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Giorno: 24 Febbraio 2017

Regione. A “Vista da vicino” le politiche per la casa

Da ufficio stampa

Nella quarta puntata del magazine televisivo le nuove regole per l’assegnazione degli alloggi pubblici, i finanziamenti per ristrutturarli e quelli per l’acquisto della prima casa.

Bologna – Rispondere al disagio abitativo modificando l’accessibilità agli alloggi pubblici per renderla più equa, finanziando ristrutturazioni e manutenzioni per aumentare la disponibilità delle abitazioni, emanando bandi per giovani coppie, famiglie numerose, monoparentali e singoli, per un aiuto nell’acquisto della prima casa.

E’ il tema della quarta puntata di “Vista da vicino”, il magazine di informazione video della Regione Emilia-Romagna in onda sulle emittenti locali della regione, ma anche su Facebook, YouTube, Twitter e sul sito della Regione (http://www.regione.emilia-romagna.it/).

Protagonisti della trasmissione sono le famiglie a cui sono state assegnate le case popolari oppure che hanno ottenuto il contributo a fondo perduto del bando “Accasiamoci” per acquistarne una.

Delle politiche abitative adottate dalla Giunta guidata dal presidente Bonaccini ne parla l’assessore alle Politiche sociali, Elisabetta Gualmini.

La pubblicazione di “Vista da vicino” sui social network avverrà di lunedì, il mercoledì e il venerdì per quanto riguarda clip brevi e di domenica per la puntata intera.

Caricento: Bilancio 2016 confermati utile e solidità

Da ufficio stampa

Patrimonio stabile ed indicatori di solidità in crescita. Utile netto pari a 1,7 milioni e dividendo agli azionisti

Ferrara, 23 febbraio 2017 – Ancora risultati positivi per la Cassa di Risparmio di Cento. Questa mattina il Presidente di Caricento Carlo Alberto Roncarati ed il Direttore Generale Ivan Damiano hanno presentato alla stampa i dati relativi all’esercizio 2016.

Il Consiglio di Amministrazione della Cassa ha approvato il progetto di bilancio 2016 che si chiude con un utile di 1,721 milioni di euro, confermando l’andamento positivo di Caricento dall’anno della sua costituzione. Si mantiene,pertanto, la profittabilità nonostante i contributi straordinari erogati al Fondo Nazionale di Risoluzione Unico e agli oneri connessi al Fondo di Solidarietà che assommano a 3,801 milioni di euro. L’utile netto “normalizzato” al netto delle componenti straordinarie sarebbe stato pari a 5,9 milioni. Gli Azionisti, che a fine del 2016 erano pari a 10.158, nella prossima Assemblea dei Soci saranno chiamati ad esprimersi sul dividendo, proposto a 6 centesimi ad azione. Per il 26esimo anno di fila, quindi, la Cassa corrisponde un dividendo ai suoi Azionisti, ai quali non ha chiesto risorse per aumenti di capitale da oltre 14 anni, potendo contare su un costante flusso di autofinanziamento.

Crescono anche gli indicatori di solidità di Caricento: il CET1, common equity tier 1, raggiunge il 12,41%, in notevole aumento rispetto al 31/12/2015 quando si attestava all’11,80%; in oltre 90 milioni di euro si attesta l’eccedenza del CET1 rispetto al coefficiente SREP, 6,14%, assegnato alla Cassa dalla Banca d’Italia. In incremento anche il total capital ratio che raggiunge il 12,79%.

La raccolta totale si attesta a 4.407 milioni, in leggero aumento rispetto all’anno 2015 (+0,3%), che già aveva fatto segnare il record storico per la Cassa. La raccolta diretta da clientela rimane sostanzialmente invariata a 2.022 milioni, mentre diminuisce la raccolta indiretta a 1.968 milioni per effetto della variazione del prezzo degli strumenti finanziari (-2,2%). La Cassa si conferma un interlocutore affidabile per la tutela del risparmio della clientela: la componente gestita della raccolta indiretta balza del 9,8% fino a 1.357 milioni. L’incremento del risparmio gestito, ormai al 69% del totale della raccolta indiretta, testimonia come la clientela continui ad apprezzare l’esperienza e la competenza dei gestori di Caricento, la quale lavora da sempre in ottica multi-manager con le più quotate compagnie nazionali ed internazionali per suggerire le migliori soluzioni di investimento. Nel 2016 Caricento ha messo a disposizione della clientela innovative nuove linee di gestione patrimoniale che si compongono di ETF, Exchange traded funds, grazie alla collaborazione con iShares, società del gruppo Black Rock, leader nel mercato di questi strumenti.

Rimane alta l’attenzione alla qualità del credito erogato, ma si conferma anche nel 2016 il sostegno a famiglie ed imprese del territorio, come evidenziato dagli impieghi totali stabili a 1.880 milioni. Considerevole la crescita della componente mutui, che fa registrare un aumento del 32,1%, anche grazie al plafond agevolativo messo a disposizione dalla Cassa per l’iniziativa “Mutuo Casa Giovani” condotta in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Cento. Circa gli NPL, il rapporto di copertura del credito anomalo, che complessivamente decresce del 7%, balza al 54,80% dal 50,9% a fine 2015, portandosi a livelli di copertura dei crediti al top del settore bancario.

Nonostante la fragilità della ripresa economica in corso, nel 2016 Caricento ha continuato ad investire nelle risorse umane. La rete commerciale è stata infatti potenziata grazie all’inserimento di 7 figure professionali con specifiche competenze, mentre altri 7 giovani sono stati stabilizzati con contratto a tempo indeterminato. È stato inoltre attivato un fondo esuberi che coinvolge 10 dipendenti e che ha comportato un costo straordinario una tantum di 1,234 milioni. Anche nel 2016 la Cassa ha continuato ad avvalersi della collaborazione di alcune unità a tempo determinato con l’intenzione di creare occupazione e professionalità tra i giovani del territorio in cui opera.

E’ proseguito nel 2016 il percorso di crescita di Caricento attraverso l’apertura di ulteriori punti vendita. Dopo il rientro nella storica filiale di proprietà a Pieve di Cento, ristrutturata dopo il sisma del 2012, la Cassa ha aperto uno sportello leggero a Porto Garibaldi, mentre ha inaugurato a metà novembre un nuovo centro di Wealth Management & Private Banking situato a Ferrara in centro città, attraverso il quale potrà essere fornita la migliore consulenza in tema di tutela del patrimonio e gestione del risparmio, competenze che la Cassa continua a valorizzare con dichiarata soddisfazione della clientela.

In quest’ottica si colloca anche la creazione di una nuova rete di gestori personal che fornisce una consulenza specialistica su tematiche di natura bancaria, finanziaria ed assicurativa.

Ad inizio dicembre è avvenuta anche l’apertura della nuova filiale di Faenza, la prima in provincia di Ravenna, area della Romagna nella quale Caricento si propone di replicare il suo apprezzato modello di banca locale.

A fronte della crescita degli utenti che utilizzano i servizi di internet banking da desktop e mobile, si è provveduto al potenziamento delle tecnologie digitali messe a disposizione della clientela. Nel 2016 sono stati apportati alcuni importanti aggiornamenti al servizio di internet banking, come ad esempio il CRCMobile Token che consente di effettuare in sicurezza tutte le operazioni online senza necessità di un ulteriore dispositivo fisico. Anche l’applicazione per smartphone e tablet CRCento SmartBank è stata arricchita della funzione di trading, a completamento della gamma di funzionalità già disponibili da mobile.

Da sempre orientata all’ascolto della clientela, la Cassa ha aperto nel marzo del 2016 le proprie pagine aziendali ufficiali anche sui social network, nello specifico Facebook e Linkedin, che costituiscono due canali di comunicazione sempre aggiornati e presidiati dalla funzione aziendale di competenza.

Per quanto riguarda il futuro, la Cassa, coerentemente con quanto stabilito dal piano industriale varato a fine 2015, prevede ulteriori investimenti ed efficientamenti della rete distributiva con l’obiettivo di erogare un servizio sempre più efficiente e all’altezza delle migliori aspettative della clientela.

Nell’anno in cui festeggia i suoi 25 anni da Società per Azioni, con consolidate basi di autofinanziamento, la Cassa di Risparmio di Cento si conferma, pertanto, una Banca solida e vicina alle comunità dei territori in cui opera. Il Presidente Roncarati e il Direttore Generale Damiano hanno voluto lanciare ad Azionisti e clienti un messaggio di soddisfazione per i risultati raggiunti nell’esercizio di bilancio 2016: “Nonostante la ripresa ancora stentata del contesto macro-economico e le persistenti difficoltà che tuttora condizionano l’intero sistema bancario, la Cassa di Risparmio di Cento ha conseguito ancora una volta risultati positivi. L’utile registrato porta i segni dei contributi che abbiamo dovuto devolvere a Banche in difficoltà, ma si inserisce nel quadro di un andamento più che soddisfacente. La Cassa sempre più orientata all’eccellenza e all’innovazione, si conferma vicina alle esigenze delle proprie comunità.”

‘M’illumino di meno’: Hera Luce partecipa allo spegnimento simbolico delle città

Da ufficio stampa

In occasione della ‘giornata del risparmio energetico’, la società del Gruppo che si occupa di illuminazione pubblica lascerà al buio alcune zone del centro di Ferrara. Solo nel 2016 i progetti attuati da Hera Luce a Ferrara hanno permesso un risparmio di 200MWh

Anche quest’anno i tecnici di Hera Luce, società del Gruppo Hera che gestisce, mantiene e costruisce impianti di illuminazione pubblica, saranno al lavoro per lasciare al buio piazze e strade di comuni serviti, in occasione della giornata ‘M’illumino di meno’.

Su richiesta e indicazione del Comune di Ferrara infatti, nella giornata di venerdì 24 febbraio, provvederanno a spegnere per qualche ora l’illuminazione pubblica nel cuore dei due centri abitati, per indurre i cittadini a riflettere sul tema del risparmio energetico.

Tra i luoghi che Hera Luce spegnerà in questa occasione, dalle 18.30 alle 20, a Ferrara, vi sono anche alcuni siti molto significativi per importanza storica e artistica, ad esempio, Corso Martiri e piazza Trento Trieste, compresi il Duomo, il campanile e l’illuminazione artistica delle Mura ad eccezione di via Bacchelli.

A Ferrara, nel 2016, risparmiati circa 200 MWh
Oltre a spegnere le luci, il lavoro della società di Hera, che gestisce in tutta l’Italia un’ottantina di comuni, è focalizzato sul risparmio energetico. Nella provincia di Ferrara, ad esempio, nel 2016 sono stati efficientati complessivamente 685 punti luce, di cui 464 con nuova tecnologia a LED, con un risparmio energetico di circa 200MWh, pari a circa 37 TEP (Tonnellate Equivalenti Petrolio), evitando di immettere in atmosfera circa 81 tonnellate di CO2.
Gli interventi più importanti sono stati il completamento degli impianti in Viale Po, in Corso Isonzo, nelle vie Pacinotti, Pomposa, Fornace, Portogallo, Spadari, Frizzi, Malborghetto, Montebello, Palestro, Ravenna e nell’abitato di Fossanova San Marco.

droga

Convegno Utef: “Nuove droghe, un vecchio nemico. Aspetti farmaco-tossicologici, sociali e legislativi”

Da U.T.E.F. – Università per l’Educazione Permanente

Non c’è dubbio che la piaga della droga abbia assunto, ormai, dimensioni ragguardevoli nella società contemporanea, in particolare fra i giovani. E proprio ai nuovi pericoli emersi su questo fronte così complesso, che impone un’analisi approfondita sul piano medico, sociale e legale, è dedicato un interessante convegno che l’Università per l’educazione permanente di Ferrara (UTEF), insieme alla Polizia di Stato e all’Ufficio scolastico regionale per l’Emilia-Romagna, ha organizzato per martedì 28 febbraio presso la Sala Estense sul tema “Nuove droghe, un vecchio nemico. Aspetti farmaco-tossicologici, sociali e legislativi”.
Oggetto del dibattito, in particolare, saranno le cosiddette “nuove sostanze psicoattive” (NSP), oltremodo pericolose per la presenza, in esse, di proprietà sconosciute che rischiano di arrecare serie conseguenze per la salute di chi le assume. E che la scelta di questo tema sia tutt’altro che banale è dimostrato dalla portata del fenomeno, che dal 2009, in Italia e nel mondo, ha portato all’individuazione di ben 560 sostanze diverse, cento delle quali –peraltro – scoperte nel solo 2015.
L’evento si terrà in due sessioni. Alle ore 10 è prevista quella riservata agli studenti, in questo caso doppiamente significativa visto che la loro fascia d’età è quella più a rischio. Gli interventi, nell’occasione, saranno quattro. Il dott. Matteo Marti (tossicologo dell’Università di Ferrara) si soffermerà sul tema “Diffusione ed effetti farmaco-tossicologici delle nuove sostanze psicoattive”, mentre la dott.ssa Luisa Garofani (direttore dell’Unità operativa Ser. T. dell’azienda USL di Ferrara) parlerà di “Come le droghe cambiano il libero arbitrio”. A seguire, il prof. Stefano Caracciolo (ordinario della sezione di neurologia, psichiatria e psicologia dell’Università di Ferrara) tratterà il tema “Radici psicologiche della dipendenza” e il dott. Andrea Crucianelli (dirigente della Questura di Ferrara) relazionerà su “Gli interventi nelle scuole: l’importanza della prevenzione”.
Sempre il 28 febbraio, ma alle 15,30, il convegno sarà replicato per i soci UTEF e, pubblicamente, per la cittadinanza. Il dott. Marti riproporrà l’intervento del mattino al pari del prof. Caracciolo, mentre la dott.ssa Garofani, alla luce della platea adulta, tratterà il tema “Vivere il ruolo genitoriale ed educativo con gli adolescenti”.
Si annuncia un convegno di elevata valenza sociale. Il focus, del resto, è posto su un argomento nel quale si avverte, forte e chiaro, un triste campanello d’allarme, ancor più pressante se si pensa che i consumatori di NSP, spesso, le abbinano alle droghe più comuni (eroina, cocaina, derivati della cannabis), per un effetto potenzialmente molto grave. Non a caso, ormai, delle nuove sostanze psicoattive si occupano con grande attenzione anche Nazioni Unite e Unione Europea.

Legalità. “Black Monkey”: un milione di euro alla Regione Emilia-Romagna, parte civile al processo. Mezzetti: “Investiremo il risarcimento nelle azioni di contrasto alle mafie”

Da ufficio stampa

Lo prevede il Testo unico regionale per la legalità.

Bologna- “Esprimo grande soddisfazione per la sentenza di primo grado nel processo “Black Monkey. La sentenza e le relative condanne segnano un punto importante nella lotta alle mafie in Italia e in Emilia-Romagna”. Così l’assessore regionale alle Politiche per la legalità, Massimo Mezzetti, ha commentato la notizia sull’esito della sentenza in primo grado del processo.” La Procura di Bologna ha visto confermato l’impianto accusatorio ed è di grande significato il fatto che abbia tenuto la richiesta di ricorrere all’art. 416 bis, l’accusa di associazione mafiosa, contestata dalla Procura. La Regione- spiega Mezzetti- che si era costituita parte civile, ha visto riconosciuto un risarcimento significativo di un milione di euro che, quando sarà nelle nostre disponibilità, verrà reinvestito nelle azioni di contrasto alle mafie nel nostro territorio, come previsto dal Testo Unico recentemente approvato.”

movimento5stelle

Nessuna vera risposta circa il ristoro per i rifiuti pugliesi bonifica via Conchetta: sicuro che dobbiamo pagare noi?

Da gruppo consiliare Movimento 5 Stelle

Mi colpisce la tempestività con la quale l’Assessora Ferri si è precipitata a rispondere sulla stampa alle mie richieste in merito al ristoro ambientale per l’accoglimento delle 12.000 tonnellate di rifiuti dalla Puglia e riguardo alla bonifica dell’area dell’ex inceneritore di via Conchetta. Sembra chiaro che sia un tratto distintivo della sua azione politico/amministrativa comunicare a mezzo stampa generiche risposte per non entrare nel vivo delle questioni.
L’Assessora pare infatti affermare che non ha idea di quando Hera corrisponderà i fondi promessi (a meno che non consideri “nei prossimi giorni” una scadenza…) né di come tali fondi saranno utilizzati, se non genericamente per “progetti ambientali nel territorio che ha subito il disagio”, ma questo lo sentiamo da oltre sei mesi. Nessuna conferma se sia stato richiesto l’accesso al fondo di compensazione ambientale, come promesso dal Sindaco nel luglio scorso. Leggiamo inoltre “nei prossimi giorni è previsto un incontro tra l’assessora regionale Paola Gazzolo e la sottoscritta” e ne prendiamo atto: proprio come “nei prossimi giorni” (eravamo al 13 luglio dell’anno scorso) era previsto un incontro tecnico tra RER e Comune di Ferrara per lo stesso motivo!
Riguardo alla bonifica di Via Conchetta, appare quantomeno avventata la perentorietà con la quale l’Assessora attribuisce all’Amministrazione la competenza per le spese di smaltimento, come se non ci fosse alcun dubbio. Ricordo che l’Unione Europea ha da tempo introdotto il principio (sacrosanto, aggiungo io) del “chi inquina paga”, e che in Italia è sancito quello del “proprietario incolpevole”, che distingue nettamente la figura del responsabile dell’inquinamento dal proprietario del sito che non abbia causato la contaminazione.
Proprio su questo tema verte la interrogazione (in allegato) che il Consigliere Regionale M5S Gian Luca Sassi ha presentato a Bologna all’inizio di febbraio, che chiede alla Regione, tra le altre cose, “se non ritenga doveroso rivalersi sul soggetto che ha causato l’inquinamento”. La stessa richiesta che il sottoscritto ha posto all’Amministrazione. L’Assessora Ferri, che non vede l’ora di accollarsi le spese di bonifica facendole di fatto pagare ai cittadini, già vittime dell’inquinamento stesso, anticipa la risposta ufficiale dell’Amministrazione e quella della Regione Emilia Romagna decidendo che se “la proprietà dell’immobile è del Comune, i costi di smaltimento sono di competenza dell’Amministrazione.”
Risulta francamente difficile comprendere come mai, a pari responsabilità sull’inquinamento del Quadrante Est, l’Amministrazione si sia prontamente prodigata in sede giudiziaria contro Solvay, mentre sia così riluttante ad assumere lo stesso atteggiamento nei confronti di Hera…

BORDO PAGINA
La “Krisis” contemporanea secondo Mauro Casarotto

Mauro Casarotto – Krisis. Che cosa nasconde la più grande crisi del mondo occidentale (Armando editore)

(Dalla Scheda Editoriale) “Questo non è solo un altro libro sulla crisi economica. Avete mai provato ad immaginarvi questa crisi come un albero? Un grande albero di cui ci attraggono le foglie, di cui vediamo anche rami e tronco ma di cui non ci siamo mai spinti a cercare le radici? In questo libro troverete tante domande e anche qualche possibile risposta su cosa si nasconde alle radici di KRISIS e su quello che ci aspetta (o forse no) nel prossimo futuro. Dopotutto, se non si capisce e individua il male, non si può procedere con la cura”
Mauro Casarotto, da sempre interessato di Politica e Sociologia, si è laureato all’Università di Padova in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali grazie alla tesi Riforma della Nazioni Unite: Europa e Stati Uniti a confronto.

Recensione: L’incipit di cui sopra è già tutto un programma: spicca poi nel volume certa verità verosimile indicibile nel dibattito generale, altrove, sorta di talk show coazione a ripetere, meccanismo depistante con magari figure e scenari insospettabili ben noti/e: giornali, economisti, banche e banchieri e agenzie finanziarie varie, televisioni, riviste radical chic specializzate, i soliti ignoranti politicanti, leaders di stato inclusi, docenti universitari inclusi: la celebre società dei simulacri non stop cara a Baudrillard, anni 80!!!
La cosiddetta crisi contemporanea, economica, è una crisi strutturale e – quasi ovunque – parole e ricette (milioni di milioni) mirano non a soluzioni possibili, ma a perpetrare l’inganno globale; quel che pochi ammettono è la strategia prevalente: non solo almeno un perverso business plan cospiratorio pianificato e intenzionale, soprattutto logiche misconosciute del cosiddetto inconscio collettivo o sociale. I protagonisti, banche incluse, sono in buona fede, sono semplicemente credenti 2.0, clamorosamente non molto diversi da certe sette new age attuali, in certo senso.
Il grave baco è la rimozione della crisi strutturale, vista come crisi ma orizzontale e diacronica, non verticale e sincronica, un poco come l’astrologia…
L’astroeconomia… come assioma e poi si discute, quasi ovunque, come di congiunzioni o congiunture astrali, previsioni allieneamenti di pianeti chiamati Wall Street, borsa di Tokio o Milano e così via….
Un tempo il liberal capitale era all’avanguardia produttiva e tecnologica: Bell inventa il telefono e pochi anni dopo la nuova tecnologia invade il Mercato, capitani d’industria subito predatori e – piaccia o meno – sviluppo economico, nuovi orizzonti in progress. Nel turbocapitalismo attuale, paradossalmente le auto elettriche e l’energia solare sono subordinate e business plan quasi ventennali già operativi ancora per le auto e il gas/nucleare… “primitivi”: e il Sistema come un Computer va in crash o funziona invaso da virus e spyware.
Iperboli ovviamente, ma indicative sullo stato delle cose: ovvero il computer world in mano a una generazione paleocapitalistica debole (managers strapagati inclusi) priva persino di sano egoismo prospettico!
Casarotto appartiene invece a quella non marginale, neppure esoterica, ma concreta schiera di scienziati sociali che sognano la società della conoscenza: non utopia astratta, ma scenari d’indagine pluridecennale, pure attraversati nei dibattiti, a volte persino nelle stanze dei bottoni, più o meno come consulenti ecc., ma poi assimilati, nella migliore delle ipotesi, da Politicanti e esperti vari convenzionali sempre rimuovendo la struttura, il registro del sistema, l’hardware fondamentale.
Emergerebbe un conflitto d’interesse persino epistemico e anche generazionale ormai: molti non adatti per storie personali e culturali (ancora novecentesche pre rivoluzione elettronica, pre emergenza relativa ecologica) a pilotare la Macchina nel XXI secolo, urgente una rifondazione, anche letterale con nuove unità umane.., del … Sistema e in tutte le sue macchine pragmatiche operative…
Splendida la metafora dell’albero, ecotecnologica, la rimozione, come accennato, delle radici, quasi codice criptato dell’autore nella disanima della crisi Krisis in corso: non ultimo, persuasive le ricette prossimo venture immediate, segnalate, più o meno al passo con parallele analisi pure molto note fin dal secondo novecento, in ambito conoscitivo e futuribile, originalmente rilanciate e aggiornate con visioni postcapitaliste coraggiose, di matrice ecosociale, ma una ecologia scientifica, oltre il minimalismo, secondo noi, deteriore di un Latouche e certo fuorviante Ismo ecologico, se essenziale, anziché variabile nel discorso.
Nuovi input invece, al di là di certa cifra anche disincantata (e molto brillante), terribilmente pragmatici destinati a salti anche quantici nelle stesse stanze dei bottoni o pulsanti (come accennato) dell…Onu, l’Unione Europea, gli Stati Uniti stessi: quasi una ricerca, per salvare l’Impero, di un impero interiore?
INFO ed Estratto
http://www.armando.it/krisis8680

INSOLITE NOTE
“Si vo’ Dio”, i classici della canzone napoletana interpretati da Rosa Chiodo

Quella di Rosa Chiodo è una carriera in ascesa: nel 2013 ha vinto il Festival “Premio Mia Martini – Nuove proposte per l’Europa” di Bagnara Calabra, con il brano “Il tuo respiro” scritto da Saverio D’Andrea, l’anno successivo ha partecipato al Festival della canzone italiana a New York e recentemente si è aggiudicata il premio della critica al Festival di Napoli, oltre ad avere aperto i concerti di Edoardo ed Eugenio Bennato.

Rosa, conosciuta anche con il nome d’arte di Kiodo, ha pubblicato “Si vo’ Dio”, il suo primo EP, in cui propone cinque classici della canzone napoletana e un inedito, avvalendosi di soli due strumenti: il pianoforte e la voce.
L’album trae il titolo da “Si vo’ Dio”, di Salvatore Palomba e Rino Afieri, la nuova canzone con cui ha vinto Il Festival di Napoli – New generation, svoltosi nel 2015 al Teatro Politeama di Napoli. Palomba, collaboratore storico di Sergio Bruni, è l’autore di alcuni classici inseriti nel disco, quali “Carmela” e “Amaro è ‘o bene”, firmati con lo stesso Bruni.

In “Si vo’ Dio”, il pianoforte, suonato da Francesco Oliviero, accompagna la voce di Rosa, che dona passione e cuore all’interpretazione. Nel brano firmato Palomba-Alfieri, s’intravede un piccolo spiraglio di speranza, sufficiente per fare nascere un sorriso: “Certo ce vo’ coraggio oggi a se vulè bene, oggi ca ‘e sentimente, pare ca so’ ‘e passaggio. Ma per ce senti vive oversamente, nun ‘o perdimmo maie chistu coraggio! Si vo’ Dio…”.

Rosa Chiodo
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Gli altri brani dell’EP sono eseguiti al pianoforte da Aldo Fedele, collaboratore storico di importanti artisti tra cui Lucio Dalla, Stadio, Gianni Morandi, Roberto Vecchioni, Ron, Edoardo Bennato.
“Voce ‘e notte” è un classico della canzone napoletana, composto all’inizio del secolo scorso da Edoardo Nicolardi ed Ernesto De Curtis. La canzone racconta di un uomo che dichiara il suo sentimento alla donna amata, anche se lei è già promessa a un altro. Rosa si aggiunge a Lina Sastri, stupenda interprete di una precedente versione al “femminile”; mentre tra i gli artisti uomini citiamo Massimo Ranieri, Peppino di Capri e Claudio Villa.
Oramai non si contano più le incisioni di “Canzone appassionata” (Canzone appassionata), scritta nel 1922. La versione della cantante campana si aggiunge alle tante, buona l’interpretazione guidata al pianoforte da un ispirato Aldo Fedele.
“Carmela” e “Amore è ‘o bene”, i due brani firmati Palomba-Bruni, sono diventati dei classici, anche se abbastanza recenti. La collaborazione tra Sergio Bruni e il poeta Salvatore Palomba creò un sodalizio molto importante per la canzone napoletana, bene ha fatto Rosa ad attingere da questo repertorio, che si presta all’esecuzione al solo pianoforte ed esalta il timbro dell’interprete.

“Passione” è una delle canzoni più conosciute, una struggente storia d’amore scritta da Libero Bovio e musicata da Ernesto Tagliaferri e Nicola Valente. La versione di Rosa e Aldo Fedele mette l’accento sulle due anime del brano, diviso tra estasi e sofferenza, la voce della cantante sembra più matura della sua giovane età, un complimento se riferito a un brano del 1934, riportato ai giorni nostri dalle note di un pianoforte suonato con… passione.
“Si vo’ Dio” è il primo EP “senza rete” di Rosa Chiodo, dotata interprete di classici napoletani e canzoni che si legano alla tradizione. La voce c’è ed è tanta, il talento, la passione e l’applicazione non mancano, sicura ricetta per rendere al meglio potenza e sensibilità. Ottimi i collaboratori, splendido il repertorio. Se son Rose…

Rosa Chiodo: Se vo’ Dio (video ufficiale)

I DIALOGHI DELLA VAGINA
L’illusione delle “ipersoluzioni”

Quando ostinatamente abbiamo bisogno di risposte, quando trasformiamo le richieste in ‘ipersoluzioni’ come le definisce Paul Watzlawick, andiamo incontro a fallimenti certi.
Le ipersoluzioni raccontate dalle nostre lettrici.

Mettersi un nuovo rossetto, perché no? Basta poco…

Cara Riccarda,
nel tuo articolo ho, purtroppo, ritrovato il mio modo di agire nei momenti di crisi…ma come fare altrimenti? Hai ragione, si ricercano, o meglio si pretendono le ipersoluzioni, spesso delegando a chi è vicino a noi la responsabilità di realizzarle. E immancabilmente ci ritroviamo, mi ritrovo, in situazioni ancora peggiori, in cui io sono sempre più preda dell’ansia (“Le cose non vanno, come mai non vanno? Cosa devo fare? Perché gli altri non reagiscono come vorrei?”) e chi mi è vicino inizia anche lui a barcollare, sovraccaricato dalle mie aspettative e richieste. E talvolta mi si annebbia la vista, e tutto ciò che non è “iper”, perde di importanza, o addirittura, diventa un problema.
Allora, come uscire da questo loop negativo? Una mia amica una volta mi ha detto: “Rompi gli schemi! Mettiti un rossetto rosso, un vestito che di solito non hai il coraggio di mettere, fai qualcosa, anche di piccolo, ma di insolito, e ascolta quello che succede.” A cosa potrebbe servire? Forse, semplicemente e finalmente, a riportare l’attenzione su di me, a restituirmi il piacere e la responsabilità di prendermi cura di me stessa, di trovare le soluzioni e non le ipersoluzioni, che mi si addicono. La risoluzione della crisi, ovviamente, non sarà immediata né semplice, ma intanto si inizia!
Un abbraccio
E.

Cara E.,
hai mai letto Per dieci minuti di Chiara Gamberale? Un libro bellissimo che dimostra quanta ragione abbia la tua amica: qualcosa di nuovo (lei aveva iniziato con lo smalto fucsia) ogni giorno per dieci minuti, può innescare un cambiamento, tra l’altro irreversibile.
La chiosa della tua amica, poi, ti invita a usare non l’occhio, ma l’orecchio interiore per cogliere quel che succede: non basta la vista, quella ci dice solo se il rossetto è meglio rosso o rosa, ma serve un senso diverso, in grado di mandarti quel segnale che solo tu puoi ascoltare e accogliere. Scommetto che funziona, funziona sempre quando evitiamo di smarrirci in mezzo agli altri e recuperiamo un po’ di noi.
Quanto alle iperosoluzioni che ti annebbiano la vista, ormai hai capito che sono una strada presa contromano e a fondo chiuso. La imboccheresti mai? Non credo.
Riccarda

Il meglio per me… e per nessun altro

Ciao Riccarda,
niente di più vero per quel che riguarda le “ipersoluzioni”.
Io ho sempre fatto le cose in funzione della mia aspettativa di crearmi una famiglia, finché un bel giorno ho scoperto che per me non sarebbe stato un percorso semplice.
La mia “ipersoluzione” è stata quella di rinnegare tutto: mi sono convinta che non avevo figli perché non volevo e non perché non potevo.
Questo mi ha portato ad avere atteggiamenti superficiali e a trovare il senso della vita in cose superflue.
Ad un certo punto ho avuto un problema ad un ginocchio (tutto o quasi succede per un motivo) che mi ha obbligato a fermarmi e a bloccare tutte le attività fatte fino a quel momento.
Mi sono così avvicinata allo yoga che mi ha aperto un mondo fatto di consapevolezza, pazienza e serenità interiore.
Non esiste il “non riuscire” ma il riuscire in modo diverso da quel che ci si aspettava, non c’è un “meglio degli altri” ma solo il “meglio di noi stessi”.
Chissà adesso la vita dove mi porterà o dove sceglierò di andare.
El.

Cara El,
parto dalla fine della tua lettera perché in quel ‘chissà adesso la vita dove mi porterà o dove sceglierò di andare’ c’è tutta la meraviglia e non lo spavento di fronte a ciò che non si conosce. Credo che le due prospettive coincidano: che sia la vita a proporti qualcosa o tu a scegliere dove andare non fa differenza, ci sei sempre tu di qua e di là rispetto a un confine sottile che siamo noi a porre, come se la vita non fossimo noi e viceversa. E’ solo un modo di chiamare in terza persona quando facciamo fatica a dire io.
Hai ragione, nulla avviene per caso, o meglio, le cose e le persone, non capitano senza lasciare traccia, nel tuo caso dal ginocchio, allo yoga a una serenità interiore che spero tu non abbandoni.
Quando mi chiederò cosa sia meglio, ricorderò di quanto scrivi: il mio meglio non è detto sia quello degli altri, sarà il mio.
Riccarda

Il coraggio del cambiamento

Cara Riccarda,
credo tu abbia ragione: più chiedi e meno ottieni, ma allora cosa dobbiamo fare? Stare a guardare e non chiedere mai? Aspettare? Accettare? Non so.
Nel corso delle varie storie della mia vita, ho notato un filo comune tra gli uomini. Quando qualcosa non andava, io ho sempre chiesto ma, ripensandoci, ho la netta sensazione di avere sempre ricevuto dei ‘ci proverò’ tanto per farmi stare zitta. Due moine, un gesto carino e poi tutto come prima, altro che ipersoluzione! Forse un cambiamento, anche se sbagliato, eccessivo o fuori tempo, sarebbe stato più apprezzato da parte mia.
Debora

Cara Debora,
peggio del ‘ci proverò’ c’è il ‘vediamo’. Una volta credevo che il ‘vediamo’ fosse solo una frase-fase di transizione verso il cambiamento, invece, è la stasi più mediocre camuffata da una finta accondiscendenza. Chi ti risponde ‘vediamo’ è un vigliacco che ti lascia lì ad aspettare ancora, pur sapendo che non ti darà mai ciò che chiedi, e intanto evita ulteriori discussioni.
Quando, allora, ci si accorge che la richiesta sta diventando ipersoluzione bisognerebbe fermarsi per non peggiorare le cose. Difficilissimo, lo so. Ma ancora più difficile è poi riprendersi dalla degenerazione delle discussioni, dalla radicalizzazione, dai ‘se io..allora tu’, insomma da quelle contrapposizioni che increspano il rapporto ancora di più.
Aspettare? No, andare avanti.
Riccarda

Inviate le vostre lettere a: parliamone.rddv@gmail.com

IL FOCUS
C’era una volta la lettera

Non si scrivono più lettere. Ogni tanto qualcuno se ne accorge e nostalgicamente, con un’ombra di disappunto, lo fa notare, proseguendo con un elenco sostanzioso di esempi sull’effetto terapeutico, simbolico e anche romantico dello scrivere di pugno. Una lettera non è mai solo una lettera: è lo specchio della nostra vita che attraverso quel foglio bianco e quella penna amplifica, intensifica, concretizza le nostre proiezioni.Utilizziamo le lettere, quelle rare volte che decidiamo di farlo, come fossero un’emanazione di noi, nella quale ritroviamo ciò che in altri modi e altre forme non riusciremmo a creare ed esprimere.
Nella lettera ci confessiamo, mettiamo a nudo ciò che abbiamo di più recondito, sussurriamo parole, gridiamo sensazioni, dichiariamo sentimenti, trasmettiamo emozione e sveliamo quello che altrimenti rimarrebbe trattenuto da pudore e riserbo.

Lo scambio epistolare in letteratura diventa il leitmotiv che permette di intessere storie, esprimere sentimenti, sviscerare processi mentali, descrivere fatti e situazioni con un impatto del tutto diverso da altre modalità narrative, con uno spirito, un’energia e capacità emotiva molto più incisivi. In ‘I dolori del giovane Werther’ di Johann Wolfgang Goethe (1774), il ventenne Werther scrive all’amico Guglielmo lettere di lacrime e profonda sofferenza per un amore non corrisposto, prima di scegliere un epilogo drammatico e definitivo alla propria esistenza. Nell’opera giovanile di Jane Austen, ‘Lady Susan’ (1793), leggiamo lo scambio epistolare tra Lady Susan e Mrs. Johnson, amica e complice negli intrighi, sotterfugi e inganni che riguardano relazioni chiacchierate con uomini sposati, reputazioni da difendere, legami familiari complicati, vizi e virtù, eredità da conquistare. Personaggi meschini e calcolatori trovano, alla fine, la loro giusta collocazione nel puzzle della vicenda, mentre situazioni che sembravano irreversibili cambiano improvvisamente l’ordine delle cose. Nel quarto libro della fortunata saga di ‘Anna dai capelli rossi’ dell’autrice canadese Lucy Maud Montgomery, dal titolo ‘La casa dei salici al vento’ (1936), la corrispondenza tra Anne Shirley e il fidanzato Gilbert Blythe, opportunamente censurata dall’autrice nei tratti più intimi, accompagna il passaggio non facile dei protagonisti nel mondo degli adulti, raccontandone le fasi e gli eventi che lo hanno caratterizzato, trascinando il lettore in un contesto movimentato di sogno e fantasia.

‘Herzog’ (1964) è il romanzo a struttura epistolare di Saul Bellow che Time ha incluso nella lista dei cento migliori romanzi in lingua inglese. Moses scrive numerosissime lettere contenenti flashback della sua vita, esprimendo la sua delusione per i propri fallimenti, intrappolato in relazioni sbagliate che non gli danno tregua. Alla fine, riesce a trovare un senso nella sua esistenza ideando e progettando spazi nuovi per il futuro. Herzog conclude dichiarando che non ha più bisogno, a questo punto, di scrivere lettere e lo scambio diventa sempre più infrequente. ‘Lettera di una novizia’ di Guido Piovene (1941) è la raccolta epistolare tra Margherita, novizia tormentata da una crisi vocazionale e don Giuseppe Scarpa, il suo confidente. Riflessioni, considerazioni, timori e dubbi accompagnano la vita monacale della giovane, attratta allo stesso tempo dalla vita secolare. La corrispondenza continua anche in carcere, dove Margherita viene portata dopo aver commesso un omicidio e dove morirà quasi subito per polmonite. Le lettere diventano elemento fondamentale nel romanzo ‘Il colore viola’ dell’autrice americana Alice Walker (1982), scritte dalla protagonista a Dio e successivamente alla sorella che credeva scomparsa per sempre. E’ la storia di Celie, una donna afroamericana del Sud degli Stati, durante la prima metà del Ventesimo secolo, oppressa da violenze e angherie fin da ragazzina, che passa da un padre padrone a un marito che la considera una schiava. Celie trova le lettere nascostele dal marito, che la sorella Nettie le aveva spedito per anni, recuperando affetti, pezzi di storia e ricordi. E soprattutto dignità e libertà. Dal libro è stato tratto il film ‘The color purple’ di Steven Spielberg nel 1985, con l’impareggiabile Whoopi Goldberg nei panni della protagonista.

Un vero e proprio caso letterario è ‘Ragazzo da parete’ di Stephen Chbosky (1999), conosciuto anche con il titolo più recente ‘Noi siamo infinito’. Si tratta di un romanzo epistolare di formazione, ambientato nella periferia di Pittsburg, che affronta coraggiosamente tematiche come droga, omosessualità, sesso, suicidio in modo disincantato e diretto. Per questa ragione occupa il terzo posto nella lista dei dieci romanzi più contestati, stilata dalla American Library Association nel 2009. Un romanzo epistolare dei giorni nostri è ‘Novemila giorni e una sola notte’ di Jessica Brockmole (2013), la storia di una ragazza alla ricerca di risposte che le sono sempre state negate. Una madre che nasconde qualcosa, una lettera ingiallita, i fili invisibili del tempo, una poetessa che continuerà a scrivere lettere aldilà dell’oceano. Il libro è un inno struggente alla magia delle parole e alla forza dell’amore che supera tempo e confini.

Quando si parla di scambio epistolare non si può non fare riferimento a ‘Lettere a Milena’ di Franz Kafka, una ricca raccolta delle lettere che lo scrittore praghese e la sua amica, traduttrice di molti suoi racconti, si scambiarono a partire dal 1920. La loro storia ideale si mantenne a lungo nonostante lei fosse sposata e lui fidanzato da molti anni. Fu una relazione intensa che trascendeva la parte fisica del rapporto, coltivata a distanza e di grande aiuto allo scrittore, provato da problemi di salute legati alla tubercolosi, disturbi alimentari e difficoltà relazionali. “Credo, Milena, che noi due abbiamo una particolarità in comune: siamo tanto timidi e ansiosi, quasi ogni lettera è diversa, quasi ciascuna si spaventa della precedente e, più ancora, della risposta. Continui a volermi bene! Suo F.” “Questo incrociarsi di lettere deve cessare, Milena, ci fanno impazzire, non si ricorda che cosa si è scritto, a che cosa si riceve risposta e, comunque sia, si trema sempre.” “E poi c’è la lettera della notte, non si capisce come la si possa leggere, non si capisce come il petto possa allargarsi abbastanza e continuare a respirare quest’aria, non si capisce come si possa essere lontano da te.”

Le tre società in cerca di rappresentanza

Tutti i paesi occidentali sono attraversati da una profonda crisi: continua l’impoverimento del ceto medio e si accentua la polarizzazione sociale. In Italia l’ultimo Rapporto Eurispes 2017 disegna un paese preoccupato: solo una persona su dieci si aspetta un miglioramento della situazione economica, la metà fatica a fare quadrare i conti e uno su quattro si sente povero. Un recente rapporto della Fondazione Hume descrive un’Italia in cui coesistono tre società sempre più divaricate tra loro.

La prima società, quella dei garantiti, comprende i dipendenti pubblici e gli occupati delle grandi aziende private, in sostanza i cittadini con la garanzia del posto di lavoro. Un segmento in via di riduzione che ha visto uscire circa mezzo milione di persone tra il 2008 e il 2014, per effetto del calo della Pa e della crisi. I lavori tutelati sono calati dal 26,5% del 2007 al 23,9%, oggi sono quindi meno di un quarto.

La seconda società comprende lavoratori autonomi e dipendenti delle piccole imprese senza ammortizzatori sociali e precari assunti con contratti a termine. Insieme formano la cosiddetta società del rischio, lavoratori senza protezioni e che vivono nell’incertezza di scivolare in una zona di povertà. Anche questo secondo segmento si è eroso soprattutto per la crisi del lavoro autonomo.

A queste due si aggiunge la società degli esclusi, un terzo grande gruppo composto da disoccupati, lavoratori in nero, un segmento consistente e in crescita: comprende oggi circa 9 milioni di persone e si concentra soprattutto nel Mezzogiorno dove la sua incidenza è pari al 45,8%.
Un quadro preoccupante denso di rischi di disgregazione. È in atto da tempo una crisi del ceto medio che rappresenta il principale fattore di stabilità e di tenuta sociale.

La polarizzazione sociale è destinata ad acuirsi per effetto delle tecnologie che erodono lavori, marginalizzano le figure che ne erano protagoniste, svuotano e standardizzano i contenuti trasferendo competenze alle macchine e a servizi digitalizzati. Anche una parte di professioni che alimentavano la parte alta del ceto medio (dagli avvocati ai commercialisti) rischia di scivolare in un’area di precarietà.
Una larga varietà di strati sociali vive una seria crisi di rappresentanza. L’effetto congiunto della precarizzazione delle condizioni materiali, delle minori risorse disponibili per il welfare e della percezione soggettiva di marginalizzazione, insieme al venire meno del cd ascensore sociale, producono un mix di sentimenti di depressione e di rabbia. Oggi il ceto medio può diventare un luogo sociale del rischio: un gruppo radicalizzato, travolto dal panico di arretrare ancora e finire nel gruppo di chi non ha certezze lavorative e non può contare su ammortizzatori.
Ognuna delle tre società è attraversato da una ricerca inquieta di rappresentanza. Lo è anche il segmento dei garantiti che vive comunque sentimenti di frustrazione, una crisi di reputazione sociale e una crisi di identità (pubblica amministrazione).

La crisi del ceto medio riflette non solo il deterioramento di condizioni materiali, ma anche la perdita di riconoscimento, la crisi della reputazione sociale e del senso del lavoro. Ne sono un esempio gli insegnanti che percepiscono sia nel trattamento salariale sia nel ruolo sociale una sorta di declassamento e di perdita di centralità.
Lo è tanto più la seconda società che vive una crescente incertezza esistenziale che si traduce nell’impossibilità di fare progetti di vita a medio termine. Lo è, ovviamente, la società degli esclusi che esprimono legittimi sentimenti di rabbia e alimenteranno le rivolte anti élite.
Il divario tra i tre gruppi aumenta soprattutto per effetto di uno slittamento verso i gradini inferiori della scala; cresce una vasta zona di precariato senza cittadinanza sociale, cioè senza accesso non solo a certi standard di consumo, ma a salute e istruzione.

Le tre società propongono sfide complesse rispetto alla rappresentanza politica: la tendenza alla polarizzazione si traduce in processi di radicalizzazione. Intanto i conflitti nella politica tendono ad accentuarsi e a fondarsi su richiami simbolici assai più che su proposte politiche distintive.

L’INTERVISTA
Vicenza, il Comune vuole chiudere il cimitero ebraico. Piovono proteste. Il sindaco: “Mai avuto tali intenzioni”

“Lasciate in pace i miei morti che io non disturbo i vostri. Questo cimitero deve vivere perché è tutto ciò che rimane in città delle nostre radici”. Queste sono le parole della vicentina Paola Farina, di religione ebraica, nei confronti dell’amministrazione comunale di Vicenza che propone lo smantellamento dell’ex cimitero ebraico. Con questa proposta si intende cancellare la memoria ebraica della città. Su invito della stessa Paola, stanno giungendo lettere di sdegno e proteste al sindaco, da ogni parte d’Italia e dall’estero.

Perché questa proposta di smantellamento dell’ex cimitero ebraico nella tua città, Vicenza?
E’ ciclico, Laura, da quando avevo vent’anni… ogni dieci anni arriva il genio di turno. Il Cimitero è in stato di abbandono, questo è vero, ma verso fine anni Novanta il Comune rifiutò una sepoltura, quella della signora Lattes, che venne poi sepolta a Ferrara. Il Cimitero si trova a ridosso delle Mura della città: taglia via i perimetri di cemento, perché non si può costruire a ridosso. Un parco giochi o un’altra destinazione aprono i portoni per una cementificazione di massa.

A Vicenza esiste ancora una Comunità ebraica?
No, a Vicenza non c’è una Comunità Ebraica e quella che c’era prima della guerra era molto spartana, credo sia l’unico cimitero ebraico dove un marito si è portato con sé la moglie non ebrea e dove un ex ebreo si è fatto mettere una croce. Le tombe hanno raffigurato le immagini dei defunti: rarissimo e del tutto fuori dalle regole. Per questo mi piacciono le mie radici, perché atipiche: io sono parente di pari grado di un rabbino e di un santo. Sono cresciuta tra mille contraddizioni e mille sfaccettature, ho avuto un’adolescenza difficilissima e molto sofferta per questo, ma ora da diversamente giovane sono ricca di cultura, di ironia e di versatilità, pur rimanendo molto ancorata alle mie radici ebraiche. Non ci sono dubbi che la Comunità di Vicenza sia stata importante e fosse ben inserita nel contesto, perché l’appezzamento di terreno è piuttosto grande, forse si sperava in una crescita, ma sia il clero, sia la deportazione hanno contribuito ad annientare una cultura e una religione. Però mi ricordo ancora alcune vecchie signore che incontravo da bambina con mia nonna al Caffè la Triestina e poi di un pellicciaio Diamantish che era un ex internato dalla Jugoslavia e che poi andò in America.

L’atteggiamento dell’amministrazione comunale, compreso il sindaco?
Per il momento silenzio assoluto. So che in questo periodo godo di grandi antipatie, accadde così anche nel 2004 quando usai la stessa strategia con il sindaco Enrico Hullwech (FI). Non credo che il sindaco Achille Variati (Pd-Lista Civica) sia una persona con sentimenti antisemiti, penso invece che si sia scelto collaboratori sbagliati. Del resto chi vuole piacere a tutti non è esente da simili errori.

E’ vero che stanno giungendo al sindaco, da ogni parte, numerose lettere di sdegno e protesta, dopo il tuo appello?
Parecchie, in copia a me una quarantina, ma il mio obiettivo era 100 (però sono disordinata, potrebbero essercene altre che non ho spostato). Mi sono piaciute tutte, anche quelle di poche parole, il mio obiettivo era sensibilizzare le persone alla Memoria della presenza ebraica a Vicenza. Hamos Guetta ha scritto in un italiano arcaico: “Signor Sindaco Variati. Non un cimitero ma un vero monumento storico, guai a toccarlo, noi ebrei tripolini che abbiamo visto distrutto il nostro cimitero a Tripoli (Libia) ed abbiamo seguito la serie di disgrazie succedute al popolo Libico. Dobbiamo salvare Vicenza da tali disgrazie. Distruggere un cimitero ebraico secondo la ghemara attrae sul luogo e sugli autori disgrazie. Scusate il tono che può sembrare una minaccia, ma è ciò che è scritto ed avvenuto altrove sempre. Ho saputo da Paola Farina dell’intento di adibire a parco giochi il Cimitero Israelitico. Io sono stato con Paola ed ho visto quel cimitero. Salvate il cimitero e con esso l’anima di Vicenza e della sua gente”.
E quella di una ex vicentina, ormai israeliana da tantissimi anni: “egregio signor sindaco Variati, non capisco con che diritto lei abbia deciso di distruggere le tombe ebraiche di Vicenza. Ha lo stesso diritto che ha l’Isis di distruggere Palmira. Le tombe ebraiche sono a perpetuità, non possono essere spostate. Può togliere invece tutte quelle degli intrusi che sono stati messi lì, mi sembra soldati tedeschi e la pacchianeria fatta da una famiglia di convertiti e fare lì il suo parco giochi. Certo il cimitero ebraico di Vicenza non è bello come quello del Lido di Venezia o di Praga, ma può essere restaurato e valorizzato. I cimiteri sono un luogo di riposo e meditazione e possono diventare anche meta di visite, come il Père Lachaise a Parigi, i parigini non si sognerebbero certo di distruggerlo. Distruggere le cose antiche è facile, peccato che non si possano ricostruire. Cordialmente una ex-vicentina. Carla Valpiana”.
E quello della mia amica Penina Meghnagi Salomon dalla California: “No al furto delle radici ebraiche di Vicenza. Sei un Tikun per noi anche questa volta. Mi unisco a Paola. Sei benedetta. Chiedi qualsiasi dichiarazione e firmerò sempre. Questo più di tutti perché ha detto che sono benedetta, ma onestamente non ci sono parole che possano valere l’una sull’altra, tutte le mail sono state una manifestazione di affetto e di solidarietà. Noi siamo una grande famiglia, noi Ebrei e quelli che la pensano come noi anche se di religione diversa.

Come pensi che evolverà questa situazione?
Devo rispondere da persona educata? Ci provo. Sarebbe ora che i “politicicantesi” prima di parlare studiassero. Il Cimitero non potrà venire smantellato: il 27 febbraio 1987, il Presidente del Consiglio, Bettino Craxi e la Presidente dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane, Tullia Zevi firmarono un accordo, trasformato in Legge 8 marzo 1989, n. 101 (modificata) Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane.
Articolo 16, punto 3: “Le sepolture nei cimiteri delle Comunità e nei reparti ebraici dei cimiteri comunali sono perpetue in conformità della legge e della tradizione ebraiche“.

Mercoledì, il sindaco di Vicenza, Achille Variati, tramite un comunicato stampa e una telefonata privata alla stessa Paola Farina, ha rassicurato riguardo le sorti del Cimitero Ebraico di Vicenza: “Voglio assolutamente tranquillizzare Paola Farina, la comunità ebraica di Vicenza e Verona, la presidente provinciale di Italia Nostra e tutti i firmatari della lettera in cui si ipotizza che il Comune voglia trasformare in parco il cimitero ebraico, che noi non abbiamo in nessun modo avuto simili intenzioni. Smantellare quel cimitero sarebbe un oltraggio”.

IMMAGINI DAL MONDO
World Press photo: ecco i vincitori
 

 

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Il vincitore del premio World Press Photo Burhan Ozbilici

Anche quest’anno la World Press Photo ha tre vincitori. Si tratta del più importante concorso di fotogiornalismo al mondo, nato nell’ormai lontano 1955.
A vincere è stato il fotografo turco Burhan Ozbilici dell’agenzia Associated Press, con uno scatto dal titolo che non lascia alcuno spazio all’immaginazione: ‘Un assassinio in Turchia’, di cui si è parlato molto nelle fasi immediatamente successive ai fatti che hanno coinvolto ovviamente la diplomazia turca e quella russa. La foto, che ha fatto vincere ad Ozbilici anche il primo premio nella categoria spot news-storie, riprende la figura intera dell’attentatore Mevlüt Mart Altintaš, nei momenti immediatamente successivi all’uccisione dell’ambasciatore russo Andrey Karlov, un’episodio che ha avuto luogo presso una mostra d’arte nella capitale Ankara il 19 dicembre scorso  ed è stato ripreso anche da altri reporter.

Mary F. Calvert, che fa parte della giuria, ha detto che la foto vincitrice rappresenta al meglio il significato e la definizione del World Press Photo: “È stata una decisione molto molto difficile, ma alla fine abbiamo ritenuto che la foto dell’anno fosse un’immagine esplosiva che parlasse davvero dell’odio dei nostri tempi. Ogni volta che arrivava sullo schermo dovevi quasi spostarti indietro, tanto è forte quell’immagine”.

Burhan Ozbilici, il vincitore, ha 59 anni, è nato a Erzurum, in Turchia, e prima di entrare a far parte di Associated Press (AP), nel 1989, aveva lavorato per diversi giornali turchi, tra cui un quotidiano in lingua inglese (‘Turkish Daily News’). Per Ap ha seguito tutte le storie che riguardano la Turchia, compreso il tentato colpo di stato dell’estate 2016, ma anche la crisi in Siria, e ha avuto diversi incarichi in paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar, l’Egitto e la Libia, tra gli altri. Ha raccontato anche la crisi del Golfo in Arabia Saudita nel 1990, la prima guerra del Golfo al confine turco-iracheno, l’esodo dei curdi in Turchia e il loro ritorno in Iraq dopo la guerra nel 1991, tra le altre cose.

Scorrendo i vari premi assegnati nelle diverse sezioni del Wpp (la giuria ha esaminato, un lavoro estenuante, fra ben 80.408 fotografie di 5034 fotografi provenienti da 125 diversi Paesi), fra i tanti nomi spunta quello di un fotografo friulano di Qualso di Reana del Rojale: Francesco Comello.
Comello si è infatti aggiudicato il terzo premio Daily Life-Storie con la fotografia intitolata ‘L’Isola della salvezza’. La serie di cui fa parte l’immagine vincitrice racconta la vita di una comunità isolata chiamata Isola della Salvezza, che si trova vicino a una strada trafficata che porta da Mosca a Yaroslavl’, in Russia. Fondata nei primi anni Novanta da un prete ortodosso, è un centro spirituale, educativo e culturale che ospita attualmente 300 ragazzi e ragazze, molti dei quali visti come emarginati sociali.

Comello, nato a Udine nel 1963, subito dopo aver conseguito il diploma all’Istituto d’arte Sello, ha iniziato a lavorare nel campo della grafica pubblicitaria e dell’illustrazione. Appassionato di fotografia fin da giovane, ha iniziato a dedicarle più tempo solo recentemente, intensificando i suoi viaggi in luoghi remoti o lontani con il principale intento di produrre racconti fotografici. Uno dei suoi ultimi reportage è stato realizzato a Cuba, dopo la morte di Fidel Castro. Predilige il bianco e nero e dedica molto tempo ai suoi progetti. Al suo attivo ha già diverse esposizioni e premiazioni. Fra questi, i primi premi vinti al Fiav Fvg e al 12° Trieste PhotoFestival di Trieste, entrambi nel 2013, e quello ottenuto nel 2011 a Rovereto Immagini.

Tutte le fotografie vincitrici del World Press Photo 2017 saranno in mostra a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, dal 28 aprile al 28 maggio 2017.

La giuria internazionale del premio cambia a ogni edizione: viene nominata dal direttore del Wpp Lars Boering ed è composta da sette membri che votano a scrutinio segreto finché un’immagine non ottiene sei preferenze, aggiudicandosi il premio. Il capo della giuria dell’anno scorso, Francis Kohn, aveva spiegato che per favorire la concentrazione gli organizzatori mantengono bassa, attorno ai dieci gradi, la temperatura nella sala proiezioni in cui vengono mostrate le fotografie: i giurati scelgono quindi le foto da premiare avvolti nelle coperte e in una sala che è tenuta quasi sempre nella semioscurità, per far vedere meglio le immagini.
Il vincitore per la foto dell’anno riceve un premio di 10 mila euro, mentre i primi classificati in ogni categoria ne ricevono 1.500. La cerimonia di premiazione si terrà ad Amsterdam ad aprile.

Ecco i primi premi:

Burhan Ozbilici- An Assassination in Turkey
Burhan Ozbilici- An Assassination in Turkey

World Press Photo of the Year
Il grido di Mevlüt Mert Altıntaş dopo aver sparato ad Andrey Karlov, ambasciatore russo, in una galleria d’arte ad Ankara, capitale della Turchia. Altıntaş era un ex poliziotto, prima di uccidere Karlov ferì altre persone che erano presenti alla stessa mostra. Il fatto avvenne il 19 dicembre 2016.

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Jonathan Bachman ,  Taking a Stand in Baton Rouge
Contemporary Issues, 1° premio
L’attivista Leshia Evans durante una protesta contro la violenza della polizia a Baton Rouge, Louisiana, il 9 luglio 2016. Evans, 28 anni, infermiera, stava protestando contro l’uccisione di Alton Sterling, un 37enne nero ucciso il 5 luglio da due agenti di polizia

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Paula Bronstein , The Silent Victims of a Forgotten War
Daily Life, 1° premio
L’Afghanistan ha subito un conflitto armato del 1979, quando è stato invaso dall’Unione Sovietica, ma i civili sono in pericolo di vita più oggi che in qualsiasi altro momento dai tempi del regime talebano, che si è concluso nel 2001. Secondo le statistiche delle Nazioni Unite, nella prima metà del 2016 almeno 1.600 persone sono morte e più di 3.500 persone sono rimaste ferite. Nonostante i miliardi di dollari spesi dalla comunità internazionale per stabilizzare il paese, l’Afghanistan ha visto solo un piccolo miglioramento in termini di stabilità e sicurezza.

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Laurent Van der Stockt, Offensive on Mosul
General News, 1° premio
Una bambina mentre le forze speciali irachene entrano casa per casa a Gogjali, un quartiere orientale di Mosul, alla ricerca di membri o attrezzature dello Stato Islamico, il 2 novembre 2016. La Golden Division è l’unità delle forze speciali irachene che guida la lotta contro lo Stato Islamico, affiancata dai raid aerei delle forze di coalizione. Sono stati i primi a entrare nella città controllata dall’ISIS.

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Magnus Wennman , What Isis Left Behind
Persone, 1° premio
Una bambina di 5 anni che una settimana prima era scappata con la sua famiglia da Hawija, fuori Mosul, in Iraq. La madre ha raccontato che se n’erano andati per la paura e la mancanza di cibo. Qui Maha è sdraiata su un materasso sporco nel centro profughi di Debaga. “Non faccio più sogni e non ho più paura di niente”, dice Maha con calma, mentre la mano di sua madre le accarezza i capelli.
Trovate tutte le foto premiate a questi indirizzi: qual è quella più significativa per voi?

Fonti: www.ilpost.itwww.worldpress.org, www.ansa.it

C’era una volta Riccardo Nielsen… Una breve storia del “Frescobaldi” di Ferrara

di Giordano Tunioli

C’era una volta…” è l’inizio di ogni fiaba; talvolta di un’avventura. “C’era una volta…”(1) Gaetano Zocca, al quale fu conferito nel lontano 1821 l’incarico di precettore del primo “alunnato” gratuito di violino; egli fu seguito da Brizio Petrucci, con la ratifica, nel 1828, della nomina di “maestro concertatore e primo violino” al Teatro Comunale, svolgendo nel contempo la funzione di maestro di cappella della Cattedrale. Nel 1846, “tre professori […], un primo violino, un capobanda, un maestro di canto e pianoforte” espletarono le rispettive funzioni per l’orchestra del Teatro, per i fiati della banda cittadina e per i coristi dello stesso Teatro, con l’obbligo di sottostare alle specifiche norme della neo istituita “Scuola di Magistratura Comunale”.
Così ebbe inizio la storia dell’istituto musicale della città di Ferrara, nel lontano 1870. Dopo il 1872 si alternarono vari direttori e intorno agli anni Ottanta del secolo a dirigere la scuola di musica fu Fortunato Maggi, compositore e didatta lucchese allievo e poi cognato di Michele Puccini (il padre del famoso Giacomo). La denominazione di “Istituto Musicale Frescobaldi” avvenne nel 1894.
Nel 1910 assumerà la direzione dell’Istituto Gilfredo Cattolica, che per oltre un quarantennio contribuirà alla crescita del Liceo musicale, con l’inserimento di nuovi corsi e lo spostamento, nel 1937, della sede nei locali del già ospedale Sant’Anna. Queste, brevemente, sono le premesse alla conversione del Liceo Musicale in Conservatorio Statale che avverrà tra il 1970 e il 1975 per opera di Riccardo Nielsen. E’ proprio a questa importante figura dell’ambiente culturale della nostra città che dobbiamo riconoscere l’opera di valorizzazione, di ampliamento ed elevamento del “Frescobaldi”.
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Riccardo Nielsen nasce a Bologna il 3 marzo del 1908; la sua origine è danese, da parte del padre Giorgio, italiana da parte della madre Rosa Scarani. L’ambiente familiare in cui cresce è di illustri medici, ma Riccardo Nielsen volge ben presto il proprio interesse alla musica: studia violino presso l’allora Liceo Comunale Giovanni Battista Martini di Bologna, e composizione a Milano con Carlo Gatti. Frequenta poi i corsi di perfezionamento tenuti a Roma da Alfredo Casella, del quale troviamo una evidente influenza soprattutto nelle opere giovanili.

In Riccardo Nielsen era stupefacente la simbiosi fra la natura umana e la musica, l’innata musicalità sorretta da un dono eccezionale: l’orecchio assoluto. Mi permisi di magnificare al Maestro questa dote provvidenziale ed egli mi fece notare quanto fosse difficile convivere con essa. Mi disse che l’orecchio assoluto può costituire, in molti casi, un limite, può togliere la possibilità di mediare un’intonazione non perfetta; poteva rivelarsi spesso un enorme fastidio.
Questa fu, probabilmente, una delle ragioni che lo indussero a non dedicarsi alla direzione d’orchestra profondendo totalmente le proprie energie nella composizione, certamente a lui più congeniale, dedicando tuttavia molta parte del suo tempo allo studio e al recupero di opere del passato. Attento e appassionato studioso del repertorio rinascimentale e di tutto il Seicento, ne diffuse lo spirito attraverso riletture, trascrizioni e rivisitazioni talvolta forse non rigorose dal punto di vista filologico, ma sempre animate dall’entusiasmo e sorrette da una profonda cultura. I tratti fondamentali ed emergenti del suo carattere s’identificavano con l’atto stesso del comporre, attività che lo accompagnò fin dai tempi in cui studiava violino e lo seguì nel corso della sua brillante carriera.

La produzione di Nielsen si può, a grandi linee, suddividere in due periodi: il primo tonale, con evidenti tendenze neoclassiche influenzate da Casella e soprattutto da Stravinskij; il secondo dodecafonico, nel quale l’ampliamento del concetto seriale sfocerà in un tentativo, come egli stesso mi confessò, della triadicità quale componente consonantica nell’ambito della dodecafonia.(2)
Evidenti influenze dello Stravinskij neoclassico appaiono fin da una superficiale lettura del ‘Concerto in Re’ per violino e piccola orchestra, nel quale la forma, l’uso della tonalità e la scrittura contrappuntistica si pongono all’ascoltatore come elementi acquisiti dalla tradizione più radicata del concerto. Questo lavoro giovanile è tuttavia già in possesso di pregnante espressività, eccellente prodotto di una lucida concezione stilistica. Il Concerto fu composto presumibilmente nel 1932, venne pubblicato nel 1934 dalle Edizioni Ricordi e premiato al secondo Concorso dell’Accademia Filarmonica Romana. Gli valse il premio l’appropriata ed elegante scrittura violinistica dalla quale si desume l’interesse e la profonda conoscenza che egli nutriva per questo strumento. Al violino e all’orchestra d’archi Riccardo Nielsen destinerà molte delle sue composizioni più significative.
La ‘Sinfonia concertante’ per pianoforte e orchestra (1931) è la prima opera di considerevole consistenza, seguita dalle ‘Due Sinfonie’ (1933 – 1935), dal ‘Capriccio’ per pianoforte e piccola orchestra (1933), dal sopracitato Concerto per violino e piccola orchestra, da un Divertimento per sei strumenti (1934), da un Adagio e Allegro per violoncello e undici strumenti (1935), dal Trio per oboe, fagotto e pianoforte e da un Concerto (entrambi del 1936). Questi e altri lavori minori e inediti rappresentano la produzione del periodo d’anteguerra, durante il quale il giovane compositore bolognese è alla costante ricerca di una propria identità, pur manifestando in quasi tutti i lavori ora elencati, personalità, temperamento e ampio dominio della struttura materica. Abbandonerà il clima neoclassico a partire circa dal 1942, con l’assunzione di procedimenti dodecafonico-seriali che, pur prendendo le distanze da un certo rigore accademico, gli consentiranno una maggiore e più spontanea espressività.

La prima partitura d’ampio respiro ispirata a principi seriali che ritengo possegga un peculiare interesse concernente la svolta stilistica di Nielsen è ‘Musica per archi’. Ancora una volta è l’orchestra d’archi a costituire il banco di prova a lui più congeniale. Composta tra il 1942 e il 1944, ‘Musica per archi’ venne pubblicata dall’editore Bongiovanni di Bologna nel 1948, senza ottenere un immediato successo di pubblico e con una timida, diffidente accoglienza da parte degli esecutori; ciò è indubbiamente da ascrivere ad una complessa scrittura con, a tratti, notevoli difficoltà tecniche ed interpretative.
Dall’esigenza di potenziamento ed esaltazione della tensione espressiva, nascono le ‘Fasce sonore 6+5’, la cui densità spaziale si proietta in una condensazione verticale fino a raggiungere una simultaneità di undici suoni (6+5), dilatandosi nel tempo grazie alla tensione dell’intervallo preso nel suo valore melodico. Dal coagulo, nell’ordito polifonico, di molteplici processi lineari sfocianti dall’unica matrice della serie dodecafonica, viene a determinarsi non solo la struttura formale, ma anche la scelta dell’organico strumentale: una sola famiglia, quella degli archi. La voluta rinuncia a una più variegata materia timbrica è il risultato di una consapevole decisione e di un oneroso percorso estetico che, attraverso la monocromia degli archi, tende ad un parossistico e ultimo sforzo per poi raggiungere l’acme ed il momento catartico.
Nielsen costruisce con ferrea logica e comprovata lucidità creativa una composizione nella trasparenza cristallina di armonie trascoloranti e in quelle voluttuose emozioni che gli strumenti ad arco sono in grado di restituirgli.

Il lavoro di maggiore impegno che doveva porre in luce le peculiarità del compositore è l’opera ‘L’incubo’, con la quale si può ben dire che Riccardo Nielsen affermi la propria personalità nel palesare la tendenza a una liricità pregnante, in una dimensione onirica e drammatica di evidente sapore espressionistico. La sua genesi si colloca nell’arco di tempo che intercorre tra il 2 ottobre e il 10 novembre 1944, un tempo quindi assai breve se si considera l’impegno creativo richiesto dallo spessore dell’opera, tenuto conto soprattutto dell’ardua scrittura.
Tratto da una novella di Petrus Borel, su libretto di Elsa Pradella, ‘L’incubo’ è un monodramma che si articola, sostanzialmente, in due parti: ‘Pantomima’ e ‘Visione’. LaPantomima’ inizia con un tempo lento (Sarabanda) in cui si enuncia la serie dodecafonica in un contesto contrappuntistico ricco di imitazioni canoniche, per poi assumere, sotto forma di bicordi e triadi, una dimensione verticale sempre più complessa, in un progressivo ispessimento armonico che raggiunge combinazioni accordali di sette e più suoni emessi simultaneamente. Queste introducono, per mezzo di una frase ritmica affidata alle percussioni, un Madrigale a quattro voci (S.C.T.B.) sulle parole: “Piangiamo e con noi pianga ogni cor ch’è gentile, muore la donna bella e giovinezza e amore vanno con lei”. Il madrigale a cappella, che si serve della serie dodecafonica originale precedentemente esposta e conserva una vaga ispirazione rinascimentale, chiude mirabilmente la Pantomima. Nell’economia della composizione questa parte è più breve e sembra svolgere la funzione di ampia sezione introduttiva, una prolusione alle tensioni psicologiche ed alle emozioni del dramma, che si sviluppa su una Toccata (Molto mosso) affidata all’orchestra prima dell’entrata del tema della donna, esposto dal violino solo, a cui si sovrappone il canto parlato (Sprechgesang) dell’uomo (“…il tuo lieve respiro”).(3)
Se in questa opera è irrefutabile l’influsso schonberghiano, soprattutto il riferimento al monodramma ‘Erwartung’ op. 17, nella ‘Sonatina in Signo Magni Arnoldi’ è palese il riverente omaggio che Nielsen intende rivolgere al padre della dodecafonia, parafrasando il titolo della ‘Sonatina in Signo Sebastiani Magni’ di Ferruccio Busoni. Composta nel 1949, venne pubblicata nel 1954 contemporaneamente alla ‘Sonatina perbrevis ad usum Petri e Karoly Mariae’, anch’essa per pianoforte. Entrambe le composizioni non rinunciano alle esigenze di relativa semplicità strutturale e sintattica che avevano manifestato i suoi primi lavori; è tuttavia rilevante la plasticità ritmica e la limpidezza discorsiva che sorge, ancora una volta, dalla assimilazione della lezione schönberghiana: nella ‘Sonatina in Signo Magni Arnoldi’ Riccardo Nielsen fa derivare il tema del primo movimento (Scorrevole) da una “parafrasi dodecafonica”, come egli stesso la definisce sugli appunti manoscritti, dell’opera 11 n. 1, ovvero il breve pezzo che apre il ‘Klavierstück’ di Schonberg, prima composizione atonale ma non ancora seriale.

Nielsen costruisce sempre con accuratezza solide strutture musicali che coinvolgono l’ascoltatore. Ne sono una riprova le ‘Varianti per orchestra’ composte nel 1965, delle quali riporto testualmente la prefazione autografa che compare sul frontespizio della partitura:

“Le ‘Varianti’, composte su invito di Casa Ricordi, si avvalgono di elementi musicali tratti da appunti per una cantata per soli coro e orchestra, cantata che è tuttora in fase di gestazione. Esse nascono pertanto dalla stessa temperie creativa anche se giungono a risultati musico-strutturali che nulla più hanno in comune con la cantata poiché vivono di una loro vita autonoma che nell’atto musicale trovano la loro giustificazione e ragione d’essere. Si compongono di un Motto enunciante l’idea musicale al suo stato primigenio (Urgestalt) seguito da dieci varianti, le quali rappresentano dieci aspetti od illuminazioni diverse del Motto senza seguire un ordine evolutivo di sviluppo. Possono perciò essere eseguite anche in una successione differente da quella proposta dall’autore.
L’orchestra usata è quella normale con l’aggiunta di arpa, pianoforte, celeste, silofono e vibrafono. La percussione è rappresentata dai soli timpani (a pedale).
Nell’ordine proposto dall’autore la prima variante ha le caratteristiche di un corale (affidato ai corni); la seconda è un’articolazione ritmico-contrappuntistica dell’idea primigenia nei suoi quattro aspetti di moto retto, contrario, retrogrado e contrario del retrogrado affidata agli ottoni: la terza è un alternarsi di accordi timbricamente variati e silenzi in uno spazio temporale; la quarta è una profilazione melodica dell’idea prima, che nella quinta si trasforma in ritmico-motorica a principio canonico; la sesta è un gioco timbrico con predominio dell’arpa, della celeste e del pianoforte; nella settima un rapido movimento ritmico in biscrome affidato agli archi viene contrastato e interrotto da interiezioni del pianoforte e del silofono; l’ottava inizia in un clima di tensione drammatica per poi placarsi e distendersi in una rarefazione del suono; nella nona la suddivisione in dodici parti del quartetto d’archi crea uno spessore sonoro la cui densità assume valore d’espressione: infine la decima si ricollega all’ottava per il suo carattere melodico-drammatico”.
(1966, Riccardo Nielsen)

Il Maestro giunse a Ferrara nei primi anni Cinquanta, dopo aver conseguito uno tra i massimi successi riconosciuti ai compositori italiani con ‘La via di Colombo’ (testo di Alessandro Piovesan da Massimo Bontempelli, opera radiofonica in un atto per soli, coro e orchestra, vincitrice del Premio Italia 1953 indetto dalla RAI).
Tra le composizioni per pianoforte ricordiamo ‘Cromonomie’ edito dalla Casa Ricordi negli anni Sessanta, composizione di grande difficoltà tecnica esecutiva ed interpretativa. La scrittura polifonica seriale è spesso distribuita su tre o quattro pentagrammi (come nelle ‘Las Seis Cuerdas’ per chitarra di Alvaro Company) per meglio rappresentare anche graficamente le interrelazioni che concorrono all’interno dell’ordito polifonico alla costruzione del brano.

In chiusura non si può non accennare all’intensa attività di revisore/trascrittore, che Nielsen iniziò fin dai tempi del conservatorio di Bologna col musicologo Francesco Vatielli. La sensibilità e l’amore per la musica antica indusse il Maestro Nielsen a collaborare con il noto musicologo ferrarese Adriano Cavicchi alla revisione ed alla pubblicazione dei ‘Madrigali a una, due e tre voci per cantare e suonare’ di Luzzasco Luzzaschi, composti tra il tardo Cinquecento e i primi anni del Seicento.(4) Sempre in collaborazione con Adriano Cavicchi, Nielsen curò l’edizione delle ‘Canzoni alla napolitana a cinque voci’ di Lodovico Agostini;(5) di Girolamo Frescobaldi, per il Centro di studi frescobaldiani del Comune di Ferrara e le edizioni Bongiovanni di Bologna, Nielsen pose in partitura le ‘Musiche strumentali dalle canzoni da sonare 1608 e 1634’. Trascrisse e curò le edizioni di numerose opere di Francesco Cavalli, Giovanni Gabrieli, Giovanni Croce e molti altri compositori del passato, sempre testimonianza del profondo interesse ch’egli nutriva per la musica antica.
E’ dunque innegabile l’impulso di cultura e dedizione che il Maestro diede al nostro Istituto fino a trasformarlo, come già affermato, da Liceo musicale pareggiato in Conservatorio. L’inserimento di sempre nuove cattedre con insegnanti sempre più qualificati ha contribuito alla crescita del “Frescobaldi” che oggi conta numerosi ed importanti corsi aperti anche al mondo di domani.
C’era una volta…” è solo l’inizio di una fiaba che continua (e continuerà) grazie al contributo di molti altri musicisti, insegnanti e direttori, per molti anni ancora, “[…] per l’unico fine di formare allievi di suono e di canto”. (G.Frescobaldi).

Note:
(1) – Le notizie storiche qui riportate furono pubblicate in un libro di Carlo Righini, a sua volta ripreso da Piero Gargiulo in Musica nel tempo, articolo che testimonia il processo di formazione e di crescita del nostro Istituto.
(2) – La dodecafonia è un processo compositivo basato su una serie di dodici suoni che vanno a sostituire la tonalità. La tecnica dodecafonica (o seriale) è da attribuirsi ad Arnold Schönberg agli inizi del Novecento.
(3) – L’impianto formale di L’incubo con l’impiego di forme tradizionali ricorda quello del Wozzeck di A.Berg.
(4) – Opera pubblicata sotto gli auspici del Centro Studi sul Rinascimento Ferrarese, nel 1965, dalla casa editrice Bärenreiter – Kassel.
(5)Idem. Data di pubblicazione: 1963.

STORIA
L’orrore delle foibe: una ferita aperta della storia italiana
 

di Brenda Predieri*

Per lungo tempo il massacro delle foibe è stato considerato ‘una verità scomoda’, da tenere taciuta il più possibile. E così è accaduto, almeno fino al 2004 quando, con la legge n. 92 del 30 marzo, che istituisce il ‘Giorno del ricordo’ “in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”, lo Stato italiano ha preso coscienza e consapevolezza di questi drammatici avvenimenti, determinati in larga parte anche dai crudeli massacri perpetrati durante l’invasione della Jugoslavia .

Nella mattinata di venerdì 17 febbraio, nell’ambito del progetto ‘Esercizi di Memoria’, presso Liceo classico Ariosto di Ferrara si è tenuta un incontro sul tema ‘Il dramma delle popolazioni civili durante la Seconda Guerra Mondiale’. Il relatore è stato il professor Gianni Oliva, dirigente scolastico a Torino e celebre storico del Novecento, che ha parlato a lungo del dramma delle foibe di cui furono responsabili i militari del generale jugoslavo Tito, subito dopo la fine della Seconda Guerra mondiale.

Le cause più profonde di questo drammatico evento della storia italiana, come Oliva ha illustrato, affondano le proprie radici in ciò che accadde prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, più precisamente con l’avvento del Fascismo, che predicando una politica nazionalista e di superiorità razziale rispetto alle popolazioni slovene e croate, si propose come obbiettivo politico l’italianizzazione di tutta la regione della Giulia e della città di Trieste.
Qui da secoli convivevano in pace italiani, sloveni e croati, adesso questi ultimi erano costretti ad abbandonare la propria lingua e le proprie tradizioni a favore di quelle italiane. Anche quanti di loro ricoprivano incarichi statali vennero rimossi e sostituiti da italiani. A ciò si aggiunse durante la seconda guerra mondiale, l’invasione della Jugoslavia da parte degli eserciti italiani e tedeschi, avvenuta il 6 aprile del 1941, che avrebbe trasformato il territorio jugoslavo stesso, di lì a poco, in un triste teatro di guerra tra la resistenza partigiana dell’esercito del generale Tito e le forze italo-tedesche.
Molti furono i massacri e i crimini di guerra compiuti.

Questa situazione si protrasse fino alla primavera del 1945, quando i tedeschi dichiararono la resa incondizionata, consegnando Trieste e tutti i territori della Giulia e a essa limitrofi alla giurisdizione del generale Tito, che per primo aveva occupato il territorio giuliano. Successivamente, con la linea Morgan, venne delimitato il confine tra Jugoslavia e Italia: alla prima furono attribuiti i territori di Istria e Dalmazia, e alla seconda quelli di Monfalcone, Gorizia e Trieste.
Soffermandosi sull’eccidio giuliano e istriano delle foibe, Oliva ha ricordato come in queste cavità naturali di varia profondità – chiamate anche foibe giuliane per la loro presenza nella regione della Giulia – formatesi sul territorio carsico nel corso dei millenni, fossero stati gettati e fatti sparire, dopo essere stati fucilati, migliaia di italiani e oppositori al regime jugoslavo nel territorio italiano. Si trattò perlopiù di vendette e rappresaglie, messe in atto da parte del regime jugoslavo, per i massacri conseguenti all’invasione del 1941. La tragedia delle foibe travolse anche il territorio istriano. A questi terribili fatti seguì la grande emigrazione di circa 600.000 italiani, risiedenti nel territorio giuliano-dalmata, in altre città italiane, dove furono costretti a vivere per molti anni in baracche, nelle caserme militari dismesse e in campi provvisoriamente allestiti.

*studentessa del Liceo ad indirizzo linguistico ‘Ludovico Ariosto’ di Ferrara

LA RECENSIONE
Quando un cartone animato fa parlare i mondi

ernestecelestineHo sempre adorato i cartoni animati e, in particolare, quelli con un’anima. Se poi la delicatezza di questa si unisce a quella dei tratti, il film d’animazione diventa un’esperienza unica. E’ il caso, sicuramente, di ‘Ernest & Celestine’, un capolavoro franco-belga uscito in Italia nel dicembre 2012 e recentemente riproposto alla televisione. Con le voci di Claudio Bisio e Alba Rohrwacher, diretto da Stéphane Aubier, Vincent Patar e Benjamin Renner, il film è basato sulla omonima serie di libri per bambini scritta dalla disegnatrice belga Gabrielle Vincent (il cui vero nome è Monique Martin, nata a Bruxelles il 9 settembre 1929). La sceneggiatura è stata scritta dal grande Daniel Pennac.
Non è solo la storia dell’incontro di due personaggi, che, nei fumetti, vivono numerose avventure. Qui si tratta di bellezza della vita. Chi ha detto che l’amicizia tra un orso e un topolino è vietata, scandalosa e impossibile? Chi mai potrà impedire che un legame forte si instauri fra esseri tanti diversi? Nel sottosuolo della città degli orsi si sviluppa il mondo dei topi: due civiltà, sostanzialmente simili, che si osteggiano e si ignorano a vicenda, che si guardano storto l’una con l’altra, che mal si tollerano.
Ernest è un imponente orso solitario che vive in campagna, nella sua casetta dal camino fumante, e che si reca in città solo per racimolare qualche soldo facendo il suonatore ambulante. Sogna di fare l’artista, magari il clown-musicista, lui che proviene da una famiglia di giudici. Ma non è un orso fortunato, non canta nemmeno tanto bene. Celestine, invece, è una topina orfanella che, nonostante viva in un ambiente dove gli orsi sono sempre presentati come ostili, scontrosi, malvagi, duri e cattivi, cresce con l’idea che un’amicizia con loro sia possibile. E pensando questo, li disegna amorevolmente, nell’ombra della sua cameretta.


Celestine vorrebbe fare la pittrice, anche se la comunità di topi la vuole una dentista. Per fare questo, di notte, bisogna recarsi nel mondo degli orsi e prendere, per gli anziani roditori, i dentini che gli orsacchiotti pongono sotto il cuscino, in attesa del sospirato premio. Come non ricordare il dentino che da bambini mettevamo sotto il bicchiere in attesa del soldino del topolino.
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Una notte, però, l’arguta Celestine viene scoperta dagli orsi adulti e inseguita a suon di scopa. Che paura… Scappando si imprigiona in un cestino e viene trovata la mattina seguente da Ernest, in cerca di cibo. Celestine per ringraziarlo, lo fa entrare in un negozio di dolciumi, lui che ne è tanto ghiotto. È così che, anche in seguito a tante altre spassose peripezie, i due diventano amici, ma sono pur sempre ricercati dalla polizia dei due mondi. Furgoni, sirene, fughe, inseguimenti animano lo schermo. Alla fine, i due si rifugiano, per passare l’inverno, nell’accogliente casa di Ernest, in fondo al bosco, sepolti da una coltre di neve, al caldo del camino e circondati da disegni, fogli e matite colorate. Il tepore della primavera, però, scioglie la neve che li protegge e i due amici, diventati ormai inseparabili, vengono scoperti e portati in tribunale: Ernest in quello dei topi e Celestine in quello degli orsi. I due tribunali si trovano proprio uno sull’altro e, il caso vuole che entrambi vengano stretti dalla morsa di un pericoloso incendio. Ernest e Celestine salveranno tutti, convincendo che un’amicizia, o quanto meno una collaborazione, tra i due mondi è possibile. E che la loro separazione è detestabile, impossibile, impronunciabile, inaccettabile, sempre avvolti da tinte di acquerello calde e delicate. Disegni meravigliosi, oltre che dialoghi e sentimenti davvero toccanti, che scompigliano e mandano a gambe all’aria ogni ordine e preconcetto prestabiliti. Rivolta contro ogni società rigida, fredda e chiusa. Storia deliziosa, per tutte le età.

49332Ernest e Celestine, di Stéphane Aubier, Vincent Patar, Benjamin Renner, Francia-Belgio-Lussemburgo, 2012, 80 mn.

ATTUALITA’
Educazione alla emozioni per prevenire il bullismo, l’idea di Soprusi-stop

di Francesca Ambrosecchia

“Sono cose da ragazzi!”
“Si rinforza il carattere!”
Sono questi i luoghi comuni che spesso portano a non riconoscere o sottovalutare il fenomeno del bullismo. Fa questi esempi Annalisa Conti (psicologa e scrittrice) mentre parla a una sala piena di genitori e educatori che forse hanno già commesso questo errore.

Purtroppo pochi sono i giovani presenti alla conferenza che si è tenuta giovedì presso la sala Nemesio Orsatti di Pontelagoscuro, ma proprio a loro più volte si è fatto riferimento come a soggetti poco o per nulla consapevoli di tale problematica, che invece li riguarda da vicino. Argomento di riflessione è il semplice fatto che molti giovani ritengono non ci sia nulla di male a diffondere foto hot sui social network o sul web.
Forse un incontro di questo tipo sarebbe potuto servire a sensibilizzarne un maggior numero?

L’evento è stato promosso dall’Associazione Soprusi-stop fondata da Roberto Vitali nel 2014: ne fanno parte una serie di professionisti fra psicologi giuridici, esperti informatici ecc., che hanno il compito di sensibilizzare sull’argomento con una serie di incontri e progetti soprattutto nelle scuole. I metodi prevedono l’educazione alla ‘resilienza’ ovvero alla capacità di ‘tornare a galla’, di non abbattersi; fondamentale è poi l’educazione alle emozioni, come per esempio la gestione della rabbia, e al rispetto dei valori umani.

Come e quando si può parlare di bullismo? Le liti o le lotte tra pari non sono bullismo. Il bullismo è caratterizzato dall’intenzionalità di fare del male all’altro, è un trauma che porta, nella quasi totalità dei casi, per chi lo subisce a danni a lungo termine. Non solo il bullo è un soggetto intenzionalmente aggressivo, ma la vessazione che esercita nei confronti del bullizzato deve essere ripetuta nel tempo (circa per due o tre mesi).

Il bullizzato è invece identificato come la vittima: spesso si tratta di un soggetto timido, sensibile, riconosciuto come fragile e quindi isolato e ridicolizzato. Sulla scena ruolo importante hanno anche i cosiddetti ‘gregari’, coloro che fiancheggiano e incitano il bullo nelle sue azioni e quelli che la psicologa chiama i ‘tiepidi’, chi osserva la vicenda da omertoso.

L’Istat rivela che il 50% dei giovani tra gli 11 e i 17 anni hanno subito almeno una volta un episodio di bullismo e che circa il 20% ne subisce mese dopo mese.
La vittima e il carnefice diventano tali per via delle stesse cause. Diverse sono le ipotesi: vivono in famiglie in cui l’aggressività è accettata e utilizzata come “mezzo di comunicazione o relazione” anche dai genitori, in famiglie in cui vengono taciute le emozioni o in cui i ragazzi non vengono considerati e ascoltati.

L’altra faccia del bullismo, quello che avviene online, spesso dietro contatti anonimi è stato teorizzato recentemente, solo nel 2002 e i dati Istat del 2015 affermano che il 50% degli episodi di bullismo passa via web. Perché questa tendenza? Sicuramente perché il 91% dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni è iscritto ad almeno un social network come Facebook, Instagram, Snapchat, Ask ecc. e l’87% ha uno smartphone ma anche perché una piattaforma così ampia e veloce come il web porta delle garanzie. Permette una maggiore e più rapida condivisione dell’atto – quanti sono i video di atti di bullismo nelle scuole che circolano su Youtube e ottengono numerosissime visualizzazioni? – una maggiore persistenza dell’atto, uno pseudo anonimato a vantaggio del bullo, una minor percezione della diffusione del danno, un aumento dei potenziali carnefici – tutti possono nascondersi sul web e diventare bulli – e un minor controllo da parte degli adulti.

Non si deve pensare al bullismo come fenomeno meramente adolescenziale poiché spesso chi viene bullizzato in giovane età diventa un soggetto violento in età adulta esercitando la sua aggressività entro il contesto familiare o lavorativo (in questo caso si parla di ‘mobbing’ o ‘bossing’, se esercitato da chi ha soggetti alle sue dipendenze).
Il bullismo è un problema sociale ad ampio raggio e non esiste una categoria di comportamenti o azioni da attuare per poterlo debellare, così che tante sono state le mamme che a fine incontro hanno iniziato a bisbigliare: “Ma quindi? Cosa dobbiamo fare? Pedinare e controllare i social dei nostri figli tutti i giorni?”
Annalisa Conti afferma che sicuramente il dialogo genitori-figli aiuta a prevenire episodi di questo tipo e per tale motivo non deve essere trascurato: “Siate partecipi della vita dei vostri figli. Chiedetegli come è andata a scuola, cosa hanno visto sui social durante la giornata”.
In quanto problema sociale però, riguarda non solo le famiglie, ma la società nella quale i ragazzi crescono: il bullo è un soggetto debole che trova la sua vittima in un soggetto ancora più debole e che approfitta di un contesto sociale che gioca a suo favore, permeato da omertà, silenzio/assenso e menefreghismo.
Tutti noi, nel quotidiano, dobbiamo chiederci cosa fare per “prevenire invece che curare”.
Dobbiamo avere il coraggio di non rimanere in silenzio, di non essere dei “tiepidi”.

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