino: ha conosciuto e si è adeguata ai valori della mafiosità vivendo accanto al marito, uno dei soldati del boss di Cinisi Gaetano Badalamenti, ma al contempo è riuscita a trasmettere la capacità di ribellarsi a Peppino, e dopo il suo omicidio ha raccolto il testimone del figlio e ha continuato la sua battaglia antimafia mantenendone viva la memoria.
Franca Viola, invece, ha detto no alle logiche patriarcali (non solo) della mafia fin dall’inizio: a 17 anni, nella Alcamo del 1966, rifiuta l’imposizione del matrimonio riparatore alla ‘fuitina’ e trova il coraggio di denunciare chi l’ha rapita e stuprata, Filippo Melodia, il nipote del mafioso locale Vincenzo Rimi. Le sue parole sono tanto semplici quanto rivoluzionarie: “Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”.
E ancora, è una donna la prima testimone di giustizia della storia: Giuseppa di Sano. Sua figlia Emanuela, diciassettenne, viene uccisa in un agguato a Palermo il 27 dicembre 1896, molto probabilmente perché i mafiosi sospettano che la madre li abbia denunciati per fabbricazione di banconote false: dopo l’omicidio Giuseppa collabora con la giustizia.
Come lei, anche la calabrese Lea Garofalo ha scelto di diventare collaboratrice di giustizia, ma ha pagato con la vita la propria scelta. Nel 2002 Lea decide di testimoniare sulle faide tra la sua famiglia e un’altra rivale. Già a maggio 2008 l’ex compagno, Carlo Cosco, cerca di farla rapire a Campobasso, ma fallisce e così, a novembre dell’ano seguente, la attira a Milano con la scusa di parlare dell’università della figlia Denise: al treno che avrebbe dovuto riaccompagnarla al Sud Lea non arriverà mai. Il processo ai suoi assassini ha visto protagonista un’altra donna: la figlia di Lea, Denise, che ha testimoniato contro il padre, gli zii e l’ex fidanzato, Carmine Venturino.
Prima di Lea e Denise, c’è stata anche la giovane Rita Atria. Rita è la figlia di Vito Atria, piccolo boss di Partanna, ucciso da Cosa Nostra nel 1985 quando lei ha solo 11 anni. Da allora Rita si avvicina al fratello Nicola e a sua moglie Piera. Siamo negli anni dell’ascesa dei Corleonesi. Quando Nicola viene ucciso, Piera decide di collaborare con la giustizia e Rita ne segue l’esempio, sperando forse di riuscire così a incastrare anche gli assassini del padre e del fratello. È Paolo Borsellino a raccogliere le sue rivelazioni, per lei diventerà come un padre. Quando il giudice viene assassinato nella strage di via d’Amelio, Rita è sola, ripudiata dalla famiglia: sente crollarle addosso il suo fragile mondo. Una settimana dopo, il 26 luglio 1992, si getta dal settimo piano del palazzo di Roma dove vive sotto protezione. Al suo funerale non va nessuno, nemmeno sua madre, che si reca al cimitero solo tempo dopo e solo per oltraggiare la memoria della figlia rompendo la lapide e strappandone la foto.
Anche Tita e Maria Concetta, donne contro la ‘ndrangheta, si sono suicidate. In comune hanno il modo con il quale hanno taciuto per sempre: ingerendo acido muriatico. È strano come questa sostanza ritorni sempre in diversi luoghi del mondo, in diversi contesti sociali e culturali, quando si parla di violenza e di donne, soprattutto di donne che hanno deciso di ribellarsi agli uomini e alle loro regole.
Santa ‘Tita’ Boccafusca a 38 anni decide di cambiare vita e nell’aprile del 2011 si presenta con suo figlio alla caserma dei carabinieri di un piccolo centro della provincia di Vibo Valentia. È la moglie di Pantaleone Mancuso, il potente boss Luni. Tita vuole collaborare con i giudici, che l’ascoltano con molto interesse perché non solo ha visto crescere il peso e il potere del marito, ma lei stessa ha preso decisioni rilevanti. Proprio nelle stesse ore in cui lei è a Catanzaro a parlare con i magistrati, sembra che i familiari ne denuncino la scomparsa e soprattutto dicano alle forze dell’ordine di non credere a ciò che dice perché soffre di disturbi psichici. La sera stessa Tita interrompe improvvisamente la sua collaborazione con i giudici. Cosa sia accaduto, nessuno lo sa. Passano alcuni giorni e dentro probabilmente le crescono ansia, angoscia, paura. Poi decide di farla finita: prende una bottiglia di acido e inizia a bere.
Maria Concetta è figlia di Michele Cacciola, cognato del boss di Rosarno Gregorio Bellocco, va via prestissimo da casa nel tentativo di sfuggire dalle regole arcaiche e soffocanti del padre e del fratello maggiore. Si sposa giovanissima e mette al mondo tre bimbi. Forse spinta anche dall’esempio di sua cugina Giuseppina Pesce, che già collabora con i giudici, nel maggio 2011 decide che arrivato il momento di dire basta, sfida l’ira della famiglia e le pressioni del paese e inizia a parlare anche lei. Li avvisa subito che teme per la propria vita e viene trasferita in una località segreta. I familiari però riescono a trovarla e alla fine la convincono a tornare: il desiderio di riabbracciare i propri figli è troppo forte. Sta per ricominciare la collaborazione con le forze dell’ordine quando muore per aver ingerito acido muriatico. Del suo ultimo periodo di vita emerge soprattutto la triste consapevolezza che i suoi figli non capiranno ciò che ha tentato di fare. A proposito del più grande, il maschio, rivela al maresciallo dei Carabinieri: “Non verrà con me, ma sarà il primo che mi dovrà ammazzare”. Le figlie di sette anni e dodici anni invece “potremo recuperarle”.

Queste sono solo alcune storie, ce ne sono molte altre, con protagoniste donne che non sono collaboratrici di giustizia, ma lasciano la loro terra e la loro vita per ribellarsi alla logica mafiosa perché non vogliono che i figli crescano in quella (non)cultura. E poi ci sono tutte le altre donne dell’antimafia: i magistrati e gli agenti di scorta, le sindacaliste e le giornaliste, le insegnanti, tutte quelle lavoratrici e quelle volontarie delle associazioni che ogni giorno portano avanti la loro battaglia, che dovrebbe essere anche la nostra.
Ha scritto Nando dalla Chiesa in un articolo scritto dopo aver incontrato i volti di tanti giovani donne in occasione dei funerali di Lea Garofalo: “la loro rivolta civile ha un senso particolare. Il potere più maschilista e totalitario ha pensato che uccidere e bruciare una donna fosse un fatto privato, giustificato dalle leggi dell’onore. Le ragazze invece dicono che è un grande fatto pubblico. Nelle loro speranze, la sconfitta della ‘ndrangheta in Lombardia partirà dalle donne. Destinate a ubbidire e invece ribelli. Destinate a tacere e invece testimoni collettive. L’antimafia con gli occhi lucidi ha, ancora una volta, un orgoglio femminile”.

“Preghiera di Černobyl” di Svetlana Aleksievic: un grido di dolore per la città fantasma

Siamo soliti assegnare un anniversario, una giornata della memoria, un momento di riflessione che ricordi quegli avvenimenti che rimordono coscienze e che hanno imbrattato di sangue la storia del genere umano in modo vergognoso e irreversibile, ma questo non paga la loro portata e gli effetti che essi hanno lasciato dietro di sé, come una nefasta eredità di cui dobbiamo essere consapevoli e di cui dobbiamo farci carico tutti. Non è sufficiente e tranquillizzante la nostra contrizione di un giorno: vale la pena ricordare con più frequenza, per rendere un po’ di giustizia a fatti ed eventi che oltrepassano e stravolgono l’umano agire.

Uno di questi casi è Černobyl, notte del 26 aprile 1986 all’una, 23 minuti, 58 secondi, quando si manifesta la prima di una serie di esplosioni che distruggono il reattore e il fabbricato della quarta unità della centrale elettronucleare, il più grande disastro di questo genere del XX secolo, la versione tecnologica della fine del mondo. Per la Belarus’, la piccola Bielorussia, la ‘Russia Bianca’, è una catastrofe di proporzioni enormi che stravolgerà la sua geografia, demografia, economia, l’anima nelle sua pieghe più profonde; il Paese perde 485 tra cittadine e villaggi che vengono evacuati e fatti forzatamente abbandonare, isolati perchè dichiarati zona rossa ad altissima contaminazione. 70 di essi spariscono dalle mappe locali perchè totalmente interrati per sempre.

Svetlana Aleksievič racconta tutto ciò che non si è mai letto e saputo su quella catastrofe, nel suo coraggioso libro “Preghiera per Černobyl”, dove dà voce a uomini, donne e bambini di ogni età, appartenenza sociale, professione e credo. Più voci che diventano testimonianza, lamento, denuncia, grido di dolore, dichiarazione di resa, sussurro rassegnato, muto appello o dolore urlato. In questo libro, il fatto dell’accaduto in sé non appare in primo piano: quello che l’autrice vuole evidenziare sono le impressioni, i sentimenti, le percezioni, i comportamenti di coloro che in quell’occasione vengono stigmatizzati subito come i “černobyliani”, segnati a dito dagli stessi conterranei, additati come ‘diversi’, pericolosi esseri radioattivi da tenere a distanza, coloro che, nelle dicerie popolari, sono destinati a trasformarsi nelle generazioni future in umanoidi e nelle cui vene scorre uno strano liquido giallo sconosciuto. Sono gli stessi esseri costretti a lasciare le loro case con tutto ciò che contenevano, i cimiteri con i loro morti, i loro luoghi di culto, le scuole, i campi, le attività e i loro animali. Tutto.

Nonostante ciò, 2,1 milioni di persone tra cui 700.000 bambini vivono ancora nelle zone contaminate, soprattutto periferiche, continuano a mungere, bere e lavorare latte radioattivo, coltivare patate, grano e ogni sorta di splendidi ortaggi ammorbati, raccogliere rigogliosa e venefica frutta di ogni genere come in un Eden, scambiare i prodotti nei mercati spingendosi a vendere anche in zone lontane, pescare nei fiumi inquinati e cacciare selvaggina colpita da radioattività tanto quanto gli umani. La realtà che improvvisamente, senza nessuna avvisaglia, si trasforma in un enorme incubo collettivo talmente grande e sproporzionato rispetto alla possibilità di elaborazione, viene ignorata o sottostimata e si preferisce credere alle versioni più fantastiche e improbabili: un attacco extraterrestre, un complotto internazionale ai danni della Russia, l’operato del nemico occidentale, una mera invenzione. Perché è meno doloroso così e anche perché i mezzi di informazione forniscono una loro versione dei fatti, molto lontana dalla verità. Non si vuol credere o non è dato a sapere che si sono riversate sui territori tonnellate di cesio, iodio, piombo, zirconio, cadmio, berillio, boro in quantità pari a 300 bombe, come quella sganciata su Hiroshima.

L’impatto sociale è pesantissimo e destinato a durare per molto, molto tempo: drastico calo demografico, numero di decessi che supera in modo impressionante quello delle nascite, contaminazione irreversibile dei terreni agricoli e delle falde acquifere, aumento di ritardi mentali, tumori, disturbi nervosi, turbe psichiche e allarmanti mutazioni genetiche. Le donne diventano sterili, danno alla luce figli con malformazioni o danni alla salute, o non riescono a portare a termine le gravidanze.

Nelle città e nei villaggi fantasma si aggirano solo dosimetristi con i loro apparecchi di rilevazione, militari che rimuovono perfino il primo strato di terra alla pavimentazione di chilometri e chilometri di territorio, liquidatori addetti alla tumulazione di edifici, soldati, civili volontari o precettati pagati per il loro servizio con compensi ridicoli rispetto al rischio e qualche bottiglia di vodka, molto popolare e gradita perché, voce di popolo sostiene, il rimedio contro lo stronzio e il cesio è la vodka Stoličnaja. Intanto, 210 unità militari, circa 340.000 uomini (denominati i “robot verdi”) sgombravano il tetto della centrale dal combustibile nucleare e dalla grafite, indossando grembiuli di piombo, anche se le radiazioni venivano dal basso dove non avevano nessuna protezione. Due minuti a testa per rimuovere, scaricare, trasportare quei materiali mortali, e poi il cambio ad un’altra squadra che continuasse. Neanche chi sorvolava in elicottero la centrale era al sicuro. Quasi tutti ragazzi giovani, ammalatisi e morti in brevissimo tempo.

“Le centrali nucleari erano l’avvenire. Mi ricordo, dentro era tutto silenzioso, solenne, pulito. Il nostro futuro.” dice un testimone. Un mito che si è infranto con Černobyl ma anche con i più recenti fatti in Giappone, insinuando un nuovo atteggiamento molto più cauto e critico che ha preso il posto di quello spirito di onnipotenza e fede assoluta e cieca nell’infallibilità tecnologica che ha caratterizzato un certo percorso della nostra storia. Una storia che comunque rimane ancora aperta.

Un prezioso lavoro, ‘Preghiera per Černobyl’, che ha prodotto notevole interesse, stupore, indignazione ma soprattutto pietas per un’intera popolazione. Una ricerca scrupolosa ed onesta su ciò che è rimasto a tacere per molti anni, quella che Svetlana Aleksievič ci consegna, affinchè si possa capire, riflettere e maturare consapevolezza, rinunciando una volta per sempre alla versione distorta dei fatti e alle facili rimozioni, perché questa storia, non va mai dimenticato, appartiene a tutti noi.

Misericordia et misera
Papa Francesco: la rivoluzione della tenerezza e della misericordia

Due gesti carichi di significato, come spesso succede quando si parla di Chiesa cattolica: la chiusura della porta santa di San Pietro, a conclusione dell’anno santo aperto da Papa Bergoglio l’8 dicembre 2015, e la firma della lettera apostolica Misericordia et misera (del 21 novembre).

Veniamo subito al punto maggiormente annotato sui taccuini di esperti e osservatori: l’assoluzione per il peccato di aborto.
E’ il paragrafo 12 della lettera di Francesco e l’impressione è di essere di fronte a un ennesimo tornante del magistero di questo pontefice. A scanso di equivoci, l’aborto non scompare dal panorama dei peccati della Chiesa. E’ egli stesso a “ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente”.
La novità sta nel rendere permanente ciò che all’inizio dell’anno giubilare era stato eccezionalmente riconosciuto ai sacerdoti di concedere l’assoluzione, finora riservato solo al vescovo.
Le conseguenze le ha spiegate il responsabile dell’anno santo della misericordia, mons. Rino Fisichella. Significa che le parole di Papa Francesco sono destinate a cambiare il Codice di diritto canonico, nel senso che occorrerà riscrivere il canone 1398 perché viene meno la scomunica latae sententiae in cui incorre chi procura l’aborto, cioè senza bisogno di pronunciarla formalmente per ogni singolo caso. Scomunica che nel codice ecclesiastico è la pena più severa, perché toglie la comunione ecclesiale, impedisce di ricevere i sacramenti e in particolare l’eucaristia.
A rendere maggiormente significativo il passo compiuto è il contesto ecclesiale nel quale queste parole incidono. “Il tema dell’aborto – dice lo storico Agostino Giovagnoli – è stato una bandiera anche di battaglie politiche, sostenute dai cattolici e non cattolici”.

La direzione appare quella di chi non ha interesse a mettersi sul piano della battaglia ideologica o politica. Il vero terreno sul quale porre l’annuncio della Chiesa non è più quello delle alleanze fra trono e altare, di cercare la sponda del Principe, secondo una tradizione secolare, per ottenere spazi, strumenti giuridici e cornici normative per costruire (o ricostruire) l’edificio della cristianità. Ideale a lungo perseguito che non ha scongiurato la secolarizzazione e che ha prestato il fianco a imbarazzanti strumentalizzazioni, fra atei devoti e teocon. Una strada cristallizzata nella strenua difesa del baluardo dei principi non negoziabili.
Nella cifra di Bergoglio è sempre più chiaro che il vero terreno d’incontro con il divino non sono le strutture, ma la coscienza dell’uomo.
Da qui l’appello rivolto innanzitutto alla Chiesa di andare oltre il dettato della legge. Se l’aborto rimane in tutto e per tutto un peccato grave, d’altro canto non esistono peccati imperdonabili, perché ben più grande è la misericordia, cioè la categoria chiave di volta di questo pontificato.
Lo stesso titolo della sua lettera apostolica al termine del giubileo, Misericordia et misera, è la citazione esplicita dell’incontro evangelico di Cristo con l’adultera (non un peccato a caso), cioè l’incontro tra la misera e la misericordia in persona, che non la guarda con la tavola della legge in mano, ma che al termine la accoglie nel suo perdono vivificante.
E se hanno colpito di più le parole del Papa sull’aborto, non sono da meno quelle che invitano la Chiesa a dedicare maggiore ascolto alla Bibbia e cioè a quell’incontro con la misericordia in persona che deve diventare la postura di una Chiesa che sa farsi a sua volta sacramento di misericordia nel mondo, oltre il ligio accostarsi ai sette sacramenti canonici.
Parole che confluiscono significativamente nell’invito a celebrare la Giornata mondiale dei poveri nella festività liturgica di Cristo Re. Come a dire che la vera potenza e regalità di Cristo, e quindi della Chiesa, si celebra non nei vessilli issati di qualsiasi Invincibile Armada o nella riconquista del Santo Sepolcro, ma in ciò che in teologia si chiama l’universale (cioè di tutti) chiamata divina alla predestinazione in Cristo, a partire dai più deboli e indifesi.

Un appello, quindi, a scardinare divisioni fra il dentro e il fuori, fra i nostri e i loro, fra i difensori della verità e i condannati alle fiamme dell’inferno. Invito sempre più esplicito ad andare oltre i due principali ordini di critica a Papa Bergoglio: da una parte chi lo accusa di abbandonare la dottrina e la visione gerarchica della Chiesa, dall’altra chi gli rimprovera di non cambiare le strutture.
Andare oltre per Francesco significa coinvolgere da dentro tutto il popolo di Dio (la teologia del popolo di Dio come declinazione tutta argentina della teologia della liberazione), in un’operazione di rinnovamento nel nome della misericordia.
Starebbe qui, anche, il senso della mano tesa di Bergoglio nella lettera apostolica per riconoscere la validità dell’assoluzione dei fedeli dai sacerdoti lefebvriani.
Passi di un pontefice che dalla sua elezione, il 2013, diventano una vera e propria direzione di marcia: la sua prima uscita a Lampedusa (8 luglio 2013), il viaggio in America prima a Cuba e poi negli Usa, l’apertura della porta santa a Bangui prima di San Pietro per inaugurare l’anno giubilare, il viaggio a Lesbo…
Il teologo Theobald ha parlato di “rivoluzione della tenerezza” e di “mistica della fratellanza” per definire un magistero che assume prioritariamente il corpo dell’altro definito sempre fratello. Un pontefice che più volte ha invitato a “toccare la carne di Cristo” incontrata in ogni periferia esistenziale. Una “mistica della fratellanza” che significa spostare l’accento non sul giudizio ma sull’incontro dell’umanità nella molteplicità delle situazioni, siano o no conformi ai dettami della Chiesa. Quella stessa pluralità che troviamo nell’immagine del poliedro rispetto alla compattezza e unitarietà della sfera, come Bergoglio ha scritto nell’Evangelii gaudium.
Francesco è definito Papa post ideologico perché va oltre le fazioni e le divisioni, spiazzandole col metro di misura della misericordia. Egli stesso non ha voluto esportare il modello pastorale e teologico latino-americano, per andare a colonizzare in forma inversa l’eccesso di centratura europea e romana della Chiesa. E’ semplicemente uscito dallo schema del “modello di riferimento”, nella consapevolezza che la fede nel contemporaneo non può prescindere dalla pluralità delle forme d’inculturazione e da un nuovo modo di vedere il rapporto nord-sud nel mondo.
Così la rivoluzione della tenerezza avanza certamente per singoli passi. Però non sembra l’ingenuo incedere di un bonario parroco del mondo (come fu detto di Papa Giovanni XXIII), ma la cadenza di un vero e proprio “balzo innanzi”. Esattamente quello che volle Papa Roncalli con la convocazione del Concilio Vaticano II, la storica assise che segnò la svolta misterico-sacramentale di una Chiesa che preferisce affidarsi ai segni della presenza di un Dio clemente e misericordioso, piuttosto che alla solidità marmorea delle strutture.

E’ stato detto che la lettera Misericordia et misera è stata scritta di suo pugno, per un pontificato che già nello stemma prescelto aveva impresso il proprio programma: “Lo guardò con misericordia e lo chiamò”.
In un mondo in cui persino in occidente c’è chi patisce la fame più cruda, come ha magistralmente mostrato Ken Loach nel suo splendido film “Io, Daniel Blake” in una sequenza da crepacuore e da incorniciare come un’opera d’arte, in questo buio che tutto sembra avvolgere, sentire parlare di misericordia, tenerezza, salvezza, almeno viene la curiosità di ascoltarne le ragioni.

Moglie e buoi: da dove vuoi

di Cecilia Sorpilli

Il vecchio adagio “moglie e buoi dei paesi tuoi” è ancora valido? L’aumento degli stranieri nel nostro Paese e la facilità con cui ci si sposta da un paese all’altro, l’incontro e la mescolanza di culture, negli ultimi anni ha favorito la formazione delle coppie miste.
Nelle famiglie composte da coppie miste i coniugi o conviventi sono di diversa cittadinanza oppure hanno la stessa cittadinanza, ma origini diverse, e quindi spesso anche lingua, religione ed etnia differenti. Quando l’unione avviene tra un partner che viene da un paese in via di sviluppo e uno occidentale spesso il significato che il partner proveniente dal paese in via di sviluppo attribuisce all’unione è di autonomia dalla propria famiglia di origine e dalle proprie tradizioni e regole.
Le unioni tra persone di culture diverse sono importanti perché danno la possibilità di ripensare e rivedere le tradizionali modalità di interazione all’interno della coppia e con i figli. Mara Tognetti Bordogna, professore di Politiche sociali e Politiche immigratorie presso la facoltà di Sociologia dell’Università di Milano-Bicocca, afferma che “l’aumento delle unioni miste in Italia può essere interpretato come un segnale di stabilizzazione del fenomeno migratorio, di crescente interazione tra individui appartenenti a paesi e culture diverse, oltre che dell’affievolimento del pregiudizio etnico e razziale da un lato e dell’influenza della famiglia nella scelta del coniuge dall’altro”. Le unioni miste però comportano un alto grado di complessità perché tale unione spesso contrasta le regole matrimoniali delle rispettive famiglie di origine, mette in discussione le regole della società di appartenenza dei due partner e dei propri valori e credi religiosi e infine costringe i partner a rinegoziare le proprie identità sociali e individuali. Sempre Bordogna afferma: “Sono unioni che comportano un continuo e forte lavoro di manutenzione delle relazioni famigliari (lavoro matrimoniale) che oltre a impegno e flessibilità richiede reciprocità e una continua negoziazione, che possono presentare criticità legate alla diversa competenza linguistica, ai diversi modi di pensare e gestire la quotidianità, gli spazi comuni, la relazione con il contesto.”
Esistono anche coppie definite ‘miste miste’ in cui entrambe i partner provengono da Paesi diversi e costruiscono la loro relazione nel Paese in cui sono emigrati. Tale unione non è supportata dalla famiglia di origine di nessuno dei due partner perché distanti. In questa coppia, essendo entrambe i partner stranieri, nessuno dei due riesce a svolgere un ruolo di protezione e mediazione per il proprio partner verso la società di accoglienza, mentre nelle coppie miste ciò è possibile perché uno dei due è autoctono.

Una sfida importante per le coppie miste e le unioni ‘miste miste’ è la scelta riguardo le modalità educative da adottare con i figli; scelta spesso complessa anche per le famiglie in cui non sono presenti differenze culturali. Graziella Favaro, membro della commissione nazionale “Educazione interculturale” del Ministero della Pubblica Istruzione e consulente scientifica della Biblioteca di Documentazione Pedagogica (ora Indire) per la sezione “Educazione interculturale”, individua tre modalità con cui le coppie miste educano i propri figli: scelta biculturale, assimilazione e negazione conflittuale. Nella scelta biculturale la presenza di culture diverse all’interno della stessa famiglia è considerata un elemento arricchente e quindi i figli vengono educati in modo che possano costruire un’identità multipla che vivono senza presentare problemi. Spesso in queste famiglie i coniugi o partner discutono prima della nascita dei figli le scelte educative, e soprattutto religiose, per la prole. Quando invece viene attuato un processo di assimilazione, la cultura del partner straniero viene messa da parte perché si ritiene inutile o addirittura ostacolante per la vita nel paese in cui si vive e ciò potrebbe rendere poco funzionale la vita sociale dei figli. Tale scelta, che porta a ignorare la storia e la cultura di uno dei genitori, porta a cancellare una parte della storia familiare. Infine se si verifica un processo di negoziazione conflittuale, avviene che nella coppia le scelte educative riguardo i figli generano conflitti perché uno dei due partner cerca di imporre la propria cultura, le proprie idee e stabilisce un rapporto con il partner asimmetrico.

Le coppie miste quindi devono affrontare un maggiore grado di complessità rispetto ad altre tipologie familiari perché, come sostiene Laura Fruggeri, psicologa e psicoterapeuta e professore ordinario di Psicologia delle relazioni familiari presso l’Università di Parma, “Le coppie attraversate dalla diversità culturale devono negoziare, a vari livelli, le loro diverse visioni del mondo per costruire una propria identità familiare”.

Le lampadine

Parliamo di lampadine. L’industria delle lampadine si è sviluppata in questi ultimi anni con prodotti innovativi e di qualità, però il consumatore ha ancora una limitata percezione del valore fornito da questo prodotto. Da una parte infatti ci sono i prodotti tradizionali ad incandescenza e fluorescenti che hanno ancora un mercato nonostante abbiano raggiunto un livello limite di evoluzione tecnologica, dall’altro invece per fortuna stanno diventando sempre più comuni forme nuove, più efficienti e più differenziabili, come ad esempio quelle che utilizzano la tecnologia a LED.

Le questioni da valutare prima dell’acquisto dovrebbero essere il risparmio energetico, la salute, il design, la sostenibilità, ma per il consumatore la lampadina è ancora troppo spesso essenzialmente un semplice prodotto per fare luce di cui è scontata la disponibilità e la fruizione. L’attenzione del consumatore è spesso legata solo al suo mancato funzionamento e alla reperibilità del ricambio. Manca dunque la conoscenza più ampia delle funzionalità e dei benefici, creando una spirale negativa per l’industria che si trova così a competere soprattutto sul tema del prezzo. Le sorgenti luminose rappresentano un mercato di circa 130 milioni di pezzi venduti ogni anno e, per questo, hanno assunto un ruolo davvero “speciale”.

Un tema critico importante è anche poi come le smaltiamo quando non funzionano più.
Tutte, anche le lampadine a basso consumo di energia, i tubi lineari e tutte le sorgenti luminose a scarica devono essere separate dai normali rifiuti urbani.
Si consiglia il cittadino di portarle presso i centri di raccolta comunali o isole ecologiche.
Le sorgenti luminose, una volta esauste, sono definite RAEE, ossia Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, secondo la normativa vigente. I RAEE sono stati suddivisi in base a caratteristiche di omogeneità nei seguenti 5 raggruppamenti:
R1 – grandi apparecchi di refrigerazione, frigoriferi, congelatori, altri grandi elettrodomestici per la refrigerazione e il condizionamento;
R2 – altri grandi bianchi: lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie, apparecchi per la cottura, stufe elettriche, forni a microonde, apparecchi elettrici per il riscaldamento e altri grandi apparecchi elettrici;
R3 – tv e monitor con o senza tubo catodico;
R4 – apparecchiature informatiche, apparecchiature di consumo, piccoli elettrodomestici, apparecchi di illuminazione, tutto quanto non esplicitamente presente negli altri raggruppamenti;
R5 – sorgenti luminose (tubi fluorescenti, lampade fluorescenti compatte, lampade a scarica ad alta intensità, comprese lampade a vapori di sodio ad alta pressione e lampade ad alogenuri metallici, lampade a vapori di sodio a bassa pressione, lampade a Led).

Le lampade fluorescenti esauste, rientranti nel raggruppamento R5, sono rifiuti caratterizzati da alcune peculiarità che li distinguono dal resto dei RAEE. Sono costituiti in prevalenza da vetro, quindi risultano estremamente fragili. Contengono mercurio, sostanza dagli effetti pericolosi per l’uomo e per l’ambiente. Sono leggeri e il loro peso complessivo si attesta attorno all’1% delle quantità totali di RAEE. Le tipologie di prodotti di competenza del Consorzio Ecolamp sono gli apparecchi di illuminazione (R4) e le sorgenti luminose (R5), con esclusione delle lampade a incandescenza e ad alogeni, che alla fine della loro vita utile non sono considerati RAEE dalla normativa vigente.

Trovo però interessante anche affrontare un tema di crescente attenzione: il valore della luce.
Ho avuto il piacere di seguire una bella tesi realizzata dalla dott.ssa Ilaria Zanetti dal titolo “Luce come bene sociale nel mercato dell’illuminazione”. Vorrei proporvene una sintesi culturale:
L’industria dell’illuminazione e i suoi attori sono altamente responsabili di una cultura della luce non ancora matura all’interno del mercato e del società; due sistemi strettamente interconnessi al punto che “non c’è mercato senza società”. La percezione limitata del valore del prodotto/progetto di luce riguarda infatti l’individuo sia in veste di consumatore/acquirente con ruolo attivo, sia in veste di fruitore di contesti in cui i progetti di luce sono frutto di scelte fondamentali.

Si osserva una sorta di “incoscienza” che, se da un lato è “ricercata” dall’architetto o dal lighting designer nei grandi spazi per suscitare emozione attraverso un preciso progetto di luce capace di agire sugli aspetti emotivi e irrazionali del fruitore, è tanto più riuscita quanto meno è visibile (sia in termini di apparecchi installati per l’illuminazione, sia in termini di architettura luminosa) dall’altro però non “educa” l’individuo a cogliere e valutare il contributo qualitativo che il progetto di luce apporta alla sua esperienza quotidiana (dal godimento estetico di una bella facciata illuminata in notturna al comfort di una sala studio o di un ambiente di lavoro). Cosa abbiamo fatto nella nostra casa?
Emerge dunque la necessità di promuovere una cultura della “luce come valore” che possa divenire patrimonio condiviso dall’intera società. Affinché questo accada è necessario che:

L’industria dell’illuminazione nel suo complesso superi le criticità intrinseche e sviluppi le potenzialità al fine di rafforzare l’immagine, ancora troppo debole, di “sistema” attraverso gli strumenti offerti dal marketing e dal web 2.0
Intervenga un assunzione di responsabilità da parte dei singoli player della filiera, attualmente poco consapevoli della rilevanza del proprio ruolo all’interno del processo di trasmissione di valore del prodotto luce. Si rende dunque necessaria un’inversione di tendenza: il percorso della luce dalla “creazione” al mercato deve trasformarsi da processo di perdita a processo di arricchimento conservando da un lato la pienezza di valori-funzione e dall’altro inglobando alcuni valori aggiuntivi ritenuti importanti dal consumatore quali la qualità del servizio e del prodotto.

Si attivi un processo di comunicazione del valore sociale della luce con il coinvolgimento di altri attori esterni all’industria dell’illuminazione, come le scuole, il mondo accademico, le associazioni e le istituzioni culturali affinché la luce possa incontrare la società mantenendo integra la pienezza di valori che la caratterizza.
Solo percorrendo le tre direttrici sopraindicate, afferenti agli ambiti del marketing, dell’etica e della comunicazione, è possibile innescare un circolo virtuoso generativo di valore: solo ciò che viene percepito come un bene può creare nuovi bisogni e quindi domanda di mercato.

INSOLITE NOTE
Il disco ritrovato degli Alunni del Sole

Sono passati tre anni dalla scomparsa di Paolo Morelli, autore e interprete dei successi degli Alunni del sole, da allora il fratello Bruno si è prodigato per mantenerne viva la memoria, contribuendo alla ristampa di quasi tutta la produzione musicale. All’appello mancava soltanto “Di canzone in canzone”, l’album uscito nel 1992 dopo una lunga pausa discografica. Il 9 ottobre 2016, anniversario della scomparsa di uno dei più grandi cantautori del suo tempo, quel disco è stato finalmente ristampato.

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Bruno e Paolo Morelli

All’epoca “Di canzone in canzone” non ebbe un grande riscontro in termini di vendita, soprattutto perché privo dell’indispensabile promozione dovuta a un gruppo che ritornava sulla scena dopo un’assenza di dieci anni. I passaggi televisivi furono pochi, limitati a una partecipazione di Paolo Morelli a “Domenica in” e a qualche apparizione sul circuito privato.
La Phonogram, una delle più importanti case discografiche dell’epoca, condivise il progetto e ne affidò la produzione a Massimo Di Cicco, fondatore degli storici Studi Titania di Roma. Le registrazioni si svolsero per un intero anno, un tempo considerevolmente lungo, giustificato dalla qualità del risultato tecnico e artistico ottenuto. La strumentazione utilizzata era ancora in gran parte analogica ma lo studio aveva iniziato a dotarsi di apparecchiature digitali, con il risultato di ottenere un suono tutt’oggi apprezzabile.
Nella copertina del disco, per la prima volta, il nome di Paolo Morelli venne disgiunto da quello degli Alunni del Sole, una scelta che ribadiva il ruolo creativo e cantautoriale dell’artista all’interno del gruppo.

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Foto di Paolo Morelli, all’interno del volumetto del CD

Di canzone in canzone
Il singolo “Di canzone in canzone” apre la tracklist dell’album, si tratta di una raffinata e sofisticata frase melodica che coinvolge l’ascoltatore. Il testo descrive un mondo fantastico, animato da fantasie, illusioni, pupazzi di legno, principi affascinanti e incantatori di canzoni. Simboli, espressioni e figure spesso presenti nei testi di Paolo, che ritornano simultaneamente come per ristabilire il contatto a lungo interrotto tra l’artista e il suo pubblico. Le parole hanno un percorso preciso, ogni frase raffigura immagini e pensieri, l’armonia ne facilita l’assimilazione.
“Giochi di bimba negli occhi tuoi” conduce all’interno di un mondo chiuso a chiave, un angolo nascosto dove la protagonista diventa regina nel mondo delle fate e compra la fortuna quando cade l’allegria.
“Dimenticarsi” è la sintesi dell’ispirazione di Paolo, un’eccitazione della mente che percorre tutto il disco, con armonie e ritmiche sempre attuali. È un piacere ascoltare l’inciso di questo pezzo e fantasticare sul significato delle parole: “… i sogni belli non finiscono la sera”.
La sovrapposizione tra chitarra a 12 corde a quella classica accompagna “Rosita”, il primo dei ritratti femminili dell’album, tra ritmi ed espressioni inconsuete: “Ma sono forse caduto in un altro pensiero che mi toglie il respiro ma mi sento più vero…”. Gli altri brani dedicati a nomi di donna sono “Lena” e “Francesca”, freschi profili di pensieri d’amore, quest’ultimo sottolineato da un suggestivo sax soprano in stile new age.

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La copertina del CD “Di canzone in canzone”

Una delle caratteristiche autoriali di Paolo Morelli è quella di porre elementi e situazioni tra sogno e realtà, senza disegnarne i confini ma riuscendo, con la scrittura, a muoversi a piacimento tra una dimensione e l’altra. Qui sta la sua grandezza, quella che comunemente viene chiamata vena poetica, ma che forse è qualcosa di più. È difficile entrare nelle pieghe dei suoi versi, conviene seguirli e lasciarsi guidare dalle immagini che riescono ad evocare.
In “Perché” il tema della solitudine affiora con il calare della sera, tra un treno che viaggia, i disegni sul viso e il desiderio di ricordi che non abbandonano mai le fantasie. Leggendo le parole del testo ci si accorge di quanto sia intrigante entrare nei pensieri dell’autore, rimanendo affascinati dagli accostamenti lirici e poetici. Grovigli di parole, similitudini, metafore e accostamenti ripetuti rendono unico uno dei pochi artisti in grado di rendere poesia la canzone. È questo anche il caso di “Donna”, forse un ricordo amoroso, e di “Sentimentale”, splendida nel suo intercalare: “Inconsapevoli di un’ora senza fine abbiamo scelto di fare di nuovo una storia tra noi due”.
“’O sole se ne jeva” è la sola canzone del disco in dialetto napoletano, eseguita da Paolo al pianoforte durante una puntata del Maurizio Costanzo Show. L’inciso, struggente e ispirato, ne fa una delle perle dell’album, un ricordo d’amore sopravvissuto all’impietoso passare del tempo.
Paolo Morelli accettò di ritornare in sala d’incisione a patto che venisse realizzato un lavoro come lui desiderava e il risultato conferma che raggiunse pienamente l’obiettivo.
Chi vi scrive ha più volte intervistato Bruno Morelli, il quale si rammaricava dell’indisponibilità del master di “Di canzone in canzone”. È facile immaginare la sua reazione quando il sottoscritto lo informò che era in possesso del rarissimo CD da cui poi è partita l’operazione di recupero. Ecco rivelato il motivo dell’inserimento del mio nome tra i crediti dell’opera.
Il CD è contenuto in un’elegante confezione, curata in ogni parte, con i testi dei brani e la riproduzione delle etichette a suo tempo poste sulle facciate del vinile. Scrive Bruno Morelli nell’ultima pagina del libretto: “Erano passati dieci anni e Paolo Morelli ritornava con le sue canzoni per continuare e raccontare che… i sogni belli non finiscono la sera”.

Sito ufficiale Alunni del Solehttp://www.alunnidelsole.it/

Paolo Morelli ospite al Maurizio Costanzo Show, presentazione “Di canzone in canzone”
https://www.facebook.com/federico.rigoni.1/videos/817385251661053/

“Francesco, un papa che non cerca il nemico”:
lettura “radicale” della nuova lettera apostolica

di Mario Zamorani*

Come non voler bene a papa Francesco che nella Lettera Apostolica Misericordia et misera, a conclusione dell’Anno Santo, interviene per “celebrare in tutta la Chiesa, nella ricorrenza della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, la Giornata mondiale dei poveri”?
Il Papa ripetutamente si adopera per stimolare la “comunitas fidelium” al messaggio evangelico di attenzione e aiuto nei confronti degli ultimi, siano essi poveri, detenuti, emarginati o migranti. Per quanto mi riguarda gli sono vicino pur nella mia posizione di agnostico, non ateo (perché resistere alla ragionevole attrazione del mistero? Penso per esempio al fascino misterioso del perdono); anche, per rispetto, non tacendo sulle differenze.

Relativamente alla lettera, il passo di cui soprattutto si parla fa riferimento alla possibilità di perdono per chi ha commesso il peccato di aborto, estesa a tutti i sacerdoti. Non viene meno la “pena” della scomunica per chi ha commesso questo peccato, ma si amplia la via per uscirne.
Anche se in fondo il perdono di Dio, prima ancora che dalla confessione, passa dal sincero pentimento e dal “fermo proposito di non peccare più”, e si potrebbe quindi dire che stiamo parlando della conferma di un principio che tutti imparano già con i primi rudimenti religiosi. Eppure la sottolineatura di questa nuova procedura va a toccare, credo, nervi scoperti di resistenza in non poche persone delle gararchie cattoliche che non vedranno tale novità con sincera ed evangelica convinzione.
I Radicali sono stati avanguardia nel rendere possibile l’interruzione di gravidanza legale, consapevoli che la condanna dell’aborto non ha mai fermato l’aborto, l’ha solo cacciato nelle zone oscure della società, dove le donne morivano di setticemia e alcuni medici si arricchivano; la legalizzazione di questa pratica ha sconfitto l’aborto clandestino e ne ha reso possibile una drastica diminuzione. Naturalmente si tratta di piani diversi, da un lato quello civile di uno Stato che legifera per la salute dei suoi cittadini, dall’altro quello religioso. Credo anche che in gran numero le donne che nel tempo sono ricorse all’interruzione volontaria di gravidanza, se credenti, siano comunque venute alla consapevolezza e convinzione di sentirsi comunque nell’alveo della Chiesa; persino prima della parole del Papa. C’è distanza fra il sentire diffuso e lo Stato ma c’è anche, su alcuni aspetti, distanza con la Chiesa.

La lettera parla anche del momento della morte. Anche su questo aspetto credo che cittadini e credenti siano in maggioranza orientati contro le disposizioni delle leggi e i pricipii della Chiesa. Che in maggioranza considerino come auspicabile il ricorso al testamento biologico e persino all’eutanasia (in presenza di condizioni rigorosamente determinate) per evitare sofferenze insopportabili nel fine vita, proprio in nome del più rigoroso rispetto della vita umana.
Nella Chiesa la condanna dell’aborto è cresciuta nel tempo: prima con scomunica rispetto al solo “feto animato” (a partire dalla sesta settimana), poi rispetto ad ogni aborto fin dal concepimento, poi persino rispetto ad ogni pratica contraccettiva. Va notato che per la Chiesa si parla di aborto possibile già dopo la fusione fra spermatozoo e ovocita, mentre per la scienza (OMS) la gestazione inizia solo dopo l’impianto nella mucosa uterina. Quindi il profilattico o le pillole del/dei giorni dopo non sono abortive per la scienza e sappiamo bene quando profondi nel tempo siano stati i conflitti fra Chiesa e scienza.
A questo proposito la lettera dice: “Ancora oggi intere popolazioni soffrono la fame e la sete, e quanta preoccupazione suscitano le immagini di bambini che nulla hanno per cibarsi”. Le previsioni a lungo termine delle Nazioni Unite parlano di 4,4 miliardi di africani nel 2100 (picco per l’Africa subsahariana), in un mondo con poco più di 11 miliardi di abitanti. Dopo aver citato la campagna radicale contro lo sterminio per fame nel mondo, ricordo quanto ha scritto Dacia Maraini sulla contraccezione in generale: “Strana e ripetuta contraddizione che la Chiesa ripropone con spavalda incoscienza. La logica vorrebbe che proprio per non abortire si ricorra ai contraccettivi. Se tutte le coppie del mondo usassero gli anticoncezionali, anche il semplice e meccanico preservativo, non ci sarebbero più gravidanze indesiderate. E se non ci fossero gravidanze indesiderate, non ci sarebbero aborti. Quindi la battaglia dovrebbe essere per una maternità responsabile: fare un figlio quando lo si può crescere con un minimo di cura e di affetto, non farlo prevenendo la concezione”. E ancora, proprio in relazione alle morti per fame e sete e parlando di Aids: “Di tutti i preti coraggiosi che ho conosciuto in Africa non ce n’era uno che fosse d’accordo con questa assurda pretesa. A dispetto delle regole e forse col consenso tacito delle gerarchie lontane, gran parte dei missionari hanno favorito e continuano a favorire l’uso dei preservativi”. Quanto ancora dovremo aspettare per una parola ufficiale della Chiesa in questo senso? Ricordo infine le parole di Marco Pannella: “Concepire con amore o procreare come bestie?”.

Su un punto riconosco una superiorità del Papa, in questa lettera e non solo, rispetto alla quasi totalità della politica occidentale: questa è alla continua ricorca del nemico, Francesco no.

*Pluralismo e dissenso

Il crollo degli archetipi ed i disturbi del pensiero nei nativi digitali/3

di Vincenzo Masini

Si conclude questa settimana l’analisi di Vincenzo Masini sulle problematiche della rivoluzione informatica coi suoi modelli di comunicazione e le sue conseguenze nel pensiero dei nativi digitali.

Il pensiero magico nei nativi digitali
L’informatica e la realtà virtuale propongono stati mentali che amplificano l’esperienza sensoriale e la comunicazione, consentono l’anonimato e la assunzione di altre identità, parificano lo status sociale, ampliano i limiti spaziali e temporali, consentono relazioni multiple, favoriscono la trasgressione e riducono le capacità empatiche.
Nella realtà virtuale vige un continuo rimando all’ipocrisia senza comprendere la pericolosità dell’adattamento ad essa da parte di chi non ne afferra il gioco. Se subisce l’ipocrisia, non la smaschera e non tenta la via dell’evitamento, assume tratti di personalità e di comportamento sintonici con le scene relazionali ipocrite vissute ma distonici rispetto alla sua personale consapevolezza. Ovvero agisce sulla base di copioni di comportamento che cercano di adattarsi alla realtà relazionale senza mai riuscirci pienamente e danneggiando la sua struttura di personalità. Egli perde il contatto con se stesso e si misura con esperienze relazionali di cui non riesce mai ad essere padrone poiché non ne empatizza l’autenticità ed il vero senso. Sviluppa così una regressione al pensiero magico.
Il pensiero magico costituisce un tipo di elaborazione cognitiva in cui manca una relazione causale tra soggetto e oggetto. Alla magia vengono attribuite relazioni causali ma, a differenza della scienza, il magico sottende spesso un errore di base nella correlazione delle cause. Assunto fondamentale del pensiero magico è l’idea di poter influenzare la realtà secondo i pensieri e i desideri personali. Ed anche interpretare la realtà secondo un flusso di pensiero preveggente.
Le credenze magiche risalgono allo stadio preoperatorio, in cui i bambini costruiscono la loro prima interpretazione della realtà. I bambini attribuiscono un’anima agli oggetti, anche inanimati, poiché, nei primi stadi di sviluppo, non fanno distinzione tra realtà esterna e interna; un loro gesto può influenzare il verificarsi di un evento senza legame logico di causa ed effetto.
La visione magica del mondo permane tanto più viene assecondata da storie, tradizioni e rituali che potenziano la capacità immaginativa (…la paura di ciò che c’è nel buio.. il dentino da latte sul davanzale…i personaggi inventati…). I media, i videogiochi, internet e l’apprendimento intuitivo rinforzano il pensiero magico perché propongono sempre di più invenzioni senza distinzione tra fantasia e realtà.
Ciò può produrre la persistenza del pensiero magico (o la regressione a questo stadio del pensiero) oltre la fase preoperatoria fino all’età adulta per motivi difensivi di controllo sulla realtà, propiziatori (con la nascita di veri e propri rituali) e per riempire i vuoti di conoscenza.
L’antinomia tra pensiero magico e pensiero logico è accelerata in questa fase dell’esposizione alla magia dell’informatica: di fronte ad una foto su carta la bimba di tre anni, mentre fa scivolare le dita sull’immagine, esclama: “… ma non si apre!…”.

I disturbi del pensiero nei nativi digitali
L’intuitività del gesto, esercitato su tablet o smartphone, oggettiva un rapporto con la virtualità che precede il contatto corporeo con gli oggetti reali ma non significa competenza informatica. Una ricerca della Bicocca ha smontato il mito della competenza informatica giovanile giacché la loro posizione di utilizzatori non consente di smontare, smanettare, sperimentare. Sono meri utenti costretti in tal posizione dalla tecnologia: non sanno mandare una mail in BCC o che cos’è un sistema operativo, come si istalla un programma, come funzionano le app, ecc..
La rivoluzione informatica ha tradito le sue promesse e, invece di semplificarci la vita, l’ha resa più complessa ed ha costretto le nuove generazione a diventare schiavi di iPad, tablet e smartphone. Non solo ma l’accesso alla rete consentiva di utilizzare mail, Web, ftp, VoIP in un contesto non monopolistico mentre per i nativi digitali Facebook è l’unico sito regolarmente visitato .
Il mondo virtuale offre un prontuario di gesti, espressioni e comportamenti che si appoggiano su operazioni mentali di pensiero magico. Inoltre i video, i film, i videogames scaricati hanno contenuti magici e sostituiscono le antiche favole non più competitive per loro debolezza di forma.
Il nativo digitale pensa magicamente e modifica la realtà a suo piacimento: fa gesti per scongiurare un avvenimento, modifica la realtà con il pensiero, propone le sue associazioni di idee per controllare la realtà, o per esprimere il suo desiderio narcisistico.
Inoltre la logica orizzontale, circolare, senza gerarchia con associazioni analogiche incentrate sulle immagini giunge a simulare la realtà con grande efficacia mobilitando l’attivazione sensoriale ed il pensiero intuitivo. Ipertesti dapprima, link, e finestre (windows) si aprono una dentro l’altra costruendo una forma di pensiero che non gerarchizza i contenuti e non consente la formazione di alcuna mappa. Come una navigazione a vista che ha perso l’obiettivo e la meta.
Questa condizione mentale è anche il punto di arrivo della cosiddetta didattica creativa. A tale forma didattica vanno i meriti di aver destrutturato la rigidità dei saperi ma anche il demerito di essere andata ben oltre le intenzioni e gli obiettivi iniziali diventando autoritaria nel proporsi come l’unica forma di didattica, indipendentemente dalle caratteristiche dell’allievo. La prima conseguenza nelle forme del pensiero dei nativi digitali è la mancanza di mappe di riferimento e di limiti concreti nella cognizione, nelle emozioni e nel comportamento. Inoltre la velocità del pensiero si propone come sfida alle velocità delle connessioni digitali: tanto sono percepite come esasperatamente lente nel tempo di attesa della accensione di un computer, quanto divengono rapide in un passaggio difficile di un videogioco.
La natura dei disturbi del pensiero nei nativi digitali (dalla dislessia al calo di attenzione e iperattività) si manifesta con deficit sensoriali e difficoltà nelle comunicazioni interpersonali. Spesso hanno atteggiamenti eccentrici e sono maldestri nel compiere azioni o lavori pratici. La loro affettività è limitata, o inappropriata, e li conduce a sperimentare con ansia i contatti sociali.
Le distorsioni cognitive che presentano riguardano la forma, la velocità ed anche il contenuto del pensiero che continua a presentare aspetti magici. Non a caso giocano e si suggestionano nell’idea di avere poteri magici perché hanno bisogno di sentirsi speciali e, se non confermati nel narcisismo egocentrico della loro specialità, si sentono abbandonati e delusi.
La loro personalità soffre di un tale disadattamento che, accompagnato da ansia sociale e dalla paura di fallimento nelle relazioni, impedisce loro di costruire rapporti con coetanei. Di rinforzo la loro solitudine alimenta il pensiero magico e le idee bizzarre, la tendenza alla trascuratezza, ed anche episodi deliranti se il soggetto è provocato ed impedito nel suo sforzo di tenere gli altri lontani.
La polarizzazione dei loro comportamenti tendenzialmente disturbati ne è un chiaro riscontro: da un lato quell’insieme di disturbi degli hikikomori, dall’altro il bullismo.
Hikikomori è un termine giapponese che significa “isolarsi” mediante una volontaria reclusione nella propria stanza privi di contatto con altre persone, siano esse famigliari o amici. Tali adolescenti abbandonano la scuola e/o il lavoro, mostrano comportamenti ossessivo-compulsivi, tratti paranoici, manie di persecuzione. Sostituiscono i rapporti sociali con quelli mediati attraverso internet (chat e videogiochi online) girovagando all’interno della propria stanza e perdendo progressivamente competenze sociali, abilità comunicative ed opportunità.
La realtà virtuale ha un ruolo rilevante nell’innesco della dipendenza e dell’esclusione sociale, associata alla pressione sociale verso il successo ed il raggiungimento di mete di eccellenza che a tali giovani sono negate. La frustrazione per i fallimenti scolastici e le delusioni relazionali li chiudono in un processo di ritiro sociale in cui si avvolgono progressivamente.
La loro socializzazione mediante realtà virtuale ha dato forma ad un pensiero intuitivo non mediato dalle relazioni e circoscritto nel rapporto non empatico con il mondo digitale, con manifestazioni emozionali non coerenti.
Indipendentemente dalla specificità del disturbo hikikomori nel contesto giapponese, ma in espansione crescente in altri paesi, molti nativi digitali presentano molti dei disturbi del neuro sviluppo che sembrerebbero collegarsi alla forma delle costellazioni associative del pensiero con ridondanze procedurali, tangenzialità, illogicità, perseverazione, blocchi e deragliamenti.
E’ abbastanza chiaro che tali disturbi della forma del pensiero inducano dissociazioni dalla realtà con percezioni distorte, anticipazioni del pensiero altrui, perdita dei nessi associativi in costellazioni arbitrarie formulate sulla logica della realtà virtuale.
Il secondo modello di risposta disagiata è il bullismo. La mancanza di limiti relazionali oggettivati conduce anche al fenomeno della prepotenza del bullo. La sua aggressività fisica e psicologica tende ad esercitare potere sadico sulla vittima incapace di difendersi. Nel bullo si esprime il compiacimento nel dominio e della affermazione prepotente di se con offese, minacce, esclusioni, maldicenze, furti, rapine, percosse, intimidazioni e soggiogazioni. Anche in questo caso si può ipotizzare un vero e proprio disturbo di pensiero legato all’introiezione di modelli di comportamento del tutto privi di empatia che trovano nel sadismo l’unica dimensione emozionale di godimento. La realtà virtuale, e le immagini splatter su cui indugia la sua letteratura al fine di mobilitare emozioni in chi le assorbe, costruiscono schemi di pensiero in cui la confusione tra l’autentico e lo scherzo si sovrappongono. Ed ecco che il bullo non diviene consapevole dell’orrore del suo gesto. La sua freddezza non perviene a compassione per la vittima poiché la sovrapposizione tra reale e immateriale è divenuta per lui una vera e propria forma mentis.

Vincenzo Masini, 66 anni, genovese, sociologo, psicologo, psicoterapeuta e counselor. E’ stato professore presso l’Università di Palermo, Trapani, Roma “La Sapienza”, Università Pontificia Salesiana, LUMSA, SSIS del Lazio e della Toscana, Università di Siena e Università di Perugia. Studia i processi di relazioni interumane, i conflitti e le affinità interpersonali dagli anni ’80 a partire dall’analisi dei processi criminali (1984, Sociologia di Sagunto: le tipologie di comportamento mafioso, Angeli), devianti e di patologia psicosociale (1993, Droga, Disagio, Devianza, IPREF). Ha analizzato i percorsi di uscita dal disagio nei gruppi sociali (Le comunità per tossicodipendenti, Labos, Ed. T.E.R.; Comunità Terapeutiche e servizi pubblici, Il Mulino;) attraverso l’interazione empatica e linguistica (Empatia e linguaggio, Università per Stranieri, Le Monnier,) e la ricomposizione nelle personalità collettive di gruppo (Personalità collettive in Interessi, valori e società, Angeli). Dirige il progetto nazionale Prevenire è Possibile ed è membro del National Board for Certified Counselor International.

Economia e comunicazione: due narrazioni a confronto

In sintesi il sistema bancario (pubblico) tedesco
note a penna di Giovanni Zibordi – cobraf.com

Un’intervista di Sky TG24, ripresa ovviamente e rilanciata dai social, e che vede da una parte l’economista Nino Galloni, attualmente presidente del nuovo Movimento Alternativa per l’Italia, e dall’altra l’ex assessore al bilancio di Ferrara, Luigi Marattin, e attuale consigliere economico della Presidenza del Consiglio, dà l’occasione per alcune considerazioni sia di tipo economico che di comunicazione.

A Nino Galloni, a cui viene data per primo la parola, viene chiesto cosa potrebbe succedere in caso di un eventuale vittoria al prossimo referendum del no. La risposta di Galloni è di ampio respiro e da persona che in fondo ha vissuto da protagonista tutta la storia dagli anni Ottanta in poi cerca di dare un colpo d’occhio generale. Parla delle pressioni internazionali, delle grandi banche che si sono apertamente dimostrate a favore di un ridimensionamento dell’attuale Costituzione in senso più liberista e più controllabile dai mercati e dagli interessi dei mercati. Un processo che parte da lontano e che si potrebbe concludere oggi con la richiesta agli italiani di ratificare il processo in atto.
E quindi, cosa succederà in caso non ci riescano? I mercati faranno sentire il loro dissenso fomentando la speculazione. C’è un però, la Bce si è impegnata a comprare titoli di Stato sul mercato secondario almeno fino al 2017. Se la Bce compra i titoli di Stato la speculazione vede diminuita o azzerata la possibilità di speculare e a questo proposito basti ricordare le vicende passate dello spread e del “whatever it takes” di Mario Draghi.
In effetti, i titoli di Stato possono essere venduti ai mercati oppure li può comprare una Banca Centrale. Nel primo caso i tassi di interesse salgono a seconda di quanto i mercati vogliono speculare, nel secondo caso sono sotto controllo perché, essendoci un attore istituzionale a comprare “in ultima istanza”, gli interessi vengono tenuti bassi.
Sul mercato primario, dice sempre Galloni, le banche che adesso comprano i titoli di Stato, che partecipano alle aste, continueranno a farlo perché, in particolare in tempi in cui c’è molta incertezza, sono quelli che danno maggiori garanzie di essere rimborsati. Uno Stato, checché se ne dica, non è un’azienda.
E il Mps? Anche qui dipende, continua. Chi specula sicuramente non è preoccupato. I risparmiatori normali sarebbero interessati a soluzioni meno rischiose per cui sarebbe auspicabile una discesa del prezzo del titolo fino al punto che la Banca possa essere comprata dallo Stato, nazionalizzata. Lo Stato in questo momento ha bisogno di una banca pubblica per fare le stesse e identiche cose che fanno da anni i tedeschi e i francesi, quindi collateralizzare i titoli e ricevere in cambio euro. In Italia questa possibilità manca in quanto non abbiamo una banca pubblica.

Marattin interviene, come sempre, a gamba tesa affermando che Galloni dice cose “strampalate” sulla Bce, “spara sciocchezze”, sempre sulla Bce, e costringe Galloni a ripartire con una lezione di storia ricordando che 40 anni fa c’era più occupazione e più sviluppo. Ricorda il “divorzio” tra Banca Centrale e Ministero del Tesoro (operato quasi in autonomia e con un semplice scambio di lettere tra Ciampi e Andreatta), che costò il raddoppio del debito pubblico (in 12 anni si passò dal 55 al 105%). Fu un autentico regalo ai potentati finanziari, dice Galloni. E per chi non vuole proprio comprendere: il debito è debito per noi, guadagno per qualcuno, che ha quindi interesse a che ci sia e si alimenti senza controllo dello Stato o di una Banca Centrale che lavori per gli interessi dello Stato.
Risposta di Marattin: “cosa vuole che commentiamo, lasciamo perdere” e spiega suo modo l’evento del 1981. In quella data si disse, dice lui, smettiamola di fare in modo che se lo Stato non piazza sul mercato i titoli pubblici, lo Stato possa fare una telefonata e li faccia comprare alla Banca Centrale, perché se succede questo, lo Stato, il bubbone del debito pubblico non lo guarisce mai. Se c’è qualcuno che me li compra stampando moneta… il debito è raddoppiato perché lo Stato spendeva più di quello che entrava. Perché la generazione sua (rivolto al “vecchio” Galloni) e quelli come lei ci hanno lasciato in eredità uno Stato che spendeva più di quello che poteva entrare e adesso il conto è finito sulle nostre spalle… guardi cosa è successo alla storia economica di questo Paese”.

Ora, il primo elemento è la comunicazione. Il nuovo e il giovane, Marattin-Renzi, che etichetta come sciocchezze pezzi di storia reali con frasi ad effetto che tendono a screditare chi propone ricette diverse dal mainstream economico. È ovvio che siamo noi (giovani e rampanti) il futuro e facciamo cose diverse dagli altri, mettendo al muro voi (vecchi e con questo pallino della storia) che proponete cose diverse. Comunicazione veloce, sprezzante, ad effetto e frasi facilmente comprensibili da tutti perché nel vocabolario quotidiano grazie all’opera delle tv, giornali e università sono di uso comune (corruzione, debito cattivo, mercato libero, Europa e accoglienza).
Comunicazione efficace, non vera o falsa, solo efficace. Si dice ciò che la gente ha già assimilato e crede vero, rinforzando queste convinzioni e denigrando gli altri e buona pace se dall’altra parte c’è un economista che ha scritto libri, partecipato alla vita economica del Paese e dimostrato ampiamente di conoscere gli argomenti.

Ma alla fine chi ha ragione davvero? Quali sono i fatti? Partiamo proprio dal 1981.
Fino a quel momento avevamo una banca pubblica che come dicono entrambi comprava in “ultima istanza” i titoli di Stato invenduti. Cosa vuol dire? Lo Stato aveva bisogno di finanziare le sue necessità, poteva farlo stampando moneta (uno Stato sovrano può farlo, l’ho scritto diverse volte) oppure può emettere titoli di Stato, cioè dice alle famiglie, aziende, fondi, banche, ecc.: se mi date soldi vi do un titolo che a scadenza vi rimborso con un interesse.
Questo significa due cose: che alla scadenza il debito assunto deve essere onorato e che si genera un interesse altrettanto da onorare. Se però questo debito viene assunto nei confronti delle famiglie italiane si fa più o meno quello che succede in Giappone, si tiene sotto controllo il debito stesso e quando si paga un interesse si aumenta la capacità di spesa dei cittadini.
Se lo Stato decide di finanziarsi per 100 e ha una sua banca centrale allora può decidere il tasso di interesse con il quale indebitarsi. Quindi se i mercati pretendono un interesse più alto di quello pensato dallo Stato, questi dirà alla sua Banca Centrale di acquistare l’invenduto. Si sta indebitando? Sta creando debito pubblico?
Se la banca centrale appartiene allo Stato il debito è assunto con se stesso, è stato monetizzato si dice. E se è stato fatto in base a delle esigenze reali non crea ovviamente inflazione (se ho necessità di finanziarmi vuol dire che so quanta moneta mi serve e cosa voglio farci, se stampo senza questi presupposti creo inflazione, non è che l’inflazione non abbia un motivo o si generi per opera dello spirito santo). Se invece la banca centrale non lo fa sono i mercati a fissare il tasso di interesse, ad acquistare i titoli e a chiederne il rimborso, quindi in questo modo si crea un debito reale, in particolare se viene acquistato da operatori esteri, attualmente parliamo di un 30% scarso sui BTP a 10 anni.
Si può avere una banca centrale pubblica? Certo, è previsto dal Trattato di Lisbona, art. 123 comma 2 e, come ricorda Galloni, ce l’hanno, tra l’altro, la Germania e la Francia in percentuali diverse. A questo punto la domanda diventa: perche noi no? Ecco a questo dovrebbe rispondere il Governo senza denigrare o affidandosi alla facile e giovanile comunicazione.
Quanto sopra risponde anche al “debito sulle nostre spalle” e a come si è creato e spero anche al fenomeno dell’inflazione, continuamente e strumentalmente tirato fuori a sproposito. Sulle inesattezze poi sulla Bce, quali sarebbero?
Che Draghi ha promesso di comprare titoli fino al 2017 e probabilmente oltre è su tutti i giornali. Che quando ha deciso di farlo lo spread è automaticamente sceso lo è altrettanto. E che sarebbe quantomeno strano che decidesse di non comprarli più all’improvviso dopo un eventuale vittoria del no al referendum significherebbe schierarsi contro gli interessi dell’Italia mi sembra altrettanto evidente. Che la JP Morgan abbia fatto delle dichiarazioni sulla necessità di cambiare le Costituzioni del Sud Europa è su tutti i giornali. Insomma perché dobbiamo tacciare e tentare di rendere ridicoli chi propone finalmente delle soluzioni diverse da quelle adottate negli ultimi trent’anni in Italia?

Finiamo con qualche grafico.

In sintesi il sistema bancario (pubblico) tedesco
note a penna di Giovanni Zibordi – cobraf.com

Le Banche Centrali acquistano titoli di Stato, cioè debito pubblico.

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Note di Giovanni Zibordi – cobraf.com

Ma quanto denaro possono stampare le banche centrali? Ce lo dice la Bce, tutti i documenti sono di dominio pubblico sul loro sito.

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note di Giovanni Zibordi – cobraf.com

Cosa succede quando una Banca Centrale compra titoli di stato, cioè debito pubblico? Che si annulla, sopra è quanto succede in Gran Bretagna.

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Qui dovrebbe cadere anche il famoso mainstream: “è stata tutta colpa di Craxi e della corruzione” che equivarrebbe a dire che la corruzione in Italia ha una data di nascita, il 1981-1982.

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Qui vediamo l’impennata del tasso di disoccupazione giovanile dagli anni ’80 che poi cala e dai giorni riprende a salire. Qui la situazione è meno intuitiva. Forse le politiche attuate dai primo ’80 non funzionavano per l’occupazione, questa sale e permette negli anni ’90 di cominciare a togliere tutele ai lavoratori, ad esempio la scala mobile. Questo procura un beneficio a chi dirige: convincere che togliere diritti fa bene al lavoro. Con la deregolamentazione dei mercati e della finanza si muove il mercato, aziende sbocciano on line e fuori ma con i piedi di argilla. Si creano quelli che si chiamano boom – bust cycle, le onde che muovono i cicli economici, alti e bassi che ci portano al 2008 e poi al 2011 e adesso vedremo dove. La costante è che non si costruisce niente di strutturale, finalizzato alla crescita ma ci si affida al libero e deregolamentato mercato in nome della non funzionalità e inefficienza dello Stato. Come si controllano i cicli economici e si mettono a disposizione di tutti? Con le leggi e il controllo, cioè tutto ciò che i nostri governanti si sono adoperati a togliere.

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Da questo potremmo farci un’idea se le politiche portate avanti dai nostri rappresentanti stanno funzionando.

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Qui invece chi sta beneficiando delle politiche economiche attuate dai governi degli ultimi trent’anni. E’ ora di cambiare?

“Tutti a casa”, i 100 anni di Luigi Comencini

“Tutti a casa”, il film del 1960 diretto da Luigi Comencini, è stato presentato in versione restaurata la sera precedente l’inaugurazione della 73ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, per celebrare il centenario della nascita del regista.
L’opera ritorna in una sala cinematografica grazie al restauro in 4K realizzato a cura di Filmauro e CSC – Cineteca Nazionale di Roma, partendo dai negativi originali. Le lavorazioni digitali sono state eseguite nel laboratorio Cinecittà Digital Factory, mentre il ritorno in pellicola 35mm presso gli studi Augustus Color di Roma.

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Una scena tratta da “Tutti a casa”

Il film, oltre alla proiezione speciale, era inserito nella sezione “Venezia Classici”, curata da Alberto Barbera con la collaborazione di Stefano Francia di Celle, che dal 2012 presenta alla Mostra una selezione dei migliori restauri di film classici realizzati nel corso dell’ultimo anno da cineteche, istituzioni culturali e produzioni di tutto il mondo. Oltre a “Tutti a casa”, durante il Festival sono stati proiettati altri 19 film, tra cui: “The Brat” (La trovatella) di John Ford, “Dawn of the Dead” – European cut (Zombi) di George A. Romero, “Manhattan” di Woody Allen, “Pretty Poison” (Dolce veleno) di Noel Black e “Twentieth Century” (XX secolo) di Howard Hawks.
“Tutti a casa”, considerato tra le migliori opere di Comencini, si aggiudicò il premio speciale della giuria al Festival di Mosca 1961, un Nastro d’argento e due David di Donatello, assegnati ad Alberto Sordi e al produttore Dino De Laurentiis. Nel cast, oltre a Sordi, figurano Eduardo de Filippo, Serge Reggiani e Carla Gravina, la sceneggiatura porta la firma di Comencini, Age & Scarpelli.

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Luigi Comencini

Luigi Comencini, cui la Biennale di Venezia ha attribuito nel 1987 il Leone d’oro alla carriera, è considerato uno dei grandi maestri della commedia all’italiana, nonché “il regista dei bambini”. Il primo filmato sul tema dell’infanzia fu “Bambini in città” del 1946, un corto premiato a Venezia con il Nastro d’argento, seguì “Proibito rubare” (1948), ambientato tra gli scugnizzi di Napoli. Gli altri film con protagonisti i bambini furono “La finestra sul Luna Park” (1957), “Incompreso” (1966, in concorso a Cannes e premiato col David di Donatello), “Le avventure di Pinocchio” (1971 – prodotto dalla RAI), “Voltati Eugenio” (1980, presentato a Venezia), “Cuore” (194), “Un ragazzo di Calabria” (1987, in concorso a Venezia), “Marcellino pane e vino” (1991).
“Tutti a casa” è uno dei capolavori del genere commedia all’italiana, dove convivono aspetti diametralmente opposti quali comico e drammatico, reale e grottesco, coraggio e paura. La storia racconta uno dei periodi più controversi dell’Italia, seguiti all’8 settembre del 1943, dopo l’armistizio con gli alleati firmato dal Maresciallo Badoglio, quando i soldati italiani furono abbandonati a loro stessi. Il film uscì nelle sale in pieno boom economico e fu premiato ai botteghini con un incasso record per quei tempi, le ferite della guerra erano ancora aperte e i temi trattati dall’opera di Comencini tutt’altro che dimenticati. L’impostazione “on the road” favorì l’aspetto realistico della narrazione, mostrando un’Italia disastrata, ancora visibile nelle campagne livornesi dove furono girate le riprese. La sceneggiatura fu resa credibile dalle esperienze di Age & Scarpelli, che vissero in prima persona, dopo l’8 settembre, i fatti narrati nel film. I due autori seppero fondere aspetti drammatici con momenti paradossali, come nella scena in cui Alberto Sordi, al telefono sotto il tiro dell’esercito tedesco, dice ai superiori: “Signor colonnello, sono il tenente Innocenzi, è successa una cosa straordinaria, i tedeschi si sono alleati con gli americani”.
Alberto Innocenzi, ligio al dovere, attende ordini e cerca un comando cui presentarsi ma il suo reggimento si sfalda e i soldati, stanchi della guerra, tornano a casa dalle proprie famiglie. Con il geniere Ceccarelli (Serge Reggiani), il sergente Fornaciari e il soldato Codegato, anche Innocenzi inizia il difficile ritorno a casa, abbandonando progressivamente il linguaggio e l’atteggiamento militaresco per adeguarsi alla nuova realtà. I soldati italiani, oramai in abiti civili, incontrano un gruppo di partigiani, ma non vi si uniscono, poi assistono senza fare nulla alla cattura di una ragazza ebrea da parte dei tedeschi. Il personaggio interpretato da Sordi giunge a casa dove trova il padre che vuole farlo aderire alla Repubblica Sociale Italiana ma Innocenzi non accetta e prosegue con Ceccarelli il viaggio verso sud.
Arrivati vicino a Napoli i due sbandati sono catturati dai fascisti che li consegnano ai tedeschi, costringendoli a lavorare tra le macerie di Napoli per l’Organizzazione Todt. Cercano di fuggire, ma Ceccarelli è ucciso a pochi metri dalla sua casa che ha rivisto da lontano sulla via dei lavori forzati. La morte del compagno di disavventura spinge il tenente a reagire e a unirsi alla lotta per la liberazione.
I ruoli di Alberto Sordi ed Eduardo De Filippo, che nel film interpretano rispettivamente figlio e padre, furono inizialmente pensati per Vittorio Gassman e Totò.

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