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Giorno: 6 Aprile 2020

Bisaccia la gentile

Lo sguardo dal terrazzo del palazzo ducale, a perdita d’occhio tetti e strade vuote. Silenzio di vicoli e nebbia che cela in lontananza il verde dei campi. Tornerà il giorno in cui poter vedere ciò con la libertà dell’animo. Nel frattempo il pensiero corre dove l’occhio non aveva limiti che non fossero i monti in lontananza, sottraendo lo sguardo alle quattro mura. Bianche. Strette. Mortali.

Il dittico

È tarda sera quando scrivo queste parole. La mente si offusca ma cerca di restare costante. C’è un pensiero fisso che mi attanaglia, un’immagine mentale, creata da due parole facente parti di un dittico famoso. “Strani eoni”. Due parole che rimbalzano e attivano nel mio cervello un poderoso miasma di immagini orrorifiche e oscure. Quali saranno gli strani eoni? Ere pre-cambriane in cui su questa terra camminavano, strisciavano o nuotavano negli abissi di sconosciuti oceani esseri abominevoli. O ere che verranno? Periodi dalla stranezza tale che a finire sarà anche la morte. Ed in tutto questo solo una certezza c’è: non può morire ciò che eternamente può aspettare…

“Non è morto ciò che può attendere in eterno, e col volgere di strani eoni anche la morte può morire.”
H. P. Lovecraft

IL PANE DI TUTTI
Questo piccolo giornale e le inutili polemiche

Ecco come siamo. Come dentro una grande tempesta. Come Re Lear, camminiamo dentro una nuvola di tormenta che ci impedisce di vedere anche un breve orizzonte. Non sappiamo cosa ci troveremo davanti, cosa sarà di noi, come sarà il mondo di domani, cosa rimarrà della vita – amata e odiata – che abbiamo attraversato fino ad oggi. Nessun politico, nessun scienziato, nessun profeta è in grado di dircelo.
Prima di Covid, nell’era dell’ Anthropocene, camminavamo senza pensare, continuavamo a mettere un giorno sopra all’altro, un anno dietro all’altro. Venivamo al mondo, qualcuno ci insegnava a parlare e a camminare, qualcuno ci dava il latte, poi la pappa, infine piatto, posate e tovagliolo. A scuola imparavamo a leggere, scrivere e a far di conto. Poi il lavoro, la famiglia, gli amici e tutto il resto: tutto il bello e il brutto che accade nella vita di ognuno. Ma tutto questo senza il bisogno di pensare, perché il mondo ‘andava avanti da solo’; c’era qualcuno che decideva e provvedeva per noi: la politica, il mercato, la finanza. In ogni caso, non c’era bisogno di noi, dei nostri pensieri, delle nostre domande, delle nostre idee o dei nostri sogni. Non era ben chiaro chi comandava, chi ‘mandava avanti tutta la baracca’. Avevamo idee diverse in proposito: a destra e a sinistra. Ma non c’era da preoccuparsi più di tanto: tutti sapevamo che dopo oggi, ci sarebbe stato domani, e un dopodomani, una prossima settimana, un anno venturo. 

Quando sei nella tempesta ti vengono i pensieri. A me, non credo di essere il solo, viene il pensiero di me bambino. Così mi vedo in una lontana domenica mattina, seduto al tavolo di cucina (la mia testa spunta appena dal piano del tavolo), i miei fratelli seduti accanto a me, mia mamma in piedi a prepararci la prima colazione. Vedo benissimo, sento le voci, l’odore del latte caldo, i bisticci coi miei fratelli per il ‘diritto di precedenza’.
Faccio una parentesi colta: chi ha meglio di tutti ha raccontato questa cosa, questo totale e improvviso precipitare nel nostro passato, chi ci ha spiegato per filo e per segno questa epifania, è stato lo scrittore Marcel Proust. Ma tutte le donne e gli uomini del mondo, indistintamente, hanno fatto questa esperienza. E questo giornale – quello che è oggi e quello che diverrà nei prossimi mesi – vuole parlare sia ai lettori di Proust sia a quelli che Proust non l’hanno mai sentito nominare. Chiusa la parentesi.
Dunque è domenica mattina e c’è il burro (gli altri giorni solo il pane, niente burro), mia madre ha vicino a sé un grosso sacchetto di carta con dentro tutti i vecchi crostini di pane avanzati nella settimana, uno alla volta prende in mano un crostino, con il coltello gli mette in punta una piccola porzione di burro, taglia, il pezzo di pane imburrato cade sul tavolo. Ripete l’operazione, velocissima, perché siamo in quattro a contenderci i pezzi di crostino imburrati. Da lì, dal pane – anzi, dal pane con il burronasce la contesa sul diritto di precedenza.

Ora sono tornato: lunedì 6 marzo 2020. Il diritto di precedenza oggi si chiama Ordine di Priorità. L’Italia, al numero 7 nella classifica dei Paesi più industrializzati, si accorge improvvisamente di avere una emergenza alimentare. E scopre i suoi poveri, quelli che anche prima facevano fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, ‘quelli dell’Istat’, quelli che la politica aveva ben altro a cui pensare, quelli che quel ‘comunista’ di Papa Francesco ci ricorda tutti i santi i giorni (non solo a Pasqua), ma che per la maggioranza di noi sono solo un numero, una entità astratta. I poveri, gli affamati, erano chissà dove (in Africa probabilmente), comunque fuori dal nostro campo visivo, fuori dai nostri pensieri, fuori dal piccolo recinto della nostra vita.
Allora il Governo apre il portafoglio e decide “misure urgenti di solidarietà alimentare (buoni spesa)” per soddisfare le gravi necessità dei nuclei familiari in difficoltà. Da Roma arrivano un po’ di soldi in tutti i Comuni d’Italia, per ‘dar da mangiare agli affamati’. Non c’entra necessariamente il vangelo e la carità cristiana, è una misura elementare di umanità e di civiltà. Da quel momento – a Ferrara, a Parma e altrove –  scoppia la protesta e la polemica. Su che cosa? Su un punto fondamentale. A chi dare e a chi non dare il buono spesa? Chi ne ha diritto e chi non ne ha (o non ne avrebbe) il diritto? E chi ne ha diritto per primo e chi deve invece mettersi in coda per vedere se, alla fine, c’è rimasto qualcosa nel fondo della pentola?

Spero non vi sfugga l’enormità e la novità di questi interrogativi. Vi era mai capitato prima di vedere e sentire una cosa del genere, qui, nella nostra Italia ‘grassa e bottegaia’? Sono la perfetta dimostrazione che siamo già arrivati dentro ‘un’altro mondo’. Un mondo strano e terribile, dove a un medico può capitare di dover decidere chi intubare per primo, o dove a un sindaco non viene chiesto di inaugurare una mostra con la fascia tricolore, ma di distribuire buoni spesa, è un mondo che si è già lasciato alle spalle, a mille anni luce, il mondo che fino a ieri ci era familiare.
Davanti a tutto questo –  e al tanto altro che ci aspetta nelle prossime settimane, mesi e anni – confesso di non sopportare quelli che continuano a pensare ‘come prima‘, che parlano e si comportano ‘come se non fosse successo niente’. Pare impossibile ma è così. Accendete la televisione, guardate i giornali, navigate sui social e vedrete tanti politici e altrettanti giornalisti che ragionano con la vecchia logica di bottega. Sotto il grande velo buonista, si coltivano i soliti interessi elettorali, si mandano avvertimenti incrociati, si preparano rivincite, si affilano coltelli, si ricerca la gloria effimera dello scoop.
Politica e Informazione stanno dando una pessima prova di sé, e se la classe politica e i media (vecchi e nuovi) accendono fuochi invece di spegnerli, alimentano il contagio dell’odio e della paura invece di usare serietà e consapevolezza, il rischio è che tutto il Paese, tutti noi, seguiamo questo pessimo esempio.Un rischio reale, tanti commenti truci, tanti scambi di insulti che leggo sui social ne sono la prova.
Nel mio precedente editoriale [Qui] mi occupavo delle decisioni di un Sindaco, lo attaccavo, gli chiedevo di tornare sui suoi passi, arrivavo a proporgli delle onorevoli dimissioni, per aver agito contro il dettato costituzionale e, peggio, contro i più naturali sentimenti di umanità. Non ho cambiato idea ma, leggendo il mare dei commenti, sul giornale e soprattutto sui social media, mi sono accorto che  non mi sono spiegato bene, o non bene abbastanza. L’oggetto dell’articolo non era un sindaco, ma il pane (e la fame). Per questo motivo avevo scelto di mettere il pane in copertina, Anche ora parlo di pane, è questo l’argomento principale: qui a casa, avrei voluto fare una foto: una tazza di latte e un crostino, propaggine estrema e prelibata  della coppia ferrarese.

Il sindaco di Parma Pizzarotti ha chiesto scusa e ha cambiato il modulo per l’assegnazione dei buoni spesa. I poveri che abitano a Parma avranno tutti il medesimo diritto. Anche se uno si dichiara fascista xenofobo? Sì, anche fosse un nazista. Perché il pane non si può negare a nessuno. Invece il sindaco di Ferrara Fabbri continua a difendere il suo Ordine di Priorità e a sostenere la discriminazione verso gli extracomunitari e le persone non in regola con il permesso di soggiorno. Ho scritto, e qui lo ripeto, che mi è parso un atto di incoscienza politica e di pochezza morale. La fame mia vale come la fame tua. Non sopporta classifiche. Occorre spendere altre parole?

Questo piccolo giornale – lo vedrete cambiare nelle prossime settimane e a giugno indossare un vestito nuovo – non ha la pretesa di ‘fare politica’. Non ci passa nemmeno per l’anticamera del cervello. Certo, ‘tutto è politica’, ma non siamo né un partito né una roba del genere; tanto meno pensiamo di metterci a capo di qualcuno o di qualcosa. Non è questo il compito di un giornale. Ferraraitalia (io e i tanti che vi scrivono) vuole solo avere la libertà di dire quel che pensa, esercitare il diritto di critica: lo abbiamo fatto con la Giunta Tagliani, lo facciamo oggi, cambiato il colore, con la Giunta Fabbri,. Abbiamo però un’altra ambizione, vogliamo fare una cosa di ancora più importante: dentro questa tormenta che sta spazzando via il nostro quotidiano e tutto il mondo conosciuto, vogliamo continuare a pensare, e invitare al pensiero tutti i nostri lettori.
Fra tutti gli hashtag che rimbalzano nella Rete come palline impazzite, ne abbiamo scelto uno. Anzi, l’abbiamo inventato di sana pianta. Se vi interessa una dichiarazione d’intenti, se volete conoscere la mission di questo giornale, se a tutti i costi volete attribuirci una posizione politica, eccola riassunta in questa lunghissima parola: #andràtuttobenesenontorneràtuttocomeprima.

 

Kin*s of the wild frontier

Come se non ci fossero già abbastanza rotture di maroni in un periodo come questo, ecco che si palesa un altro partito di cui si sentiva proprio il bisogno.
Dopo il “che palle stare in casa”, il “catastrofisti uniti non si sa bene per cosa” e “riaprire tutto e subito” ecco il mio preferito: “sì, ok i Beatles ma vuoi mettere i Kinks?”.
Fenomenale, soprattutto in questi giorni.
Non bastava l’ampiamente sbugiardata – ormai dal 1967 almeno – farlocchissima faida Beatles vs. Stones.
Ci voleva proprio una scuola filosofica dedicata all’accostamento – o paragone, chiamatelo come volete – fra due gruppi oggettivamente imparagonabili.
Mi chiedo come ci si possa avventurare in una tale arrampicata (senza moschettoni e corde) su uno specchio che ha seriamente bisogno di una bella passata di panno e vetril.
Di certo però, i due gruppi in questione avevano/hanno molte cose in comune.
Le prime che mi vengono in mente, ad esempio, sono:
– i membri di entrambi i gruppi non erano scimmiette bensì homo sapiens sapiens sapiens sapiens sapiens all’infinito
– i membri di entrambi i gruppi suonavano in piedi
– i membri di entrambi i gruppi probabilmente defecavano almeno una volta al giorno
– i membri di entrambi i gruppi bevevano acqua del rubinetto ogni tot.
– i membri di entrambi i gruppi erano tutti quanti membri di un gruppo.
Insomma, c’è un sacco di roba a cui appigliarsi per scalare quello specchio citato precedentemente.
Bene: adesso che abbiamo elencato tutte queste saldissime certezze, ci potremo sentire tutti quanti un po’ più sicuri quando incontreremo in via telematica – ma si spera presto anche di persona – uno degli esponenti di questa scuola di pensiero.
Quindi, a questo punto, che dire?
Sbizzarritevi anche voi accostando, paragonando, confrontando – ma – soprattutto – decretando – IL – MIGLIORE – fra – un grande portiere a caso vs. un grande attaccante a caso.
Buon divertimento e soprattutto buona settimana.

Kings of the wild frontier (Adam and the Ants, 1980)