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Giorno: 16 Gennaio 2017

Carife, l’altare e la polvere: anatomia di un crac

di Alice Ferraresi

Cassa di Risparmio di Ferrara è viva e lotta insieme a noi, proprio mentre va ad estinguersi e si trasforma in un’altra cosa, che non sarà più la Cassa di Risparmio di Ferrara.
Vive a dispetto di tutto, come un’anguilla che ha ricevuto colpi alla testa, alla coda ma che continua a dibattersi in un impeto di vitalità quasi automatica. E’ curioso e teatralmente drammatico il meccanismo che la farà vivere il tempo necessario per diventare un’altra cosa (Bper, si dice). Più di un terzo dei dipendenti accetta di licenziarsi (con un incentivo) per consentire agli altri di tenere in piedi il proprio lavoro e la banca, tuttora in pesante squilibrio costi-ricavi.
Non sono bastati 350 uscite in tre anni e venti giorni di solidarietà non pagata a testa per riportare la banca in equilibrio. Non sono bastati perché in questi tre anni la banca ha perso volumi e clienti in misura più che proporzionale, vittima di una impressionante serie di mazzate che fanno pensare ad una nemesi: i privilegiati capetti di centocinquantanni di sistema autoreferenziale e, da un certo punto in poi, smodatamente ambizioso travolti da una specie di cataclisma biblico.

I germi della caduta sono, come spesso accade, annidati dentro l’acme dell’ascesa, situato tra il 2006 ed il 2008. E’ questo il momento in cui l’espansionismo estense non più prudente né temperante, incentrato sull’attivismo del direttore padrone Gennaro Murolo, lasciato libero di fare dal suo presidente Santini e dall’allora direttore di Bankitalia Fazio, raggiunge il suo massimo livello. Dopo aver acquistato una società di leasing napoletana, una banca locale romana, una veronese, una romagnola ed una modenese, Murolo decide di impiegare una parte consistente della nuova raccolta per alcune spregiudicate operazioni, delle quali la più nota è quella degli investimenti immobiliari milanesi Miluce e Santamonica; operazione attuata sia attraverso l’acquisto a prezzi supervalutati di terreni dai fratelli Siano, sia attraverso il finanziamento bancario ai fondi immobiliari veicolo delle iniziative. Totale circa 140 milioni che non rientrano. Altri 80 milioni non rientrano da Acqua Marcia Immobiliare del dominus Francesco Bellavista Caltagirone, ora in concordato. Due operazioni due, che per importo potevano essere sostenute da Unicredit, Intesa, Banco Popolare. Non è una consolazione avere prestato male i soldi in pool con banche più grandi: quelle sopravviveranno al rovescio, Carife entra in sofferenza profonda.

Sono Murolo e i suoi sodali i primi responsabili delle disgrazie della banca: dei dipendenti e dei risparmiatori, in primis. Del territorio, in secundis – anche se oggi pare scongiurato, per un soffio, il rischio di chiusura, che si sarebbe portato dentro il fosso una parte consistente dell’economia locale, già ferita dal terremoto, dalla crisi e dalla fine delle erogazioni della Fondazione; economia che vive ancora in buona parte a debito della Cassa.
La Banca viene obbligata da Bankitalia a fare un aumento di capitale di 150 milioni, che si concretizza miracolosamente nel 2012. Migliaia di ferraresi ci credono ancora e comprano le azioni – la Fondazione, senza un euro, non ci mette niente ma non molla la presa; rimane padrona della maggioranza relativa, e nessun direttore generale ha il mandato libero di vendere la banca o di fare entrare partner industriali per rafforzarne il patrimonio. E’ qui che inizia la nemesi.

Qualcuno decide di vendicarsi. Di cosa? Probabilmente di prebende non più percepite, di privilegi perduti. Questo, almeno, sembra da fuori, vedendo cosa succede alla Cassa dopo l’aumento di capitale. Senza che sia successo nulla di ulteriore, la banca con 150 milioni di più in forziere viene commissariata da Bankitalia. Una decisione che si poteva comprendere prima dell’aumento di capitale, incomprensibile e sospetta dopo, visto che una delle causali è “gravi perdite patrimoniali”; una beffa per i cittadini che vedono il valore dell’investimento azzerato.

La gestione commissariale fa cadere la sua mannaia sui crediti inesigibili, svalutandoli al 65%; e sui costi fissi, in particolare del personale, che in sostanza paga con le sue tasche l’esodo anticipato dei colleghi più vicini alla pensione. Ma non basta, non basta mai. L’emorragia dei depositi ed il conseguente taglio dei crediti asciugano i volumi della Cassa sino ad essiccarla; nessuna riduzione di costi, per quanto ingente, riesce a correre dietro a questa emorragia, dovuta alla caduta di fiducia ed alla paura della clientela.
L’altro dramma decisivo si dipana tra luglio e novembre 2015. In luglio, dopo l’ennesimo sofferto accordo coi sindacati, Bankitalia si presenta in assemblea degli azionisti proponendo: aumento di capitale finanziato dal Fondo Interbancario, un riconoscimento di valore minimo agli azionisti, una prospettiva, per quanto lunga e faticosa, di ripartenza della banca. Da lì a novembre un rincorrersi di voci su divieti, veri o presunti, all’operazione da parte dell’Unione Europea; fatto sta che i soldi del Fondo non arrivano, la clientela ricomincia ad insospettirsi, e riparte l’emorragia di depositi.
Il capolavoro arriva il 22 novembre 2015. Durante una furtiva riunione ministeriale di domenica pomeriggio, il Governo, imboccato dalla Vigilanza, decide di sottoporre a risoluzione (in sostanza, di fare fallire “dolcemente”), Carife ed altre tre banche locali (Etruria, Marche e Chieti) per problemi di liquidità che ne compromettono il regolare funzionamento nelle condizioni normali (grazie al piffero, verrebbe da dire…). Governo e Bankit ci dormono sopra per mesi, lasciano uscire i depositi e poi prendono atto che “c’è un problema di liquidità”. E quindi operano, tagliano come chirurghi: innesto di capitale di funzionamento ma vincolato ad una svalutazione draconiana dei crediti inesigibili (per Carife all’86%, una svalutazione che applicata al sistema farebbe entrare in crisi immediata di capitale la metà delle banche), che obbliga ad un taglio parziale dei debiti verso i clienti: le obbligazioni subordinate, acquistate dagli stessi tra il 2007 e il 2009 ma, soprattutto, mai potute riacquistare dalla Cassa, perché Bankit non risponde mai alla richiesta di Carife – in sostanza, non autorizza il riacquisto.
La battuta viene facile: l’operazione è perfettamente riuscita, il paziente è morto. A questo punto viene creato un piccolo “mostro” che nasce in pubblicità con le ali di una cicogna, ma che viene percepito dai risparmiatori espropriati con le grinfie della gazza (ladra). E deve essere venduto entro qualche mese: qualunque persona dotata di elementare buon senso capisce subito che la “trattativa” è completamente nelle mani di chi sarà chiamato, per amore o per forza, a comprare e quindi potrà dettare tutte le condizioni, e quando vorrà, a costo di giocarsi dipendenti e clienti in cambio di un’acquisizione gratuita di rete commerciale e territorio di riferimento.

Questa triste storia sta per avere il suo epilogo, drammatico ma non tragico – c’è comunque una bella differenza – grazie a sindacati fin troppo responsabili (ma comunque senza alternative) ed al senso civico di una parte dei dipendenti; l’uscita dalla banca la pagheranno (pur incassando una cifra apprezzabile) soprattutto le donne con figli. C’è da sperare che non sia l’atto di chiusura tombale, almeno per un paio di lustri, della prospettiva di una rinascita economica per la provincia più povera della Regione.

What is this shit?

In questi giorni di bordello peso, giorni in cui il nostro povero Marchionne è nell’occhio del ciclone, la Volkswagen se ne esce con una di quelle piazzate che mi fanno pensare al celebre, proverbiale, senso dell’umorismo teutonico.
Ma vediamo con calma.
Forse non c’ho capito molto ma pare che la FCA/Fiat-Chrysler a.k.a. Marchionne abbia fatto un gran casino con i dati delle emissioni inquinanti di qualche SUV.
L’accusa è partita dagli americani – hahahahahaha – quelli che girano con delle macchine da 100.000 di cilindrata.
Ma va benissimo.
Se il nostro marpionne ha fatto del casino con i dati delle emissioni di qualche SUV io ci posso anche credere.
Magari questa volta lo asportano.
Multa o non multa da 4,6 miliardi di non so cosa.
Il nostro eroe si è premurato di far sapere al mondo che quest’eventualità “lo disturba molto”.
E nel frattempo c’è già chi parla di giochetti fra l’amministrazione Obama in uscita e l’amministrazione Trump in entrata.
Boh.
Marchionne fa sapere che Fiat-Chrysler comunque “non è come Volkswagen”.
Io non lo so.
E di sicuro non crederò mai a Marchionne e/o alla Volkswagen.
L’unica cosa certa – per ora – è che la Volkswagen ha presentato al salone di Detroit un nuovo modello del caro vecchio pulmino hippie.
Questo coso sarà completamente elettrico, avrà quel dispositivo per la guida automatica ma soprattutto: uscirà nel 2020.
Quindi come dice il proverbio: it’s a long way to the top.
L’altra cosa certa è che quel coso non sembra neanche lontanamente il bellissimo pulmino hippie.
Sembra la Renault Espace da corsa di vent’anni fa.
Insomma, se posso dire la mia fa schifo.
Sembra fatto di Lego Technic.
Mi chiedo perché non si sono limitati a rifarlo identico esteriormente ma con tutte queste migliorie interne.
Sarò un sempliciotto io ma ci sono delle cose talmente – scusate l’aggettivo orrendo – “iconiche” che non necessitano di – scusate quest’altro obbrobrio – restyling.
Ci sono degli oggetti che sono oggettivamente eterni, almeno a livello di design.
Penso ad esempio alla bottiglia della Coca-Cola, alle All Star, alla Fender Stratocaster, alle Polo del sig. Fred Perry, alle Desert Boot della Clarks e appunto, al minivan da hippie marzone della VW.
Insomma, quelle cose di cui si dice “è un classico”.
Di nuovo, da sempliciotto, mi chiedo se una riedizione-copia-pari-pari-identica del vecchio VW da hippie possa vendere anche di più di questo coso qua nuovo, vista questa febbre del vintage che non cala mai.
Queste cose proprio non le capisco.
Sarò anche estremo io che mi ostino a suonare la Fender Jaguar, il più grande progetto ma anche il più grande fallimento della Fender di sempre, la chitarra più ingestibile della storia.
Ha almeno 3 tipi di suoni puliti, ha i puliti più belli del mondo ma fischia come una pazza quando vuole lei e appena la compri devi farle fare almeno 3 modifiche per tentare di arginare tutto ‘sto bordello.
Poi ok, la Fender aveva anche smesso di farla ma quando l’ha fatta tornare in produzione è tornata in produzione identica.
Quindi mi va anche bene se passo per una specie di pazzo estremista luddista del design.
Ma qualcuno è più pazzo di me.
Ho solo 30 anni e non ho mai visto un’epoca che sputa con così tanta convinzione sul concetto di classicità.
Sembra che ci si diverta solo se una roba fa schifo da subito, una rinuncia totale al concetto di classico.
Forse è tutto legato a quest’uso criminoso dell’aggettivo “vecchio”, non si lascia più a niente il tempo di invecchiare più o meno con decoro tranne forse al vino.
Ma vabbè, adesso ho già paura di svegliarmi domattina e scoprire che qualcuno si è inventato ‘sta cosa che sì, forse il vino è meglio se non invecchia.

video: Groovin’ (The Young Rascals, 1967)

La civiltà del risentimento…

di Lorenzo Bissi

Io quando leggo Friedrich Nietzsche trovo ragione di esistere, di dire il mio grande sì alla vita. Le sue affermazioni sono tuttora pervase di bruciante attualità, e la sua personalità, il suo linguaggio violento (non compreso quando era in vita, e addirittura frainteso dopo la sua morte) sono di tale esuberanza da trasmettere una vitalità, un’energia, una potenza che difficilmente si prova davanti ad un libro.
In questo estratto critica apertamente una civiltà alla cui base sta il risentimento, la società (purtroppo oggi imperante) del “io non ho combinato niente nella vita, ma mi basta che il mio vicino abbia combinato meno di me”. Non è questo l’atteggiamento che porta al miglioramento della specie, ma solo all’autodistruzione di questa; e allora ben venga il timore, la paura di non essere all’altezza del proprio avversario, poiché solo così si può superare la mediocrità, il nulla in cui lentamente sta sprofondando l’umanità.
E per essere leggeri, davanti ad affermazioni così grandi: non si provi la paura di mettersi in gioco, perché agire è l’unico modo per un uomo di lasciare un segno, di vivere…
Buona settimana!

“E non è forse questa la nostra fatalità? Che cosa determina, oggi, la nostra ripugnanza per “l’uomo”? – poiché è dell’uomo che noi soffriamo, non v’è dubbio. – Non il timore, ma piuttosto il fatto che non c’è più nulla da temere nell’uomo.”
Friedrich Nietzsche

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la settimana…

Nella società del superfluo e del profitto, nutrire la mente può salvare l’anima… W il Liceo Classico!

di Lorenzo Bissi

Il Liceo Classico per alcuni rischia di morire. Le iscrizioni sono in costante calo perché attorno a questo indirizzo aleggia un terribile spettro che spaventa quasi tutti i ragazzi di terza media, che non vogliono iscriversi ad una scuola vecchia e che non serve a niente (a detta di molti). Come fare per evitare tutto ciò? Uno dei professori di greco e latino del liceo “Gulli e Pennisi” di Acireale (CT) ha pensato che sarebbe stato utile alla causa la realizzazione di una serata annuale per promuovere la conoscenza di questo indirizzo in modo anticonvenzionale: sarebbero stati i ragazzi, attraverso progetti e rappresentazioni (molte volte ironiche) ad animare una serata che è figlia di un liceo tutt’altro che morto o in via di estinzione.
Venerdì 13 gennaio 2017 il Liceo Ariosto ha aperto le porte alla cittadinanza, intrattenendola con spettacoli a tema classico: c’era chi ha rappresentato Cicerone, difensore delle istituzioni scolastiche, sventare una ribellione studentesca guidata dallo sporco e doppiogiochista Catilina, chi ha animato il dipinto della Scuola filosofica di Atene di Raffaello Sanzio, spiegando le dottrine dei pensatori sinteticamente ed in modo divulgativo, chi ha rappresentato l’Olimpo’s got Talent e chi La Notte degli Oscar, premiando, secondo il loro parere, le migliori opere scritte nell’antichità; ciliegina sulla torta è stata la reinterpretazione del RischiaTutto in chiave classica. Una serata davvero gradevole, accompagnata da intervalli musicali, cibo a tema greco e latino e mostre fotografiche, tutto preparato dai ragazzi.
Se il Liceo Classico servisse solo a questo, varrebbe comunque la pena averlo, per passare almeno una serata delle trecentosessantacinque immersi nel passato.