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Giorno: 1 Gennaio 2020

“Anna Frank sei finita nel forno”… Reagisce e viene aggredito davanti alla famiglia al grido di “Duce Duce”

da: Coordinamento Provinciale di Articolo Uno Ferrara

Ieri sera, mentre si trovava a Venezia con la famiglia per festeggiare l’anno nuovo, l’amico e compagno Arturo Scotto è stato aggredito da un gruppo di fascisti al grido di “Duce Duce”, nelle migliori tradizioni squadriste: approccio arrogante, scarica di botte e fuga vigliacca. La sua colpa? Aver protestato di fronte ai cori ‘Anna Frank sei finita nel forno”, inascoltabili.
Lasciando alla moglie Elsa la cronaca dell’accaduto [consultabile nella sua pagina Facebook al link: is.gd/J9s0u0], ci preme sottolinearne l’estrema gravità. Un fatto reso doppiamente grave in quanto non solo si è colpito un ex Deputato della Repubblica, ma si è anche colpito un genitore davanti alla propria famiglia in quello che doveva essere un momento spensierato e di gioia: una condizione di massima vulnerabilità, in cui tutti noi potremmo trovarci in qualsiasi momento.
Un attacco alla nostra idea di comunità, di vita pacifica, ai valori di antifascismo e nonviolenza che tutti noi condividiamo e che rende bene (nel caso ce ne fosse ancora bisogno) il clima di odio crescente che si respira nel nostro paese.
Chi ancora insiste nel negare l’esistenza di un nuovo e pericoloso fascismo in Italia (e non solo), o non ha capito nulla della fase storica che stiamo attraversando o è in malafede.
Nel manifestare la nostra piena solidarietà ad Arturo ed alla sua famiglia cogliamo l’occasione per ribadire, ancora una volta, la nostra riprovazione per questi fatti vergognosi. Riteniamo necessario che venga attuata (così come previsto dalla Costituzione e dalla normativa successiva) una puntuale e severa politica di condanna di ogni atteggiamento o manifestazione fascista sul nostro territorio: dalle scritte sui muri, ai cori nostalgici e ai saluti romani, fino ad arrivare alle aggressioni verbali e/o fisiche. Che avvengano nelle strade, negli stadi, ovunque. Chi commette queste azioni deve essere perseguito e condannato secondo quanto previsto dal codice penale. Non si tratta più di eventi sporadici. Di casi isolati o di ragazzate. Lasciare correre, negare, sottovalutare questi fatti equivale a condividerne le responsabilità.
Noi non ci stiamo!

Ferrara e l’Emilia ai tempi del leghismo

E allora, come è Ferrara al tempo della Lega? L’interrogativo ricorre spesso, a porlo sono amici che in città non vivono, curiosi di capire cosa muta in una comunità in cui – dopo settant’anni – la barra del comando cambia pilota. Ma a chiederselo sono i ferraresi stessi: quelli che la Lega hanno votato per avere conferma della loro scelta e coloro che l’hanno avversata per verificare la fondatezza della loro ostilità. I più aperti, sull’uno e sull’altro fronte, pronti eventualmente a fare ammenda e riconoscere, semmai, l’errore di valutazione…
A chi me lo domanda (e a me stesso) rispondo: non molto, in effetti. D’altronde, per realizzare un significativo cambiamento quando si è ai vertici di una organizzazione articolata e complessa – come certamente è una municipalità – servono non meno di due anni. Prima di allora ogni giudizio sarà da considerarsi un’impressione o la semplice riconferma del proprio (pre)giudizio.

Le città hanno mille articolazioni, i legami sono molteplici e complessi… Fare e disfare quando ci si cimenta in un aggregato istituzionale che consorzia fra loro decine di migliaia di persone è impresa assai complessa, e le mille normative da osservare certo non agevolano il compito e rallentano i tempi di ogni intervento. Quindi, per esprimere un giudizio sensato, bisognerà attendere e vedere quale scenario urbano si definirà e come si rimoduleranno nel concreto i rapporti di forza e gli orientamenti valoriali alla fine del prossimo anno.
Di certo chi paventava – con la Lega al comando – una sorta di sbarco dei barbari sarà rimasto sorpreso dal fatto che la città non sia stata messa a fuoco già la notte del trionfo. E, per converso, chi dapprima ha sperato nel cambiamento e poi gioito del risultato elettorale, magari si rammaricherà di non vedere ancora chiari elementi di discontinuità. Ma tant’è…

Alcune considerazioni, però, si possono fare già ora, in ordine ai segnali percepiti e al comportamento dei nuovi amministratori. Il sindaco Alan Fabbri, per esempio, dimostra di mantenere un apprezzabile equilibrio, il suo si conferma il volto bonario del leghismo: non opera strappi, dispensa più sorrisi che ghigni, dà nel complesso l’impressione di voler salvaguardare un filo di continuità con il lavoro svolto in precedenza, introducendo con cautela qualche innovazione. Anche il tribale Naomo, suo vice e alter ego, volto guerriero del partito, pur restando fedele alla sua maschera, tutto sommato (aldilà di qualche – per lui – evidentemente incontenibile sparata) non ha ancora causato eccessivi danni, né ha creato troppi imbarazzi alla città (pur con qualche nefandezza inevitabilmente già all’attivo).

Ciò che invece stupisce – ma nemmeno troppo per la verità – è la persistente incapacità di quelle che fino a pochi mesi fa erano forze di governo e ora sono opposizione, di dispiegare un’azione di contrasto seria, concreta, puntuale, efficace, fatta di proposte e progetti, di sfide lanciate ai nuovi amministratori. Ci si limita perlopiù a sterili polemiche e a baruffe di palazzo.
In questo si confermano le scarse qualità del personale politico che nei dieci anni trascorsi è riuscito a disperdere un patrimonio di credibilità e di consensi accumulato fin dal dopoguerra, che aveva mantenuto la sinistra al vertice della città per quasi 70 anni; un credito dilapidato a causa di un’amministrazione miope e supponente, anonima e priva di intuizioni, di visione e del coraggio necessario per sperimentare e innovare. La stessa pochezza si esprime oggi dai banchi del Consiglio comunale: grigiore e autoreferenzialità, scarse capacità di dialogo con il territorio e le persone che lo popolano.

Alzando lo sguardo dalla palude, è inevitabile ricordare che a fine mese, in Emilia Romagna, si vota per il rinnovo del Consiglio regionale e per il Presidente.
Stefano Bonaccini (Pd) si è costruito una solida fama di buon amministratore, al punto che la Lega ha scelto come privilegiato terreno di scontro l’ancor confusa vicenda dei bimbi di Bibbiano, facendo leva più sulle emozioni che sulla razionalità e i programmi; i verdi, poi, giocano la carta Salvini come jolly pigliatutto, per spostare l’attenzione dallo scenario locale a quello nazionale. Lucia Borgonzoni al momento, però, nei sondaggi resta qualche punto dietro l’attuale numero uno. L’esito del voto avrà certo incidenza anche sul futuro del governo nazionale.
La partita è aperta, di certo l’onda di sano e genuino entusiasmo generata dall’inatteso movimento delle Sardine ha ridestato l’orgoglio dei progressisti, che nelle piazze hanno ritrovato i capisaldi valoriali che ne hanno storicamente tratteggiato il cammino. E’ questo un elemento potenzialmente decisivo ai fini del risultato, poiché la riscoperta ‘appartenenza’ potrebbe indurre a tornare a votare una significativa parte dei molti delusi della sinistra, che negli ultimi tempi hanno invece disertato le urne, contribuendo a elevare la quota dei non votanti, salita sino allo spaventoso 62 percento dell’ultima tornata alle Regionali del 2014.
Ma il clima, oggi, appare assai diverso rispetto a quello di cinque anni fa. E anche quella commistione di mestizia e paura che si respirava e si disegnava sui volti del popolo della sinistra e ancor si percepiva appena due mesi fa, oggi ha lasciato spazio ai sorrisi di una solida speranza.

Vite di carta /
Storia del Carognone e di quella coltellata infelice…

Vite di carta. Storia del Carognone e di quella coltellata infelice…

Di mercoledì quest’anno è caduto il Natale. La nostra tradizione assegna a questa festa la priorità assoluta tra le feste dell’anno e le rivendica riti di ogni tipo, da quelli religiosi che fanno vibrare le chiese, a quelli sociali che fanno chiudere le scuole o mandano le famiglie a far vacanza sulla neve, a quelli culinari che spalmano sul periodo le abbuffate di ogni ben di Dio.

Appunto, le abbuffate. Ci cadiamo tutti, a dispetto dei propositi ferrei o meno ferrei che abbiamo fatto a noi stessi. E allora bisogna dire che nel Ferrarese, come del resto nella nostra regione e in una ampia parte d’Italia, sono i giorni in cui sulle tavole trionfano i più vari e succulenti derivati del maiale.

Eccomi dunque arrivata. Scavalcando la facile rima tra il Natale e il maiale che ha già un sapore, un sapore gozzaniano, ho attraversato il repertorio dei riti fino ad agguantare col mio discorso la setolosa bestiola che mani sapienti trasformano in cotechini e salsicce proprio all’inizio dell’inverno, in dicembre.

“Del maiale non si butta via niente” dice la saggezza popolare. Altre mani l’anno agguantato e trasformato in salumi, in spazzole e persino in sapone per chissà quante generazioni, nelle nostre campagne e nei cortili dei ghetti nei paesi. Chi poteva infatti disporre di un ‘bassocomodo’ nei pressi della propria abitazione investiva nel maiale e affrontava le spese per allevarlo, garantendosi il cibo per tutto l’inverno e per tutta la famiglia.

So bene che tutto ciò non appartiene più al nostro presente. E proprio per questo mi piace segnalare due storie di maiali, ognuno col suo nome e col suo preciso carattere, due storie che vengono dall’Italia contadina del secolo scorso, da prima degli anni Sessanta. Neanche a farlo apposta, il primo maiale è vissuto davvero, in carne ed ossa, mentre l’altro viene da un intenso racconto di Eraldo Baldini che della zone di Argenta sta recuperando da tempo tradizioni e misteri.

Il primo maiale si chiamava Turiddu, proprio come il personaggio della novella verghiana Cavalleria rusticana. Il proprietario, amante della lirica e del bel canto, doveva avere investito su di lui non solo per sfamare la famiglia, ma anche per consacrare le musiche di Mascagni a Bacco, in qualche cena con gli amici, in qualche “sgangega” annaffiata da vino abbondante.

Si sa, la carne del maiale è saporita e il vino al quale si accompagna scioglie la lingua, scioglie anche le corde vocali. E giù con le romanze cantate in compagnia. Di questo Turiddu, diventato nell’autunno un bestione corpulento e bizzoso, si racconta di quella volta in cui riuscì a scappare dal porcile e a combinarne una grossa.

Inseguito dagli strilli della madre di famiglia, che se lo era visto sfuggire con straordinaria agilità mentre lei armeggiava per richiudere la porta dall’interno e dargli il cibo, si era introdotto con decisione dentro la casa dei suoi padroni e si era infilato sotto la tavola già apparecchiata dalle figlie, con i piatti pieni di minestra fumante.

Infilato non basta, bisogna dire che si era incastrato sotto il tavolo e subito aveva cercato con tutta la sua forza di scrollarselo di dosso… Furono visti crollare a terra i piatti fumanti e tutto quello che si trovava sulla tavola. Fu un momento di trambusto generale, finito con un maiale rincorso e poi rinchiuso a fatica nel porcile e con un pasto saltato per la famigliola.

bambini ragni e altri predatori eraldo baldiniIl secondo è Il Carognone. Uso il presente perché le pagine su cui è stato fissato dalla mano dell’autore ce lo rimandano anche ora, con tutto il mistero che si porta dietro e insieme alle inquietanti creature che danno il titolo alla raccolta di racconti Bambini, ragni e altri predatori.

Ma partiamo dalla prima pagina del nostro racconto. Il Carognone, “così lo chiamavano tutti…non era un maiale come gli altri”, aveva gli “occhi cattivi” ed era imprevedibile. Poteva starsene tranquillo e sornione nel suo porcile oppure aggredire chi gli portava la broda, nelle ore d’aria aveva più volte aggredito le galline e rovesciato i mastelli per il bucato. “Poi, era nato senza coda. Questa era la cosa più inquietante”.

Viene il giorno in cui la famiglia si prepara per la sua uccisione e per la lavorazione delle sue carni. È Anselmo, il capofamiglia, che si incarica di “accopparla, quella bestiaccia”. Ha impugnato un coltello lungo e affilato, pronto a sferrare il colpo quando il maiale uscirà di scatto dalla sua tana.

Il Carognone però viene fuori “lento e tranquillo”. Anselmo rimane disorientato e mentre allarga il braccio per colpire, il maiale ha il tempo di guardarlo negli occhi e di reagire a sorpresa scartando di lato e piegandosi sulle zampe. Il coltello lo ferisce ma non lo uccide, e il Carognone fugge gettando all’aria treppiede, coltelli, paiolo e acqua bollente e scatena “un uragano”.

Si raduna gente nel cortile e si organizzano immediatamente le ricerche, nella convinzione che l’animale ferito e sanguinante non possa andare lontano. Tutto inutile, il maiale non si trova. E intanto Simone, il bambino di casa, ripensa impaurito a tutte le fiabe e le storie che ha sentito, alla “Troia Macoda, la scrofa senza coda, che corre ai cento all’ora e mangia indifferentemente animali e bimbi, che penetra nelle case attraverso i camini, che ti tende agguati nei crocicchi bui…”.

Nei giorni seguenti corrono le voci più allarmanti: qualcuno ha trovato gocce di sangue sulla neve, e allora si intensificano le ricerche degli uomini nelle campagne e le donne stanno ad occhi aperti. Intanto altre notizie passano di cortile in cortile: qui è stato ucciso a morsi un cane, là è avvenuta una strage di galline.

E non va meglio a Capodanno e nel giorno della Epifania: dai Roversi sono spariti la gatta ed i gattini, dai Benelli è stato devastato il presepe, dai Corelli mancano i cappelletti ed un pezzo di tagliere che è stato staccato a morsi. E infine c’è un testimone oculare, sebbene non creduto da tutti: è “il vecchio Rino, orbo e un po’ tocco che, uscendo nel cortile buio per calmare il cane che abbaiava in modo furioso, aveva visto un maiale enorme del colore della brace sorvolare il paese come un dirigibile”.

Spero che i lettori, al pari di chi scrive, vogliano dare credito a questa testimonianza. Se non altro, perché nella terra dell’Ariosto e nel suo capolavoro Orlando furioso si è già assistito ad un volo insolito, quando Astolfo ha cavalcato l’alato Ippogrifo e ha solcato il cielo in direzione della luna. Nel nostro racconto dobbiamo abbassarci dalla corte degli Este al cortile del vecchio Rino, ma sempre volo (e sempre letteratura) è!

Come finisce il racconto del nostro Carognone? Finisce con la festa di San Giuseppe, il 19 marzo, quando le famiglie festeggiano il ritorno della bella stagione pranzando insieme sui prati. La paura di uscire da soli ed aggirarsi nei campi sembra scemata insieme al freddo dell’inverno, ed il ricordo del maiale che pareva immortale si è fatto confuso e sempre più sbiadito. Perfino Anselmo finisce proprio oggi di rielaborare la frustrazione che la bestia gli ha gettato addosso, e mangia a crepapelle e beve per sancire la fine di questo incubo che lo ha perseguitato per settimane e lo ha esposto alle canzonature degli altri uomini.

Finita la festa, si incammina verso casa insieme alla sua e ad altre famiglie tutte allegre e vocianti. Vediamoli tutti inquadrati di spalle, lungo il sentiero che porta alle prime case fuori dal paese, mentre i più brilli si appoggiano alle mogli per non barcollare. E tratteniamo il fiato mentre il racconto si conclude.

“Fino all’ultimo istante non si accorsero che, più grosso, arrabbiato e mostruoso che mai, il Carognone li stava aspettando, nascosto dietro un’alta siepe di biancospino.”