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Giorno: 5 Ottobre 2018

INTERNAZIONALE A FERRARA 2018
Volti e incontri dal primo giorno di Festival

Il primo giorno di questa edizione di Internazionale a Ferrara è trascorso.
Il nostro fotografo Valerio Pazzi ha immortalato per voi sguardi, volti, momenti: dall’inaugurazione, con il conferimento del premio giornalistico Anna Politkovskaja al giornalista curdo iraniano Behrouz Boochani, alla lettura dei nomi delle 30.000 persone morte dal 1993 a oggi nel viaggio verso l’Europa da parte del fumettista Gipi. L’elenco, in continuo aggiornamento, è stato redatto dall’ong olandese United for intercultural action sulla base dei dati raccolti da ong, stampa e altre fonti: è la lista più completa finora esistente delle vittime accertate durante il viaggio in mare ma anche nella traversata via terra, nei centri di detenzione e nelle comunità per richiedenti asilo.
E tanto altro ancora…

Clicca sulle immagini per ingrandirle.

‘Fino a quando resisto’. Gipi legge i nomi delle 30.000 persone morte dal 1993 a oggi nel viaggio verso l’Europa

L’inaugurazione del Festival al Cinema Apollo

‘Chi sono io? Autoritratti e selfie, identità e reputazione. Quando le donne fotografano se stesse per trovare il loro posto nel mondo’. Con Concita De Gregorio, la fotografa Silvia Camporesi, Chiara Baratelli e con gli studenti del Liceo Roiti di Ferrara

‘Ti racconto una storia’
Voci e volti dal Cortile del Castello Estense

INTERNAZIONALE A FERRARA 2018
Per un nuovo welfare europeo

Dalla culla alla tomba: era lo slogan del welfare socialdemocratico del Dopoguerra che ha reso l’Europa un modello e un punto di riferimento nella seconda metà del ventesimo secolo. Ormai solo un lontano ricordo: eroso a partire dagli anni Ottanta dal turbocapitalismo e dalla finanziarizzazione dell’economia e, negli ultimi anni, anche dalla crisi, che ha creato ancora più diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza e sempre più ridotto le risorse degli Stati. Quelle politiche di austerity riassunte così spesso dalla frase “Ce lo chiede l’Europa”.
Un’Europa costruita – nonostante le utopie dei suoi fondatori, a partire dal Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi – a partire dai mercati e dalle politiche economiche, piuttosto che dai diritti dei cittadini, soprattutto quelli sociali. Eppure sembra che dall’impasse che l’Europa sta vivendo, se proprio non vogliamo parlare di vera e propria crisi, non si possa uscire se non capovolgendo la situazione: ripartendo cioè dai diritti e costruendo un vero e proprio welfare europeo sempre più condiviso e integrato fra i vari Paesi, che esca dalle mere dichiarazioni di principio e che unifichi l’attuale disomogeneità di politiche negli Stati dell’Ue. Da soli i Paesi e le loro classi politiche non possono farcela contro aziende e mercati globali, che possono spostarsi da una realtà all’altra con un click in cerca di situazioni e condizioni più favorevoli, giocando continuamente una partita al ribasso.
È quanto emerso venerdì pomeriggio dall’incontro ‘L’Europa a misura di cittadino’, svoltosi all’interno del programma di Internazionale a Ferrara nell’aula magna del Dipartimento di Giurisprudenza. Ospiti: Michael Braun di Die Tageszeitung, Antonia Carparelli della Commissione Europea, il docente di Unife Alessandro Somma e, come moderatore, Dino Pesole de Il Sole 24 Ore.

Una discussione quella su sussidi, salario minimo, reddito di cittadinanza, di stretta attualità, dato che proprio in questi giorni si sta svolgendo il braccio di ferro fra Italia e Ue su manovra economica, documento di aggiornamento al Def e finanziamento del reddito di cittadinanza così come concepito dai Cinque Stelle: 6,5 milioni di italiani destinatari di circa 680 euro al mese, per un totale di 10 miliardi di euro.
Antonia Carparelli è partita dalle cifre Eurostat del 2016 sulla povertà: “118 milioni di persone a rischio di povertà in Europa, cioè con un reddito inferiore del 60% al reddito mediano della popolazione, inoltre 12 milioni di persone in una situazione di deprivazione materiale. Per quanto riguarda l’Italia, c’è un 30% di persone a rischio povertà, mentre il 10% delle persone più ricche ha aumentato la percentuale di ricchezza totale del Paese detenuta dal 40% al 50%”. Per la funzionaria della Commissione Europea “bisogna prima di tutto chiedersi quali sono le cause di queste povertà, altrimenti il rischio è che gli interventi siano una goccia nel mare e soprattutto che vengano allocate male le risorse. Per esempio sarebbe un grosso errore dirottare le risorse sul reddito di cittadinanza, lasciando indietro il sistema scolastico”.
Per Michael Braun “l’Europa tornerà a misura di cittadino quando si realizzeranno politiche per far tornare le persone, soprattutto della classe media, a credere nella scommessa, nella promessa del futuro”. Per il giornalista tedesco il successo di populismi e sovranismi deriva dal fatto che “la classe media si preoccupa per il suo futuro e pensa che i suoi figli staranno peggio”. A suo parere il reddito minimo o di inclusione, come dovrebbe essere definito il sussidio concepito dai pentastellati, dato che è una misura condizionale e non universalistica, “è una misura di civiltà. Non credo che sia criticabile l’approccio di dare a ciascuno per garantire un minimo di dignità”. Il rischio però è che accada quello che è avvenuto in Germania, dove questa misura già esiste: “che l’integrazione al reddito diventi un incentivo per i datori di lavoro per pagare di meno”. Per questo Braun insiste sul fatto che non si può prescindere dal “salario minimo garantito”.

Somma, invece, riporta l’attenzione sulle politiche attive del lavoro: i veri problemi sono la mancanza di lavoro e “il lavoro povero” perché così “si rompe il patto sociale” sul quale il welfare è sempre stato concepito. Per nulla tenero sia con l’Ue sia con il Movimento cinque stelle, Somma prefigura addirittura “il lavoro coatto” e di conseguenza “l’ulteriore abbassamento dei salari”, dato che le condizioni per avere il reddito di cittadinanza sono: dimostrare di aver cercato attivamente lavoro, non rifiutare più di due offerte di lavoro in un anno e divieto di licenziarsi più di due volte nell’arco di un anno. “Siamo addirittura giunti al consumo coatto – conclude Somma – dato che uno dei due vicepremier ha affermato che con il reddito di cittadinanza non si potranno fare spese immorali. Chi deciderà quali sono queste spese? È molto preoccupante perché i soldi saranno erogati tramite microchip, con la possibilità quindi di essere controllati e chi sgarra rischia almeno sei anni di galera”.
Ecco allora che sui social già fioccano gruppi sugli acquisti immorali, come per esempio… la pizza all’ananas. Si ride per non piangere!

INTERNAZIONALE A FERRARA 2018
Donne di tutto il mondo unitevi!


‘Tremate, tremate’, questo il titolo di uno degli ultimi incontri della prima giornata di Internazionale a Ferrara 2018. Un titolo che richiama uno degli slogan delle femministe italiane negli anni delle lotte per la sessualità consapevole, la maternità responsabile e la riforma del diritto di famiglia; e sul palco del Teatro Comunale Claudio Abbado sono appunto salite cinque donne rappresentanti di diversi femminismi in diverse parti del mondo: le giornaliste Ida Dominijanni e Katha Pollit, Marta Dillon del movimento argentino Ni una menos, ispiratore dell’italiano Non una di meno, la polacca Marta Lempart e la pakistana Rafia Zakaria. Già questa è una testimonianza di quanto le lotte femministe stiano vivendo una stagione di nuovo internazionalismo e di reciproca influenza, quando non collaborazione. E qualche volta le cose cambiano, come dimostra per esempio l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2018 al ginecologo Denis Mukwege e a Nadia Murad, ex schiava del sesso dei miliziani dell’Isis, per il loro impegno contro l’uso della violenza sessuale come arma di guerra.
Tutto questo ha portato Dominijanni a dire che “il nuovo filo rosso fra i femminismi non è più solo la lotta contro la violenza di genere, sulla sessualità, sulla procreazione, ma anche quella su tematiche più strettamente politiche”: insomma se da una parte ci sono “la crisi del patriarcato e i rigurgiti dei nazionalismi” dall’altra “il fiume carsico delle lotte femministe riemerge in tutto il mondo”.

Anche la femminista e attivista lesbica argentina Marta Dillon ha affermato con forza e orgoglio che “il femminismo è l’internazionalismo che dobbiamo costruire oggi e per il futuro”, mettendo nel centro del bersaglio il sistema maschilista, patriarcale e capitalista nel suo insieme come si è venuto a costruire dal Medioevo. Non si può contrastare la violenza di genere senza combattere e decostruire “la violenza politica ed economica” creata dal contesto in generale; “dobbiamo cambiare la distribuzione della ricchezza, il modello di costruzione della famiglia”. Come farlo? Dillon usa un’espressione di una potenza e di una poeticità assolute: “trarre forza dalla vulnerabilità, trasformare la sofferenza in potenza, questi sono da sempre gli strumenti di lotta di tutti gli emarginati da chi detiene il potere”.
Ecco allora che anche il corpo da oggetto di violenza diventa strumento di lotta: lo si porta in strada per manifestare, per scioperare. Lo hanno fatto le argentine, come prima di loro, un anno fa, lo avevano fatto le polacche: uno sciopero femminista e classista. Il messaggio è “se siamo inferiori e inutili provate a far andare avanti il mondo senza di noi”. Per un giorno intero non sono andate al lavoro o a lezione all’università, hanno lasciato i bambini alla cura di qualcun altro e non si sono occupate delle faccende di cui di solito di occupano, hanno manifestato vestite di nero in segno di lutto per la possibile perdita dei loro diritti e della loro libertà, per protestare contro un disegno di legge che vieterebbe praticamente ogni forma di aborto, in un paese dove la pratica dell’interruzione di gravidanza è già ristretta a pochissimi casi. E da allora le cose sono cambiate, ha spiegato Marta Lempart: “prima solo il 37% della popolazione era favorevole all’aborto, ora siamo saliti al 69%”, ora lei, femminista e lesbica, può candidarsi per la prima volta alle elezioni comunali della sua città. E allora si va avanti e si combatte contro i neonazisti ai quali il governo permette di sfilare nelle strade delle città: “a Varsavia 14 donne si sono messe di traverso a 61.000 neonazisti. Sono state insultate e picchiate e ora sono addirittura sotto processo, accusate di aver tentato di fermare la marcia”. “Il nostro programma si chiama ‘Polonia per tutti’, per una Polonia nella quale i diritti siano garantiti per tutti: siamo in tante e anche se qualcuna di noi viene messa a tacere le altre sono pronte a prenderne il posto”.

E chi incarna il modello capitalista e machista meglio del Presidente Usa Donald Trump? “Negli Stati Uniti ci sono sempre più donne che si candidano proprio come reazione all’elezione di Trump: sono infuriate perché non è solo un reazionario, ma è anche una persona che ha compiuto atti terribili verso le donne e ne è contento”, ha spiegato Katha Pollit, che ha poi aggiunto “Me too, finora associato solo al mondo dei media statunitense e hollywoodiano, in realtà associa la lotta alla violenza contro le donne e quella alle discriminazioni sul lavoro”. (Leggi l’articolo di Ferraraitalia sulle femministe americane e le ultime elezioni americane)

Rafia Zakaria ha portato la prospettiva delle femministe dei paesi islamici che devono combattere una doppia battaglia: contro gli estremisti islamici e contro gli occidentali che le vogliono emancipare con le bombe. “Dobbiamo scontrarci con le interpretazioni misogine dell’Islam e con chi dice che quello è l’unico modo per essere musulmano e poi con il neoimperialismo. Gli islamisti ci dicono che il femminismo è un’invenzione occidentale e quindi non possiamo essere femministe, mentre gli occidentali ci vogliono insegnare cosa significa essere femministe ed emancipate, mentre invece c’è un femminismo autonomo nei paesi musulmani. Spesso abbiamo l’impressione che le alleanze femministe siano per così dire condizionate dall’ammissione da parte nostra che tutti gli uomini musulmani sono cattivi”.

Tanto, tantissimo è stato fatto e tanto, tantissimo potrebbe offrire la visione femminile e femminista del mondo in un momento di crisi e trasformazione come quello che stiamo attraversando. Ma c’è ancora tanto, tantissimo da fare: sono ancora le donne a dover tremare purtroppo, anche qui in Italia, se giovedì notte anche grazie al voto di una donna, capogruppo del Pd in Consiglio Comunale, Verona è diventata ufficialmente “città a favore della vita” grazie a una mozione con la quale fra l’altro saranno finanziate associazioni cattoliche che portano avanti iniziative contro le interruzioni volontarie di gravidanza.

INTERNAZIONALE A FERRARA 2018
Scienza diviso umanesimo, uguale: fanatismo

Rispettavano la natura, la amavano, quasi la idolatravano, come fine a se stessa, come massimo valore. Poi una nuova ideologia, un nuovo desiderio prendono il sopravvento: il bisogno di avere un figlio. E tutto cambia.
Non è stato facile avere Paolo Giordano quest’anno per la prima volta al Festival di Internazionale a Ferrara, visti i suoi numerosi impegni a seguito dell’uscita in libreria di ‘Divorare il cielo’, romanzo best-seller dalla primavera scorsa. ‘Gli scienziati raccontano’, incontro organizzato dal Master di primo livello dell’Università di Ferrara ‘Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza’, si è svolto venerdì 5 ottobre presso il Dipartimento di Economia e Management. A incontrare lo scrittore, nonché fisico teorico di formazione, il giornalista scientifico Michele Fabbri, fiero di esser parte del master Unife che – ha ricordato alla platea – esiste da ben diciotto anni e ha prodotto ormai più di 800 persone esperte, italiane e non.

La posizione di Fabbri è chiara. Intervistato da Ferraraitalia, ha confermato come sia questa la via maestra per perseguire una vera comunicazione scientifica: “non una semplice divulgazione che cerca di spiegare il difficile con parole semplici, ma una comunicazione in grado di far comprendere come la tecnoscienza si articola nella vita quotidiana; la nostra sfida è formare coloro che formeranno, coloro che si porranno come interfaccia tra chi fa scienza e chi no”. Eh sì, perché il momento storico che stiamo vivendo è, a detta dello scienziato divenuto autore letterario, peculiare: “il divorzio tra racconto e scienza, in tutti i sensi, è sofferenza per la cultura”. Una spaccatura, quella tra sapere umanistico e sapere scientifico, che si realizza molto presto nella vita delle persone, addirittura già alle scuole elementari, quando una parte fondamentale del sapere viene presentata come oscura e violenta, provocando di fatto un istintivo disamoramento che mai potrà venir meno. Giordano, invece, non ha abbandonato un mestiere per intraprenderne un altro. Le opere della sua seconda vita sono profondamente intrise di temi scientifici, estremamente attuali e prorompenti.

Non ci è permessa, oggi, la non comprensione della scienza: se ciò poteva anche essere sopportabile nel passato, oramai è impensabile. Molte sono le sfide etiche che i sempre incessanti progressi della tecnoscienza ci presentano, ma il tempo per metabolizzare tutto questo non è mai sufficiente. E se non si afferrano i termini delle questioni, il rischio è quello di affidarsi all’istinto, all’intuito, se non all’indole o al momento contingente. Amos Oz lo chiamava “gene del fanatismo”: un gene presente in ciascuno di noi, ma attivabile dal contesto che si vive. E, forse, il nostro tempo sta collaborando all’attivazione di molto fanatismo, da una parte e dall’altra, senza vie di mezzo. “C’è ancora molto da fare nella comunicazione scientifica attraverso la letteratura”, ci confessa ancora Giordano dopo l’incontro. “Basti pensare che molti libri narrativi con temi scientifici partono da un livello di complessità medio-alto, perché è difficile partire da più in basso”.
Avevano amato la natura, così com’era, ma ora volevano un figlio, ed essa non glielo concedeva. Eppure la soluzione era là, una via contraria alla precedente. La fecondazione assistita.

LA VIGNETTA
Equivoci

Illustrazione di Carlo Tassi

C’è l’Internazionale a Ferrara… ma stavolta non parliamo di calcio!

5, 6, 7 ottobre 2018. Un weekend con i giornalisti di tutto il mondo. Incontri, dibattiti, laboratori e proiezioni. Tre giorni di interviste, spettacoli e iniziative sociali.

Festival Internazionale 2018:
Programma