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Giorno: 9 Gennaio 2021

Riders on the storm: delivery, algoritmi e varie disumanità

“Algoritmo: [dal lat. mediev. algorithmus o algorismus, dal nome d’origine, alKhuwārizmī, del matematico arabo Muḥammad ibn Mūsa del 9° sec. (così chiamato perché nativo di Khwarizm, regione dell’Asia Centrale)]. – 1. Termine che indicò nel medioevo i procedimenti di calcolo numerico fondati sopra l’uso delle cifre arabiche. Nell’uso odierno, anche con riferimento all’uso dei calcolatori, qualunque schema o procedimento matematico di calcolo; più precisamente, un procedimento di calcolo esplicito e descrivibile con un numero finito di regole che conduce al risultato dopo un numero finito di operazioni, cioè di applicazioni delle regole. In partic., aeuclideo, metodo per determinare il massimo comune divisore di due numeri interi a e b, basato su divisioni successive. 2. In informatica, insieme di istruzioni che deve essere applicato per eseguire un’elaborazione o risolvere un problema”.

La Treccani mi ha disilluso, stavolta. Io che speravo che l’etimo di “algoritmo” fosse composto da “algos”, dolore, e da “ritmo”, cioè il succedersi ordinato di un movimento: il ritmo del dolore. Il ritmo della pedalata di un rider, ad esempio, uno di quegli esseri umani che corrono per la città per consegnarti in tempo il cibo caldo che hai ordinato, sprofondato nel tepore del tuo divano. Mi persuadeva anche il latino “algidus”, freddo, gelido. Perchè l’algoritmo è un calcolo freddo, indifferente alle sfumature che attraversano continuamente l’animo e la vita dell’essere umano: la malattia, propria o di un familiare; il traffico, l’incidente lungo la strada, o la rapina di cui puoi rimanere vittima (pensiamo anche ai corrieri col furgoncino). Last but not least, il blasfemo esercizio del diritto di scioperare, riconosciuto dalla Costituzione ma stigmatizzato come il rifugio dei fannulloni.

Il “ranking reputazionale” è la classifica della reputazione di un rider. Più il rider è puntuale nelle consegne, più il rider è disponibile a effettuare qualunque consegna gli venga richiesta, più la sua classifica lo vede in alto. Più il rider consegna in ritardo o si sottrae ad una proposta di consegna, più scende nella classifica, fino ad essere espulso dall’azienda per la quale lavora: anzi, con la quale lavora, dal momento che i corrieri (motorizzati o meno) vengono lisciati da quest’assurda retorica secondo cui non sono dei dipendenti, anzi dei semi schiavi, ma dei collaboratori, dei liberi professionisti, in quanto sono, appunto, “liberi” di accettare o rifiutare un incarico. Come se questa scelta fosse indifferente per loro, quando di indifferente c’è solo l’algoritmo: consegni, sei alto in classifica. Rifiuti una consegna, scendi in zona retrocessione, finchè non vieni retrocesso, alias espulso.

Una recentissima sentenza del Tribunale di Bologna, che ha deciso su un ricorso presentato da tre categorie della CGIL (Nidil , Filcams  e Filt), ha introdotto un granello di sabbia nell’ingranaggio algido, indifferente, oliato, dell’algoritmo. L’algoritmo (nel caso di specie, dell’azienda Deliveroo) che non distingue tra le motivazioni che stanno alla base di una mancata presa in carico o di una mancata consegna è discriminatorio. Il Tribunale ha infatti stabilito che non è giusto trattare allo stesso modo, ai fini della “classifica” reputazionale del rider, il fatto di non accettare la consegna per futili motivi o per gravi ragioni, quali una malattia o una disgrazia o un imprevisto – che sono poi le piccole o grandi sventure umane che il mondo del lavoro dei “garantiti” tutela attraverso il riconoscimento della malattia retribuita, o i permessi per assistere un familiare malato, per allattare un figlio, o per andare alle esequie di un padre deceduto. L’algoritmo è “cieco” di fronte a queste situazioni e le tratta tutte allo stesso modo perchè “decide” di essere cieco. Se volesse vedere le differenze, potrebbe farlo: basterebbe agire manualmente per introdurre un correttivo. Il Tribunale, per questa discriminazione, ha riconosciuto un risarcimento di 50.000 euro ai ricorrenti. Dal punto di vista tecnico, non è una class action, perchè in Italia l’azione collettiva intesa come “trattazione in un unico procedimento di più domande di risarcimento connesse a uno stesso illecito lesivo di una pluralità di soggetti” è ammessa solo se ricorre una categoria di consumatori. Tuttavia, come precisa l’avvocato della CGIL De Marchis, di fatto ha lo stesso effetto, “perché c’è una discriminazione collettiva in materia di lavoro. Non c’è la figura di un rider specifico dietro la causa ed è per questo motivo che è ancora più dirompente, perché vale per tutti i riders”. Questa è la meraviglia che, a volte, in un orizzonte ed un presente cupo e gelido, realizza certa giurisprudenza del lavoro: interpretare le norme in maniera evolutiva, cogliendo i fenomeni in atto nella loro dinamica reale, che è poi quella che incide sulla carne viva delle persone.

Si tratta di una decisione che contrasta in maniera radicale l’egemonia del “pensiero calcolante”, di cui parla spesso Umberto Galimberti, specificando peraltro che “pensiero calcolante è una definizione di Heidegger il quale, a più riprese, individua nel pensiero occidentale questa tendenza al calcolo e questa riduzione di tutto il pensiero alla calcolabilità. Pare che noi sappiamo fare solo di conto, visualizzando il mondo sotto il profilo dell’utile. La qualità del pensiero di cui oggi noi disponiamo è egemone al punto che, ormai, non sappiamo più che cosa è bello, cosa è brutto, cosa è vero o santo, perché siamo attratti subito da cosa è utile”. La causa vinta non appare più, quindi, come la declinazione velleitaria di una battaglia contro i mulini a vento, come appaiono sempre più spesso i padroni indistinti, nascosti dietro trust o celati dietro il calcolo di una formula; ma diventa una lotta doverosa dell’umanesimo contro la mera utilità economica.

Rancan e Ostellari: “Bonaccini, basta raccontare balle”

Da: Ufficio Stampa Lega Emilia Romagna

RANCAN E OSTELLARI (LEGA ER): “BONACCINI, BASTA RACCONTARE BALLE: NEL PROGRAMMA LEGA NON C’E’ MAI STATA LA PRIVATIZZAZIONE DELLA SANITA’”

BOLOGNA, 9 GEN – “Nessuna privatizzazione della sanità pubblica: nel suo programma di governo della Regione Emilia-Romagna la Lega non ha mai previsto che le cure e i servizi sanitari potessero mai essere affidati a privati. Poiché non è la prima volta, e guarda caso accade sempre nei momenti in cui è più in difficoltà, che Bonaccini si permette di raccontare balle e prendere in giro i cittadini, dissimulando la realtà dei fatti, gli chiediamo di rendere pubblico l’estratto del programma elettorale della Lega a cui lui fa riferimento e dal quale si evincerebbe la volontà della Lega di privatizzazione della sanità. Non lo troverà, semplicemente perché non esiste. Spiace, piuttosto, constatare l’arroganza del governatore di una regione importante come l’Emilia-Romagna, che, ogniqualvolta si trova in difficoltà, e nell’ultimo anno è successo innumerevoli volte, cerchi la rissa verbale inventandosi e raccontando balle secondo un piano ben congegnato volto a buttare fumo negli occhi dei cittadini per distogliere la loro attenzione rispetto alle criticità di un periodo storico che anziché polemiche sterili dovrebbe richiamare le forze politiche di maggioranza alla responsabilità e alla condivisione delle scelte con l’opposizione. I cittadini meritano rispetto, verità e chiedono di essere governati da persone responsabili”. Così il capogruppo in Regione ER della Lega, Matteo Rancan, in risposta al post pubblicato dal governatore Bonaccini in cui il presidente dell’Emilia-Romagna dichiara che “al primo punto del programma di governo della Lega ci sarebbe stata la privatizzazione di buona parte della sanità pubblica dell’Emilia-Romagna”.

“Bonaccini non sa più con chi prendersela. Qualche settimana era più lucido e incolpava il Governo per l’incoerenza delle restrizioni e la mancanza di adeguati ristori. Oggi mette nel mirino la Lega e i pranzi di Natale, ma forse è lui ad essersi appesantito durante le feste. Le chiacchiere stanno a zero: chi governa in Regione e a Roma deve risolvere i problemi dei cittadini, non fare polemiche” aggiunge il senatore leghista Andrea Ostellari, commissario Lega Emilia Salvini Premier.

Covid, Rancan: “Bonaccini pubblichi i dati che dimostrano che il passaggio in zona arancione è imputabile alle cene in famiglia”

Da: Ufficio Stampa Lega Emilia Romagna

COVID, RANCAN (LEGA ER): “BONACCINI PUBBLICHI I DATI CHE DIMOSTRANO CHE IL PASSAGGIO IN ZONA ARANCIONE E’ IMPUTABILE ALLE CENE IN FAMIGLIA”

BOLOGNA, 9 GEN – “Pretendiamo di vedere i dati che fanno risultare l’Emilia Romagna condannata alla zona arancione per colpa dei pranzi e delle cene del periodo natalizio o, in alternativa, saremo di fronte all’ennesima sparata del presidente Bonaccini”. Lo ha detto il capogruppo regionale della Lega, Matteo Rancan, alla vigilia del nuovo provvedimento restrittivo con l’applicazione della zona arancione deciso per far fronte alla pandemia da Covid 19. Il capogruppo della Lega ripercorre, mettendone in evidenza tutte le contraddizioni, le affermazioni fatte sin qui dal governo centrale che sono state puntualmente smentite. “Prima la sua frase ‘Chiudiamo a ottobre per aprire a Natale’. Poi ‘Le misure per Natale servono a far scendere la curva’. Ora Bonaccini dice che ‘La nuova zona arancione scatta per colpa di pranzi e cene durante le feste’. Invito Bonaccini – attacca il capogruppo regionale della Lega – a preoccuparsi di chiedere al suo Governo i ristori tanto decantati ma mai arrivati. Basta proclami conclude il leghista Rancan – servono sostegno, risorse e umiltà non frasi di circostanza per imbonirsi i cittadini senza poi fare di tutto per difendere un territorio in cui famiglie e operatori economici si vedono nuovamente condannati a subire errori di programmazione”.

Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio: in merito alla lettera giunta al Meis

Da: Massimo Manservigi, Ufficio Stampa Diocesano

L’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio esprime tutta la sua vicinanza al Meis per la vergognosa missiva di insulti e minacce giunta in questi giorni, intollerabile espressione di sottocultura votata all’odio verso un popolo e la sua religione. Si augura che le autorità investigative facciano al più presto luce su questa preoccupante vicenda.

A Bologna si vaccina anche di sera, fino alle 22: in programma altre 200 somministrazioni per ogni sessione aggiuntiva

Coronavirus. A Bologna si vaccina anche di sera, fino alle 22: in programma altre 200 somministrazioni per ogni sessione aggiuntiva. Donini: “Disponibilità non scontata da parte del personale. Grazie a loro, un vaccino alla volta, ci avviciniamo al ritorno alla normalità, senza però abbassare la guardia”

Prima sessione serale nel punto vaccini della Fiera in programma lunedì 11 gennaio, si ripete anche il 15. Nuovi turni dedicati a categorie specifiche come le direzioni sanitarie, il personale sanitario di forze dell’ordine ed esercito, psicologi e assistenti sociali del Comune di Bologna

Bologna – Continua a potenziarsi la macchina vaccinale dell’Emilia-Romagna: a partire da lunedì 11 gennaio l’Azienda Usl di Bologna inizierà infatti a vaccinare anche di sera, estendendo l’orario di attività del punto vaccini della Fiera fino alle 22.

Sarà così possibile vaccinare fino a 200 persone in più per ogni turno serale: dopo quello di lunedì, il successivo è in programma venerdì 15 gennaio. Una scelta che da una parte permette di aderire in maniera ancora più stringente al cronoprogramma delle somministrazioni previste per i primi aventi diritto, cioè personale della sanità e operatori e ospiti delle strutture socio-assistenziali, dall’altra pone le basi per un corretto ed efficace svolgimento delle fasi successive della campagna vaccinale, che nei prossimi mesi riguarderà sempre più cittadini.

“In ogni fase di questa pandemia che ormai dura da quasi un anno ho sempre avuto la certezza che l’impegno e la disponibilità del nostro personale sanitario facesse la differenza- dichiara l’assessore alle Politiche per la salute Raffaele Donini-, e anche oggi ne ho la riprova: dopo mesi difficili, di impegno costante in prima linea, non era scontato trovare donne e uomini disposti a farsi carico di ulteriore lavoro”.

“Ma la sanità dell’Emilia-Romagna è una eccellenza proprio perché sono eccezionali le persone che vi lavorano: io non posso fare altro che ringraziarli- conclude Donini-, e ricordare a tutti che proprio per non vanificare gli sforzi dei nostri operatori è importante non abbassare la guardia e continuare a seguire tutte le misure di sicurezza. Un vaccino alla volta ci avviciniamo al ritorno alla normalità”.

L’Asl di Bologna in particolare ha scelto di dedicare questi nuovi turni aggiuntivi di vaccinazione ad alcune categorie specifiche, come le direzioni dell’Ausl stessa, dell’Istituto ortopedico Rizzoli e del policlinico Sant’Orsola, il personale degli uffici sanitari delle forze dell’ordine, dell’esercito e dell’Inail, gli assistenti sociali e gli psicologi del Comune di Bologna insieme ai rappresentanti delle associazioni dei pazienti e di quelle di volontariato attive negli ospedali.

L’andamento della campagna vaccinale in tutta l’Emilia-Romagna è aggiornato in tempo reale sul nuovo portale tematico della Regione, dove è possibile seguire tutti i progressi nelle somministrazioni:

https://salute.regione.emilia-romagna.it/vaccino-anti-covid.

PRESTO DI MATTINA
Il sogno e la leggenda del monaco Epifanio

Aveva aperto il Chronicon, il diario della parrocchia, e restava indeciso se scrivere di quello strano sogno, spuntato la mattina presto, poco prima del suono della sveglia.

Era il giorno dell’Epifania e la sera prima si era riletto il vangelo del giorno della festa che finiva dicendo dei magi che, avvisati in sogno da un angelo delle intenzioni di Erode, fecero ritorno al loro paese per un’altra strada. Come sementi durante la notte quelle parole avevano germogliato dentro di lui e si erano impastate con quelle scambiate nel quotidiano, tra la gente e l’altare, fuori e dentro la sua chiesa. Un ‘prete della soglia’, dicevano del suo vecchio parroco: perché lo si vedeva la domenica, all’ingresso della chiesa, accogliere e ascoltare le persone. Così, anche per lui, come per il suo vecchio parroco, egli sperava che all’omelia tutte quelle parole sparpagliate, mescolate insieme, si sarebbero raccolte in un pensiero, che forse avrebbe profumato e luccicato di vangelo l’assemblea. Sapeva che sognare un angelo significava ricevere un messaggio, e che tutto ciò aveva lo scopo di sostenere nelle prove, consolare nelle afflizioni o consigliare quando vi era necessità di venire a capo di una crisi e prendere una decisione. Questo lo convinse a scrivere.

Era un periodo in cui in parrocchia venivano in molti, per diverse necessità. Di recente aveva anche ospitato per un po’ di tempo un senzatetto di passaggio. Tanti incontri che, di questi tempi, venivano spesso introdotti da un ammonimento rivolto a coloro che gli si avvicinavano con la mascherina a mezz’asta, o si accostavano senza accorgersene a meno di un metro di distanza. Allora egli diceva con una certa decisione, alzando la voce e con il gesto delle mani: «fermo lì, manteniamo le distanze!». L’altro intimorito, e talvolta mortificato, faceva qualche passo indietro. Il parroco sentiva che non era contento di quelle parole: ma erano più forti di lui. Anzi, si sentiva quasi in dovere di dirle per proteggere le molte altre persone, spesso anziane e ammalate, che incontrava ogni giorno. Così quella notte sognò di essere in cammino con i Magi verso Betlemme alla luce della stella. Ma ad un certo punto, improvvisamente, si ritrovò da solo e nell’oscurità. Si guardò attorno, non c’era proprio nessuno. Continuò comunque nella direzione indicata, e quando giunse in prossimità della grotta vide che non c’erano più né Maria né Giuseppe. E neppure l’asino e il bue. Solo una culla vuota. Si mise allora a cercare lì attorno; finché trovò un pastore che dormiva vicino al suo gregge. Ma avvicinatosi per svegliarlo, si accorse dalla luce che filtrava da sotto il mantello, era invece un angelo del Signore, che gli disse: «Non è più qui, ma va e lo incontrerai sulla strada da cui sei venuto».

La strada portava verso Oriente, inoltrandosi nel deserto. La percorse a lungo, fino a quando, verso sera, all’imbrunire, scorse in lontananza una carovana. “Sono i magi” disse tra sé. “Ma no ‒ si corresse subito ‒ non vedo i cammelli”. Avvicinandosi, vide che questa gente gli veniva incontro salutandolo: uno precedeva di poco un gruppetto, che a contarli così da lontano sembravano dodici; e c’erano pure delle donne con loro. Affrettò allora il passò, augurandosi che questa volta fosse proprio Lui con i suoi discepoli, che gli veniva incontro. E al pensare che finalmente lo avrebbe visto per la prima volta, senti l’emozione attraversarlo tutto, la stessa gioia di quando sognava i propri cari che gli sorridevano contenti. Non riuscì a trattenersi dal corrergli incontro, allargando le braccia, come non aveva mai fatto prima; ma dovette rallentare quasi subito non appena si avvicinò al Signore, il quale a pochi passi da lui teneva bensì distese le braccia, ma anziché allagarle, le allungava davanti a sé con il palmo delle mani aperto verso di lui, come per respingerlo e farlo arretrare: «fermo lì ‒ gli disse‒  manteniamo le distanze». A quelle parole fu tutto sottosopra, rivoltato da capo a piedi come un calzetto. Un istante di dolore, un istante solo, poi lo sguardo di Gesù incrociò il suo con la stessa intensità di quello che Egli rivolse al giovane ricco nel vangelo, che gli chiedeva cosa gli mancasse per vivere in pienezza, e subito in quello sguardo di amore il maestro aggiunse: «seguimi».

Mise la data del giorno in cima alla pagina e richiuse il Chronicon. Restò pensieroso. Si sforzava di ricordare quel volto, che sembrava però evaporato con il sogno. La memoria indovinava solo un volto velato. Eppure lo aveva avuto lì davanti: lo sguardo dei suoi occhi fissi su di lui lo avevano liberato dal dolore; e quella voce gli aveva tolto la paura dell’esclusione infondendogli la forza di camminare. Allora pregò un poco, più volte, con quel bel salmo che dice: «il tuo volto Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto» e raccogliendosi interiormente si commosse nel profondo.

Suonarono alla porta di strada, che era rimasta ancora chiusa. Ma non guardò come di solito dalla finestra per sapere chi fosse. Scese anzi le scale di corsa come se sentisse, ancora in preda al sogno, che era Lui a ritornare. Aprì allora il portone tutto eccitato, ma … si trovò di fronte uno sconosciuto. In realtà, anche se il volto era ben coperto dalla mascherina, sapeva bene chi fosse. Chiedeva indicazioni per la mensa della Caritas e qualche soldo. Glieli diede entrambi, ma prima di salutarlo gli chiese quale fosse il suo nome: e lui ripose Epifanio, continuando distrattamente per la sua strada.

Non poteva essere un caso, pensava tra sé, risalendo le scale. E rientrando in camera ripercorse con la mente la storia del monaco Epifanio, che conosceva bene avendola raccontata diverse volte in parrocchia ai ragazzini del catechismo.

«Epifanio voleva dipingere un’icona, raffigurante il Cristo, che dicesse con i colori tutto di Lui: la divinità e l’umanità, il mistero e la sua manifestazione; appunto la sua Epifania. A volte il santo monaco si esaltava a fantasticare come sarebbe stata la sua tavola. Ne vedeva i colori, immaginava i lineamenti del volto di Cristo, maestosi ma anche dolci, da amico. Altre volte, invece, cadeva in profondi scoramenti, perché giudicava presuntuoso quel suo sogno e perché pensava che mai avrebbe potuto trovare un modello per il Cristo. Allora il suo Abba gli disse: “Mettiti in viaggio e va a cercare un modello del volto di Cristo tra la gente”.
Cominciò dunque Epifanio il lungo pellegrinaggio, del quale non conosceva la meta, ma solo lo scopo: doveva trovare un modello per dipingere il Cristo.

Passarono così mesi, anni, senza che Epifanio riuscisse a trovare quello che cercava. Qualche volta gli era sembrato di intravvedere un volto adatto, che subito iniziava a dipingere. Ma si accorgeva dopo poco che mancava sempre qualcosa. Un giorno Epifanio rifletté sul fatto che spesso gli accadeva di scorgere in un volto qualcosa, magari solo un particolare, che assomigliasse a quello che cercava, ma tutto il resto non era adatto a completare il dipinto. Fu allora che ebbe l’illuminazione. Avrebbe potuto condurre a termine l’impresa, cercando in tanti volti diversi le parti che avrebbero composto il suo Cristo. Da quel giorno mutò il modo di guardare la gente; perché andava cercando soltanto i particolari, ma per farlo doveva fermarsi ad ascoltarli, scrutando i loro volti.

A poco a poco Epifanio riprese coraggio e cominciò a tracciare i primi segni sulla tavola. Così incontrò la gioia in una fanciulla che cantava; poi la forza di un contadino che trasportava pesanti sacchi di grano. Scopri la solennità nel volto di un diacono che cantava il vangelo alla messa. Ritrasse la malinconia degli occhi rassegnati di una prostituta. Contemplò il segno della presenza di Dio sulla faccia implorante di un mendicante. La bontà gli si rivelò nell’atteggiamento di un prete che assisteva un ammalato; e sofferenza in questi. Poi scopri la severità mite di un monaco e la giustizia di un padre che divideva in parti uguali il pane tra i figli e al più piccolo, rimasto senza, donava il suo. Una donna che allattava la creatura gli ispirò la tenerezza; un ladro inseguito dalle guardie, la paura. Lesse nel pianto di una madre vedova un dolore smisurato. Mentre l’allegria sprigionava dal canto di un giullare e la misericordia dalla mano benedicente di un vecchio confessore. Epifanio raccolse tanti altri particolari che mescolava, sovrapponeva, contemplava l’uno con l’altro e infine traduceva in segni e colori, cercando in ognuno anche la forma esteriore degli occhi, delle labbra e del naso, dei capelli, del collo, delle mani. Il volto del Cristo andava prendendo sempre più consistenza, ma il monaco non ne era ancora contento. Gli sembrava che mancasse qualcosa.

Un giorno stava riposando, seduto ai margini di un prato; quando senti il suono di un campanello che gli annunciava, come era prescritto, l’avvicinarsi di un lebbroso. Sentì un brivido attraverso tutto il corpo, ma non si mosse, sia perché era molto stanco, sia perché non gli sembrava caritatevole fuggire davanti a un fratello sventurato. Il lebbroso si fermò appena lo vide e gli parlò: “Non avresti un pezzo di pane, anche duro, giacché non mangio da diversi giorni, fratello?” Aveva il volto coperto da bende e da un velo, e la sua voce si diffondeva come se giungesse da un luogo invisibile. “Certo che te lo posso dare. Te lo lascerò qui accanto, perché tu lo possa raccogliere. Ma dimmi, chi sei tu, che mi sembri parlare con una voce nobile e dolce?”. “Che importa dirti il mio nome? Vedo che hai dipinto un’immagine di Cristo. Dovresti sapere, fratello, che Lui ha detto di essere in ciascuno di noi che soffriamo. Dunque questo io sono: il Cristo che tu disegni”. Epifanio fu molto turbato dalle parole del lebbroso e, dopo aver deposto il pezzo di pane, raccolse la bisaccia, la tavola e il bordone, salutò lo sconosciuto e riprese il cammino. Poco lontano si fermò e diede alcuni tocchi di pennello sulla tavola dipinta. Ecco che cosa mancava a quel volto: il mistero del Cristo velato anche dopo la sua manifestazione».

Il suono dell’organo in chiesa gli annunciava ormai imminente l’inizio della messa solenne. Scese di corsa, salendo poi i gradini dell’altare maggiore per prendere l’evangeliario e recarsi all’ambone per proclamare il vangelo. Sentendo però ancora forte il desiderio di scoprire quel volto velato, mormorò a fior di labbra le parole della benedizione di Dio sul suo popolo in cammino nel deserto e presente anche davanti ai suoi occhi: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace».

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