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Giorno: 8 Gennaio 2017

‘Artisti Riuniti’ presenta ‘Due partite’

Da: Teatro Nuovo Ferrara

‘Artisti Riuniti’ presenta Giulia Michelini, Paola Minaccioni, Giulia Bevilacqua, Caterina Guzzanti in ‘Due partite’
di Cristina Comencini
Regia di Paola Rota

Nel primo atto quattro donne, molto amiche tra loro, giocano a carte e parlano in un salotto. Si ritrovano lì ogni settimana. Nella stanza accanto le loro figlie giocano alle signore, si ritrovano anche loro ogni volta che si incontrano le loro madri. Nel secondo atto le quattro bambine sono diventate ormai delle donne che si vedono nella stessa casa e continuano quel dialogo, interrotto e infinito, sui temi fondanti dell’identità femminile. Sono le stesse attrici che avevamo visto interpretare il ruolo delle madri. Gli eventi che tengono unite queste donne, sono i più naturali e significativi dell’esistenza: la nascita e la morte.

La conversazione procede tra di loro con un ritmo incalzante, tragico e comico al tempo stesso, e in questo flusso di pensieri e parole le loro identità si confondono e si riflettono in quelle delle loro madri, in una continua dinamica di fusione e opposizione, come in un gioco di specchi deformanti. La commedia lavora su diversi livelli, è un meccanismo perfetto che alterna momenti di comicità a momenti di vera e propria commozione, ma quello che più mi colpisce è un altro aspetto, fondamentale a teatro, che è quello fantastico, fantasmatico. Le protagoniste di questa storia sono donne che si proiettano madri, madri che immaginano come saranno le loro figlie, figlie che hanno assunto, mangiato e digerito le proprie madri per farsi donne autonome, diverse, opposte, e sorprendentemente vicine. Queste bambine che non vediamo mai e il loro perenne struggimento della crescita sono l’anima di questa commedia.

Cristina Comencini
Gli esordi di Cristina Comencini sono in alcune produzioni televisive in cui appare in qualità di co-sceneggiatrice del padre Luigi Comencini in Il matrimonio di Caterina (1982), di Suso Cecchi D’Amico nello sceneggiato televisivo Cuore (1984) e nel film La Storia (1986), nonché di Ennio De Concini in Quattro storie di donne diretto da Franco Giraldi (1986). Il suo debutto alla regia è del 1988 con il film Zoo cui seguono, dopo la sceneggiatura di Buon Natale… buon anno (1989), le regie di I divertimenti della vita privata, La fine è nota (dal romanzo di Geoffrey Holliday Hall), Va’ dove ti porta il cuore (dal best seller di Susanna Tamaro), Il più bel giorno della mia vita e La bestia nel cuore (che ha ottenuto una nomination agli Oscar per l’Italia come miglior film straniero nel 2006). Cristina è anche un’apprezzata scrittrice di romanzi: oltre a Matrioska, sono da ricordare Pagine strappate, tradotto in Francia (Premio Air Inter 1995), Passione di famiglia che ha ottenuto il Premio Rapallo Opera Prima 1992, Il cappotto del turco (vincitore del Premio Nazionale Alghero Donna di Letteratura e Giornalismo 1997 nella sezione narrativa), L’illusione del bene, con il quale nel 2008 è stata finalista del premio letterario Premio Bergamo, Quando la notte (2009), Lucy (2013) e Voi la conoscete (2014). Negli ultimi anni si è avvicinata alla scrittura di testi teatrali: Due partite, commedia in due atti scritta per quattro interpreti femminili, messa in scena nel 2006 e poi ripresa con successo in tutta Italia. Proprio questo testo, fortemente voluto da Artisti riuniti, segna il suo esordio drammaturgico.

Curioso. Quando Cristina Comencini diresse nel 2006 la propria commedia Due partite, testo costituito da tue tranci, il primo vissuto da quattro signore borghesi che giocano a carte, il secondo ‘abitato’ 45 anni dopo dalle rispettive figlie di quelle figure femminili, con automatico scarto di linguaggi, di sfondo epocale, di modi interiori, di costumi, si poteva dire che la drammaturga-regista Comencini appartenesse un po’ più alla sfera anagrafica e culturale (ma non verbale, formale, salottiera) dei prototipi evocati nel primo atto del copione.
Nove anni fa, per la cronaca, quel battesimo avvenne con un poker di protagoniste che erano Isabella Ferrari, Margherita Buy, Valeria Milillo e Marina Massironi. Ora, invece, la nuova edizione di Due partite è una riproposta che fa leva stavolta su quattro attrici generazionalmente un po’ diverse, Giulia Michelini, Paola Minaccioni, Caterina Guzzanti e Giulia Bevilacqua, l’allestimento è firmato da Paola Rota, già collaboratrice di Cristina Comencini, e può dirsi che il punto di vista di chi maneggia la materia, di chi cura l’assetto e il senso del racconto identitario reso scisso da un confine anagrafico di due periodi diversi della vita, accoglierà fatalmente (o inconsciamente) il birdwatching, lo spirito d’osservazione che è più diffuso nell’età media delle donne riprodotte nella seconda parte dello spettacolo. Come a dire che forse il testimone di questa staffetta passa, nella versione odierna, ai modi di fare, di esprimersi, di ricordare e di rappresentare che appartengono alla soglia successiva, alla cultura e ai codici delle eredi. Fin qui, il naturale confronto tra memoria e pronostico. Per gli intenti, invariati, dell’autrice Comencini, l’accostamento è tra mogli-madri- compagne-donne incinte piuttosto lasciate sole dai relativi partner, piuttosto sentimentali, piuttosto ridicole, piuttosto preda di un’inedia abbiente, piuttosto senza lavoro, e, passando al seguito di quasi mezzo secolo dopo, un nucleo sfuso ma agguerrito di figure femminili (unite casualmente da un funerale) che sono più consapevoli, più impegnate, più frustrate, più energiche, più esposte ad altri rischi. Ora la regia, che per volere di chi ha scritto la commedia, avrà a che fare con lo stesso quartetto d’attrici sia nell’ambientazione nei ’60 sia nella rimpatriata delle figlie a cavallo tra i ’90 e il 2000, si misurerà sempre coi concetti della vita e della morte ma, proprio per una nuova visione del tutto, considererà (forse) le figlie alla stregua di cannibali, di divoratrici di ascendenti, di ‘mangiatrici di madri’ pur di affermare una più netta autonomia dalle tradizioni, dalle educazioni, dagli schemi morali. Poi, magari, non è detto che le creature più nostre contemporanee siano perfette.

Il Comune di Poggio Renatico vince il premio ‘Humana Eco-Solidarity Award 2016’

Da: Organizzatori

Gli oltre 42mila chili di abiti raccolti hanno avuto importanti benefici ambientali e sociali: risparmiati 254 milioni di litri di acqua, evitati 152 mila di chili di anidride carbonica e finanziati 12 corsi di studio per i ragazzi in Mozambico o Zambia

Per la grande generosità dei cittadini che hanno donato indumenti usati a favore di HUMANA il Comune di Poggio Renatico, primo classificato tra i Comuni in provincia di Ferrara, è stato premiato con l’importante riconoscimento “HUMANA Eco-Solidarity Award 2016”.
Nel 2015, HUMANA ha raccolto sul territorio comunale 42.422 chili di abiti (oltre 4 chili per abitante), determinando un impatto sociale, ambientale ed economico positivo nel Sud del mondo e in Italia. Il ricavato dei vestiti raccolti a Poggio Renatico ha contribuito a finanziare 12 corsi breve (di 3 mesi) di perfezionamento professionale in idraulica, costruzioni e tinteggiatura, tecniche di vendita, turismo e agricoltura per giovani studenti in Mozambico o Zambia. L’organizzazione propone dunque un’offerta formativa valida e di qualità, rendendola soprattutto accessibile. Sul fronte ambientale invece, gli abiti donati hanno permesso di evitare l’emissione di oltre 152 mila chili di anidride carbonica nell’atmosfera, pari all’attività di assorbimento di 1500 alberi, e di risparmiare circa 254 milioni di litri di acqua, pari a oltre 102 piscine olimpioniche. Il premio è stato assegnato in occasione dell’HUMANA People to People Day 2016, evento internazionale che coinvolge i membri della federazione HUMANA in Europa. Lo slogan di quest’anno “Quality Education for Development – Educazione di qualità per lo sviluppo” mette in evidenza come l’educazione sia il fulcro di uno sviluppo sostenibile.
Gli abbandoni scolastici nel mondo sono nettamente in calo (da102 milioni nel 2000 a 58 milioni nel 20121), ma, nonostante ciò, ancora oggi milioni di bambini non frequentano la scuola. Molta strada è stata percorsa, ma tanto resta ancora da realizzare e HUMANA è in prima linea per diffondere un’educazione di qualità, capace di fornire strumenti utili alla crescita personale e sociale.

Avevamo una banca, nota stampa di Paola Peruffo

Da: Paola Peruffo

Nel corso degli ultimi giorni si sono tracciati i possibili scenari per il futuro di Carife e dei suoi dipendenti.
Parlo di scenari perché di certezze ancora ce ne sono poche. Partiamo da una: la città perde definitivamente la propria banca sul territorio. Verrebbe da dire che c’era da aspettarselo visto il modo del tutto fallimentare con cui questa è stata amministrata nel corso dell’ultimo decennio, prima del commissariamento, con la complicità di Banca d’Italia.
Una seconda certezza riguarda il fatto che ancora nessuno degli ex amministratori abbia ancora pagato nulla, sia in termini giudiziari che monetari.
La terza certezza è che il commissariamento è risultato, nel caso di Carife e Nuova Carife, del tutto insoddisfacente.
Ora si apre un vasto palcoscenico di incertezze, innanzitutto per i lavoratori, sia per chi rimane sia per chi sceglie di abbandonare l’istituto. Pur ammettendo che circa cento persone scelgano le condizioni per il prepensionamento, rimangono pur sempre 200-250 dipendenti da salutare, scanditi da un drastico contatore elettronico. Certo le 48 mensilità (o 41 con ulteriori sussidi di disoccupazione) sono un paracadute importante che altri lavoratori si sognano, ma rimane il dato, sicuramente tragico, di queste numerosissime famiglie che, nel giro di tre o quattro anno, devono necessariamente trovare una nuova occupazione. E a Ferrara, si sa, è come cercare pepite d’oro in un torrente. Non stupiamoci quindi se da qui ai prossimi anni, ulteriori ferraresi saranno costretti a lasciare la propria terra per un’altra città o più facilmente un altro paese, lasciando questo territorio depauperato della propria gente, in particolare di giovani, con la seria prospettiva di un ulteriore innalzamento dell’età media, e che già segna poco invidiabili record di anzianità.
Un problema in più per la città e di cui si è accorto anche il sindaco che, dopo mesi o anni di tolleranza, per una volta ha provato ad alzare la voce contro il governo amico. Un governo che, è bene ricordarlo, si è comportato in tutt’altro modo per salvare Mps.

A corredo di questo tristissimo panorama ci sono ulteriori carenze di certezze. Alcuni infatti non danno ancora per assodati quei 58 milioni di euro dal fondo interbancario per favorire gli esodi volontari. Così come la firma di acquisto da parte di Bper non si è ancora vista. Agli stessi dipendenti che rimarranno all’interno del nuovo istituto non verranno fornite garanzie assolute. Per tanti di loro, per esempio, si apre lo spettro del trasferimento in altre località, situate sino a 175 km da Ferrara.
Tutto questo mentre ci si rimbalza le responsabilità tra governo nazionale e locale, tra passati e nuovi dirigenti politici, dopo che proprio la politica è stata sconfitta in tema di difesa dei dipendenti, degli azionisti e degli obbligazionisti Carife, ipotizzando nelle ultime ore futuri aiuti da Roma. Quella stessa capitale che, sul versante dello sviluppo, ha sempre girato le spalle a Ferrara.

Paola Peruffo
Consigliere Comunale di Forza Italia
Comune di Ferrara

Fronte comune tra Anac e Camere di Commercio per la lotta alla corruzione e per legalità

Da: Camera di Commercio

Govoni: “Un costo indiretto ma gravissimo per tutta la società deriva dalla percezione che la “legalità sia costosa”: una percezione che sta inquinando interi settori produttivi”

Anac e Camere di commercio italiane alleate nella lotta alla corruzione: a sancirlo è il nuovo patto tra l’Autorità Nazionale Anticorruzione e l’Unioncamere, contenuto nel protocollo di intesa sottoscritto, il 27 dicembre scorso, dai due presidenti, Raffaele Cantone e Ivan Lo Bello. In particolare, Unioncamere si impegna, avvalendosi anche delle competenze dell’Anac e valorizzando le esperienze maturate nelle Camere di commercio, a garantire la massima diffusione nel mondo delle imprese della cultura della legalità, dell’etica pubblica e della trasparenza, anche attraverso la realizzazione di iniziative formative, l’organizzazione di studi e progetti di ricerca, incontri, conferenze e seminari.

Nucleo fondamentale dell’accordo sono la messa in comune e l’integrazione, anche attraverso l’interoperabilità dei sistemi informativi, di dati e informazioni provenienti dal patrimonio del Registro delle imprese e della pubblica amministrazione, con l’obiettivo di favorire processi di semplificazione e riduzione degli oneri amministrativi e di assicurare efficacia, trasparenza e controllo della spesa pubblica. Utili a questo fine saranno gli strumenti digitali, a partire da quelli contenuti nel Registro delle imprese, per consentire la massima divulgazione delle informazioni sugli assetti giuridici, economici e finanziari delle imprese. Un capitolo importante della convenzione riguarda, inoltre, la sperimentazione di un sistema di analisi del contesto esterno ai fini delle attività svolte dalle amministrazioni in materia di valutazione del rischio corruzione, anche attraverso l’individuazione di indicatori di rischio.

“L’assenza di legalità – sottolinea Paolo Govoni, presidente della Camera di commercio di Ferrara – altera le regole del gioco a danno di quelle imprese che operano nel rispetto della normativa e sulla base dei valori e dei principi della buona economia. Da tempo – ha proseguito Govoni – la nostra Camera di commercio svolge, in collaborazione con Prefettura, forze dell’ordine, istituzioni ed associazioni di categoria, numerose attività di contrasto a tutte le forme di criminalità economica e, più in generale, di illegalità che impediscono il libero agire del mercato, sviliscono il lavoro, mortificano gli investimenti, distruggono la proprietà intellettuale, ostacolano il credito, intimidiscono la libertà di impresa”.

Ma per l’Ente di Largo Castello l’attività di repressione, per essere veramente efficace, deve necessariamente essere accompagnata da un’adeguata azione di prevenzione. E per questo occorre in primis agire sulla diffusione della cultura della legalità, la via maestra per favorire sul nascere lo sviluppo di comportamenti imprenditoriali responsabili ispirati alla conoscenza e al rispetto della legalità. “Si tratta di un’attività – ha concluso il presidente della Camera di commercio – che è tanto più efficace quanto più è capace di accompagnare la crescita dei nostri ragazzi, perché saranno loro gli imprenditori e, più in generale, i futuri lavoratori di domani”.

Priorità, dunque, sulla quale la Camera di commercio lavorerà per tutto il 2017, catturando l’attenzione degli studenti ferraresi in più Giornate dedicate alla conoscenza degli strumenti messi a disposizione per il rispetto dei principi e dei valori della legalità. D’altronde – ricorda l’Ente di Largo Castello – le imprese meno condizionate dai fenomeni illegali sono proprio quelle di dimensione più elevata, ovvero con almeno 50 addetti e un fatturato superiore ai 2,5 milioni di euro.

La mancanza di riflessione e la fretta del giudizio

Infuria su Facebook la polemica suscitata dallo scontro tra il sindaco di Napoli de Magistris e lo scrittore Roberto Saviano. Fiorenzo Baratelli riflettendo sullo sciagurato commento del sindaco di Napoli scrive:
“Quando il confronto supera un certo limite, anzichè essere feconda dialettica democratica, diventa segnale di pericolo…Il limite è stato superato dal sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, nella polemica con lo scrittore Roberto Saviano. Il sindaco ha detto la cosa più odiosa e pericolosa per la salute dell’informazione e per la vita di Saviano: “Aspetti la ‘sparatina’ o l’ammazzatina per far crescere il tuo conto in banca!”. Sulla pelle di Napoli si arricchisce la camorra, il sottobosco intoccabile degli amministratori, politici e imprenditori che trafficano in tangenti e appalti, i ‘magnaccia’ della prostituzione, gli spacciatori, i riciclatori…Il sindaco di Napoli non gradisce più che si parli dei mali della sua città perchè adesso c’è lui? Prima Saviano poteva farlo, ma adesso non più? Lo sappiamo che ogni tipo di potere è allergico alla libera informazione…Ma dobbiamo anche sapere che chi viene sottoposto ad attacchi brutali come questo deve sentire attorno a sè la solidarietà e la vicinanza di quella parte dell’opinione pubblica che considera il bene della libertà di informazione prezioso come l’aria che si respira”.
La – per me – più che condivisibile opinione di Baratelli trova una dura replica e un coro di accuse da coloro che rinfacciano a Saviano l’opportunismo di arricchirsi sui mali di Napoli. Alla disgustosa polemica reagisce una lettrice: “Credo che, soprattutto oggi, ugualmente, siano compito degli intellettuali non omologati, l’approfondimento, il rifiuto della generalizzazione urlata, dell’utile qualunquismo anche se colto…. È il momento di assunzione di responsabilità da parte di tutti, di costruzione di fronti delle forze sane in grado di riconoscersi… Chi non lo fa è colpevole a prescindere dal ruolo che ricopre”.

Questa miserrima polemica dunque si potrebbe riassumere solo in quell’orrida accusa di accrescere il conto in banca dello scrittore? E che se ne fa Saviano di un grosso conto in banca che sicuramente avrà e che comunque non gli permette di godere del primo dei diritti umani: la libertà? Ma come si fa a offendersi se viene misconosciuto – almeno dai fedeli sostenitori di de Magistris – l’aspetto positivo della reazione di Napoli al degrado? Chi è che per primo ha rivelato a livello mondiale le condizioni di Napoli? “Gomorra” è stato scritto solo per rendere famoso il suo autore o piuttosto per denunciare lo stato mafioso di una città che viveva e ancora vive di quelle pratiche?
E un sindaco per quanto onesto e responsabile, ma dalla lingua facile e dal commento vituperoso (sì proprio come la canizie di quel vecchio che nei “Promessi sposi” incitava all’assalto del forno delle grucce), può permettersi simili affermazioni?
Anche io posso commentare non sempre benevolmente l’agire di Saviano, come per esempio il suo silenzio alla proposta della giuria del Premio Bassani, poi concretizzata, di premiarlo per la sua difesa dell’ambiente e del paesaggio; ma tra definire questo un gesto di maleducazione e infamarlo pensando ad un suo ‘conto in banca’ la differenza è somma.

Come osserva Baratelli, la sciagurata ignoranza della lingue e del significato delle parole permette questa mortificante incomprensione del valore di ciò che si dice, che è la prima tra le funzioni della lingua. Un lettore ferrarese riporta un illuminante giudizio del grande psicanalista Gustav Jung: “Pensare è molto difficile. Per questo la maggior parte della gente giudica. “La riflessione richiede tempo, perciò chi riflette già per questo non ha modo di esprimere continuamente giudizi” Jung”
Ed è proprio a proposito del ruolo della cultura come perdita di contatto con la realtà che questa premessa serve.
Leggo con interesse il servizio apparso sul “Venerdì di Repubblica” sui quarant’anni della costruzione del Centre Pompidou detto Beauburg e sulle dichiarazioni del suo autore Renzo Piano. Questo rivoluzionario progetto ha cambiato per sempre l’idea di museo e ne ha creata una nuova, nata dal Sessantotto come offerta, ‘fabbrica’ per svecchiare quella cultura di cui fino al secondo dopoguerra Parigi deteneva il primato poi trasferitosi a New York. Ora quel linguaggio è ormai divenuto accademico, ha perso la sua carica eversiva, ma ha di nuovo riportato l’interesse mondiale su Parigi. I parigini del quartiere su cui sorge il Beauburg scrissero a suo tempo una protesta firmata da trentamila persone contestando la costruzione e il senso dell’opera. Dunque un artista, sia scrittore sia architetto o pittore o urbanista, viene sempre contestato come è contestato ora il giudizio di Saviano sulla città di Napoli. Ma per fortuna l’innovazione spesso, ma non sempre, si affida al pensar grande o al pensar diverso.

Ferrara ha avuto molte occasioni per sperimentare la diversità, ma sembra che lo spirito conservatore prevalga. Si pensi alla trasformazione del Castello nella sistemazione voluta da Gae Aulenti di cui non si discute la qualità, ma il principio. E’ caduta nel vuoto. Che cosa hanno lasciato le testimonianze di opere fondamentali volute a Ferrara e per Ferrara: Ronconi – e non solo quello canonico dell’”Orlando Furioso” ma quello dell’”Amor nello specchio” – Abbado e il suo “Viaggio a Reims”; l’esperienza del Living Theater o di Carmelo Bene, il Visconti di “Ossessione” e perfino le primissime mostre a Palazzo dei Diamanti, dove si esponeva Vedova o Manzoni? Tanto per citare alcuni casi tra i maggiori. Sembra che la nebbia reale si trasformi in nebbia del ricordo. Così la sperimentazione parla più alla pancia dei turisti che alla reale esigenza di una cultura innovativa. S’incendia il Castello e nello stesso tempo si pensa di trasferire la Pinacoteca in quel luogo distruggendo in un certo senso il patrimonio storico di una sistemazione che era stata il risultato di un pensiero storico egregio. Si crea un Museo del Duomo le cui opere sono illeggibili nella sistemazione attuale.
Certamente mi si potrà rimproverare la mia severità, che in realtà tradisce l’amore mai sopito per questa città così spesso ingrata con i suoi cittadini, ma non è la malevolenza che mi spinge alla denuncia di ciò che ritengo una possibilità, l’unica che posso esercitare perché sia stimolo che la città delle cento meraviglie ci possa ancora stupire.

Pedalando tra Natale e Capodanno fino alla sorgente del Grande Fiume

Da Gorino al Monviso in bici in tre giorni tra Natale e Capodanno. Quando lo sport diventa metafora di vita.

di Linda Ceola

Il Monviso è una montagna che spicca dalla pianura con veemenza. Dal suo grembo sgorga il ‘nostro’ Grande Fiume. Non esiste una vallata che ti accompagna dolcemente al suo picco. Affrontarne la salita significa restare subito senza fiato. La scalata ciclistica del ‘Re di Pietra’ mette immediatamente alla prova la tenacia dei ragazzi, che dopo 600 km sulle gambe, inanellati in soli due giorni, devono aggredire una pendenza continuamente crescente da Saluzzo fino al Pian della Regina. Di fronte a loro infine una sbarra, sette gradi sotto zero e un fondo stradale in ombra, perciò ghiacciato. Il saggio Luca Agosti fa desistere il gruppo, intenzionato a spingersi fino al Pian del Re dove il Po, timido, zampilla. L’abbigliamento inadeguato, la temperatura molto rigida e il tramonto imminente avrebbero reso la discesa pericolosa, dato il manto stradale poco visibile e scivoloso.
Termina così nel pomeriggio del 29 dicembre l’impresa ciclistica ‘Un Po d’Acqua’, iniziata alle 4:00 del nebbioso e umido mattino del 27 dicembre presso il Faro di Goro, per un totale di 645 chilometri in soli tre giorni e un dislivello positivo di 2909 metri. Emozionati e accaldati dopo un girar delle gambe mozzafiato, i nostri eroi si dissetano finalmente alla sorgente. Poi, attratti dal tepore della ‘Baita della Polenta’ non esitano a brindare con un bruciante ‘bombardino’ che, come dice uno dei protagonisti del giro, Matteo Filippi, in una delle sue rime, “non è durato un attimino”.

L’idea di risalire il Po in bici s’innesta nel challenge ‘Festive500’ lanciato dal noto marchio di abbigliamento ciclistico Rapha, così intitolato poiché da qualche anno richiede a partecipanti di tutto il mondo di percorrere almeno 500 chilometri tra Natale e Capodanno, registrandoli attraverso l’applicazione Strava.
“’Un Po d’acqua’ è nata dal desiderio di andare sempre oltre”, afferma Luca Sivieri, artefice dell’impresa nonché causa del ritardo alla partenza, a causa di una simpatica caduta presso il Ponte di Barche di Gorino che -in tutti sensi- ha immediatamente rotto il ghiaccio. Superato il momento di ilarità si ritorna in sella. Neanche il tempo di prendere velocità e arriva la prima foratura di Matteo Filippi. Il gruppo si ferma di nuovo, la temperatura è bassa, le mani gelide e i chilometri tanti e ancora tutti da percorrere. La difficoltà maggiore per tutti, il freddo, s’insinua pungente fin da subito tra la pelle e l’abbigliamento termico accuratamente scelto dai ragazzi per questi tre giorni di bici non-stop.
Luca Bonora parte svantaggiato, covando un’influenza che già dopo 50 km non esita a sbocciare. Un the caldo e un cornetto, denti stretti e via verso Mantova, dove però la febbre inizia a manifestarsi, costringendo questa volta Luca a gettare la spugna. “Se sono riuscito a fare 150 chilometri in condizioni di salute precaria, sarei riuscito a portare a termine l’impresa se fossi stato in perfetta forma”. Sottoporre corpo e mente a uno sforzo così grande e concentrato richiede non solo un’adeguata preparazione fisica ma soprattutto un grosso lavoro mentale.
A questo proposito risulta appropriato rievocare l’antichità: i latini solevano indicare con il verbo “resalio” il tentativo di risalita sulle imbarcazioni rovesciate dalle intemperie. Da qui deriva il termine resilienza, ossia la capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi. Qualche giorno fa ho incontrato i ragazzi al bar Ariosto a Ferrara e ciò che ho percepito nel fluire delle loro parole è stata proprio questa abilità intrinseca di esporsi impavidamente alle difficoltà, di resistere allo stress, di risalire in bicicletta nonostante gli imprevisti e di trasformare gli ostacoli in opportunità. Attraverso le occhiaie di Enrico Canella ho inaspettatamente scoperto che anche le poche ore di sonno sono state una dura prova per qualcuno. Per non parlare del labbro superiore congelato di Simone Dovigo, che è stata invece la testimonianza visibile del logorante freddo sofferto, tanto da impedirne un’agevole parlata.

Foto di Fabio Carlini [clicca sulle immagini per ingrandire]

“Sono successe così tante cose”, dice Enrico Canella, “che sembra di essere stati in bici più di una settimana”. Quando pedali per così tante ore, accompagnato dall’essenziale, ossia vestiario di ricambio, qualche camera d’aria di scorta e un paio di barrette energetiche d’emergenza, scegli consapevolmente di esporti ‘nudo’ alle asperità, ritrovandoti per ore e ore a fare i conti con la fatica, con i dolori dettati da una posizione che non si può modificare, con i muscoli che l’umidità e il freddo atrofizzano. Il rovescio della medaglia è dato dalla forza che si sprigiona in un gruppo eterogeneo, mano a mano che le ruote sfiorano l’asfalto lasciandoselo alle spalle. “I momenti più belli sono stati tutte le volte che ci siamo aiutati”, afferma gioiosamente Matteo Filippi, che ha subito ben tre forature in tre giorni. Potrà sembrare incredibile a chi non si è mai cimentato in queste avventure, eppure un viaggio così breve può far scuola di vita. “Ho imparato a rispettare i miei limiti, per aver rispetto di me stessa e quindi anche del gruppo“, afferma con grande consapevolezza Erika Tebaldi, unica donna del team. In situazioni estreme come questa, in cui l’obiettivo comune è manifesto, individualità dissimili interagiscono come un meraviglioso meccanismo. Si creano dei ruoli che vengono incessantemente rimescolati come carte in un mazzo.
“Ho appreso che abbiamo delle capacità nascoste e una forza interiore che non aspetta altro che esplodere; ognuno di noi deve semplicemente capire che la vicinanza di altre persone potrebbe essere d’aiuto in questo processo di crescita individuale”. Queste le parole di Ermes Esposito, conduttore radiofonico nonché autore freelance, unitosi al gruppo pur se manchevole di esperienza: “La cosa più difficile è stata tenere testa ai ragazzi, ritrovandomi a volte a pedalare senza l’aiuto della scia. Devo ammettere però che mi ha temprato!”. Ermes non ha resistito al desiderio di portare con sé, in questo viaggio travagliato, un libro dal titolo “Il monaco che vendette la sua Ferrari”, in copertina l’immagine di una vetta rassomigliante alla cima del ‘Re di Pietra’. Credeva di poterne leggere qualche rigo qua e là prima di addormentarsi; non immaginava che il suo primissimo desiderio dopo così tanta strada sarebbe stato invece quello di rifocillarsi e coricarsi. Alcune parole di quel testo di R. S. Sharma sono un prezioso monito per il compagno di viaggio Luca Bonora, fermato dall’influenza: “Nella vita non ci sono errori, solo lezioni. Non esiste qualcosa che si possa chiamare esperienza negativa, ma occasioni per crescere, imparare e procedere lungo la strada del dominio di sé. E’ attraverso la lotta che diventiamo forti. Anche il dolore può essere un meraviglioso maestro”. Ecco come lo sport diventa metafora di vita.
Una presenza singolare è stata quella del torinese Riccardo Volpe, moderatore di fixedforum.it, il portale italiano delle bici a scatto fisso e del ciclismo urbano. “Curioso per natura e folle amante del ciclismo”, come egli stesso si definisce, si aggrega all’equipaggio proprio nel momento più critico e appagante insieme: l’ascesa del Monviso, che si erge immenso sulla pianura circostante. Per rispetto e solidarietà nei confronti dell’affaticata crew, Riccardo affronta solo la parte iniziale della scalata ciclistica verso la sorgente. Affronta il percorso a cavallo di una bicicletta a scatto fisso, ossia caratterizzata da un unico rapporto e un solo freno, lasciando totale responsabilità alla forza delle sue gambe e immedesimandosi quindi nello stato mentale alterato che stavano vivendo i ragazzi, i cui chilometri pedalati nei giorni precedenti pesavano come macigni. “Ho deciso di non far con loro gli ultimi 4km che li separa dalla sorgente” dice Riccardo, “non sarebbe stato corretto. Quello era il loro piccolo grande sogno che si compiva, io sono stato un osservatore privilegiato e un pedalatore ammirato nel vedere come da una semplice idea nascano così grandi emozioni”.
Fabio Carlini, il temperato del gruppo, non resiste allo scatto fotografico fermandosi a più riprese. Mano a mano che la strada sale, le nuvole si dissolvono e il crinale imponente si manifesta nell’aria rarefatta. L’atmosfera sublime e la rosea tonalità del cielo fa brillare gli occhi commossi dei ragazzi, che ora distolgono lo sguardo dall’asfalto. La maestosa bellezza in cui sono integralmente immersi rievoca quella motivazione che il freddo aveva congelato e li spinge contenti fino al Pian della Regina.

E’ nel titolo di un testo di Pietro Trabucchi che il puzzle si compie, unendo i frammenti di viaggio di questi piccoli grandi eroi raccontati sino ad ora: “Resisto dunque sono”. In queste parole regna quella sottile sensazione che prende possesso delle membra stanche e della mente esausta quando, una volta raggiunta la meta prefissata, ci si ferma ad ascoltare le ripercussioni dell’immane sforzo danzanti dentro di sé e ci si sente vivi. Più vivi che mai.
Tra una pizza e l’altra il gruppo ha intavolato qualche progetto possibile per la prossima ‘Festive500’. Fabio Carlini ha proposto un Ferrara-Zagabria con finale caldo e rigenerante. Si è parlato inoltre di un ipotetico giro delle Tre Venezie, fino al suggerimento ambizioso di Matteo Filippi di raggiungere Babbo Natale a Rovaniemi in Lapponia. “La birra sul Monviso non mi ha irriso” dice Matteo, perciò perché non provarci?

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