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Giorno: 1 Maggio 2019

VERSO LE ELEZIONI
Il Battito della Città chiama Alex Zanotelli: Beni Comuni da riconquistare

Il Battito della Città organizza per giovedì sera 2 maggio alle ore 20,30 (alla Sala Macchine del Grisù di via Poledrelli) una iniziativa pubblica per discutere sul futuro dei Beni Comuni e dei servizi che li erogano, in particolare quello idrico e della gestione dei rifiuti e per sostenere la loro ripubblicizzazione.
Lo facciamo con una sguardo rivolto prima di tutto alla nostra città, ma dando conto anche di un quadro nazionale e regionale, dove si stanno svolgendo discussioni importanti su questi temi. Infatti, oltre alla riflessione e alla proposta specifica che avanziamo per il futuro di Ferrara – l’incontro si aprirà con un intervento di Marcella Ravaglia –  abbiamo chiesto a protagonisti significativi di queste battaglie di portare il loro contributo: a partire da padre Alex Zanotelli – da decenni impegnato in Africa e in Italia per la causa dei diseredati e tra le voci più forti nell’affermare la centralità dei Beni Comuni, assieme a Paolo Carsetti, del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e a Natale Belosi, della Rete regionale Rifiuti Zero.
E’ questo infatti il modo con cui Il Battito della Città ha deciso di stare nella campagna elettorale per le amministrative di Ferrara. Fallita l’opzione di costruire una Grande Lista Civica Unitaria di Sinistra, autonoma dai partiti, che chiedesse discontinuità nelle scelte del governo locale e una nuova prospettiva di democrazia partecipativa, Il Battito non ha voluto costruire una sua lista di parte, ma continuare invece a mettere al centro idee, contenuti e proposte innovative. E chiama tutto lo schieramento progressista a misurarsi su questi temi che interessano direttamente i cittadini, invece di rincorrere gli slogan sulla sicurezza imposti dalla Destra.
Il Battito della Città si colloca nel campo di tutti coloro che si battono contro le disuguaglianze sociali, per il contrasto alle politiche neoliberiste, per la giustizia ambientale, per l’allargamento della democrazia e la difesa dei principi costituzionali, in un campo dunque di sinistra. L’obiettivo prioritario, quindi, è che la nostra città non sia governata in futuro da una Destra, che accentua sempre più i suoi caratteri autoritari, xenofobi e razzisti, lungo una deriva regressiva che sta già facendo molto male al Paese e altrettanto lo farebbe a Ferrara.
Non a caso, abbiamo invitato a discutere con noi i candidati sindaci del Centrosinistra ( e anche del M5S, da cui ci sentiamo distanti, a partire dalla scelta di stare al governo con la Lega, ma che a livello nazionale e regionale hanno espresso posizioni di apertura verso i Beni Comuni). A margine dell’iniziativa, si è innescata nei giorni scorsi una piccola polemica sulla stampa locale da parte di alcuni esponenti e candidati della Destra ferrarese che avrebbero voluto che Il Battito invitasse “ufficialmente” anche i candidati sindaco del Centrodestra. La risposta è facile: Il Battito della Città non è un Centro Studi o un Organo Istituzionale che organizza dibattiti e approfondimenti scientifici o accademici su questo o quell’argomento. Il Battito è un soggetto sociale e politico di sinistra che vuole porre temi nuovi, proporre obbiettivi, aprire il confronto, e soprattutto chiedere risposte coraggiose e coerenti ai propri interlocutori, cioè a tutto lo schieramento progressista.
Se non ci interessano gli slogan e i personalismi, se crediamo produttivo discutere sui contenuti, sulle scelte progettuali che occorre compiere, sull’idea stessa di una Ferrara futura che allarga e potenzia i servizi alla persona, difende e garantisce i diritti e rigenera una nuova democrazia partecipata, il tema dei Beni Comuni appare assolutamente centrale. Proprio perché lavorare per i Beni Comuni significa da una parte favorire l’allargamento degli spazi di democrazia, di partecipazione e di controllo sui servizi da parte dei cittadini, mentre rafforza e qualifica l’intervento e la gestione pubblica dei servizi, come elemento decisivo per sottrarli alle logiche del mercato e del profitto.
Qui sta anche la necessità di costruire una forte discontinuità con le politiche praticate, a livello nazionale e anche locale, anche dal Centrosinistra, che ha continuato a portare avanti le privatizzazioni del servizio idrico e della gestione del servizio dei rifiuti, consegnandoli a grandi soggetti di natura privatistica quotati in Borsa, come Hera, interessati a produrre profitti da distribuire come dividendi più che a erogare servizi efficienti e a buon bercato..
Tutto questo riguarda anche Ferrara. Alla fine del 2017 è scaduta la concessione ad Hera della gestione del servizio dei rifiuti, mentre nel 2024 scadrà quella relativa al servizio idrico. Il momento della scadenza della concessione – in assenza di un quadro legislativo nazionale che proceda verso la ripubblicizzazione di questi servizi – è proprio quello più favorevole per produrre il passaggio da una gestione privatistica ad una pubblica, potendo avvenire con costi decisamente limitati, ben ripagati dai benefici futuri.
E’ stata questa la condizione in cui, per il servizio dei rifiuti, si è trovata ultimamente la città di Forlì, la cui Amministrazione ha deciso giustamente di togliere ad Hera la gestione del servizio e di affidarla ad un’azienda pubblica di nuova costituzione. La stessa identica situazione nella quale si trova oggi Ferrara, che può prendere la medesima decisione. A maggior ragione, in quanto nei mesi passati – a seguito dell’iniziativa della raccolta firme su una proposta di delibera popolare sottoscritta da circa un migliaio di ferraresi – è stato costituito un Tavolo partecipativo per studiare la ripubblicizzazione del servizio rifiuti.
Un analogo percorso può riguardare anche il futuro della gestione del servizio idrico. Il 2024, quando scadrà la concessione ad Hera, può apparire una data lontana. In realtà, è proprio il tempo che ci può consentire di preparare per bene quella scadenza, visto che si tratta di costruire un vero e proprio piano industriale e finanziario per rendere possibile la ripubblicizzazione. Anche in questo caso sarà fondamentale costituire un Tavolo partecipativo, promosso dall’Amministrazione e con la presenza di associazioni e soggetti sociali interessati.
Ecco quindi uno scenario che non ha nulla di utopistico, che può invece diventare una vera e propria agenda di lavoro: un programma da assumere come impegno per il prossimo quinquennio del governo locale. Anche di questo si parlerà la sera del 2 maggio. Sarà interessante conoscere le risposte dei candidati sindaci.
Queste proposte si possono poi utilmente incrociare con le discussioni in corso a livello nazionale e regionale. A livello nazionale, in Parlamento, si è aperto il dibattito sulla legge nazionale per la ripubblicizzazione del servizio idrico, presentata dal M5S, che riprende la proposta di legge di iniziativa popolare già avanzata anni fa dal Forum Nazionale per l’Acqua Pubblica. Peraltro, oggi il dibattito sembra essersi fermato, causa l’opposizione della Lega, ma anche per la scarsa determinazione del M5S. A livello regionale, invece, i gruppi consiliari di Sinistra Italiana, Altraemiliaromagna, M5S e la consigliera Silvia Prodi del Gruppo misto – in accordo con i coordinamenti regionali del Movimento per l’Acqua Pubblica e per i Rifiuti Zero .- stanno depositando una proposta di legge per incentivare la ripubblicizzazione di questi servizi e abrogare Atersir (l’Agenzia regionale per il servizio idrico e quello dei rifiuti) e per ridare potere decisionale alle comunità territoriali nelle decisioni sull’assetto di questi servizi. Anche di questo ragioneremo giovedì sera, con l’idea che è possibile lavorare per l’affermazione dei Beni Comuni, sottrarli al dominio del profitto e costruire un futuro socialmente più giusto e solidale per la nostra città.

 

Le pagine della vendetta

Il desiderio di vendetta prospera attorno a noi e trova la sua nefasta realizzazione, il suo tragico epilogo, nei fatti di cui leggiamo ormai quotidianamente. La sua presenza, come gramigna infestante, segnala uno scollamento tra senso di giustizia e senso di legalità, facendo perdere i riferimenti a valori certi, a comportamenti ragionevoli e civilmente ammissibili, a una gestione dell’impulso di rivalsa e al senso di impotenza, che spesso l’accompagnano e che conducono a uno sbocco finale potenzialmente distruttivo.
Il desiderio di vendetta è un’emozione che appartiene ai nostri impulsi più elementari e scatta ogni volta che ci sentiamo vittime di ingiustizia, inducendoci a fantasie più o meno elaborate sul modus operandi da adottare e sui possibili effetti. Se da un lato coltivare fantasie di vendetta aiuta a ‘riparare’ e compensare interiormente il senso di giustizia, creando uno spazio di sospensione tra reazione abnorme e impotenza, due eccessi frustranti e pericolosi, dall’altro può alimentare irrazionalità, aggressività, e agire insano, se non governato. Andare oltre il rancore diventa un’elaborazione sempre più difficile, perché significa riconoscere il danno subìto in tutta la sua portata e sospendere ogni azione pur senza privarsi del biasimo, trasformando la concretezza di azioni irreparabili di cui potremmo pentirci, in una visione superiore, più intelligente, al di sopra delle miserie dell’esistenza. E per questo, dobbiamo fare i conti con il narcisismo diffuso, un’affettività che nella nostra epoca si presenta fragile, equilibri relazionali tutt’altro che solidi, assenza di fiducia e considerazione dell’’altro’, superficialità, incapacità di tollerare pesi e sofferenze che vengono risolti d’impulso, sbrigativamente, con drammatici effetti.

Nelle società arcaiche più primitive era la ‘legge del taglione‘ il meccanismo regolatore della convivenza sociale; oggi conveniamo che la vendetta sommaria non rappresenta mai la soluzione migliore per dirimere torti e ingiustizie e lo Stato di diritto ha sostituito iniziative personali arbitrarie. Rimurginare e dare vita alla rabbia e alle emozioni negative può cronicizzare un livello di stress tale da mettere in serio pericolo l’incolumità fisica e psicologica, in una spirale di violenza senza fine (si pensi alle faide fra band criminali, ma anche all’escalation della conflittualità in molti casi di divorzio, separazione, tensioni nella coppia e nel vivere sociale quotidiano).

La vendetta è il sentimento meschino che nutre abbondantemente anche la letteratura, perché non si finisce mai di sondare l’animo umano, scandagliare emozioni e sentimenti, scrivere di quegli aspetti oscuri che altrimenti verrebbero tenuti nascosti, riflettere sulle luci ed ombre che ci appartengono, in ogni epoca e in ogni luogo. Dante Alighieri catapulta nell’Inferno tutti i suoi nemici personali tra i quali Bonifacio VIII, ancora vivente all’epoca della stesura, al quale preconizza l’Inferno, secondo la pena destinata ai simoniaci: conficcato a testa in giù in un foro. C’è anche l’avversario politico Farinata degli Uberti, che appare con le fattezze di una statua, di cui Dante però riconosce la grandezza. Una sorta di giustizia personale che dipende dal ‘verdetto’ che ognuno di noi, giudice implacabile, emette su azioni e comportamenti degli altri nei nostri stessi confronti e crea un contesto in cui la “vittima” diventa giudice e aguzzino. Nella mitologia nordica, la ‘dea’ vendicatrice è personificata da Crimilde, principessa dei Burgundi che, per vendicare la morte dell’amato Sigfrido, sposa Attila re degli Unni e fa sterminare il proprio popolo ottenendo, secondo profezia del mago Hugen, anche il tesoro del Reno. Vendette risarcitorie, vendette d’onore, vendette avide di giustizia mosse dall’ambizione, dall’empietà, dal dolore. Le vicende de ‘Il conte di Montecristo’ di Alexandre Dumas padre (1844), la storia del diciannovenne marinaio Edmond Dantés, il sedicente Conte di Montecristo, sono ispirate a una vicenda realmente accaduta nella Francia napoleonica. L’elemento della vendetta percorre tutto il romanzo e fa da sfondo alla condanna del giovane, imprigionato al castello d’If, prigione di Stato, su un’isoletta al largo di Marsiglia. Lo accompagna nei 14 anni di detenzione, nelle sue ricerche di informazioni, nei colpi di scena avventurosi e, alla fine, nella realizzazione di quei disegni di riabilitazione e rivalsa che lo avevano sostenuto nella disperazione. La vendetta si concretizzerà nell’eliminazione sistematica dei nemici, di tutti coloro che hanno avuto parte nella sua epopea. E di profondo risentimento che chiede rivalsa parla anche il romanzo di Emile Zola del 1867, ’Teresa Raquin’, dove la vendetta arriva inaspettata, all’improvviso, come nemesi fatale che rimescola le carte della vita. Teresa e il marito Lorenzo, avvertono sempre più pressante il peso dell’omicidio di Camillo, cugino e primo marito della donna, ordito dalla coppia. Dopo aver sfruttato l’anziana zia per anni, giungono all’omicidio-suicidio lasciando soddisfatta l’ormai invalida, finalmente libera dal sentimento di odio covato da tanto. ‘I cani là fuori’ di Gianni Tetti (2011), è una raccolta di storie di cinismo e crudele vendetta, non importa se commissionata, eseguita d’impulso o giunta dopo anni. Una ragazza che sconta gli errori di due famiglie, un padre violento trovato morto in un cassonetto, un malavitoso a cui viene commissionato ‘un lavoretto’, un bambino che decide di ‘sparire’ e altri individui, animano i racconti, mettendo in luce uno dei lati più sinistri dell’esistenza umana: il farsi giustizia da sé. Istinti, vite e pensieri borderline di persone che non posseggono una reale coscienza, o forse ne hanno troppa. “Un cecchino si apposta, sistema l’arma, guarda tutto il tempo nel mirino, e non si muove finchè non gli dicono di muoversi, o finchè il bersaglio non esce allo scoperto. Allora spari, e speri di tornare a casa il prima possibile”. Sogni infranti e incubi ricorrenti che esplodono negli istinti primordiali, uscendo dai meandri più reconditi della mente; anime deviate che si risolvono nella stessa violenza malata di cui sono involontariamente state oggetto, scambiando continuamente i ruoli di vittima-carnefice. ‘Il viaggio della vendetta’ di Rosemary Rogers (2011), una delle regine del romance epico, è ambientato tra America e Inghilterra tra il 1810 e il 1819. E’ la storia della giovane Celia Sinclair, che approda a Londra dall’America, animata da un forte desiderio di vendetta per la morte della madre, la cui rovina è da attribuire al visconte di Northington, colui che le ha distrutto la vita. Un continuo alternarsi di sensi di colpa, relazioni laceranti, rabbia, sospetto, che confluiscono in un’unica tematica: la volontà di arrivare a farsi giustizia.

Possiamo dare alla vendetta tutti i connotati che vogliamo definendola, con Oriana Fallaci, volgare come il rancore, oppure assimilabile all’impotenza, come ebbe a dire George Orwell. Francis Bacon scriveva che, nel vendicarsi, un uomo è soltanto pari al suo nemico e Alda Merini sosteneva che la miglior vendetta è la felicità, che fa impazzire il nemico. Resta il fatto che la vendetta è una pulsione orribile, un gesto estremo anche quando è sostenuta dalle ragioni, che trova forma e terreno in un mondo duro, smarrito, che non sa dare spesso risposte. Riappacificare, empatizzare e, se possiamo, ‘perdonare’ nel senso laico del termine, prendendo le distanze dagli eventi scatenanti, potrebbe dare un valido supporto alla gestione delle emozioni per ripristinare relazioni ed equilibri sani.