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Giorno: 30 Dicembre 2019

Buon anno in musica e danza

Novità per Ferrara sono gli auguri in musica e danza che il cantautore Leonardo Veronesi e Jazz Studio Dance faranno mercoledì 1 gennaio 2020 dalle ore 17 in Piazza Trento Trieste! L’esibizione di danza e il concerto live sono inseriti nelle iniziative del Natale e Capodanno organizzate da Made Eventi e Delphi International patrocinate dal Comune di Ferrara.

ore 17
“QUADRI DI STRADA” Nella strada ci sono tante presenze ….personaggi reali e di fantasia …..marionette, mimi, cartomanti, quadri animati, babbo natale, befane, creature affascinanti, statue, breakers … che si mescolano con i passanti per scambiarsi esperienze di vita …
Danzano per il Jazz Studio Dance: Vladislav Kniazev, Giulia Perinati, Elisa Lanotte, Eleonora Balleri, Alice Trombetta, Antonio Rizzioli, Eleonora Oliviero.
Coreografie e direzione artistica: Silvia Bottoni
Jazz Studio Dance è una realtà conosciuta e apprezzata sia a livello locale che nazionale. Fornisce una preparazione amatoriale e professionale ai suoi allievi. Esiste un corpo di ballo della scuola con cui si partecipa a concorsi di danza, trasmissioni televisive, spettacoli teatrali e iniziative organizzate da Associazioni e Istituzioni al solo scopo di diffondere la cultura della danza.

ore 17.30
“LEONARDO VERONESI & ATIPICO SINFONIK 4TET LIVE”
Leonardo Veronesi Voce e Chitarra Acustica
Silvia Marcenaro Violino
Eugenio Cabitta Cori e Chitarra Acustica
Mario Manfredini Cajon e Sezione Ritmica

Cantautore originale, Leonardo Veronesi, in modo ironico canta un quotidiano che per quanto rientri in uno schema di normalità ha sempre un margine di imprevedibilità, qualcosa che non si riesce a valutare, qualcosa che sfugge al nostro controllo. Prosegue quindi un percorso stimolante improntato su una ricerca di sonorità e soluzioni musicali originali che lo vede presente in live, spettacoli teatrali ed eventi culturali in nome di una forte volontà di creare nuove sinergie da sempre alla base dei suoi progetti. Sta portando avanti con successo il suo nuovo progetto di live tour che lo vede collaborare con Atipico Sinfonik 4tet, formato da valenti musicisti che lo accompagneranno cercando di uniformarsi alla magica atmosfera della città illuminata dalle luci natalizie eseguendo con lui brani che celebrano la grande musica italiana, unitamente i suoi inediti.
Una formazione davvero atipica che testimonia la continua sperimentazione di sonorità diverse e di contaminazioni musicali di Veronesi, artista a tutto tondo che non smette mai di stupirci. Il repertorio è stato rivisitato in chiave acustico – sinfonika per arrivare ad arrangiamenti che trasportano in diverse atmosfere musicali pensati appositamente per il pubblico cittadino che dopo aver festeggiato il Capodanno inizia il nuovo anno passeggiando per il centro cittadino. Cantautore originale Leonardo Veronesi, prosegue un percorso stimolante improntato su una ricerca di sonorità e soluzioni musicali originali che lo porterà in giro per live, spettacoli teatrali ed eventi culturali in nome di una forte volontà di creare nuove sinergie da sempre alla base dei suoi progetti e che lo vedrà collaborare con musicisti diversi a seconda dei vari contesti.

Presenta la spumeggiante Elisa Giorio di Radio Sound, una garanzia di professionalità e freschezza!

Diamoci tregua per capire dove stiamo andando

Abbiamo tutti bisogno di tregua. Che non significa oziare, perdere tempo e occasioni, immobilizzarci e perdere mordente; significa piuttosto rallentare, sospendere per un attimo tutto ciò che ci sta fagocitando, respirare ossigeno che ci disintossichi, riprenderci. Rabbia, rancore, paura sono stati d’animo che a volte, per alcuni spesso, prevalgono nella vita del quotidiano, nelle azioni, negli incontri, nei progetti, nei ricordi del passato, nella realtà del presente, nelle aspettative del futuro.
Siamo mossi da un’ansia interiore compulsiva, incontrollabile, presente nelle nostre vite come una seconda veste, insinuandosi in ogni nostra scelta e azione, sensazione, emozione. “Mors tua vita mea” è diventato lo slogan che ci accompagna, l’antidoto egoistico a una condizione di sofferenza di cui non ci rendiamo sempre conto, una corazza nella quale ci sentiamo apparentemente al sicuro, perché se tocca agli altri noi possiamo assistere indenni a ciò che sarebbe potuto accadere anche a noi. Schemi fasulli, fatti di cartapesta e illusioni, perché sappiamo fin troppo bene che quel “noi” è fatto di tutti. Abbiamo più che mai, in tempi di incertezza, incognite, punti interrogativi, dubbi e false certezze, di quel tempo sospeso che ci permetta di fermarci per un attimo, resettare pensieri venefici, liberarci da quel sottile disagio accumulato simile a una catena che ci impedisce di essere creature libere, gioiose, vere.
“Tregua” è un termine di origine tedesca che deriva da “trauen” – “fidarsi”; il riflessivo “sich trauen” significa osare, azzardare, avere il coraggio. Con questo verbo le antiche popolazioni germaniche, definite da noi ‘barbariche’, chiedevano al nemico di cessare le ostilità, di sospendere i massacri delle guerre, imploravano la tregua per onorare i caduti e bruciare sulle pire i loro morti, per riposare, recuperare onore e umanità, ricomporre la loro identità tribale e chiamare a raccolta i loro valori culturali dispersi.
La “tregua” interviene nella Storia ogni volta che emerge il bisogno di disegnare uno spartiacque tra lutti, morte, violenza, sangue, e la necessità fisiologica di pace, riposo, ripresa, recupero degli aspetti umani dimenticati. Nel Medioevo, la cosiddetta “Tregua di Dio” era l’appello più profondo all’Altissimo, la cui autorità doveva impedire, almeno nel periodo tra Quaresima e Avvento, uccisioni, stupri, rapine e ogni sorta di aberrazioni.
La “tregua” è sempre stata una specie di liberazione provvisoria da una condizione coercitiva, dolorosa, insostenibile, disumana. E’ proprio nel grande romanzo “La Tregua” di Primo Levi (1962), che troviamo l’interpretazione più drammatica di questa condizione: per l’autore è soltanto una parentesi fondata sull’illusione destinata a spegnersi nel breve raggio di tempo. Levi racconta del lungo viaggio da deportato ebreo liberato ad Auschwitz, dopo l’arrivo dell’Armata Rossa sovietica, intrapreso per tornare nella sua città natale di Torino. Racconta il ritorno in patria dopo il lager, del sollievo di aver scampato l’olocausto e la morte nelle camere a gas, del rientro alla vita quotidiana ritrovata. “Ora abbiamo ritrovato la casa, il nostro ventre è sazio. Abbiamo finito di raccontare. E’ tempo. Presto udiremo ancora il comando straniero: ”Wstawac!” – l’ordine di alzarsi all’alba di ogni giorno che i deportati sentivano urlare dai loro aguzzini –“. Levi suggerisce come la tregua, sebbene necessaria, non sia altro che una liberazione temporanea dalla tensione della tragedia che continuerà a pervadere l’esistenza umana. Un ciclo senza soluzione di continuità.
“La tregua” (1960) è anche un romanzo di Mario Benedetti, poeta e scrittore uruguaiano, uno dei grandi autori della letteratura latino-americana del ‘900. Martin, un uomo di 49 anni, vedovo con tre figli ormai grandi, conduce una noiosa vita da impiegato di commercio: assiste al trascorrere del tempo con disillusione, rassegnazione e fatalismo. Viene assunta la giovane Avellaneda, timida e chiusa, che stravolgerà la sua vita dando avvio a un amore insperato e con questa relazione clandestina il tempo, quel tempo che prima non trascorreva mai, viene rimesso in movimento con una sferzata di vitalità. Non era felicità, era solo una tregua, ammette il protagonista, la parentesi in cui tutto viene sospeso rispetto il prima e il dopo. La giovane verrà a mancare e lui si ritroverà nuovamente solo. “Una vita che prende il vento a gonfie vele per poi, caduto il vento, tornare nella quiete della bonaccia.”
Abbiamo bisogno di tregua per capire dove stiamo andando, per orientarci meglio. Abbiamo bisogno di dare una tregua ai nostri sensi di colpa per concedere loro il beneficio del perdono. Abbiamo bisogno di tregua per vedere con sguardo nitido ciò che ci circonda. Che la “tregua” di Capodanno sia per ciascuno di noi un momento di respiro profondo, rigenerante, che permetta di proseguire il cammino con sana energia e calore umano.

Vuoti nomi

Involucri vuoti da riempire con sapienza perché, alla fine, dell’involucro non resta traccia, e solo ciò che fu il contenuto rimarrà intatto nel tempo. Nel ricordo si affaccia lo sguardo di colui che viaggia nel tempo. Nel ricordo risiede l’immortalità. Nel ricordo giace la fragilità della vita, quando questa è passata con immobile certezza. Siamo nudi e soli. Trasparenti e opachi. Fenomeno e noumeno. Siamo tutto e siamo nulla. Saremo solo l’ombra di ciò che era il nostro essere, per l’eternità.

“Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”
Umberto Eco

Mons Locus Calvarie

Cinque sono le croci a protezione. Uno l’albero a vegliare come una è la chiesa posta come sigillo. Cento sono le tombe nascoste nel terreno e mille sono i pini a far da ombra ai sette sentieri che conducono sulla vetta. Undici sono gli spiriti che compaiono nelle notti senza luna e tre sono i dirupi che portano allo strapiombo. Quattro furono le popolazioni che lo abitarono, due le facce del sole che si possono vedere ma solo uno è il nome del luogo che cura l’anima, preserva il corpo e solleva lo spirito…

Camminare al chiaro di luna

Mad Man Moon (Genesis, 1976)

Luna piena, dopo la mezzanotte. Cielo sereno, brezza tiepida e leggera.
La questione della psiche è argomento ricorrente nei discorsi di mio fratello, e devo dire che mi suscita sempre grande interesse. Ma, proprio mentre sto per fargli l’ennesima domanda, mi zittisce ancor prima che possa aprir bocca.
«Aspetta!» esclama fermandosi di colpo, «Credo che ci siamo»
«Siamo arrivati? Non vedo ancora niente» ammetto io, mentre cerco d’allungare lo sguardo oltre la boscaglia davanti a noi.
«Oltre quegli alberi c’è il campo che confina col cimitero. Se l’attraversiamo rischiamo di farci scoprire… Dobbiamo deviare da quella parte, dove la vegetazione è più fitta» spiega, poi indica un punto del bosco in cui le querce secolari son così vicine tra loro che i grossi rami s’abbracciano in un interminabile groviglio e le chiome degli alberi formano un immenso ammasso verde scuro.
È la parte più antica della foresta, ombrosa e assai inquietante nell’aspetto. In quel punto la luce è scarsa anche di giorno ed è impossibile scorgere il cielo, ma è perfetta per potersi avvicinare senza esser visti.
Senza far rumore ci avviciniamo al margine della vasta area cimiteriale. Strisciamo tra i cespugli e intanto vediamo le prime tombe spuntare a pochi passi da noi, son sparpagliate e man mano sempre più numerose.
Ora siamo dentro il cimitero. È come trovarsi in un altro bosco, non fatto d’alberi ma di grosse lapidi spigolose e antiche cappelle diroccate.
«Stai attento!», bisbiglia mio fratello, «Potrebbero essere qua intorno… Restiamo ai margini del querceto, dietro quelle siepi laggiù. Se ci sono, si dovrebbero vedere!»
Lo seguo senza fiatare, la tensione è alle stelle. Aggiriamo una fila di stoppie ammucchiate che in quel tratto delimita il confine del cimitero. Sento il rumore dei nostri passi sulla paglia… poi sento qualcos’altro, qualcosa che proviene dal centro del cimitero.
È un rumore d’altri passi, strascicati, innumerevoli…
«Sono loro… sono arrivati!» sussurra mio fratello. Gli trema la voce. Dovrebbe esserci abituato, sono anni che gestisce queste cose, ma vedere un morto che cammina al chiaro di luna fa sempre un certo effetto. Peggio quando sono decine e decine.

I morti della luna. Escono nelle notti di plenilunio e s’aggirano nel mondo dei vivi quando i vivi dormono. Mio fratello, incaricato di sorvegliarli con discrezione, me l’aveva confidato durante un sogno fatto qualche tempo fa. Appena ho potuto l’ho seguito, e lui m’ha portato nel luogo in cui li avremmo trovati.

Non ho paura. Perché avere paura dei morti in fondo? Cosa potrebbero mai farmi?
Loro non vogliono far altro che rivedere i luoghi che han lasciato. Lo fanno per nostalgia, approfittando della luna piena e della sua magia. Potente ed effimera quanto basta acché nessun vivo s’accorga di nulla e si metta a far casino rovinando tutto come al solito.

Perché si sa… Son sempre i vivi a combinar guai, i morti mai!