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Giorno: 17 Febbraio 2017

movimento5stelle

“Chi mente?” Il Movimento 5 Stelle di Codigoro sul caso ‘Adinolfigate’

Da Movimento 5 Stelle Codigoro

Questa settimana con un post di poche righe il Partito Democratico di Codigoro ci ha accusati di essere i poteri forti inclini a indirizzare la stampa; veniamo ai fatti. Il giorno 9 febbraio è stato pubblicato un articolo sul Resto del Carlino nel quale si sosteneva il coinvolgimento dell’Amministrazione Comunale nell’organizzazione dell’evento che avrebbe coinvolto il Deputato, co-fondatore del PD, Adinolfi presso il centro Salesiani di Codigoro. Incontro organizzato assieme ad altri per affrontare le problematiche giovanili dopo i gravi fatti che hanno coinvolto la nostra comunità. Lo stesso giorno tramite facebook l’Amministrazione ha pubblicato un comunicato stampa nel quale si afferma non solo l’estraneità all’organizzazione dell’evento ma si dichiara di non esserne a conoscenza. Nello stesso comunicato si chiede la smentita al direttore del Resto del Carlino e al Direttore ella Nuova Ferrara nonché a giornali online. Il giorno seguente sul quotidiano la Nuova Ferrara appare un articolo che coinvolge l’amministrazione nell’organizzare l’evento ma nessuna smentita. Infine su estense.com le dichiarazione del parroco sono chiare “Il Sindaco sapeva” Chi mente? Chiediamo anche al PD locale quale è stato il nostro operato in questa vicenda. Troviamo questo atteggiamento davvero irrispettoso soprattutto perché il post formato PD Codigoro lancia delle accuse e delle illazioni completamente assurde e chiediamo alle altre forze politiche appartenenti alla lista civica mascherata Unione per Codigoro se condividono o meno il contenuto di quel post. In base alle posizioni che verranno prese ci riserviamo di operare tutte le azioni ispettive politiche ed istituzionali per venire a capo della vicenda.

Pesca. Giornata di mobilitazione delle marinerie dell’Emilia-Romagna, l’assessore Caselli: “La Regione condivide pienamente le preoccupazioni, servono risposte concrete per superare la crisi in atto e favorire lo sviluppo delle nostre marinerie”

Da ufficio stampa

Negli ultimi 15 anni la flotta da pesca dell’Emilia-Romagna ha subito una diminuzione di circa il 30%. Nello stesso periodo, anche il pescato ha visto un forte decremento di circa il 40%. L’assessore: “Anche per la cattura del tonno rosso è necessario un cambio di passo”

Bologna – Un disagio, quello espresso dagli operatori, “del tutto comprensibile, alla luce della difficile situazione con cui deve fare i conti il comparto, sia nazionale sia quello che opera nell’area del Distretto di pesca Nord Adriatico”. Per questo, “la Regione condivide pienamente le preoccupazioni che sono alla base della giornata di mobilitazione indetta dalle marinerie dell’Emilia-Romagna”. Così Simona Caselli, assessore regionale all’Agricoltura, caccia e pesca, commenta l’iniziativa in corso oggi, venerdì 17 febbraio, organizzata dalle imprese del settore della pesca e dell’acquacoltura per manifestare il disagio che stanno vivendo.

Secondo i dati forniti dall’Osservatorio socio-economico della Pesca e dell’Acquacoltura del Distretto di Pesca Nord Adriatico, negli ultimi 15 anni la flotta da pesca dell’Emilia-Romagna, per numero di barche, stazza e motore, ha subito una diminuzione di circa il 30%. Nello stesso periodo anche il pescato ha visto un forte decremento di circa il 40%.

L’Emilia-Romagna, in accordo con le altre Regioni che fanno parte del Distretto, “è quindi favorevole al ripristino, sperimentando eventualmente nuove modalità organizzative, della Commissione consultiva centrale della Pesca e del Mare: rappresentava infatti un’importante sede di confronto e di proposta tra i diversi livelli istituzionali e i rappresentanti dei produttori”.Anche per le catture del tonno rosso, aggiunge l’assessore, “è necessario un cambio di passo”. Dopo tanti anni di regime di quote – sia di quelle calcolate e distribuite inizialmente, sia di quelle aggiuntive, legate all’aumento della numerosità – “credo occorra rivedere il sistema, confrontandosi con una situazione del nostro mare sostanzialmente diversa da quella che ha portato all’introduzione degli attuali criteri di limitazione”.

Per il 2017 le quote aggiuntive sono circa 600 tonnellate, pari al 20% in più rispetto alla quota precedente di 2.752 tonnellate; “in vista del prossimo triennio- prosegue Caselli- è comunque assolutamente necessario rivedere l’attuale distribuzione. L’attuale rafforzamento della specie lascia intravvedere infatti una nuova realtà, in cui il tonno, in veste di predatore, diventa competitore del pescatore nella cattura di altre specie; per questo occorre suddividere, in futuro, le quote aggiuntive assegnate annualmente tra coloro che oggi ne sono esclusi, con particolare attenzione alla pesca artigianale. Quest’incremento della quota dovrebbe anche essere utilizzato per coprire le catture accidentali, che fino ad ora hanno determinato sanzioni sproporzionate”.

Sulla questione delle sanzioni amministrative la Regione ritiene utile un serio approfondimento, poiché l’entità delle stesse, stabilita per contrastare fenomeni gravi come l’abusivismo, va ad impattare anche nei confronti di pescatori che incorrono in infrazioni, anche involontarie e spesso di lieve portata, con conseguenze che possono essere eccessive.

Di fronte all’importanza e all’urgenza delle tematiche sollevate, “la Regione Emilia- Romagna- conclude Caselli- è comunque disponibile a lavorare per sviluppare ulteriore la concertazione a livello sovraregionale – e quindi a livello di Distretto di pesca – e nazionale, con un obiettivo preciso: fornire risposte concrete alle marinerie che oggi stanno lottando per superare la gravissima crisi in atto”.

Alan Fabbri (Ln): “Casa della Salute di Copparo, disservizi e disagi. Sono sintomi di ridimensionamento?”

Da ufficio stampa Lega Nord emilia-Romagna

“La Casa della Salute di Copparo è stata definita dall’Ausl come una delle più importanti e riuscite azioni del Programma di riorganizzazione triennale della sanità ferrarese. Eppure i disservizi si moltiplicano, tanto da interessare una televisione nazionale: ultimo esempio la macchina del ticket che non funziona, costringendo i cittadini a un secondo viaggio per effettuare il pagamento. Sono sintomi di un futuro ridimensionamento?”
E’ il capogruppo della Lega Nord regionale Alan Fabbri a denunciare una situazione ancor più critica se si considera che la Casa della Salute ‘Terra e Fiumi’ è una delle più ricche dell’Emilia Romagna, con la presenza al suo interno di tutte le articolazioni territoriali: Dipartimento di Cure Primarie, Dipartimento di Sanità Pubblica e Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche. Inoltre, come segnala Fabbri nella sua interrogazione, sono presenti l’Assp e le Associazioni del territorio.
Considerando quanto sarebbe grave una riduzione dell’offerta di servizi da parte della struttura di Copparo, Fabbri chiede alla Giunta Bonaccini “di attivarsi presso l’Ausl di Ferrara per risolvere i recenti disservizi riscontrati e scongiurare un possibile ridimensionamento”. In modo che sia davvero, come proclamato, uno dei fiori all’occhiello della sanità estense.

Il Carnevale Rinascimentale di Ferrara porta in scena il Negromante

Da organizzatori

Sabato 18 febbraio 2017 alle 16.00, in anteprima, nel Museo Archeologico, la commedia teatrale di Ludovico Ariosto. In piazza Trento e Trieste, Danze Rinascimentali e il Villaggio di Carnevale.
L’avvincente storia del “Negromante” di Ludovico Ariosto va in scena sabato 18 febbraio 2017, alle ore 16.00, negli spazi del Museo Archeologico in Via XX Settembre 122, nell’ambito degli eventi che anticipano il Carnevale Rinascimentale di Ferrara (dal 23 al 26 febbraio). Una commedia teatrale in 5 atti, per la regia di Roberto Cascio, con musiche di scena eseguite con copie di strumenti originali dalla Cappella Musicale di San Giacomo Maggiore di Bologna, a cura di Teatro Antico e Cambonino, nel Museo Archeologico ospitato nel piano nobile di Palazzo Costabili detto di Ludovico il Moro, dove si apre un ampio salone affrescato con carte geografiche e dove sono custoditi reperti antichi della città etrusca di Spina. Per l’ingresso, è previsto il costo ridotto al Museo pari a 3 euro e si può prenotare. Sempre sabato 18 febbraio, alle 10.00 e poi alle 16.00, in piazza Trento e Trieste la Compagnia del Saltarello coinvolge gli spettatori in Danze Rinascimentali. Resta aperto fino a domenica 19 febbraio, per poi riaprire dal 23 al 26, il Villaggio di Carnevale in Piazza Trento Trieste.
Per scoprire tutti gli eventi www.carnevalerinascimentale.eu e per prenotare le attività e le proposte di soggiorno, c’è il sito del Consorzio Visit Ferrara: https://www.visitferrara.eu/it/eventi/carnevale-rinascimentale-2017
Per informazioni e prenotazioni: Consorzio Visit Ferrara
Via Borgo dei Leoni 11, Ferrara (FE)
Tel. 0532 783944, 340 7423984
E – mail: assistenza@visitferrara.eu
Sito web: www.visitferrara.eu

Cena a Corte nel Carnevale Rinascimentale

  • Da organizzatori

    Hai mai sognato di vivere la magia di una cena in costume in uno splendido castello?
    Noi ti offriamo di trasformare il tuo sogno in realtà attraverso la festa-evento “Cena a Corte nel Carnevale Rinascimentale”.
    Evento unico ed imperdibile, all’interno della splendida cornice del Castello Estense di Ferrara, che sarà allietato da intermezzi di danza, teatrali, facezie, giocolerie, e dimostrazioni dell’arte del duellar e maneggiar il fuoco.
    L’ambientazione nell’antica Ferrara della Corte Estense, getta un ponte ideale tra passato e presente.
    Si potrà così tornare al tempo della Corte Estense, con i suoi fasti, alla sua vita cortigiana e cavalleresca.
    La cena a corte si terrà il 25 Febbraio all’interno del carnevale rinascimentale, a cui si aggiunge anche il Gran Ballo che seguirà alla cena rinascimentale, con dimostrazioni di danza rinascimentale che prevedono il coinvolgimento dei commensali.
    La domenica 26 Febbraio si terrà il pranzo alla locanda dove si potrà assaporare l’atmosfera delle locande rinascimentali luogo d’incontro, di dame cavalieri,contadini gente comune.
    Il menu’ delle due giornate è:
    Cena a Corte
    25 Febbraio 2016 ore 20:30

    Menù di ispirazione rinascimentale con attenzione ai vegetariani, che sará allietato da intermezzi di danza, teatrali, facezie, e dimostrazioni dell’arte del duellar.Durante la serata, potrete inoltre ammirare una sfilata di gioielli su ispirazione rinascimentale a cura di Vesuvio Cadeau.
    Menù Menù Vegetariano
    • Frutta e frutta secca
    • Carousel di salumi e formaggi con composta di cipolle rosse
    • Vellutata di zucca agli aromi antichi
    • Cappelletti emiliani con pere cannella e Saba
    • Boccone del pellegrino
    • Pollo di mastro martino
    • Erbe di campo all’uvetta e pinoli
    • Crostata di alici
    • Dolceriso di Ludovico il Moro
    • Frutta e frutta secca
    • Caciotta e frittata con diverse herbuccie
    • Vellutata di zucca agli aromi antichi
    • Polpette di melanzane alla crema di mele cotogne
    • Boccone del pellegrino
    • Sformato di zucca alla cannella e Saba
    • Erbe di campo all’uvetta e pinoli
    • Torta di Messisbugo
    • Dolceriso di Ludovico il Moro
    Locanda Rinascimentale
    26 Febbraio 2016 ore 13:00
    Menù Menù Vegetariano
    • Zuppa di orzo perlato con ceci e cavolo
    • Pollo alle arance amare
    • Cipolline in agrodolce e chiodi di garofano
    • Diriola (dolce)
    • Zuppa di orzo con ceci e cavolo
    • Palline di riso alle erbe e aneto
    • Cipolline in agrodolce e chiodi di garofano
    • Diriola (torta)

    Vi aspettiamo numerosi per rivivere insieme due momenti indimenticabili della cultura e vita rinascimentale.

    Potete trovare tutte le indicazioni alla pagina:
     per  il COSTO e la procedura di prenotazione alla pagina
    Per informazioni telefonare al 347 0827128

Cena quindi spettacolo come nella migliore tradizione della Corte Estense, come si può vedere dalle foto allegate.

La cena ideata da Adelaide Vicentini organizzata dalla Contrada San Paolo che da sempre ha creduto nella valenza del Carnevale Rinascimentale.

Musica e solidarietà – Giovedì 23 febbraio alle 21. E alle 19.45 appuntamento a tavola. Iniziativa dell’Accademia musicale Don Gregorio

Da organizzatori

“Jazz e filosofia – Sambe pro terremotati”, tanta buona musica al teatro di San Benedetto.
Appuntamento giovedì 23 febbraio alle 21 al cinema teatro di San Benedetto (via Don Enrico Tazzoli 11) all’insegna della buona musica, cucina tipica del centro Italia e solidarietà. Sergio Rossoni e l’Accademia musicale Don Gregorio propongono infatti a tutti gli interessati una serata dal titolo “Jazz e filosofia – Sambe pro terremotati (la speranza come possibilità al di sopra della realtà)” il cui ricavato a offerta libera andrà a favore delle popolazioni terremotate del centro Italia. L’iniziativa si avvale del patrocinio di Amministrazione comunale di Ferrara, La nuova Ferrara, Conservatorio G. Frescobaldi e Associazione Lilt.
Sul palco del teatro (alle 21) si esibiranno in concerto importanti nomi del panorama musicale cittadino e non solo, impegnati in performance singole o di gruppo. Hanno aderito al progetto i musicisti Roberto Formignami, Roberto Poltronieri, Massimo Mantovani, Lele Barbieri, Ares Tavolazzi, Antonio Cavicchi, Roberto Manuzzi, Guido Foddis, Teo Ciavarella, Look the groove trio, Sergio Rossoni, Valentina Piccinini, Alex Mari, Stefano Melloni, Renato Fregna, Christian Vincenzi, Giancarlo Caleffi e Paola Baccaglini.
Il concerto sarà preceduto alle 19.45 da un appuntamento a tavola (euro 15) per una cena a base di prodotti delle zone terremotate (bucatini all’amatriciana, polenta sull’asse con spuntature e salsiccia).
Per partecipare alla cena occorre la prenotazione bar Oratorio – 0532 215904 – Angelo 346446687.

Circolo Frescobaldi – Saggio allievi con maratona musicale alla Sala della Musica domenica 19 febbraio 2017 ore 18

Da Amici della Musica

Sarà una vera maratona di canzoni il saggio musicale degli allievi che si svolgerà domenica 19 febbraio 2017 a partire dalle ore 18 alla Sala della Musica di via Boccaleone 19 Ferrara. Protagonisti saranno i giovani e giovanissimi studenti dei corsi di canto moderno della prof.ssa Alessandra Alberti e del prof. Stefano Sardi. Anche i due insegnati parteciperanno come cantanti alla maratona musicale.
Gli allievi della Alberti in pedana saranno (in ordine alfabetico) Antolini Clelia, Bergami Martina, Carrieri Valentina, De Luigi Aurora, Guidoboni Marta, Mazzotti Marina, Murello Silvia, Sogomoyan Mayya, Stella Simonetta.
Quelli di Sardi in pedana saranno Ferrara Nicolò, Guidorzi Amelia, Lotti Beatrice, Mazzotti Francesca, Micheloni Silvia, Ruiz Marmugi Lucia.
I musicisti che parteciperanno suonando dal vivo sono i chitarristi Luca Dann e Francesco Doni. La manifestazione è organizzata dal Circolo Frescobaldi e l’ingresso è a offerta libera.

World cat day, una giornata per celebrare l’amore per i gatti, compagni di vita e protagonisti della cultura mondiale

Da organizzatori

Venerati dai designers di tutto il mondo, ma anche da artisti, scrittori e poeti, da secoli popolano racconti, romanzi, film e perfino le passerelle dell’alta moda. Una vera e propria “Cat-mania” a livello globale celebrata nell’ormai celebre World Cat Day che ricorre il 17 febbraio.
Batuffoli pelosi dallo spirito libero e indipendente, i gatti hanno conquistato il cuore di milioni di persone in Italia e nel mondo, diventando sovrani indiscussi delle mura domestiche. Una passione trasversale per questi sinuosi felini, che alternano alla ricerca di coccole il desiderio di indipendenza, monitorata da Espresso Communication per la casa di gioielli Thomas Sabo. Ed è a loro che, da ormai 27 anni, è stata dedicata una giornata. Il 17 febbraio infatti si festeggia in Italia il World Cat Day, data non casuale, scelta nel 1990 attraverso un sondaggio della rivista Tuttogatto che ha eletto come mese favorito febbraio, mese dell’Acquario, ovvero degli spiriti liberi, e delle streghe, creature magiche come i gatti, mentre il 17 (1×7) ricorda le sette vite di cui questi felini godono. La stessa festa, riconosciuta in tutto il mondo, cade in giorni differenti a seconda del Paese considerato. Per esempio l’America rende omaggio gli amici baffuti l’8 agosto di ogni anno.

Ma sono i numeri a raccontare il grande amore che gli italiani nutrono per questi esemplari a quattro zampe. Uno su tre infatti condivide la propria vita con un animale domestico (33%), secondo il Rapporto Italia 2017 di Eurispes, e tra questi quasi la metà (40,8%) ospita proprio un gatto. Oltre 8 milioni di esemplari dal fascino misterioso e dallo sguardo ipnotico sono i protagonisti dei salotti, portando serenità e allegria nelle case, ma non solo. Venerati dai designers di tutto il globo, ma anche dal mondo dell’arte, del cinema e della letteratura, da secoli popolano racconti, romanzi, poesie, film e perfino le passerelle dell’alta moda. Una vera e propria Cat-mania.
I musini simpatici e buffi dei mici hanno infatti fatto capolino su borse, maglie, gonne e camicie delle più importanti maison di moda, icone must della collezione autunno inverno 2016-2017. E così i gatti diventano muse ispiratrici di intere linee d’abbigliamento che li ritraggono su morbidi maglioni, lussuose sete e regali broccati o mimetizzati sul seducente manto maculato degli abiti firmati dagli stiliti più importanti al mondo. Ma anche accessori e gioielli vengono contagiati dalla Cat-mania. Dalle cover per i cellulari fino agli sticker per decorare la casa, senza trascurare gli occhiali dalle sinuose forme feline che regalano un sensuale sguardo da diva. Persino la maison di gioielli Thomas Sabo ha dedicato a questi animali una serie di ciondoli in argento sterling 925, impreziositi da diamanti e pietre preziose. Un must irrinunciabile per tutti i cat addict.

Un amore per i gatti confermato anche dalle tendenze che fanno il giro del mondo trovando terreno fertile nel Belpaese. Un esempio è rappresentato dalla diffusione in Italia dei Neko Cafè, emblema della cultura giapponese moderna (letteralmente “Gatto Cafè”): sale da the o bistrot dove, mentre si sorseggia un cappuccino, è possibile coccolare i gatti del locale beneficiando dei vantaggi terapeutici che le fusa hanno sull’umore e sullo stress quotidiano. Ma è da quando il gatto è entrato a far parte della vita dell’uomo che gli artisti hanno cominciato ad immaginare e scrivere di lui.

Protagonista della fiaba Il gatto con gli stivali di Charles Perrault, compagno di vecchiaia di Francesco Petrarca, amico di Collodi, Umberto Eco e Giovanni Pascoli, che gli dedica un sonetto “La Gatta”, protagonista del poema in versi Gattomachia di Lope de Vega e raccontato nei versi di Baudelaire e dalla penna di Shakespeare, il gatto ha sedotto personalità molto lontane, diverse per età, professione e cultura grazie alla sua personalità enigmatica ed indecifrabile e al suo spirito un po’ domestico e un po’ selvatico.

Alcuni gatti sono rimasti nella storia del cinema per i loro ruoli indimenticabili come il gatto confidente di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany del 1961 o il personaggio di Catwoman, forte, veloce e agile, nato dalla matita dei fumettisti Bob Kane e Bill Finger nel 1940. Senza dimenticare il grande Marlon Brando, spesso ritratto con i suoi gatti anche nel film Il Padrino, come pure Alain Delon che divise la scena con un micio in Crisantemi per un delitto.

>Ma è con i cartoni animati che sono diventati veri e propri personaggi cult: come non amare Stregatto, il gattone tigrato di Alice nel paese delle meraviglie, o l’intramontabile film d’animazione Gli Aristogatti, prodotto dalla Disney nel 1970. E ancora Lucifero, il gatto della matrigna di Cenerentola, Figaro, il micio di Pinocchio, Zorba, protagonista de La Gabbianella e il Gatto, le avventure di Tom e Jerry e di Titti e Gatto Silvestro che hanno accompagnato l’infanzia dei bambini di ogni generazione.

Anche la musica ha riservato moltissima attenzione ai gatti: da La gatta di Gino Paoli fino alla celebre Volevo un gatto nero presentata allo Zecchino d’Oro nel lontano 1969. È stata una gatta ad ispirare anche lacanzoneDelilah, successo dei Queen, ed il siamese Samè stato la musa di Lucifer Sam dei Pink Floyd.
Un excursus nel tempo e nei differenti ambiti culturali e sociali che racconta l’amore “sconfinato” verso questi animali simbolo, ieri come oggi, di libertà e indipendenza. Adorati nell’antico Egitto, odiati nel Medioevo e riscoperti nel Rinascimento, il gatto è oggi non solo la star del salotto ma anche un’icona griffata che popola vestiti e accessori riscuotendo un successo enorme.

Giovanni Fiorentini di UniFe al Consiglio Universitario Nazionale

Da organizzatori

Giovanni Fiorentini, ordinario di fisica nucleare e subnucleare nell’Universita’ di Ferrara, e’ stato nominato come componente del Consiglio Universitario Nazionale, in rappresentanza dei professori ordinari dell’area di Scienze fisiche. Il CUN è organo consultivo e propositivo del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Organo elettivo di rappresentanza del sistema universitario, contiene al suo interno componenti di tutte le aree scientifiche. “Spero di poter dare un qualche contributo per rimuovere gli ostacoli che paralizzano le università – dice Fiorentini – dall’eccesso di burocrazia nella vita accademica, alle carriere tormentate e tortuose dei giovani, alle difficoltà nei rapporti con gli Enti di ricerca, che vanno rafforzati e semplificati”. Nell’Università di Ferrara, il prof. Fiorentini è stato Preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Coordinatore del Dottorato in Fisica e quindi Direttore dell’Istituto di Studi Avanzati IUSS-Ferrara 1391, Nell’ambito degli Enti Pubblici di Ricerca, è stato componente del Comitato Fisica del CNR , Direttore della Sezione INFN di Ferrara e quindi Direttore dei Laboratori Nazionali di Legnaro. In ambito extra-accademico, ha presieduto il Consorzio Futuro in Ricerca, organismo di ricerca di diritto privato.

A cosa serve un gatto

di Carla Sautto Malfatto

La pancia calda di un gatto
sotto le dita, il pelo morbido
il musetto che si sfrega
nel palmo, accoccolato
sulle ginocchia
un ronfare ipnotico
– magari sul divano
di fronte al camino –
un cuscino
per la tua digestione
nelle giornate fredde
interminabili d’inverno,
in quelle gelide
dell’anima.

(Carla Sautto Malfatto–tutti i diritti riservati)

Ferrara De Produndis, ora un Vescovo filomigranti doc

Da Azione futurista Ferrara

Finisce a Ferrara l’era tumultuosa e controcorrente del vescovo ratzingeriano Luigi Negri cosi sgradito per le sue posizioni genuine cattoliche e non ad hoc con il trend politico culturale locale che scommette (sic!) sulla città estense come capitale del’accoglienza e multietnica. Il vescovado di Negri ha persino scatenato in certi frangenti veri e propri diktat istituzionali e della solita intellighenzia radical chic con tanto di metodi non Boffo ma soviet soviet di certa stampa ferrarese (e non solo) ad esempio La Nuova Ferrara diretta da tal Scansiani, raccolte firme contro Negri consegnate a Papa Bergoglio, interventi contro di scrittori noti come R. Pazzi. Praticamente solo il Resto del Carlino ha in questi anni ben interpretato il senso del vescovado di Negri, quest’ultimo nei fatti per il libero dissenso più incisivo Lui di qualsivoglia stessa opposizione o presunti intellettuali non allineati. Ora arriva non a caso un autorevolissimo nuovo vescovo, presidente della Fondazione Migrantes, operativa anche all’estero, nel bene ma soprattutto (al di là della buona indubbia fede e missione in sé del nuovo Vescovo) nel male. Segnala oltre all’ennesimo trionfo del pensiero unico, lo sbarco ulteriore a Ferrara del mito multietnico, confondendo una volta di più certa legittima per forza misericordia religiosa e comunità laica, favorendo quindi, facile prevederlo, ulteriori tentacoli del PD e affini buonisti local, senza alcun dubbio cartesiano, nonostante il degrado ben noto postmigranti in atto e esponenziale della città d’arte estense. Un vescovo insomma innocuo, dopo l’anomalia poco cattocomunista di Negri, che chiude il cerchio per Ferrara, avviata ora in-felicemente al primato di azzeramento del dissenso, una scelta pianificata quasi scientemente dal regime PD ferrarese. “Una gioia ha già dichiarato” persino il sindaco di Ferrara, consolidando il “negazionismo” migrantico, la postverità di risorse nuove umane, in flagrante mistificazione dei fatti, come dimostra il quotidiano vivente dei ferraresi in almeno mezza città ormai, con il degrado costante e l’insicurezza dilagante. Negri era un argine, se parliamo di società aperta popperiana, per la Famiglia Naturale, la sessualità darwiniana maggioritaria, l’antigenderismo e l’identità forte del messaggio originario dei Padri della Chiesa. Non che ovviamente il suo successore Perego sia un banale nemico della Chiesa, tutt’altro, ma riflettendo – molto probabilmente- le indubbie ingenuità storiche dello stesso Bergoglio (troppo incline al compromesso con certo spirito del tempo, leggi sempre pensiero unico e omologante ecc.) per quest’ultimo- il Pensiero Unico e la dissoluzione dell’identità occidentale anche a Ferrara, riassumendo e concludendo, si aprono ora letteralmente delle autostrade, con i miti pseudoprogressisti del migrantismo e del genderismo e delle minoranze (non solo giuridicamente e civilmente giustamente “tollerate” nel nobile senso voltairiano) al Potere debordante ostentato, in primo piano ulteriormente. E non ultimo, al di là ripetiamo del nuovo vescovo stesso, si delinea un grande sprint migrantico per certo Business assai poco cristiano e molto troppo politico ideologico profano, e moschee virtuali che per forza, nonostante le cronache e l’agonia dell’Europa, favoriranno l’Islam e la scristianizzazione di Ferrara e dell’Italia (e la Sicurezza…).

arte-fiera-bologna-2015-giorgia-mazzotti

Cosa succede se hai 11 anni e visiti Artefiera?

Da organizzatori

L’arte vissuta in prima persona, riducendo al minimo i filtri, esplorando i sentieri che si affacciano spontaneamente.
Questo è il metodo che gli studenti della 1E delle Scuola Dante Alighieri di Ferrara hanno deciso di adottare per andare a vedere la fiera d’arte di Bologna: erano curiosi di capire questa cosa strana di cui continuava a parlare la loro professoressa. Del resto, se ti capita di avere Maria Livia Brunelli come prof, qualche curiosità di capire da dove sia sbucata…ti viene!

Eccoli quindi questa frotta di undicenni variopinti ed entusiasti al seguito di una appassionata guida in un mondo ormai per loro mitologico.
Hanno voluto che rimanesse traccia dell’impresa filmando il tutto.
“Subito dopo che mi sono laureata ho pensato che l’arte dovesse fuggire dalla sua torre d’avorio elitaria e rifugiarsi tra la gente. Per questo ho sempre insegnato, dalle specializzazioni ai master, delle università ai licei. Per questo ho aperto una casa-galleria, dove gli sconosciuti possono suonare al campanello e appassionarsi all’arte attraverso guide esperte. Insegnare l’arte fin dalla più giovane età è un impegno massacrante, ma è l’unico modo, a mio parere, per far capire la più grande risorsa che abbiamo a disposizione, spirituale ma anche economica, ed è il nostro patrimonio. E solo lavorando per valorizzarlo e promuoverlo, tutti insieme, fin dalle scuole, può diventare anche un’opportunità occupazionale. Perché i paesi emergenti saranno sempre più alla ricerca delle radici della cultura europea, e solo investendo nel turismo culturale potremmo sfruttare questa nostra grande opportunità. Ma bisogna educare a capire i nostri tesori fin dalla scuola.

Questo video è stato interamente ideato, girato e realizzato da loro (ormai hanno competenze mediatiche di tutto rispetto); i ragazzi hanno solo commissionato e demandato ad alcuni genitori alcune parti tecniche, ma sapendo esattamente cosa chiedere. Posso solo aggiungere che sono estremamente orgogliosa del loro lavoro, e fiera della passione che sono riuscita a trasmettergli”.

Questo è il risultato delle loro gesta.

INSOLITE VISIONI
“L’appuntamento”, il cortometraggio di Gianpiero Alicchio ora su YouTube in versione integrale

Gianpiero Alicchio è il regista del cortometraggio “L’appuntamento”, interpretato, oltre che da lui stesso, da Camilla Bianchini, Stella Saccà e Manuel Ricco. Il film ha ottenuto una menzione d’onore al Festival Los Angeles Movie Awards del 2013 e ha vinto il premio per il migliore attore (assegnato allo stesso Alicchio), attribuito dall’American Movie Awards 2014.
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Il 26 aprile 2014 il film di Alicchio è stato proiettato in concorso al Chinese Theatre, nell’ambito della 14° edizione del Beverly Hills Film Festival di Los Angeles. Da quel giorno ne ha fatta tanta di strada, sino ad arrivare al 2017, quando è stato reso liberamente disponibile su YouTube in versione integrale.

Gianpiero Alicchio è nato a Bari nel 1980, si è laureato in DAMS e Comunicazione al Link Campus University di Roma. Ha frequentato corsi di recitazione, regia, produzione e sceneggiatura presso la Link Academy, con la direzione artistica di Alessandro Preziosi. Ha vinto il primo premio al RIFF 2012 di Roma con il trailer del film “Gli occhi di una vita” in qualità di attore. Ha lavorato a Parigi con i registi Jérémy Lopes e Marielle Gautier. È stato protagonista del cortometraggio “Chiara” diretto dal regista americano Drew Walkup. Nel 2013 ha diretto il suo primo cortometraggio “L’Appuntamento”. La sua formazione di attore è legata anche ai laboratori e ai corsi tenuti a Roma da Vincent Riotta e Nikolaj Karpov, a Londra da Bernard Hiller e a Milano da John Strasberg figlio di Lee Strasberg.

“L’appuntamento”, ambientato a Roma, propone in chiave brillante e ironica uno spaccato di oggi sull’incomunicabilità tra i sessi, raccontata attraverso un primo appuntamento tra due coppie di trentenni. La storia nasce dalle esperienze dirette dei protagonisti che hanno unito il loro vissuto al servizio di una vera e propria “prova d’attore”. La sceneggiatura è firmata dallo stesso Alicchio e da Stella Saccà.
Due amici invitano due ragazze a cena e lasciano decidere a loro in quale locale recarsi. La scelta ricade su un ristorante vegetariano abbastanza costoso. I ragazzi cercano di ricorrere alla galanteria per fare terminare la serata in “intimità”, con l’obiettivo di ripetere quanto prima l’uscita, ma al momento di salutarsi la situazione prende una direzione non prevista.
I dialoghi sono scritti con un taglio realistico, con tanto di inflessioni dialettali e imprecazioni tipiche del modo di parlare “di tutti i giorni”. La storia si svolge fra trentenni, ma può benissimo rappresentare altre categorie generazionali.
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Le musiche, di Alex Britti e Marco Guazzone & Stag, accompagnano efficacemente la narrazione e lo spettatore nello svolgersi della trama. La spensieratezza di “Sabato simpatico” di Guazzone & Stag introduce a dovere i contenuti del film, mentre “Oggi sono io” di Britti, con il suo messaggio (politically correct) che invita a essere sempre se stessi in amore, contrasta nettamente con il comportamento dei due protagonisti maschili nei confronti delle donne e anche di loro stessi. Un terzo brano: “Sex sax” dell’Italo-americano Drop the lime (Luca Venezia), ha il compito di “stordire” lo spettatore, per portarlo con il suo ritmo dance e ossessivo a comprendere la direzione (andare al sodo), che i due ragazzi vogliono dare alla serata.

Dopo alcune selezioni nelle rassegne europee, come nel caso del Bootleg Film Festival of Endinburgh in Scozia e del Gijón International Film Festival in Spagna, il film è stato inviato nei festival statunitensi, dove ha ottenuto subito un ottimo riscontro.

Il salto di qualità è venuto grazie alla vittoria ottenuta alla 53° edizione del Globo d’Oro a Roma, dove la stampa estera che opera in Italia, ha premiato “L’appuntamento” come migliore cortometraggio.
La premiere americana si è svolta il 12 maggio del 2013, all’interno del Comedy Festival di Los Angeles, una delle più importanti manifestazioni per questo genere cinematografico. Dopo quella partecipazione, le selezioni nei festival americani si sono moltiplicate comprendendo anche Richmond International Film Festival (Virginia), Love Your Shorts Film Festival – Sanford (Florida), Best Actors Film Festival di San Francisco (dove ha ottenuto una nomination), oltre a quelli già citati.

L’appuntamento (visione integrale):

https://www.youtube.com/watch?v=CGtA7sIpq7E

I DIALOGHI DELLA VAGINA
Chiedere, chiedere ancora, chiedere troppo

A un’amica che si lamentava del suo uomo, di quanto poco rispondesse alle sue aspettative, ho detto, un po’ distrattamente, più chiedi e meno ottieni. Senza commentare, lei mi ha guardata con un’espressione di delusione come se per gustare qualcosa bisognasse solo attendere in silenzio una manciata di briciole, sperando di saziarsi.
Poi mi sono imbattuta nella lettura di Paul Watzlawick e del suo saggio “Di bene in peggio, istruzioni per un successo catastrofico” (Feltrinelli), che mi ha fatto capire quanto, nelle situazioni di crisi, sia irresistibile chiedere, fino a chiedere troppo.
Watzlawick, filosofo, sociologo, psicologo austriaco le chiama ‘ipersoluzioni’: sono i tentativi di avere subito una risposta, di sapere come va a finire, di andare oltre il presente che ci fa stare male pretendendo una soluzione. Il guaio, come spiega Watzlawick, è che in questi momenti la soluzione richiesta può essere solo iper, troppa, sballata e fuori tempo. Quando ci si intestardisce in una ipersoluzione che pensiamo possa appagare l’inquietudine dovuta a un problema, il fallimento è certo. Più soffriamo e più diventiamo eccessivi, bisognosi di una totalità immediata in cui stare meglio. Ecco che allora, tentando si risolvere il conflitto, si precipita ‘di bene in peggio’, e tutte le strategie falliscono perchè pensiamo che se questa cosa ci fa stare male, il suo contrario ci farà stare bene e, quindi, lo vogliamo ottenere subito.
Watzlawick invita a superare questo dualismo e ad abbandonare la tendenza a radicalizzare, in favore di strade alternative, un tertium che da qualche parte ci sarà. L’aut aut, insomma, chiude alle possibili e inaspettate soluzioni perchè estremizza e non si pone nella posizione del comprendere. Tutto e subito non va bene, è solo una corsa verso la disfatta perchè troppo veloce rispetto ai tempi dell’altro che, di fatto, stiamo travolgendo. Ma nulla pare fermarci, convinti che tanto impegno meriti una ipersoluzione.
A voi è mai successo di cadere nelle ipersoluzioni pensando fossero la strada giusta per ottenere attenzione, amore, presenza o il ritorno di qualcuno che stavate perdendo?

Inviate le vostre lettere a: parliamone.rddv@gmail.com

LO SCANDALO DELLE AVVOCATE
“Io, licenziata dall’ufficio che tutela i lavoratori… perché incinta”
Ricatti e ‘pizzini’ nei corridoi ferraresi del Diritto

“Mi ha semplicemente detto che ero una persona molto maleducata e che, in 7 mesi di collaborazione, non avevo mai fatto un atto giusto. Ho messo i miei codici in una borsa, sotto lo sguardo vigile della nuova collega che aveva già preso posto nella mia scrivania, e me ne sono andata. Non ha avuto bisogno di dire altro che una bugia per porre fine al nostro rapporto lavorativo. Mia figlia aveva appena un mese di vita: ho lavorato fino al nono mese per un noto studio che si occupa di diritto del lavoro, appoggiandosi ad un sindacato cittadino e che quindi, in teoria, dovrebbe tutelare i lavoratori. Io ho lavorato fino al nono mese ma, dopo avermi impiegata anche per il trasloco di studio, il mio dominus mi ha sostituito con un’altra ragazza libera da impegni famigliari”. Lo racconta S., ex avvocato del foro di Ferrara, ed una dei tanti legali costretti a cancellarsi dall’albo professionale per mancanza di lavoro.

“Ciò che succede dentro gli studi legali lo sa veramente solo chi lì dentro ci lavora – continua a raccontarci S. – Nell’immaginario collettivo è ancora forte l’idea dell’Avvocato, principe del foro e pieno di soldi, spillati magari con arguzia al cliente di turno. La verità è che dopo 10 anni di professione alle spalle, ti ritrovi a fare ancora da factotum al tuo dominus: a redigere gli atti con la sua firma e ad andare in udienza al suo posto, oltre a pagargli le bollette alla posta o andargli a prendere il figlio a scuola. Il ‘dominus’ riceve i clienti, e i soldi, i suoi portaborse svolgono tutta l’attività forense”.

Racconta G.: “Con mia madre all’ospedale per gravi problemi di salute dovevo rispondere alle telefonate del mio capo studio, incapace di portare avanti le sue pratiche in mia assenza perché non le aveva mai gestite e nemmeno se ne era mai interessato. E di ciò me ne è stata fatta una colpa, anche quando mi sono assentato per qualche giorno successivamente al funerale, a tal punto che sono stato redarguito per le troppe assenze e, al mio rientro, ho dovuto macinare ore e ore di lavoro per recuperare tutto il lavoro arretrato che, ovviamente, non era stato svolto”.

“Se ho mie pratiche personali – dice M. – oltre a non poterle portare avanti con il mio nome perchè considerate  ‘pratiche dello studio’, sono obbligata a pagare una sorta di ‘pizzo’, e cioè versare il 30% del ricavato al mio dominus, che così facendo guadagna senza neanche lavorare, sfruttando me, suo collaboratore, che non paga mille euro al mese”.

“La questione non riguarda solo Ferrara – precisa ancora S.- Nella mia esperienza lavorativa ho potuto vedere che è un problema nazionale. A Parma il mio dominus era talmente avulsa dall’attività forense, delegata totalmente a noi collaboratori, che faceva correggere gli atti alla sua segretaria. Alla mia collega appena sposata aveva anche offerto di pagarle la pillola anticoncezionale”.

Sembrano racconti di fantasia eppure sono solo alcune delle testimonianze di chi ha deciso di raccontare una realtà che appare sommersa e di cui a Ferrara poco si parla. Alla richiesta di fornire dei dati ufficiali sullo stato di occupazione degli avvocati iscritti e del numero di cancellazioni registrate in questi anni, l’Ordine degli Avvocati di Ferrara non risponde. Su internet, con riguardo alla professione legale a Ferrara, compare il sito dell’Ordine e il nome di alcuni noti studi cittadini. Non un articolo di approfondimento o denuncia sulla situazione dei praticanti non regolarizzati, sulle avvocate che hanno perso il lavoro a causa della maternità, sui fittizi rapporti di lavoro da libero professionista con partita Iva che sottendono, invece, un rapporto di lavoro subordinato bello e buono. Di sicuro vige la legge della giungla, con il pesce grosso che mangia quello piccolo, in un ambiente, quello legale, dove ormai si assiste ad una vera lotta per la sopravvivenza.

Nel 2016 su 246 mila avvocati iscritti ben 8 mila si sono cancellati dall’albo. La crisi economica sta falcidiando gli esponenti di quella che era considerata una ‘casta’ e, nei giornali, ormai si parla degli avvocati come dei nuovi esodati. Gli albi sono sovraffollati, nonostante i tanti giovani che si iscrivono in Giurisprudenza, un numero limitato arriva alla laurea ed un numero ancora più esiguo riesce a superare un esame di stato che, per difficoltà, è paragonabile ad un concorso pubblico. Eppure sono sempre troppi: l’Italia si colloca al terzo posto, dopo il Liechtenstein e la Spagna, come maggiore concentrazione di avvocati, con una media nazionale di 4 legali ogni mille abitanti. In Italia si contano 333 avvocati ogni 100 mila abitanti, in Francia solo 75. Nel nostro Paese, per ogni magistrato ci sono 27 legali, in Francia 7, nel Regno Unito 3. Al problema del sovraffollamento, si deve aggiungere la forte pressione fiscale a cui la classe forense è sottoposta – a fatturato pari a zero si deve versare alla Cassa Forense quasi 3 mila euro annui quali contributi obbligatori – l’abolizione della tariffazione minima che garantiva un minimo compenso dovuto per la prestazione lavorativa assolta, e la difficoltà a farsi pagare il proprio lavoro vista la crisi economica in atto.

Secondo gli ultimi dati ogni avvocato guadagna mediamente circa 38.627 euro, un calo considerevole rispetto ai 51.314 euro del 2007, mentre 56 mila legali sotto i 40 anni non riescono a mettere da parte più di 10.300 euro annui. Infine, i giovani praticanti e tirocinanti, che lavorano anche 12 ore al giorno, non percepiscono più di 200-300 euro al mese. “Quando ho scritto al Presidente dell’Ordine – dice S. – per denunciare quanto accadutomi, speravo in una presa di posizione e una condanna netta verso certe pratiche. Mi sono sentita dire che ‘chiusa una porta si apriva un portone’. Eppure so di tante colleghe che hanno perso il lavoro a causa della maternità e il Presidente stesso ammetteva di essere a conoscenza di questi tragici casi”. “Pago l’Ordine ma non so perché – dice G. – Il presidente è gentile e disponibile, ma non si assiste a nessun cambiamento. Nessuna presa di posizione, a livello locale e nazionale, a tutela del nostro lavoro e di condanna per pratiche che ormai sono date per assodate come lo sfruttamento dei praticanti e la retribuzione da fame che ci viene concessa dopo 10 ore di lavoro quotidiano”.

Ci si iscrive a Giurisprudenza con il mito della toga e la devozione alla causa della Giustizia, si invecchia come Azzeccagarbugli seduti ad una scrivania per poche centinaia di euro al mese.

L’INTERVENTO
Criticare la politica israeliana non significa essere antisemiti

Gentile Direttore e gentile Redazione,
vi scrivo perché ho letto nell’ultimo vostro settimanale (10 febbraio, ndr) l’intervento di Laura Rossi sui muri e le barriere che dividono oggi il nostro mondo.

Prima di tutto: leggere che i muri dal 1989, data della caduta di quello forse più famoso di tutti, a oggi sono cresciuti, invece che diminuire e avviarsi alla completa sparizione, è cosa triste e fa tornare alla mente le illuminanti e preveggenti parole di Pier Paolo Pasolini su cosa significhi progresso in contrapposizione a sviluppo.
Vorrei però soffermarmi sulle considerazioni che Laura Rossi fa a proposito della disinformazione strumentale a proposito della situazione israeliana, ma soprattutto sulle informazione che snocciola a proposito della storia della Palestina e di Israele per educare i “troppi” che a suo parere “non conoscono la storia, o quantomeno non conoscono la vera storia di Israele e della Palestina”.

Laura Rossi scrive che: “‘Palestina’ indica la terra che, per migliaia di anni, è stata incubatrice dell’identità ebraica; sulla bandiera della Palestina, vi era disegnata la stella di David. Il popolo della Palestina è il popolo ebraico e gli ebrei sono i veri palestinesi. Infatti, fino alla creazione dello Stato d’Israele, gli ebrei erano noti come “palestinesi”. La Palestina è sempre stata ebraica, non araba”.
Purtroppo non possiedo la sicurezza della signora Rossi, che si ritiene così esperta da non dover citare le fonti da cui trae le proprie nozioni storiche, e non sentendomi assolutamente in grado di contraddirla, cercherò ove possibile di far parlare altri, molto più titolati di me.

Per quanto riguarda la bandiera israeliana, su Israele.net si legge: “La bandiera d’Israele (in ebraico Degel Israel), ideata per il Movimento Sionista nel 1891 e ufficialmente adottata dallo Stato d’Israele il 28 ottobre 1948, è costituita da una Stella di Davide (in ebraico Magen David, Scudo di Davide) collocata su uno sfondo bianco, tra due strisce blu che richiamano il tallèd, il tradizionale manto di preghiera ebraico”. Per maggiori informazioni si può consultare la voce ‘magen David’ sull’Encyclopaedia Judaica.

Per quanto riguarda l’associazione tout-court fra la Palestina e il popolo ebraico e gli ebrei come ‘veri’ palestinesi: Palestina è il nome con cui ‘gli altri’ (i greci piuttosto che i romani) hanno sempre chiamato quella che nella Torah viene denominata Terra d’Israele. Sull’Encyclopaedia Judaica (vedi voce Israele e Palestina) si legge che il termine Palestina deriva da Philistia (Peleshet), termine usato da Erodoto (Συρία ὴ Παλαιστίνη), come si può vedere consultando qualsiasi atlante storico, i Romani chiamavano la loro provincia Giudea, dal Regno di Giuda, mentre il termine Palestina riapparve solo dopo il tentativo di ribellione di Bar Kokhba nel II sec. d.C. e da allora ha designato Erez Israel nelle lingue non ebraiche.

Per quanto riguarda l’identità ebraica poi, l’esperienza storica, culturale, filosofica ed etica del “popolo che abita a parte” (Numeri 23, 9) è talmente unica e complessa che, lungi dal sentirmi all’altezza di trattarne, lascio la parola a Shmuel Noa Eisenstadt, sociologo e accademico israeliano di origine polacca. Secondo Eisenstadt “il miglior modo per comprendere quell’esperienza è considerare gli Ebrei non soltanto un gruppo religioso o etnico, una nazione o un “popolo” – sebbene siano tutte queste cose – ma come portatori di una civiltà”. Una civiltà che ha avuto inizio con Abramo nella Terra di Canaan e si è sviluppata certo nel Regno di Davide e di Salomone, ma anche nelle diverse scintille della Diaspora: nella nostra Italia – dove gli ebrei dimorano da ben 22 secoli, fin da prima della distruzione del Secondo Tempio – nella Spagna medievale, che dette i natali a Mosè Maimonide, per non parlare della cultura dell’ebraismo ashkenazita dell’Europa orientale, spazzata via dalla tragedia della Shoah. Nella prefazione al volume che si intitola appunto ‘Civiltà ebraica’ di Eisenstadt, Saul Meghnagi scrive: “la vicenda storica degli Ebrei è parte integrante dei popoli dell’Occidente e dell’Islam e i confini dell’appartenenza non appaiono sempre chiari a chi invece li vorrebbe fissati una volta per sempre. Da qui una delle ragioni del fascino dell’Ebraismo e dell’inquietudine che suscita per il suo essere allo stesso tempo dentro e fuori, lontano e prossimo”.

A coloro che “non conoscono la vera storia di Israele”, della civiltà ebraica prima ancora che dello Stato, oltre a ‘Civiltà ebraica’ – che dedica fra l’altro grande spazio anche all’età contemporanea, ai movimenti nazionali ebraici moderni, alla formazione e trasformazione della società israeliana – consiglio quindi la lettura di testi come ‘Breve storia dell’ebraismo’ di Lavinia e Dan Chon Sherbok oppure ‘L’ebraismo: storia, pratica, fede’ del rabbino Roy A. Rosemberg.
Inoltre vorrei sapere perché criticare la “politica israeliana”, per quanto attiene l’attualità in particolare la politica del premier Netanyau, significhi alimentare l’antisemitismo. Se è vero che si possono citare diversi episodi nei quali la critica allo Stato d’Israele nascondeva in realtà posizioni di base antisemite, credo che non si possa nemmeno qui creare una relazione biunivoca tout-court.
La dialettica democratica è fatta di confronti fra posizioni diverse. Ci sono diverse voci, ebraiche e non, dentro e fuori Israele, critiche verso le politiche dell’attuale governo in carica.

Cito due voci che hanno un legame con la realtà ferrarese: Corrado Israel De Benedetti, sopravvissuto alla Lunga notte del ’43 e immigrato in un kibbutz, e Manuela Dviri nata a Padova nell’immediato dopoguerra nella famiglia Vitali-Norsa, che a Ferrara ha avuto anticamente un banco dei pegni, trasferitasi in Israele nel 1968.
Nel dicembre scorso, tornato a Ferrara in occasione del convegno sul sionismo in Italia organizzato dal Meis, De Benedetti nel suo intervento ha affermato: “Per me e per quelli della mia generazione il Sionismo significava lasciare l’Italia che ci aveva tradito e fondare un nuovo Stato e una nuova società in Israele. Ora posso dire che siamo riusciti a creare una nuova società con i kibbutz, ma uno Stato nuovo purtroppo no, anzi la situazione oggi è in contrasto con tutto ciò che noi avevamo sognato”. Manuela Dviri nel suo libro “Un mondo senza noi” scrive che da quel 1968 sono passati “46 anni, 4 guerre, 2 intifada e 2 operazioni militari”, alcune hanno fatto veramente paura, come quella dei Sei Giorni e quella dello Yom Kippur, mentre altre a suo parere si potevano evitare: il suo pensiero corre forse all’operazione del 1998 in Libano, quando ha perso Ioni, il suo figlio più giovane, a soli 21 anni mentre prestava servizio nell’esercito israeliano.
Manuela Dviri e Corrado De Benedetti criticano la politica dello stato nazionale nel quale risiedono e del quale sono orgogliosamente cittadini. Fomentano così l’antisemitismo?
E a proposito della recente approvazione alla Knesset della legge che legalizza insediamenti di coloni nei territori occupati gli stessi israeliani si dividono: giovani che hanno combattuto assieme nella guerra del 1973, oggi litigano sulle colonie (leggi http://www.ilvangelo-israele.it).
Tornando infine ai muri: sulle barriere difensive la penso diversamente da Laura Rossi, ma questa mia è un’opinione che ha esattamente lo stesso valore di quelle da lei espresse.

Più che dai popoli, espressione alla quale ho sempre preferito ‘cittadini’ che implica un senso di responsabilità rispetto alle proprie libertà, in situazioni intricate, delicate, incancrenite, come il conflitto israelo-palestinese, credo sia meglio partire dalle persone, dagli esseri umani, attori e protagonisti del cambiamento.

Vi ringrazio anticipatamente per l’attenzione e lo spazio che vorrete dedicare a queste mie note.

Cordialmente
Lettera firmata

REPORTAGE
Una visita alla scuola in lamiera
Il materiale è di riciclo, ma i sogni d’oro

Pensiamo alla scuola di quando eravamo bambini o, meglio, alle scuole dei nostri bambini.
Luoghi dedicati, non senza pecche, all’istruzione scolastica collocata in una realtà di diritto e di dovere.
Entriamoci: vediamo le classi dedicate per sezioni, ad un certo numero di bambini, la bacheca, le attività, l’arredamento dedicato, le ‘dade’, le insegnanti, il personale di servizio, la zona mensa, i bagni, i giochi, i libri, i disegni, i colori. Vediamo anche i muri, le pareti, il pavimento, i sanitari, i rubinetti, le finestre: guardiamo bene tutto quello che abbiamo.

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Ora andiamo in una grande periferia, nella sua discarica.
No fognature. No elettricità. No bagni. No rubinetti. No muri. No porte. No Luci. Solo terra, pali di legno, lamiere e chiodi. Basta: non c’è niente altro da vedere.

Qui nulla è un diritto e un dovere. Già è qualcosa se il sistema sa che esisti.
Andate in una di queste scuole: lo Stato passa solo i moduli scolastici per l’ammissione agli esami, a pagamento, alcune volte qualche libro che deve bastare per l’intera scuola.
Questo perché le scuole non sono statali, ma private. E non è la ‘scuola privata‘ che abbiamo in mente tutti noi.

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Qui la scuola privata è frutto di una persona, spesso legata al culto religioso, con un riconoscimento statale di insegnante, che prende un pezzo di terra, costruisce con legno-lamiera-chiodi una struttura e chiama a se delle famiglie con i bambini per strada, cerca gli insegnanti e il sostegno economico per tutta la struttura.
Gli insegnanti hanno spesso più classi e alternano le lezioni di un gruppo con l’altro accanto nell’arco della giornata che inizia alle 6 di mattina.
Le classi sono divise tra loro da sacchi di plastica raccolti in discarica: la lamiera costa e si utilizza solo per ripararsi dalle condizioni meteo.
I bagni sono una buca a cielo aperto scavata poco più lontana.
L’acqua è un rubinetto nel cortile.
La mensa è gestita da un genitore che scambia il suo lavoro con il cibo stesso e la possibilità di tenere i bambini all’interno della struttura. Niente corrente, niente luce.

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In tutto questo c’è chi è inquieto: ha avuto la possibilità di studiare, ha una propria idea del mondo fuori dalla discarica e cerca e attende il suo momento e nel frattempo, con la camicia pulita e i pantaloni in ordine, attraversa ogni giorno quell’inferno per dare una possibilità e una speranza a quei ragazzi dopo di lui.

(Tutte le foto sono di Diego Stellino)

INTERVISTA
Parla lo chef Martino Beria:
Vi racconto le meraviglie della cucina vegana
 

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Abbiamo incontrato lo chef Martino Beria, impegnato in un corso di formazione con un’equipe di chef nel meraviglioso panorama delle Dolomiti. Martino Beria, uno dei migliori chef d’Europa nel campo della sana alimentazione. E’ giovane ma già grande maestro, con un percorso di vita intenso e movimentato. Migliaia di appassionati di cucina seguono le sue scoperte, proposte e suggerimenti sui social e di persona, apprezzandone la creatività, la versatilità e la simpatia. E’ un vulcano in piena attività e la sua visione di cucina e del cucinare è perennemente in evoluzione.

Lei è molto conosciuto e seguito. Vuole raccontare quali sono stati gli esordi della sua carriera?
La cosa è nata da una passione ma anche da un’esigenza: a 11 anni dovevo stare da solo in casa perché la mamma lavorava tanto ed era necessario per me, tra le varie cose, anche cucinare. Non ero disposto a mangiare male, perciò ricercavo la qualità seguendo anche i miei gusti di bambino non ancora ben definiti, scoprendo in continuazione cose nuove. Sono sempre stato curioso e questo ha favorito la mia ricerca continua nel tempo. A 16 anni, quando frequentavo il Liceo classico, ho cominciato a cercare lavoro come cameriere per la stagione estiva, ma durante le mie ricerche ho compreso di voler unire la mia passione per la cucina al lavoro e ho quindi iniziato la mia gavetta in un ristorante della zona (Mirano in provincia di Venezia). Ho scoperto di amare il lavoro in cucina che trovavo appagante ed affascinante, ed ho capito che proprio quello era il mio ambiente. In seguito ho lavorato per un ristorante storico molto conosciuto in zona che faceva parte di una nota catena di ristorazione e catering. Ho cominciato da zero, con molta umiltà, lavoravo 10-12 ore al giorno, disposto ad imparare senza aspettarmi grandi realizzazioni di guadagno, soddisfatto a sera di avercela fatta. Cambiavo spesso luogo di lavoro per spaziare e apprendere quanto più possibile, assorbivo informazioni e indicazioni come una spugna.

La cucina quindi è stata il suo principale interesse?
Nella vita ho fatto anche altre cose oltre la cucina: ho studiato contrabbasso al Conservatorio e ho lavorato in seguito come musicista. Ho conosciuto e operato nell’ambito mediatico che riguarda la gastronomia con un sito internet abbastanza grosso, sviluppando ricette e curando l’aspetto fotografico, molto importante. Dopo una breve esperienza per ‘Giallo Zafferano’ ho deciso con mia moglie di creare qualcosa di nostro. Avevamo nel frattempo sposato la scelta vegana e, nel 2013, abbiamo creato un sito nell’intento di far conoscere a più persone possibili questo stile di vita (veganogourmand.it), attraverso belle immagini, buone ricette e informazioni di qualità! Da quel momento ho cominciato a tenere tantissimi corsi di cucina e mi sono riscritto all’Università, al corso di Scienza e Cultura della Gastronomia e della Ristorazione: progredivo con il lavoro e applicavo gli insegnamenti universitari diffondendoli al mio pubblico di utenti, lettori e corsisti. In questo ambito accademico molto scientifico, ho capito a fondo quanto ci fosse bisogno di una figura che comunicasse con la gente e trasmettesse concetti e saperi che fino a poco tempo fa non erano particolarmente noti e diffusi. Mi sono quindi trovato ad insegnare ai professionisti, ad essere consulente di aziende del settore produttivo e non solo, ho avviato ristoranti, arrivando fino in Russia. Tutte esperienze segnanti ed edificanti, per me. Ho avuto la grande occasione di poter pubblicare un primo progetto editoriale con la Feltrinelli (Vegano Gourmand) che mi ha portato a conoscere un mondo ancora diverso, quello dell’editoria!

La scelta vegetariana e vegana sottende una vera e propria filosofia di vita. Vuole spiegare i valori di questa scelta?
Essere vegetariani è, secondo me, un primo step di pseudoconsapevolezza che porta gradualmente a diventare vegani. All’inizio, la mia scelta di essere vegano aveva motivazioni non palesemente etiche ma religiose: avevo infatti sposato la filosofia buddista e volevo portarla avanti con coerenza. Un vegetariano vuole un mondo meno violento nei confronti degli animali, ne rifiuta la carne ma ne consuma i derivati, cosa che in sé è una contraddizione in termini etici. Il problema è che il mondo attuale ha estremizzato la produzione di tutto ciò che è legato all’animale, fondando la nostra economia sulla grande produzione animale, dal dopoguerra in poi, giustificabile con quello che allora era richiesto: simboli forti di sicurezza e di sviluppo. Come vegano e buddista cerco di fare meno male possibile agli altri esseri, e come chef ricerco, propongo, diffondo e studio l’aspetto culturale, tecnologico e organolettico del cibo, per portare la cucina vegana agli stessi livelli della cucina onnivora. Tutti riconosciamo la stretta connessione tra cibo e benessere.

Qual è il rapporto tra cucina vegana e salute?
Essere vegani incide in maniera non solo determinante ma radicale sulla salute dell’individuo, soprattutto nel momento storico in cui viviamo, in cui il cibo è superprocessato e la catena produttiva animale prevede l’uso di antibiotici e altri coadiuvanti chimici: l’intensività prevede e necessita questo. La scelta vegana, tra le varie motivazioni è anche una scelta salutistica, che incide su ognuno di noi secondo la propria fisiolgia. Ci aiuta a non assumere più ormoni animali e antibiotici presenti nel latte e nella carne, risolve le problematiche legate all’assunzione di lattosio, spesso non digeribile dalla maggior parte della popolazione, riduce a zero l’assunzione di grassi saturi e di colesterolo, introduce alimenti integrali molto più salutari e ricchi di oligoelementi utili, elimina le proteine di derivazione animale, nelle quali la ricerca ha dimostrato ampiamente che sono contenuti elementi cancerogeni.

Nella sua professione a 360° che comprende la cucina, la collaborazione con riviste e case editrici, consulenza e formazione, qual è la sua attività preferita?
Non ce n’è una in particolare: le affronto tutte con emozione e passione. Io sono appassionato sia del fare cucina, insegnare, rapportarmi con le persone, scrivere: in questi giorni sto proprio finendo la mia terza pubblicazione. Non potrei rinunciare a nulla di tutto ciò! Lavorare nelle cucine mi ricorda da dove sono partito, un ambiente in cui sto bene, in cui sono protetto, dietro alle quinte; presentare pubblicamente un piatto a centinaia di persone mi mette in una condizione diversa sempre molto stimolante; scrivere un libro mi da la sensazione di poter parlare a migliaia di persone: emozioni differenti e tutte bellissime!

Quali sono gli ingredienti che predilige?
Ho una visione abbastanza organica della cucina e penso che ogni ingrediente sia un coadiuvante per arrivare al risultato finale, che all’origine era solo un’idea, un’immagine mentale. Direi che l’ingrediente che preferisco è la cultura, che non è palpabile ma trasversale.

In che direzione sta andando la cultura vegana?
In questo momento siamo in fase di crescita esponenziale: ogni paese la manifesta in modo differente, e l’Italia è uno dei più fertili. Non si parla esattamente di diffusione della cucina vegana ma della direzione di tecnologie di comunicazione che favoriscono questo processo, con la possibilità di scambiare opinioni e accedere alle informazioni in tempo reale. Rimane il fatto che c’è sempre maggior richiesta e questo sta incidendo sempre più sul mercato: il mondo della produzione alimentare e della ristorazione stanno rispondendo.

Quali sono i suoi sogni per il futuro?
Sogno di essere felice, cosa che auguro a tutti! A livello lavorativo c’è il sogno di realizzarmi al meglio, continuare quello che sto facendo. Nello specifico, mi piacerebbe riuscire a cogliere nell’aria qualche segnale che mi dica “fermati e apri qualcosa”, per far conoscere ancora di più la mia cucina, dove chiunque possa venire a mangiare. Devo anche riconoscere che uno come me fa fatica a fermarsi perché è consapevole che si possa fare sempre di più, ricercando non solo piatti ma anche prodotti sempre nuovi da creare e diffondere: la soddisfazione di inventare ciò che nel mercato ancora non c’è ma tutti vogliono è qualcosa che mi stuzzica e non mi fa fermare mai.

L’intervista è terminata ma Chef Martino Beria non accenna ad abbandonare quel sacro fuoco della passione che traspare in ogni suo gesto. Carisma, capacità e voglia di continuare nella sua ricerca saranno i suoi accompagnatori nella sua lunga carriera.

LA RECENSIONE
Jeeg Robot, cuore, acciaio e un pizzico di trash
Funziona la versione italiana del ‘superhero movie’

maxresdefaultLa nostra generazione è cresciuta con gli episodi di Mazinga, Goldrake e Jeeg Robot e per questo non poteva non essere incuriosita da questa produzione italiana del 2016 che ha sbaragliato ogni concorrente e sconvolto ogni più rosea previsione.
‘Lo chiamavano Jeeg Robot’, di Gabriele Mainetti, infatti, nel 2016 ha incassato oltre 5 milioni di euro e vinto ben 7 David di Donatello. Diciamo che non è forse una delle pellicole migliori dell’anno ma, quanto meno, ha rappresentato un’autentica rivelazione. Se non altro perché, in una Roma di emarginazione e attentati, racconta storie di uomini e di mostri o meglio di uomini che assomigliano a mostri e mostri che si trasformano in uomini. In questo clima di violenza e tentativi spesso falliti di emergere, un ladruncolo del popolare quartiere di Tor Bella Monaca, Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria), viene rocambolescamente inseguito per le strade della capitale da due poliziotti per il furto di un orologio. Per scampare agli inseguitori, Enzo si getta nel Tevere, all’altezza di Ponte Sant’Angelo. Qui, venuto a contatto con strane sostanze radioattive depositate sul fondo del fiume, acquisisce forza e resistenza sovraumane. Ora Enzo può davvero tutto. Cerca di vendere l’orologio rubato a Sergio, uno dei membri della banda criminale guidata da Fabio Cannizzaro, detto lo Zingaro (interpretato da un grande Luca Marinelli), il cattivo del film, figlio del trash moderno, amante della musica di Anna Oxa e ossessionato dall’ambizione di diventare qualcuno di importante all’interno della malavita capitolina, che però lo coinvolge in un’operazione di cocaina che, finita male, lo porterà alla morte.
Rientrato a casa solo, Enzo incontra Alessia (Ilenia Pastorelli), la figlia di Sergio, una ragazza con problemi psichici ossessionata dal suo lettore dvd su cui girano in continuazione le avventure del suo unico eroe ‘Jeeg robot d’acciaio’, il cui mondo confonde con quello reale. A lei, indifesa e spaventata, se pur bella, tormentata e sensuale, Enzo non riesce a confessare la verità. Scoperta la sua forza sovrumana, inizia ad approfittarne, svaligiando un bancomat e diventando presto l’eroe del quartiere. Da qui si innestano le sfuriate de lo Zingaro, un vero personaggio a metà tra il Joker di Batman e un tronista di ‘Uomini e Donne’, la lotta per la cocaina con la banda di camorristi guidata dalla sanguinaria donna boss Nunzia Lo Cosimo e la caccia alla forza di Enzo per portarlo nel suo gruppo. Recatosi da Alessia alla ricerca del padre Sergio, che lo Zingaro pensa fuggito con la sua cocaina, lo sventurato cattivo si imbatte però in Enzo che, sentendo le urla della ragazza, dopo essersi coperto il volto, interviene e la salva. Lei lo riconosce e lo soprannomina Hiroshi Shiba, come il protagonista del suo Jeeg Robot. Le avventure continueranno, con molta (troppa) violenza, fino alla bomba allo Stadio Olimpico. Un punto positivo, però. La morale? Forse semplice: essere eroi significa essere pronti a cambiare.
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Lo Chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti, con Antonia Truppo, Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Daniele Trombetti, Francesco Formichetti, Gianluca Di Gennaro, Ilenia Pastorelli, Italia, 2015, 118 mn.
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ARTE
La figura, l’astratto e una Venezia misteriosa
Vi racconto Locatelli, pittore italiano amato nel mondo

I miei trascorsi con il maestro veneziano Germano Locatelli sono stati momenti molto impegnativi, per cui oggi, a quasi un mese dalla sua scomparsa, cercherò di riportarli il più fedelmente possibile, evitando di trascurarne l’importanza. Ci ha lasciati il 20 gennaio 2017, all’età di 66 anni, dopo una brevissima malattia. Conobbi il maestro circa vent’anni fa, in occasione di una sua personale nella mia città di Ferrara e dove egli aveva anche legami famigliari.
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Nacque così un sodalizio, che mi diede l’opportunità di poter seguire negli anni gran parte del suo percorso artistico.
“Resta fedele a quello che fai: conserva anche gli errori. Persegui la naturalezza. La tua pittura ci guadagnerà”. Amava moltissimo questa frase; non erano parole sue, ma rappresentano in pieno la sua poetica.
Locatelli era un artista contemporaneo, tra i più interessanti del panorama nazionale e internazionale. Era conosciutissimo soprattutto in Spagna, Brasile e Giappone, dove aveva anche vissuto per alcuni periodi. Proprio in Spagna, infatti, un assessore alla cultura scriveva: “Questo artista fa ormai parte della nostra storia dell’arte”.
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Veneziano di nascita, con frequentazioni eccellenti, da quelle giovanili con Giorgio De Chirico a quelle con il maestro giapponese Ricou Kasay, aggiungendo rapporti proficui con Emilio Vedova, Mario Schifano, Ludovico De Luigi e altri ancora.
Ha vissuto intensamente la sua stimolante ed interessante avventura pittorica. Dagli anni ’70 ha realizzato centinaia di personali ed una sequenza imprecisabile di partecipazioni, presentando anche collezioni di gioielli d’arte da lui stesso creati.
Maestro contemporaneo che ha rappresentato la cultura veneziana, profonda e misteriosa. Di questa esperienza si è nutrito fin da ragazzo, cantore della tradizione storica della Laguna.
Il suo stile è cambiato per gradi: dalla figurazione iniziale passa ad un astrattismo geometrico, con un ritmo di linee lanciato al di là della tela, in uno spazio inesplorato e sconosciuto.
Il maestro Locatelli dipinge per ‘capire’, poiché la pittura è il suo strumento di conoscenza. Egli si trova a suo agio negli spazi ampi: è convinto che nell’arte astratta le dimensioni abbiano un’enorme importanza.
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La sua generosità e sensibilità, soprattutto nei confronti dei giovani artisti, lo avevano portato all’apertura di uno studio-galleria, riuscendo a far incontrare al pubblico veneziano, oltre ad altri qualificati giovani artisti, la star della Street art, ovvero il notissimo americano Cope2, che a New York è diventato leggenda colorando interi quartieri e metropolitane.
Direttamente dal Giappone, anche il suo maestro Ricou Kasay ha preso parte a questi importanti appuntamenti culturali, esponendo alcune sue opere assieme a quelle del suo ex allievo.
“Un uomo speciale Germano Locatelli, imprevedibile, forse assurdo, misterioso, ma non ancora contraddittorio. La coerenza pare se la porti dentro assorbendola ogni giorno con l’aria che respira”, scriveva di lui il critico d’arte Giosuè Garvin.
“Se è vero, come ha detto Pablo Picasso, che l’arte è l’unica menzogna che ci insegna a comprendere la verità, io continuo a ritrovare questa menzogna nelle opere del maestro Locatelli” scriveva il professor Giorgio de Benedictis.

GIOVANI REPORTER
A teatro mille biglietti finiti in 4 minuti.
Una rockstar? Sì, Giacomo Leopardi

di Alessandro Lorusso*

1000 biglietti finiti in 4 minuti: Bologna, Teatro L’Arena del Sole.
Chi lo avrebbe mai detto che Leopardi potesse attirare così tante persone?

A rispondere è Alessandro D’Avenia, scrittore e insegnate di liceo, che il 6 febbraio è riuscito a riempire tutto il teatro per presentare uno spettacolo dal titolo ‘L’arte di essere fragili – come Leopardi può salvarti la vita’. L’iniziativa, nata sull’onda della pubblicazione dell’omonimo libro uscito ad Ottobre 2016 per la Mondadori, fa parte di un tour che ha già visto numerose tappe in diverse città come Milano, Palermo, Torino e Verona. Il segreto di tanta popolarità sta nella capacità che ha Alessandro D’Avenia di farsi ascoltare dal pubblico, rovesciando un presupposto molto comune alla nostra società dei consumi, quello dell’esibizione della propria forza o bellezza, a favore dell’esaltazione di quello che potrebbe essere ritenuto un difetto, appunto, la fragilità.

Proprio con queste premesse, l’incontro è iniziato con D’Avenia che, parlando soprattutto ai giovani, ha cercato di rompere il ghiaccio riuscendo a cogliere un bisogno nascosto ma chiaramente presente in tutti gli adolescenti, di poter arrivare a rivelarsi per quello che realmente si è, non per ciò che gli altri vorrebbero che si fosse. Al posto del successo, dell’esibizione in sé, lo scrittore suggerisce “per salvarsi la vita” l’amore per l’infinito e per la propria fragilità.

L’emblema di tutto ciò – secondo D’Avenia – è il Leopardi che spesso nella scuola viene, a suo parere, ‘banalizzato’ nell’unica caratteristica con cui viene riconosciuto, il pessimismo. Nello spettacolo sul recanatese invece l’autore recupera una dimensione di solidarietà umana che può insegnare ancora a noi oggi come si debba affrontare la sorte avversa e l’infelicità. A dimostrazione di questo, negli ultimi anni della sua vita, ormai cieco e inabile, il poeta dell’Infinito riuscì a trovare un amico: Antonio Ranieri. Quest’ultimo lo prese a cuore e gli lesse tutte i componimenti desiderati, e raccolse le sue ultime ispirazioni.

Lo spettacolo è continuato con questo scrittore che, leggendo qua e là dei brani del Leopardi, alternava la spiegazione a osservazioni psicologiche, coinvolgendo moltissimo gli spettatori. Ciò che più di tutto ha incontrato il gusto del giovane pubblico è stato quando D’Avenia ha chiaramente insistito sulla fragilità come quell’arte di mostrarsi senza veli a se stessi ma anche agli altri, come una capacità che si acquisisce in realtà soltanto se si ha una grande forza d’animo e se si riesce a riconoscere l’importanza della sofferenza. “L’unico modo per sognare e riconoscere l’infinito, è proprio avere limiti” dice D’Avenia “per questo, un autore come Leopardi riuscì a vedere oltre, anche stando dietro alla siepe, riuscì a vedere i colori anche con la sua cecità e non rimase mai solo”.

L’incontro si è concluso con l’invito di D’Avenia a guardare le stelle tutte le notti dell’anno in quanto “la parte più vera di noi è una casa da poter abitare ovunque, con le fondamenta al contrario, appese a una stella, non cadente ma luminoso riferimento per la nostra navigazione nel mare della vita”.

Alla luce di questo, stupisce o no che i biglietti dell’incontro si siano esauriti in 4 minuti? Un invito – si spera – per Ferrara.

Alessandro D’Avenia in scena il 6 Febbraio al Teatro L’Arena del Sole di Bologna:
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*Alessandro Lorusso è uno studente della classe I B del Liceo Ariosto di Ferrara