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Giorno: 9 Febbraio 2019

L’esperienza vincente di Giovanni Caudo

Da ufficio stampa Roberta Fusari Sindaca

 

In una sala Wunderkammer gremita, l’evento pubblico promosso sabato pomeriggio dalla lista Ferrara Civica e da Roberta Fusari ha visto Giovanni Caudo condividere con i ferraresi la propria esperienza, che la scorsa primavera ha portato alla vittoria i civici raccolti attorno a lui nel III Municipio di Roma, un quartiere di oltre 200.000 abitanti, del quale è ora presidente, pur partendo da un contesto inizialmente molto
sfavorevole.

La candidata a sindaco di Ferrara, Roberta Fusari, ha aperto la serata ringraziando tutte le realtà civiche e associative che da mesi stanno vivacizzando il dibattito politico ferrarese. Un primo ringraziamento è andato a Piero Giubelli, che non è potuto essere presente per impegni precedenti (ma in sala c’erano alcuni suoi collaboratori); ancora rigraziamenti per il gruppo di La Città che vogliamo, che – come ricorda Roberta Fusari – sono stati i primi a partire nella riflessione civica e far capire che questo percorso fosse possibile e richiesto; un ringraziamento è andato all’Addizione Civica, che proprio in mattinata si è presentata in Castello come lista civica e con cui Fusari sta già dialogando. I ringraziamenti si sono estesi anche ai partiti, iniziando da +Europa che è stata alla base della scelta operata da Roberta Fusari che, sottolinea, hanno avuto l’eleganza di fare un passo indietro dopo aver lanciato l’idea di una mia candidatura; molti anche i militanti di MDP, “presenti in sala a titolo personale – ha commentato Roberta Fusari – ma con cui mi sento e mi confronto”; un ringraziamento anche per Ferrara Concreta, presente in forze in sala e con Roberta Fusari, che ricorda il suo dialogo con il vertice nazionale del partito “Italia in Comune”, grazie alla frequentazione dell’Associazione Unesco. E, infine, anche un saluto “agli amici del PD, alcuni presenti qui stasera, altri che mi hanno telefonato perché impegnati altrove”.

Roberta Fusari ha poi spiegato come il percorso di Giovanni Caudo sia un esempio interessante e del tutto in linea con quanto Ferrara Civica sta facendo nella città estense. Partendo da un confronto diretto sul territorio, dalla ricostruzione di un tessuto sociale in cui le persone si sentano davvero ascoltate e coinvolte. Un modello di Ferrara come Capitale della Partecipazione che non si esaurisca in campagna elettorale, ma continuerà quando sarà il momento di amministrare. E partendo da questo nuovo approccio per affrontare
i grandi temi e le sfide più sentite dai cittadini ferraresi, per il lavoro, per l’ambiente, per i servizi. Per una Ferrara che possa guardare al futuro con fiducia. E nel proprio racconto, Giovanni Caudo affronta sia la campagna elettorale, che l’attuale esperienza di civica che governa. Tra difficoltà, ma anche grandi soddisfazioni. Un percorso che nasce dalla caduta della giunta di Ignazio Marino, di cui Caudo era proprio assessore all’urbanistica, fino alla scelta di candidarsi, nonostante l’opposizione del Partito Democratico, che gli
schiera contro un proprio candidato.

Caudo racconta “I Social sono degli intermediari. I twetter arrivano a ognuno di noi, ma non fa comunità, non ci fa partecipi di una scelta e di cosa vuol dire la parola politica. La politica è fatta in strada, la politica si riprende il ruolo di intermediazioni. Noi dobbiamo preoccuparci di un ministro degli interni che non ha fatto una sola legge, una sola misura, ma è sempre sui social”.
“Ma cosa succede quando hai vinto perché i partiti hanno capito che sei un valore aggiunto? Succede che dopo averti fatto l’esame per vedere quanto sei civico, esame che avviene all’inizio, appena hai vinto ti fanno l’esame per vedere quanto sei del PD” “Il rapporto con il partito, soprattutto adesso che non c’è più Renzi, è che il partito è diviso in due parti, che sono una contro l’altra armate, senza dialogo. Come si fa? Si fa tenendo la barra dritta con quanto si è detto in campagna elettorale. Io sono tanto più utile al PD e alle forze di sinistra, quanto più la mia esperienza è una esperienza contaminante”

“Il PD si deve prendere dei rischi. Una volta un consigliere del PD mi disse: hai un autobus e non devi portarlo a sbattere. In realtà questa metafora non funzionava, perché l’autobus non c’è e siamo a piedi, camminiamo, se siamo bravi facciamo strada e cresciamo, ci contaminiamo e aumentiamo di numero. Ci si rimette in cammino, motivando le persone, sfiduciate dalla politica. E se i partiti comprendono che questo viaggio è anche emozionante e fa bene alla politica, allora queste esperienze saranno state positive. E’ esattamente quello che sta facendo Roberta con tutti i suoi supporter”. Caudo chiude facendo “gli auguri a Roberta perché tenga la barra dritta. E’ molto difficile e bisogna arrivare fino in fondo, assumendo la forza dai cittadini” Qui Caudo racconta di come questa forza si sia manifestata quando si sono occupati dell’impianto dei rifiuti che poi ha preso fuoco: “Abbiamo chiamato tutti, sindacati, cittadini e tutti insieme abbiamo fatto un osservatorio su questo impianto” e questo “in assenza di una impresa organizzata come avete qui”, ha permesse alla lista eletta di non passare per i colpevoli, quando l’impianto in fiamme ha cominciato a rilasciare diossina.

“Durante la campagna elettorale i partiti vengono nell’isola del civismo per comprendere meglio che cosa si sono persi in questi anni, ma immediatamente dopo tentano di strumentalizzare e riprendere le antiche abitudini e i comportamenti di prima. Questa è una cosa su cui io non ho ceduto per non perdere proprio quel valore aggiunto dato dal civismo. Questa è l’esortazione a cogliere questo momento, questi tempi interessanti”.

Il racconto di Gaudo suscita grande entusiasmo tra i presenti, anche per i molti parallelismi con l’esperienza di Roberta Fusari a Ferrara. Un buon segno, che dà ancora più fiducia ed energie per il proseguimento dell’esperienza di Ferrara Civica verso le elezioni amministrative del prossimo maggio.

Il Monday Night Raw è con gli Yoruba del batterista emiliano Andrea Grillini e la loro personale rivisitazione del sound folclorico afro-cubano

Da: Ufficio Stampa Jazz Club Ferrara

Lunedì 11 febbraio, a partire dalle ore 20.00
Monday Night Raw
Opening Act
Happy Hour with Willygroove DJ

+

Live
Andrea Grillini Yoruba
Federico Pierantoni, trombone
Piero Bittolo Bon, sax alto, flauto e clarinetto basso
Filippo Orefice, sax tenore e clarinetto
Glauco Benedetti, tuba
Luca Chiari, chitarra
Alfonso Santimone, pianoforte
Stefano Dallaporta, contrabbasso
Andrea Grillini, batteria

+

Jam Session

Il Monday Night Raw di lunedì 11 febbraio è con gli Yoruba del batterista emiliano Andrea Grillini e la loro personale rivisitazione del sound folclorico afro-cubano, che trae linfa dalla tradizione orale di canti popolari. Completano l’ottetto Federico Pierantoni (trombone), Piero Bittolo Bon (sax alto e clarinetto), Glauco Benedetti (tuba), Luca Chiari (chitarra), Alfonso Santimone (pianoforte) e Stefano Dallaporta (contrabbasso).

Il Monday Night Raw di lunedì 11 febbraio (a partire dalle ore 20.00) è con gli Yoruba del batterista emiliano Andrea Grillini e la loro personale rivisitazione del sound folclorico afro-cubano, che trae linfa dalla tradizione orale di canti popolari.
Gli Yoruba sono un vasto gruppo etno-linguistico dell’Africa Occidentale espansosi anche nelle Americhe a causa della tratta degli schiavi. Inizialmente, dalla città di Ife, il popolo Yoruba controllava gran parte della Nigeria, del Togo e del Benin. La cultura di queste genti si basa su numerose manifestazioni di tipo narrativo e teatrale in cui vengono rappresentati tramite rituali gli Egungun, gli spiriti ancestrali. A stregua della Santeria di Cuba e Porto Rico anche la musica latinoamericana è stata fortemente influenzata dal patrimonio degli Yoruba, particolarmente riconoscibile nella musica cubana.
Dopo un accurato lavoro di ricerca, i musicisti hanno ricreato e orchestrato questi rituali per ottetto composto da sezione ritmica e fiati. Oltre al leader, Federico Pierantoni (trombone), Piero Bittolo Bon (sax alto e clarinetto), Glauco Benedetti (tuba), Luca Chiari (chitarra), Alfonso Santimone (pianoforte) e Stefano Dallaporta (contrabbasso) utilizzano gli strumenti come fossero voci narranti che flettono il tempo, riscoprendo la purezza del ritmo primordiale.
Batterista e compositore, Andrea Grillini si è formato diplomandosi al triennio di Batteria Jazz al Conservatorio “G.B Martini” di Bologna e frequentando, tra gli altri, il corso di ‘modern drumming’ al CPM (Centro Professione Musica) di Milano. Nel 2012 ha pubblicato Enter con il suo quartetto Bad Uok per l’etichetta Auand Records, lavoro che ha riscosso un notevole successo da parte  della critica nazionale ed internazionale. Con la band ha suonato in numerosi club e festival in Italia ed Europa, aggiudicandosi altresì – nel 2013 – il terzo premio al Festival Nazionale dei Conservatori Italiani. Nel 2015 ha ricevuto, con il gruppo Fuel Quartet, il premio ‘We Insist’ di MIDJ (musicisti italiani di jazz) come ‘Miglior gruppo di nuovi talenti’.
È membro della Tower Jazz Composers Orchestra, l’orchestra residente del Jazz Club Ferrara, oltre ad aver inciso con gli Indù, i Piero Bittolo Bon’s Bread & Fox ed il quintetto Tell No Lies. Vanta collaborazioni con artisti quali Stefano De Bonis, Fabrizio Puglisi, Andrea Calì, Edoardo Marraffa, Matteo Zaccherini, Pasquale Mirra, Guglielmo Pagnozzi e Vincenzo Vasi tra gli altri.
Anticipa il concerto serale l’aperitivo a buffet al wine bar del Torrione accompagnato dalla selezione musicale di Willygroove Dj, lo segue l’imprevedibile jam session. Ingresso a offerta minima € 5 riservato ai soci Endas.

INFORMAZIONI
www.jazzclubferrara.com
jazzclub@jazzclubferrara.com

Infoline 331 4323840 (dalle 12.00 alle 22.00)

Il Jazz Club Ferrara è affiliato Endas, l’ingresso è riservato ai soci.

DOVE
Torrione San Giovanni via Rampari di Belfiore, 167 – 44121 Ferrara. Se si riscontrano difficoltà con dispositivi GPS impostare l’indirizzo Corso Porta Mare, 112 Ferrara.

COSTI E ORARI
Ingresso a offerta minima € 5 riservato ai soci Endas.
Tessera Endas € 15

Non si accettano pagamenti POS

Apertura biglietteria 19.30
Aperitivo a buffet con dj set a partire dalle ore 20.00
Concerto 21.30
Jam Session 23.00

Giorno del Ricordo: per non dimenticare le vittime delle foibe

Da: Organizzatori

Giorno del Ricordo: per non dimenticare le vittime delle foibe e il dramma dell’esodo, l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e il Centro Culturale san Massimiliano Kolbe danno appuntamento domenica 10 febbraio alle 15 al Cinema Santo Spirito (Via della Resistenza) per la visione del film Red Land, cui seguirà un momento di dibattito.
Il 10 febbraio 1947, con la sottoscrizione dei trattati di pace di Parigi, venivano ridisegnati i confini di quella Jugoslavia (cui veniva assegnata l’Istria, il Quarnaro e gran parte della Venezia Giulia, prima facente parte dell’Italia). Essa fu teatro di un eccidio efferato che si consumò nel nord est di un’Italia lasciata a se stessa e dilaniata dalla guerra civile. Lungo il confine orientale, in quelle zone che maggiormente subirono la pressione fascista, l’insofferenza sfogò in una rivendicazione violenta da parte degli oppositori, unitisi a Tito. Mossi dal loro odio verso il regime di Mussolini, queste popolazioni iniziarono un’oppressione arbitraria e violenta non solo verso coloro che avevano aderito al fascismo, ma anche verso chi era contrario all’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia e non si riconosceva nel nuovo regime comunista.
Non si conosce con precisione il numero delle vittime. Con il termine vittime delle foibe si comprende anche coloro che furono fucilati, uccisi direttamente sul posto, annegati, morti durante il trasferimento ai campi di prigionia jugoslavi e all’interno di essi. Le cifre delle vittime si basano sulla conta delle persone scomparse e non più ritrovate. In questo senso si parla di circa 7 mila vittime delle foibe, e 350 mila quelli che dovettero abbandonare le loro case e le loro terre. L’ondata di esecuzioni portata avanti tra il 1943 e il 1947 dai partigiani titini si trasformò in un’autentica operazione di pulizia etnica.

“Mio figlio in rosa”: storia sulla variabilità di genere

Da: Arcigay Ferrara

“Mio figlio in rosa”: storia sulla variabilità di genere

Domenica 10 febbraio 2019 si terrà presso la libreria IBS+LIBRACCIO di Ferrara, Piazza Trento Trieste, Palazzo San Crispino, la presentazione del libro di Camilla Vivian “Mio figlio in rosa”, edito da Manni Editori, organizzato da Arcigay Ferrara e Gruppo TransFer.

Fotografa e mamma 46 enne, Camilla traspone la sua storia familiare dall’omonimo blog, aperto, in accordo con i suoi tre figli, per raccontare la storia del secondogenito: Federico, che ora ha dieci anni, fin da piccolissimo ha infatti mostrato un’inclinazione verso la sfera femminile, dai giocattoli cosiddetti “da bimba” all’abbigliamento e accessori pensati per le ragazzine.
Questa caratteristica non ha destato alcuna preoccupazione nella mamma, che però ha sentito il bisogno di comprendere meglio suo figlio, soprattutto dal momento in cui, all’ età di quattro anni e mezzo, ha chiesto alla madre quando sarebbe diventato una bambina.
Al fine di svolgere al meglio il proprio ruolo, Camilla si è dapprima rivolta ad una psicologa infantile, che le ha preannunciato la possibilità che il figlio sarebbe diventato omosessuale in futuro. Non preoccupata, ma non pienamente soddisfatta dalla pienezza della risposta, ha continuato a cercare, ma in Italia apparentemente non esistevano casi analoghi al proprio. La sua conoscenza per la lingua inglese l’ha però portata a cercare altrove, in Europa, in America, in Australia, dove ha scoperto un mondo completamente nuovo. Molti altri bambini, infatti, non si sentono conformi al genere assegnato alla nascita, in modi differenti e variegati. Federico, ad esempio,non si sente pienamente una bambina, e alle domande della mamma su quale fosse il genere a cui si sentisse appartenere, lui rispondeva semplicemente: “io mi sento io”.
Una frase spontanea ma incredibilmente potente, che scardina i sempre più stretti spazi in cui si ingabbia e confina l’identità di genere, fin dalla più tenera età.
Come riporta Camilla, stimolando auspicabilmente una riflessione in tutti noi, non solo i giocattoli, ma ogni merce dedicata all’infanzia è strettamente suddivisa: dagli ovetti di cioccolata con incarto e sorpresa “per lui” e “per lei”, agli oggetti di cartoleria, che una volta erano semplici penne e matite usufruibili da chiunque.I bimbi diventano lo specchio di una società ipersessualizzata e binaria, in cui si è destinati a venire identificati, a partire dai propri genitori e familiari, in super eroi o principesse.
Ma Federico, che non è incastrato in uno stereotipo di genere, subisce le difficoltà delle altre persone, coetanee ed adulte, che vanno in crisi quando non riescono ad attribuirgli un’ etichetta. Ed ancora una volta, la sua istintiva soluzione al problema,suggerita con la franca seraficità dell’infanzia, è che siano gli altri a dover imparare a gestire la propria incapacità di vedere la realtà in tutte le sue sfumature, e non lui a dovervisi adattare.
La cosiddetta “disforia di genere” è, secondo le parole di Camilla, una “mal sopportazione”, non una malattia psichiatrica, causata in gran parte dalla società.Essa quindi non sarebbe innata, ma frutto di una mancanza di fonti accoglienti come scuola e famiglia.
Il supporto della famiglia e delle altre fonti di socializzazione, infatti, è fondamentale: il 41% dei bambini di “genere non conforme”, avrà gravi problemi durante pubertà e adolescenza (periodi già critici per tutti), con la probabilità di sviluppare disturbi alimentari (anoressia, per tentare di fermare lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, bulimia, per nascondersi dietro al cibo)o tentativi, purtroppo spesso portati a termine con successo, d suicidio.
Il contributo di questa mamma dalla volontà ferrea è stato importantissimo: in Italia, prima dell’avvento del suo blog, nessuno parlava di bambini di genere non conforme, e sembrava una situazione non esistente.
Con “Mio figlio in rosa” ha creato apertura, dialogo e legami, esponendosi senza vergogna per aiutare altre famiglie, perchè come lei stessa sostiene,”le cose di cui vergognarsi nella vita sono altre”!

A moderare l’incontro Federica Caracciolo, referente cultura del Direttivo di Arcigay Ferrara.

Riforma della famiglia? Qualche riflessione sul ddl Pillon

Credo che sia un dovere etico morale, oltre che politico, che mi porta a prendere in esame e denunciare ciò che sta accadendo circa alcuni provvedimenti attualmente all’esame del Senato. Mi riferisco in particolare al disegno di legge n.735, Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità, proposto dal senatore leghista Pillon e da altri, sul quale vorrei portare la dovuta attenzione, per gli effetti che siamo già sicuri comporterà, se malauguratamente venisse approvato.

Molte sono state le manifestazioni prevalentemente di movimenti e associazioni femminili che di recente hanno denunciato l’allarmante proposta del senatore leghista Pillon, su questa cosiddetta riforma del diritto di famiglia e dell’affidamento dei minori in caso di separazione e, anche se la cosa sembra non turbare più di tanto l’opinione pubblica, credo che per tanti aspetti sia davvero una proposta di legge di inaudita, che presenta una visione distorta dei diritti dei bambini, dei figli e delle donne nei casi di separazione familiare.
Davvero interessante e completa, a questo proposito, l’inchiesta presentata su Rai3 alcuni giorni fa dalla trasmissione ‘Presa diretta’, che ha correttamente presentato i vari aspetti dei motivi ‘ispiratori’ di questi sedicenti legulei, degli effetti e conseguenze gravi che possono derivare dall’approvazione del citato disegno di legge.
Questi i punti cardine su cui si fonda il ddl Pillon : la mediazione civile obbligatoria – e a pagamento dopo il primo incontro – per le questioni in cui siano coinvolti i figli minorenni, la “bigenitorialità perfetta” ossia tempi paritetici per entrambi i genitori con i figli, il contrasto all’alienazione parentale, il mantenimento diretto senza automatismi.

Occorre notare che la figura del mediatore familiare obbligatoria è davvero avvilente: forse il senatore leghista Pillon –  mediatore famigliare – vuole rendere edificante la propria attività, ma è innegabile che vi sia un evidente palese conflitto di interesse, proprio perchè tale figura diventa addirittura obbligatoria e indicata fin dai primi articoli di questo disegno di legge.
La proposta di Pillon prevede diversi cambiamenti rispetto alla norma attuale. In primo luogo c’è l’addio all’assegno di mantenimento, dato nella maggioranza dei casi alle mamme, con cui il padre passa ogni mese una cifra stabilita per i figli. Se il disegno di legge di Pillon venisse approvato, mamma e papà dovranno invece provvedere ognuno a metà delle spese. Viene tolto l’assegno perché i figli avranno due case e due domicili e, a meno di accordi diversi presi dai genitori, ogni bambino o bambina dovrà passare lo stesso tempo con i genitori, che non dovrà esser inferiore ai 12 giorni al mese. Secondo il testo, questo dovrebbe garantire un giusto equilibrio nei rapporti con entrambe le figure genitoriali, senza tenere in debito conto però il problema dei bambini in sempre in trasloco, da una casa all’altra.

Ebbene le preoccupazioni più grandi riguardano appunto la tutela dei bambini, proprio quei soggetti che il ddl n. 735/2018 dice di voler proteggere, ma l’allarme riguarda anche le donne, soprattutto quelle in condizioni di difficoltà e vittime di violenza.
C’è da pensare che chi ha redatto il testo del disegno di legge non si renda affatto conto del contesto in cui viviamo e non sappia minimamente ciò che accade nei tribunali, nei territori e soprattutto tra le mura domestiche. Il testo sembra quasi completamente ignorare la diffusione della violenza maschile che determina in maniera molto significativa le richieste di separazioni e genera gravi tensioni nell’affidamento dei figli, che diventano in molti casi soprattutto per i padri, oggetto di contesa e strumento per continuare ad esercitare potere e controllo sulle madri.
Con l’eliminazione dell’assegno di mantenimento, se si dispone il doppio domicilio dei minori, si danno per scontate le disponibilità economiche anche da parte delle donne, molto spesso impossibili da garantire, proprio perché il nostro paese ha elevatissimi tassi di disoccupazione femminile e presenta ancora un gap salariale che continua a espellere dal mercato del lavoro le madri, ne penalizza la carriera e garantisce sempre meno servizi in grado di conciliare le scelte genitoriali con quelle professionali, mentre scarica i crescenti tagli al welfare sulle donne schiacciate dai compiti di cura. Si tratta di un elemento di grave sottovalutazione, perché vi è un effettivo squilibrio di potere e di accesso alle risorse fra madre e padre, proprio perché sappiamo benissimo quali siano in Italia, nella stragrande maggioranza dei casi, le condizioni lavorative delle donne madri. Proponendo un’equiparazione di contribuzione economica tra i genitori in caso di separazione, emerge che la situazione delle donne è quindi vincolata necessariamente al grado di autonomia finanziaria per reggerne il costo, anche a prescindere dal fatto che la separazione sia richiesta per atti di violenza commessi dal coniuge nei suoi confronti e nei confronti dei figli, perché per provare questi aspetti occorre tempo. Occorre ricordare, infatti, che per le denunce di violenza occorre arrivare ai tre gradi di giudizio per avere sentenze definitive.
Nelle denunce delle associazioni appare chiaro che rispetto a questa situazione, già oggi nei tribunali le donne incontrano difficoltà enormi nel denunciare le violenze subite, non sono credute, devono affrontare una pesante percorso di analisi da parte di un sistema giuridico e sociale che ancora tende a spostare la responsabilità degli atti violenti sulla vittima del reato, piuttosto che sull’autore. Inoltre, in molte interviste a questi legulei, non è raro sentirli ripetere che la colpa, in ogni caso, è delle madri, accusate di inadeguatezza genitoriale per non essere riuscite a tenere insieme la famiglia, per non aver tutelato i minori dalla violenza diretta e assistita o per non consentire ai padri di continuare a mantenere una relazione con i figli generando in essi avversità e alienazione.
Molti giuristi ci dicono che la presenza di violenza rende sconsigliabile se non impraticabile secondo le normative attuali, ma anche secondo le diverse discipline scientifiche chiamate in causa, sia la mediazione familiare, sia l’affidamento congiunto, così come è palesemente riconosciuta l’inefficacia di percorsi prescrittivi ampiamente previsti nella proposta di legge in questione.
Ebbene mi chiedo che ne sarà della vita di quei bambini che si troveranno in condizione di separazione familiare, già in condizione affettivo- relazionale critica, chi pensa a loro?

Penso che il ddl Pillon sia un anacronistico esempio di incapacità di legiferare, che non tiene conto dei diritti di tutti, soprattutto dell’infanzia, di quei figli che vengono contesi e trattati come fossero automi da manovrare verso un genitore o l’altro, senza tener conto della loro sensibilità , delle loro scelte, incidendo sulla loro vita con interventi che segneranno per sempre il rapporto e le relazioni socio affettive con gli altri.
Sto pensando che dovremo trovare il modo per fermare ad ogni costo questo ddl che non fa altro che produrre sui bambini, sui figli dei genitori che si separano, profonde ferite e potenziali danni psicologici se venissero applicate effettivamente le indicazioni del testo. E’ aberrante che i primi a pagare siano proprio i bambini alla faccia della difesa della famiglia, di una famiglia dove possono essere agite anche terribili violenze. Abbiamo capito che l’obiettivo primo è relegare le donne a un ruolo subalterno di pure fornitrici di prole e che devono dipendere da un mondo che ha Dio, Patria e Famiglia come unico e inderogabile feticcio da perseguire. La famiglia per diritto naturale non può sciogliersi, anche se i bambini vivono in un contesto in cui padre e madre litigano continuamente o agiscono abusi e violenze di ogni tipo. Se si rifiutano di andare col genitore violento o abusante vengono comunque costretti a stare anche con questo…che in genere è il padre. Allora può capitare che i figli che si oppongono possano essere allontanati dalla madre e venga invocata “l’alienazione parentale” e addirittura finiscano per essere affidati altrove.
Mi chiedo: è un caso che Pillon svolga patrocinio legale presso l’associazione dei padri separati con la quale ha un palese condizionamento quasi lobbistico?
Tantissime sarebbero le obiezioni da aggiungere, basti dire che la visione del rapporto di coppia, della tutela dei minori e del senso della vita familiare, oltre che del ruolo marginale della donna nel contesto sociale, appaiono declinati secondo una chiusa visione integralista che ci riporterebbe a una dimensione classista di chiusura completa di una reale parità uomo donna e soprattutto della difesa dei diritti dei minori. Non possiamo essere indifferenti perché tutto ciò sembra richiamare inevitabili effetti assimilabili a quelli ai tempi dell’inquisizione.

La famiglia tradizionale

Sua Santità,

sono una cattolica credente e professante, sono sposata da venticinque anni, sono madre di quattro figli e sono femminista, semplicemente perché oggi credo sia la via più autentica per interpretare la contemporaneità.
Scrivo perché sono rimasta profondamente colpita, per non dire agghiacciata, dalle parole che sono state dette da molti degli esponenti del movimento per la vita, intervistati da Giulia Bosetti di ‘Presa Diretta’, nella puntata di lunedì 28 gennaio su Rai3. In realtà tutta l’inchiesta ha rivelato una radice misogina e certamente non cristiana dietro ai movimenti che si battono per una restaurazione della famiglia ‘tradizionale’. Tutti però si sono dichiarati cattolici credenti, convinti di essere mandati da Dio a ristabilire l’ordine naturale di cui ovviamente conoscono la formula.

Intorno a stendardi della Madonna, alla quale Dio ha chiesto se voleva avere un figlio – poteva dire di no -, ho sentito pronunciare parole di condanna per le donne che abortiscono, negare la tragedia dei femminicidi (per le donne tra i 16 e i 44 anni è la prima causa di morte nel mondo), che il posto delle donne è essere sottomesse a un marito anche se violento e abusante, che non necessitano di aspirare ad altro che alla maternità. Ho sentito dire che la famiglia naturale è una sola e infine che lo stupro è meno grave dell’aborto e tutto questo condito dal fatto che sono gli unici veri interpreti del cattolicesimo.

Ebbene le scrivo per dirle che io non mi riconosco in una Chiesa che riduce la complessità della vita a formulette semplicistiche e che accetta che la prospettiva che muove questi movimenti venga sbandierata come cattolica. La legge non sta sopra l’uomo ma di fronte. Gesù lo ha detto in modo molto chiaro (MC, 2, 23/28). Ed è proprio in quello spazio che c’è tra la legge e l’individuo che si rivela la libertà che Dio ci ha donato, dinamica che porta avanti la storia. Credo che l’aborto possa essere una esperienza molto dolorosa, ma sono a favore della legge 194, una legge che riconosce alla donna le sue responsabilità e che onora la sua coscienza individuale, il suo corpo e la sua libertà. Sono per l’abolizione universale della maternità surrogata, ma non certamente per i motivi addotti da questi personaggi davvero equivoci. Sono per il sacramento del matrimonio tra omossessuali e sono per il sacerdozio femminile, che porrebbe fine alla misoginia che abita la struttura ecclesiastica e a una ingiustizia: le donne escluse dal sacerdozio in quanto donne. La libertà delle donne fa paura a tutti, anche a molte donne, ma non c’è amore senza libertà, e senza la libertà delle donne la Chiesa e la società le priva e si priva del loro amore.

Le scrivo perché mi riconosco in una Chiesa capace di dialogo e confronto, che non rifugge le contraddizioni dell’esistenza, che si interroga, che è ricerca continua e che testimonia ogni giorno il suo amore. Credo sia giusto che questa Chiesa mostri il suo volto e abbia il coraggio di denunciare che quanto detto da queste persone non è cristiano. Lei ha mostrato grande coraggio esponendosi personalmente, anche e spesso in controtendenza al pensiero dominante. Quando è stato eletto Papa si è presentato come Vescovo di Roma, riconoscendo che la Sua missione sta dentro il tempo e lo spazio, esattamente come quella di ognuno di noi, e dunque riconoscendo che siamo tutti in cammino verso una umanità più piena. Per proseguire il cammino, quando si giunge a un bivio, bisogna scegliere che strada prendere. Spero si unirà alla mia denuncia: la prospettiva che anima molte persone che militano in questi movimenti non è una prospettiva cristiana.