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Giorno: 26 Marzo 2017

Salone del Restauro a Ferrara fra conservazione e valorizzazione del paesaggio e della cultura

di Maria Paola Forlani

Ѐ tornato nella storica sede di Ferrara Restauro-Musei – Salone dell’Economia, della Conservazione, della Tecnologia e della Valorizzazione dei Beni Culturali e Ambientali – XXIV edizione, che quest’anno è stato accreditato come fiera internazionale e si svolge fino a oggi 24 marzo 2017.
Anche questa edizione conferma la veste cucita insieme al Mibact – Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, partner storico della manifestazione, il quale ha individuato nel Salone la giusta cornice per rappresentare il Sistema Museale italiano in tutta la sua interezza e complessità e ha collaborato all’introduzione – a partire dalla scorsa edizione – del nuovo evento dedicato alle realtà museali e ai faticosi percorsi di restauro, dopo gli ultimi eventi sismici.

“L’Italia è un paese notoriamente soggetto a continui eventi sismici – afferma l’architetto Franco Purini, professore emerito del Politecnico di Milano –  Tanto per non andare oltre gli ultimi cinquant’anni i terremoti del Belice, del Friuli, dell’Irpinia, di Napoli e della Basilicata, dell’Umbria, dell’Aquila, dell’Emilia e l’attuale sisma che ha coinvolto parte del Lazio, del Molise e dell’Abruzzo hanno causato non solo molte vittime ma anche notevoli distruzioni del patrimonio edilizio, comprese importanti testimonianze storiche ed artistiche.
“Alla sismicità di gran parte della penisola – aggiunge – si somma una condizione geologica instabile e una carente manutenzione del territorio a causa delle quali succedono ogni anno frane, inondazioni, incendi. Aggravato anche da una edificazione non solo sempre più estesa ma anche, in molti casi, impropria, questo quadro mette in evidenza una situazione critica che negli ultimi anni è notevolmente peggiorata.
“Sarebbe necessaria una ricostruzione del suolo italiano come impegno del paese, con una flessibilità di qualche decennio, al fine di assicurare alle prossime generazioni un abitare sicuro, armonizzato con la scena ambientale, quantitativamente equilibrato. Un abitare che non abbia bisogno di molte nuove costruzioni ma di un recupero del costruito esistente reso capace, tramite opportuni interventi, di affrontare eventuali nuovi episodi sismici o altre calamità.
“In sintesi la ricostruzione dopo il terremoto come quello ancora in corso ad Amatrice con scosse quotidiane che producono preoccupazioni e disagi crescenti nella popolazione, aumentando il suo disagio, dovrebbe essere effettuata secondo alcuni principi.
“Il primo principio è quello della partecipazione – spiega ancora Purini -. Nessuna decisione, a qualunque livello, dovrebbe essere presa al di fuori di un lavoro comune svolto dalle popolazioni interessate, dai loro rappresentati, dalle autorità statali e dai tecnici. Solo una pratica partecipativa può infatti impedire che le scelte interrompano consuetudini insediative consolidate creando non solo disorientamento e disordine, ma rompendo soprattutto quel vincolo fisico e ideale delle popolazioni con il loro territorio, la loro città e la loro comunità.
“Il secondo principio è quello di ricostruire dov’era e, se possibile, com’era. Ciò significa che l’impianto urbano dei centri distrutti o danneggiati dovrebbe essere confermato, anche modificando la legislazione esistente, per restituire alle comunità colpite dal sisma il tracciato delle loro città e, quindi, della loro vita”. E conclude: “Il terzo principio è quello di realizzare all’interno di un sistema a rete, che colleghi una congrua serie di centri, alcuni presidi attrezzati con strumenti e risorse per fronteggiare localmente le crisi derivate da improvvisi fenomeni naturali o da qualsiasi altro avvenimento catastrofico”.

A Ferrara i segni del terremoto sono ancora visibili tra chiese, ancora, chiuse edifici importanti da restaurare e percorsi di viabilità.
Il Castello è in attesa di un serio maquillage, con superfici che si sfaldano a vista d’occhio, attende il grande e determinato intervento. Palazzo Massari ha iniziato la lunga impresa di ricostruzione, su palazzo dei Diamanti, molte sono le perplessità degli esperti. Il degrado terrificante dei chiostri dell’antico monastero di San Benedetto in cui l’affresco del 1573, nell’antirefettorio dell’ex monastero dei benedettini, attribuito a Ludovico Settevecchie o al Dielai, seguace di Dosso Dossi, pone Ludovico Ariosto fra san Sebastiano e santa Caterina nella gloria del paradiso.
L’affresco, tutt’ora, non se la passa molto bene, fu incerottato dalla Ferrara Decus nel 2004, già in forte degrado; in dodici anni nulla è cambiato se non in peggio, tanto che in luglio un’ispezione ha accertato nuove fessurazioni e distacchi di pezzi, che solo la velinatura trattiene. La sala in cui si trova è inaccessibile ma agire sarebbe urgente.

La Fiera del Restauro propone il percorso di alcune Delizie ed edifici di pregevole eleganza e storia del territorio ferrarese. Come non sottolineare lo sfregio fatto alla bella ‘Casa Cini’ abitazione natale di Vittorio Cini, che il nobile mecenate volle donare “alla cultura e alla gioventù ferrarese” (come dice la lapide da lui posta) e che ora risulta smembrata architettonicamente a causa di molteplici e non ‘chiare affittanze’, perdendo così la sua freschezza di edificio unitario, di grande accoglienza e solidarietà. Resta la bella casa di Ludovico Ariosto, che ospitò il celebre poeta nell’ultima parte della sua vita, situata oggi nell’addizione Erculea a Ferrara, in via Ariosto 67.
Si tratta di un semplice edificio in mattoni a vista, realizzato probabilmente su disegno di Girolamo da Carpi. Qui l’Ariosto trascorse gli ultimi anni, dedicandosi alla terza e definitiva redazione dell’Orlando Furioso, del 1532.
All’interno, nel piano nobile è sistemato un piccolo museo dedicato al grande poeta: vi si trovano un calco del suo calamaio, la sua sedia e varie medaglie che lo raffigurano. Oltre al museo nell’edificio si svolgono eventi, presentazioni di libri, mostre d’arte contemporanea e incontri con i giovani che occupano con le loro opere quelle sale e il giardino creato all’epoca dal poeta. Fra poco questo incanto sarà snaturato con ingombranti mobili provenienti dalla casa di Giorgio Bassani e dell’incanto dell’Ariosto e della magia di quella abitazione non resterà più nulla.

I cittadini disorientati e increduli si pongono domande, vorrebbero essere consultati e non sempre vittime di capricciose speculazioni di potere. Eppure il Museo del Meis possiede sale completamente vuote e, credo accoglierebbe gli arredi dello scrittore del ‘Giardino dei Finzi e Contini’, inoltre tutti sappiamo che già esiste una biblioteca Bassani e molto ancora a Casa Minerbi con ancora molti spazi disponibili.
Alla Fiera del Restauro, sono presenti gli operatori e le ditte che hanno risanato e stanno contribuendo a risanare le ferite del terremoto.
Un terremoto non distrugge solo le cose fisiche, le persone, le case, i mobili, gli abiti, le fotografie, i luoghi di lavoro, i mezzi di trasporto e qualsiasi altro manufatto utile alla vita, ma anche la memoria delle comunità colpite. Quando quest’universo scompare, in tutto o in parte, le memorie personali e quelle collettive rischiano di scomparire definitivamente. Da qui il problema di ricostruire, assieme ai centri colpiti, il senso di un’identità comune, il valore singolare e irripetibile di ciascuna vita, il disegno superiore di una comunità che, generazione dopo generazione, viene inciso nel mondo fisico e in quello ideale.
Così le violenze ‘umane’ sul territorio che nessuno può arginare chiedono giustizia, o sugli edifici, proprio come casa Cini e Casa dell’Ariosto a Ferrara che nella loro ‘silenziosa’ bellezza aspirano solo continuare a dialogare con la propria comunità e la propria storia

Il suono della speranza: approdo brasiliano per Delef cantautore errante

di Cristina Boccaccini

Suoni che evocano speranza, gioia, amore, temi che non bisogna mai smettere di cantare e di declinare, soprattutto ora, senza scadere nelle edulcorazioni semplicistiche, offrendo soluzioni per respirare, non effimere bolle di sapone. Rivoluzioni che fanno poco rumore ma con la forza di arsenali nucleari, in grado di abbracciare aree geograficamente e sentimentalmente vaste, imbracciando una chitarra.
E’ questo il progetto di “Delef”, alias Michele Cuccu, cantautore errante, con radici comacchiesi ma rami orientati verso l’America Latina. Per motivi di studio è approdato in Brasile, terra di contrasti e commistioni, dal panorama culturale vivace e variegato, che gli ha dato la possibilità di intraprendere un viaggio musicale tuttora in atto, ancora non impresso su disco, sospeso tra musica popolare brasiliana e canzone italiana, raccontando storie di ingenuità e speranza.

In cosa consiste il progetto Delef?
E’ un progetto in continuo divenire, che vede le proprie origini sonore in un altro gruppo musicale comacchiese, gli Swamp, fondato dieci anni fa, insieme ad altri amici musicisti, tra cui Alfredo Mangherini, che collabora tuttora con me. Nel 2014, arrivato in Brasile, componevo canzoni tra le quattro mura della camera da letto, col solo ausilio di una chitarra classica e della mia voce. Sono tornato in Italia un anno fa e ho registrato i brani grazie all’aiuto del producer di musica elettronica Andrea Ferroni. Da poco si è aggiunto al progetto anche Michele Baroni, che si occupa delle percussioni.

Come funziona per te il processo creativo?
Il processo creativo costituisce un bisogno di espressione a cui non posso sfuggire. La libertà è essenziale per la creatività. Di solito sviluppo prima la melodia, partendo da un accordo sulla chitarra, poi passo alla voce, infine ai testi, attingendo da poesie mie che cerco di adattare di volta in volta alla struttura musicale.
Nell’immaginario collettivo la musica popolare brasiliana (MPB) è associata all’idea di festa e celebrazione della gioia. Mi piace costruire canzoni in cui pulsi la varietà e l’energia dei ritmi tipici del Brasile, su cui inserire melodie di sapore allegro o malinconico. Il tutto con un’attenzione particolare alla contaminazione tra suoni e culture diverse, una sorta di cannibalismo culturale, tendenza insita nella stessa cultura brasiliana, la cui tradizione si ciba spesso e volentieri di influenze esterne da parte di popolazioni come quelle americane, africane ed indigene, per poi rielaborarle.

I testi di cosa parlano?
Ho scritto iniziato a scrivere testi in portoghese mentre ero in Brasile, ma quando per motivi burocratici sono stato costretto a tornare in Italia, ho adottato l’italiano. Le due lingue fanno parte di me, in un modo o nell’altro, e le ho utilizzate per veicolare un messaggio di speranza. Nella canzone Tempo dei sogni, ad esempio, dico che essi possono essere rincorsi e vissuti, la chiave sta nella nostra forza di volontà. In una società che può essere quella italiana, come quella brasiliana, in cui i media ci bombardano quotidianamente al suono della parola “crisi”, è necessario che i giovani come me trovino la forza per far sentire la propria voce e contrastare la stasi attuale, portando avanti una rivoluzione non violenta che passa prima di tutto dall’interiorità del singolo: spogliarsi delle paure e dei pregiudizi, per abbracciare l’altro da noi, lasciandoci andare tra le sue braccia, come canto in Nos Seus Braços.

A proposito di altro da noi, anche il tema della diversità ti è caro.
Sono affascinato dalla diversità, in tutte le sue forme. Ritengo che essa vada il più possibile rispettata e apprezzata, sia dal punto di vista politico, attraverso l’attuazione di un piano ben preciso che miri all’integrazione tra popoli differenti, sia dal punto di vista culturale, cercando nel nostro piccolo di aprire gli occhi e utilizzare colori e lenti diverse da quelle che utilizziamo di solito per guardare il mondo. Ne usciremmo arricchiti di nuove esperienze, come dopo aver visitato terre sconosciute.

Un altro tema che emerge dalle canzoni è quello del viaggio, nella sua accezione fisica e spirituale.
Da viaggiatore penso che bisognerebbe viaggiare soprattutto per la stessa ragione del viaggio, più che limitarsi a raggiungere una meta. Una volta arrivati a destinazione, il traguardo avrebbe un sapore neutro se non avessimo precedentemente percorso con occhi consapevoli il sentiero che ci ha portato a conoscere persone, acquisire abilità, ricevere stimoli e aprire nuovi orizzonti. E’ vero che il viaggio allontana da casa e dalla quotidianità, ma allo stesso tempo chiarisce quesiti che la riguardano. Quando in Boa viagem scrivo “buon viaggio”, mi riferisco a tutto questo.
Anche chi non ha mai varcato i confini del proprio paese natale può rispecchiarsi nelle mie canzoni, poiché ognuno di noi sta percorrendo quotidianamente la propria strada, costellata da più o meno ostacoli. A questo proposito, personalmente, alle sterili lamentele gratuite, preferisco le proposte costruttive, e le soluzioni supportate dalla volontà di mettersi in gioco giorno per giorno. Infatti dai miei studi universitari di design ho imparato che i problemi possono risolversi attraverso la ricerca di punti di vista alternativi, la collaborazione reciproca e l’intenzione di costruire opportunità che vanno al di là della nostra comfort zone, e che mirano al miglioramento. Questo vale sia all’interno del microcosmo aziendale, sia in quello cittadino, che personale.

Non ritieni che questo sia un punto di vista piuttosto ingenuo?
Al contrario, faccio dell’ingenuità la mia arma di difesa contro la complessità del mondo, pur avendo una percezione chiara di ciò che sta accadendo.
Cerco di reagire a esperienze apparentemente fallimentari, o cogliendone gli aspetti positivi o trasformando quelli negativi in terreno fertile per poesie e canzoni, in un esperimento musicale che fa vibrare sia le corde più giocose del bambino che quelle più mature del giovane adulto.
La coesistenza tra disincanto e meraviglia si ritrova anche nelle grafiche che ho creato per accompagnare il futuro disco: si tratta di disegni realizzati a carboncino raffiguranti personaggi stilizzati che si muovono su sfondo arancio e azzurro. Elemento centrale è una mongolfiera, su cui è disegnato un cuore, a rappresentare la natura romantica delle relazioni interpersonali, nonché quella in continuo movimento dell’esistenza stessa.

Suonerete mercoledì 29 marzo al Korova Milk Bar di Ferrara. A tal proposito cosa dobbiamo aspettarci?
Trattandosi di uno degli spettacoli cosiddetti “Impianto zero” organizzati dal Korova, per l’occasione assumeremo un assetto acustico e minimale, con me alla chitarra e alla voce, e Alfredo al mandolino, senza l’utilizzo di amplificazione o effetti elettronici, al fine di offrire al pubblico un’esperienza intima e autentica.

Prossimi progetti?
Passare dall’ essere un gruppo “del mercoledì sera” che si ascolta distrattamente durante l’aperitivo, all’essere un gruppo “del sabato sera”, le cui canzoni possano far ballare e gioire insieme.
In questo senso stiamo lavorando per sviluppare maggiormente la componente elettronica del progetto, nonché quella delle percussioni, per ottenere un risultato di dinamismo, senza soffocare l’alchimia e l’atmosfera create dal dialogo tra chitarra e mandolino. La priorità rimane portare alla luce il primo disco Delef.