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Giorno: 20 Febbraio 2021

“Ce ne ricorderemo, di questo pianeta”

di Giuseppe Giglio

«Ce ne ricorderemo, di questo pianeta». Più volte le ho accarezzate con gli occhi, queste parole dello scrittore francese ottocentesco Villiers de l’Isle-Adam, sulla tomba di Leonardo Sciascia, a Racalmuto: incise sul bianco e nudo marmo, insieme al nome e alle date di nascita e di morte, così come Leonardo aveva fermamente voluto.

La tomba di Leonardo Sciascia a Racalmuto

«Ce ne ricorderemo, di questo pianeta»: un’iscrizione che, dice Gesualdo Bufalino, «non conta tanto come pezza d’appoggio d’una ipotesi di sopravvivenza, ma ribadisce un sentimento di distacco ironico e dolente insieme. Questo pianeta, cioè, con le sue abiezioni e dolcezze, quanto dovrà apparirci estraneo, da una remota nuvola, e tuttavia oggetto d’una insopprimibile volontà di memoria…».
Ecco, la volontà di memoria, il pensare, il voltarci indietro: è questo l’ineludibile richiamo che ci resta, dopo un incontro con la pagina di Leonardo, sia essa di un romanzo, di un saggio, di un articolo di giornale. E da quella pagina sempre balzano la gioia, la felicità dello scrivere: anche quando si tratti di cose terribili, se non angosciose. «Non faccio nulla senza gioia», diceva Montaigne. La stessa gioia di Luciano, di Stendhal, di Savinio. La stessa gioia di Leonardo Sciascia: che è poi la gioia degli scrittori veri, dei cercatori di verità.
C’è un’immagine di Sciascia, che amo più di altre: questo ritratto fotografico di Nino Catalano, che di Leonardo custodisce un’espressione (lo sguardo acutissimo, di profonda serenità, così pieno di dolcezza) tra le più emblematiche, tra le più cariche del suo destino – e del suo cammino – di uomo e di scrittore. L’uomo e lo scrittore meravigliosamente coincidenti, in un’instancabile, ostinata, gioiosa ricerca di verità e d’amore, nel vivere e nello scrivere. O, meglio, e pirandellianamente, nel vivere scrivendo e nello scrivere vivendo. Delle verità della vita, e dell’amore per l’uomo, ben oltre il tempo che gli è toccato in sorte: a lui che era già un classico da vivo, con le sue storie che dal tempo narrato si affacciavano, e si affacciano, sulle menzogne e sulle inquietudini, sulle ferite e sugli inganni di sempre, quelli cioè che appartengono all’umana natura. Uno scrittore è memoria, ripeteva Sciascia: la memoria individuale, cioè, che tenendosi in esercizio si salda alla memoria collettiva, alla Memoria. E il ricordare, per lui vigile e volontario, si faceva proficua ossessione, lanterna preziosa: a mostrare da dentro il mistero del vivere, la sua bellezza, la sua miseria.

C’è ancora molto da dire su questo Sciascia, che ha in sé tutti gli altri (il polemista, il moralista, il palombaro dei mali italiani, il difensore della giustizia giusta, del diritto, della ragione).
Su questo Sciascia che nel 1961, scrivendo di Simenon, tirava in ballo Gogol e Čechov  (tutti e tre a lui, a Leonardo, molto cari): «Gogol e Cecov: lo scrittore che vede e lo scrittore che ama. E il vedere gli uomini e l’amarli si possono considerare come qualità peculiari di Simenon: qualità che permettono allo scrittore di giungere alle verità dell’uomo come a Maigret permettono di giungere alla soluzione di un caso. Il metodo di Maigret per giungere alla soluzione di un mistero poliziesco praticamente si ripete in tutti i romanzi di Simenon: è la tecnica narrativa di Simenon, il suo modo di ordinare la realtà, di darle un senso, di collegare le cause agli effetti, di far scaturire dal mistero la verità. Maigret vede: vede perché ama. Non c’è personaggio, nella letteratura contemporanea, che ami la vita e gli uomini quanto Maigret. Non c’è, dopo Čechov, scrittore che ami così profondamente, così minutamente, così religiosamente la vita e gli uomini come Georges Simenon. Ci sarà magari in lui qualcosa di mancato: sarà un Gogol mancato, un Čechov mancato: ma è certo uno degli scrittori del nostro tempo più vicino alle ragioni umane, all’uomo così com’è».
Parlava di Simenon, Sciascia, del suo vedere e amare la vita e gli uomini. E le pagine – da A ciascuno il suo a La scomparsa di Majorana, da Todo modo a Il cavaliere e la morte, fino a Una storia semplice, per non dire delle narrazioni saggistiche, o di quelle in forma di articolo di giornale -, le pagine che egli, Leonardo, ci avrebbe lasciato inverano il sospetto che lo Sciascia di allora, tra le righe, dicesse anche di sé. E se i libri sciasciani resistono al tempo, se essi continuano a cercare e a trovare nuovi lettori in tutto il mondo, lo si deve proprio alla loro innata, sobria, affilata classicità: a quella capacità, cioè, di restituire lo spirito del tempo e contemporaneamente il tempo di tutti, quello dell’uomo di sempre.

Ne viene fuori, insomma, dalle tante storie sciasciane, la vita, il suo complicatissimo cruciverba: del quale il loro autore ha incessantemente scandito le intricate ascisse e ordinate. Non tanto a trovarne un’improbabile soluzione, quanto ad illuminarne le latenti ambiguità, le verità non visibili; e impegnato, piuttosto, a dissolvere il caos del reale (non di rado prevedendolo) nel cosmo della letteratura, in quella nitida e ordinata «sintassi della vita, del mondo, dell’uomo, di tutti gli uomini». Ben consapevole, manzonianamente, della complessa, spesso oscura natura del vero, e insofferente delle banalizzazioni, dei dogmi, delle pietrificazioni ideologiche; oltre che della natura inquisitoriale del Potere. Chiedendo aiuto (senza restarne prigioniero) alla ragione e al cuore, e sempre sorretto dal dubbio, dal rovello. Contraddicendo e contraddicendosi, insomma, tra le irreprimibili apprensioni del vivere. Sciogliendo il rigore dell’intelligenza nella gioia della scrittura.
Di quello scrivere, di quell’italiano che era per Sciascia un incessante ragionare: «l’italiano non è l’italiano: è il ragionare», fa pronunciare Leonardo al vecchio professor Franzò (che tanto gli somiglia: nelle parole scarne e affilate, come nei borbottii e nei silenzi, con quella sua acutissima vista sull’uomo e sulle cose), in Una storia semplice.
E il «ragionare» si fa prezioso scrigno di memoria, di pensiero, di stile: scendendo e risalendo lungo una tradizione linguistica profonda di secoli, che ha dentro popoli e civiltà, scrittori di parole e scrittori di cose, per dirla con Pirandello; il cui ritratto fotografico Sciascia sempre teneva sulla scrivania, a Racalmuto come a Palermo. Di quello scrivere, ancora, che era anche per lui, per Leonardo, un desiderio, un sogno; come lo era stato per Giuseppe Antonio Borgese: «aspiro, per quando sia morto, ad una lode: che in nessuna mia pagina è fatta propaganda per un sentimento abietto e malvagio».

«Ce ne ricorderemo, di questo pianeta». E non poteva che essere la memoria, la memoria che si fa verità viva, l’ultima parola di un eretico come Leonardo Sciascia, del quale quest’anno ricorre il centenario della nascita, con non poche iniziative (alcune già svolte, molte altre in programma) per celebrare Sciascia, tra cui  quelle organizzate dalla Fondazione a lui intitolata e coordinate da Fabrizio Catalano, uno dei nipoti di Leonardo, anch’egli scrittore, oltre che regista.
La memoria, dicevo: quella stessa – sempre pronta a scoprire e riscoprire – che riecheggia nel titolo dell’ultimo (l’ultimo che Sciascia approvò, e il primo dei postumi) libro: A futura memoria (se la memoria ha un futuro); laddove in epigrafe risuonano le parole di Georges Bernanos che il grande intellettuale e scrittore siciliano ed europeo sentiva, e profondamente, anche sue: «preferisco perdere dei lettori, piuttosto che ingannarli». Quella stessa memoria, ancora, che innerva Il cavaliere e la morte, il giallo (genere da Sciascia prediletto: per scrutare l’uomo, e perché «presuppone l’esistenza di Dio») più di altri testamentario, e anche oggi di vivida attualità. Per quel terribile rigenerarsi dell’indegnità del mondo – del mondo umano: con i suoi veleni, le sue corruzioni, le sue guerre – di sé stesso, della vita, come anche per la fiducia e la speranza (di un mondo umano diverso, migliore, che ritrova e rinnova la sua umanità) che proprio nella scrittura e nella memoria continuano a risiedere, a germogliare.
«Ce ne ricorderemo, di questo pianeta». E intanto leggiamolo, o rileggiamolo, Sciascia: perché ci dice chi siamo.

NOTE
L’articolo con il titolo Ce ne ricorderemo di questo pianeta, in forma più ridotta,  è stato pubblicato l’ 8 gennaio 2021 (giorno del centesimo anniversario della nascita di Leonardo Sciascia) sulla rivista Letteratitudine

Giuseppe Giglio vive a Randazzo, sull’Etna. È scrittore e critico letterario. Collabora con quotidiani e magazine: da “La Sicilia” a “Letteratitudine”, a “Succedeoggi”. Si occupa soprattutto del Novecento, nel segno di un’idea di letteratura come conversazione sull’uomo e sul mondo, e di una critica letteraria come critica della vita.
Ha pubblicato, tra gli altri: I piaceri della conversazione. Da Montaigne a Sciascia: appunti su un genere antico (Salvatore Sciascia Editore, Premio “Tarquinia-Cardarelli” 2010 per l’opera prima di critica letteraria). Nel 2014 ha partecipato al volume Dieci registi in cerca d’autore. Cinema e letteratura: un amore difficile, di Amedeo di Sora e Gerry Guida (Cultura e dintorni Editore). È tra gli autori di Letteratitudine 3. Letture, scritture e meta narrazioni (LiberAria), a cura di Massimo Maugeri, uscito nel 2017: un manuale sulla lettura, un viaggio dentro le storie e le scritture di oggi

Sulla figura e l’opera di Leonardo Sciascia leggi su Ferraraitalia:
Sergio ReyesUN ILLUMINISTA IN SICILIA : Attualità di Leonardo Sciascia a 100 anni dalla nascita [Qui]
Giuseppe TrainaDENTRO IL GIALLO : I personaggi di Sciascia e Simenon davanti al potere [Qui]
Roberta Barbieri
, RICORDANDO SCIASCIA : Una storia semplice [Qui]
Rosalba Galvagno
, IL MAESTRO E IL GIOVANE ESORDIENTE : La corrispondenza tra Leonardo Sciascia e Vincenzo Consolo [Qui]

In copertina: Ritratto di Leonardo Sciascia – Foto di Nino Catlano 

DOMANI LA REGIONE TORNA ARANCIONE
Coronavirus, l’aggiornamento in Emilia Romagna: 20 febbraio

Su quasi 32mila tamponi effettuati, 1.724 nuovi positivi (5,4%)489 i guariti. Vaccinazioni: oltre 320mila dosi somministrate.
Il 94% dei casi attivi è in isolamento a casa, senza sintomi o con sintomi lievi. L’età media nei nuovi positivi è di 40,8 anni. 23 decessi

Bologna – Dall’inizio dell’epidemia da Coronavirus, in Emilia-Romagna si sono registrati 244.170 casi di positività, 1.724 in più rispetto a ierisu un totale di 31.943 tamponi eseguiti nelle ultime 24 ore. La percentuale dei nuovi positivi sul numero di tamponi fatti da ieri è del 5,4%.
Continua intanto la campagna vaccinale anti-Covid, che in questa prima fase riguarda il personale della sanità e delle Cra, compresi i degenti delle residenze per anziani, gli ultraottantenni in assistenza domiciliare e i loro coniugi, se di 80 o più anni, e le persone dagli 85 anni in su (dal 1^ marzo prenotazioni aperte anche per quelle dagli 80 agli 84 anni).

Il conteggio progressivo delle somministrazioni effettuate si può seguire in tempo reale sul portale della Regione Emilia-Romagna dedicato all’argomento, https://salute.regione.emilia-romagna.it/vaccino-anti-covid, che indica anche quante sono le seconde dosi somministrate.
Alle ore 15 sono state somministrate complessivamente 320.555 dosicui 3.660 oggi; sul totale, 130.104 sono seconde dosi, e cioè le persone che hanno completato il ciclo vaccinale.

Prosegue l’attività di controllo e prevenzione: dei nuovi contagiati, 692 sono asintomatici individuati nell’ambito delle attività di contact tracing e screening regionali. Complessivamente, tra i nuovi positivi 450 erano già in isolamento al momento dell’esecuzione del tampone, 762 sono stati individuati all’interno di focolai già noti.
L’età media dei nuovi positivi di oggi è 40,8 anni.
Sui 692 asintomatici413 sono stati individuati grazie all’attività di contact tracing61 attraverso i test per le categorie a rischio introdotti dalla Regione, 20 con gli screening sierologici12 tramite i test pre-ricovero. Per 186 casi è ancora in corso l’indagine epidemiologica.
La situazione dei contagi nelle province vede Bologna con 517 nuovi casi, seguita da Modena (261); poi Rimini (179), Reggio Emilia (146), Ravenna (118), Parma (112), Imola (109). Seguono Cesena (80), Ferrara e Forlì (entrambe con 69 nuovi casi di positività), e infine Piacenza (64).
Questi i dati – accertati alle ore 12 di oggi sulla base delle richieste istituzionali – relativi all’andamento dell’epidemia in regione.

Nelle ultime 24 ore sono stati effettuati 16.881 tamponi molecolari, per un totale di 3.271.027. A questi si aggiungono anche 636 test sierologici e 15.062 tamponi rapidi.
Per quanto riguarda le persone complessivamente guarite sono 1.489 in più rispetto a ieri e raggiungono quota 198.733.
casi attivi, cioè i malati effettivi, a oggi sono 35.133 (+212 rispetto a ieri). Di questi, le persone in isolamento a casa, ovvero quelle con sintomi lievi che non richiedono cure ospedaliere o risultano prive di sintomi, sono complessivamente 33.058 (+220), il 94,1% del totale dei casi attivi.
Purtroppo, si registrano 23 nuovi decessi: 1 nel piacentino (un uomo di 73 anni); 3 nella provincia di Modena (tutti uomini, di 63, 72 e 87 anni); 6 in provincia di Bologna (4 donne: una di 72 anni, poi 3 imolesi di 76, 87 e 94 anni, quest’ultima deceduta a Ravenna; 2 uomini di 78 e 88 anni, anche loro residenti a Imola); 5 Ferrara (una donna di 90 anni e 4 uomini, rispettivamente di 48, 71, 77 e 89 anni); 4 in provincia di Ravenna (una donna di 45 anni e 3 uomini, rispettivamente di 65 – deceduto però a Imola –, 76 e 82 anni); 1 in provincia di Forlì-Cesena (una donna di 79 anni); 3 nel riminese (2 donne, di 87 e 88 anni, e un uomo di 81). Nessun decesso nelle provincie di Parma e Reggio Emilia.
In totale, dall’inizio dell’epidemia i decessi in regione sono stati 10.304.

I pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 176 (-7 rispetto a ieri), 1.899 quelli negli altri reparti Covid (-1).
Sul territorio, i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono così distribuiti: 11 a Piacenza (numero invariato rispetto a ieri), 9 a Parma (+1), 15 a Reggio Emilia (-2), 39 a Modena (invariato), 54 a Bologna (invariato), 10 a Imola (-1), 14 a Ferrara (-2), 2 a Ravenna (-1), 2 a Forlì (invariato), 6 a Cesena (-1) e 14 a Rimini (-1).

Questi i casi di positività sul territorio dall’inizio dell’epidemia, che si riferiscono non alla provincia di residenza, ma a quella in cui è stata fatta la diagnosi: a Piacenza 19.544 (+64 rispetto a ieri, di cui 40 sintomatici), 16.873 a Parma (+112, di cui 86 sintomatici), 31.499 a Reggio Emilia (+146, di cui 77 sintomatici), 42.652 a Modena (+261, di cui 166 sintomatici), 49.244 a Bologna (+517, di cui 354 sintomatici), 8.409 casi a Imola (+109, di cui 59 sintomatici), 14.207 Ferrara (+69, di cui 17 sintomatici), 18.331 a Ravenna (+118, di cui 52 sintomatici), 9.289 a Forlì (+69, di cui 60 sintomatici), 10.992 a Cesena (+80, di cui 49 sintomatici) e 23.130 a Rimini (+179, di cui 72 sintomatici).
Rispetto a quanto comunicato nei giorni scorsi, sono stati eliminati 15 casi, positivi a test antigenico ma non confermati dal tampone molecolare. Inoltre, in seguito a verifica sui dati precedentemente comunicati, è stato eliminato un caso in quanto giudicato non Covid-19. /CV

Covid-19: dal comune di Copparo fondi alle imprese in collaborazione con la Camera di Commercio

Da: Cristina Romagnoli, Comune di Copparo

COVID-19: DAL COMUNE DI COPPARO FONDI ALLE IMPRESE IN COLLABORAZIONE CON LA CAMERA DI COMMERCIO
Domande all’Ente di Largo Castello dal 22 febbraio al 16 aprile 2021 1.000 euro a fondo perduto in risposta all’emergenza dovuta all’epidemia

Al via i ristori per le imprese commerciali e di servizio voluti dal Comune di Copparo: a partire dalle ore 10.00 di lunedì 22 febbraio 2021 e fino alle ore 24.00 di venerdì 16 aprile 2021 le imprese copparesi potranno presentare domanda alla Camera di commercio per ottenere un contributo una tantum a fondo perduto di 1.000 euro.
100.000 euro le risorse stanziate dal Comune guidato dal Sindaco Fabrizio Pagnoni per sostenere la ripartenza in sicurezza delle imprese e garantire la continuità aziendale in risposta all’emergenza sanitaria ed economica dovuta all’epidemia da Covid-19. Risorse che, grazie ad una intesa tra Comune e Camera di commercio, verranno gestite proprio dall’Ente di Largo Castello.
Beneficiarie dei contributi sono le imprese, aventi qualsiasi forma giuridica ed in possesso dei codici ATECO indicati nel Bando, regolarmente costituite e iscritte nel Registro delle imprese e che, dal 23 febbraio 2020, svolgano attività regolarmente autorizzata. Devono risultare attive alla data di apertura del bando, non devono avere cessato l’attività alla data del provvedimento di liquidazione del contributo e devono avere almeno una sede o un’unità locale (con esclusione di magazzini o depositi) nel territorio del Comune di Copparo.
Tutte le domande considerate ammissibili e in possesso di DURC regolare (il documento che attesta la regolarità dei pagamenti agli enti INPS, INAIL e Cassa edile per la repressione del lavoro nero e delle irregolarità assicurative e contributive), avranno diritto al contributo salvo chiusura anticipata per esaurimento risorse disponibili.
«L’impresa – ha sottolineato il Sindaco del Comune di Copparo, Fabrizio Pagnoni – è la spina dorsale del sistema produttivo, dalla sua difesa e tutela dipende il futuro dell’economia e del benessere della gran parte delle famiglie del territorio copparese. Il nostro obiettivo – ha concluso Pagnoni – è quello di dare una risposta efficace e veloce alle nostre imprese, stremate da incertezze e chiusure. Anche per questo abbiamo colto con estremo favore la pronta disponibilità della Camera di commercio, per noi il soggetto più idoneo e preparato a gestire tale importante iniziativa».
«Grazie al sindaco Pagnoni e all’intera giunta del Comune di Copparo per aver voluto, ancora una volta, collaborare con la Camera di commercio». Così Paolo Govoni, commissario straordinario dell’Ente di Largo Castello, che ha aggiunto: «Veniamo da un 2020 che è stato difficilissimo, il più duro nella nostra storia recente. Al sistema pubblico le imprese chiedono si sussidi e aiuti, ma anche velocità di esecuzione, strumenti di facile accesso, snellimento burocratico. La pandemia e la sua crisi economica non devono fermare nuove idee, progetti, investimenti nel nuovo. Per questo seguiranno altre iniziative per sostenere ulteriori categorie colpite dalla crisi, anche attraverso risorse proprie che la Camera di commercio di Ferrara renderà disponibili in sinergia con le associazioni di categoria».
Ma non c’è solo il bando nei programmi di Comune e Camera di commercio. Tra gli ambiti di azione individuati, la promozione delle opportunità di insediamento, la ricerca di investitori potenzialmente interessati e la valorizzazione delle eccellenze agroalimentari.
La domanda, redatta su apposita modulistica e scaricabile dal sito www.fe.camcom.it o tramite link dal sito www.comune.copparo.fe.it, dovrà essere inviata esclusivamente, via PEC, all’indirizzo protocollo@fe.legalmail.camcom.it. Per maggiori informazioni: ufficio Marketing del territorio della Camera di commercio (tel. 0532/783820-821-813; e-mail: promozione@fe.camcom.it), che invita le imprese anche a consultare con attenzione il sito www.fe.camcom.it.

Martedì 23 febbraio, conferenza di ApertaMente: i Fridays For Future “Trappola di plastica: un mare d’inquinamento”

Da: Roberto Poltronieri

L’Istituto L. Einaudi prosegue le attività di ApertaMente ospitando: I Fridays For Future di Ferrara che  terranno una conferenza intitolata: Trappola di plastica: un mare d’inquinamento. I rifiuti plastici e loro diffusione nel mondo

martedì 23 Febbraio, ore 10,10-12,10 – Istituto L. Einaudi, Ferrara

Prosegue, all’Istituto L. Einaudi di Ferrara, il ciclo degli incontri di “ApertaMente: l’officina del sapere”. Il sesto appuntamento degli eventi 2020-21 si terrà, infatti, martedì 23 febbraio dalle ore 10:10 alle ore 12:10. Durante questo evento, l’Einaudi ospiterà i Fridays For future di Ferrara che terranno agli studenti e alle studentesse della Scuola una conferenza intitolata “Trappola di plastica: un mare d’inquinamento” dedicata ai rifiuti plastici e alla loro diffusione nel mondo. L’incontro si concentrerà soprattutto sull’inquinamento da plastica delle acque, un problema che ha oggi una portata enorme per gli equilibri del pianeta, dato che gli esperti ipotizzano che a breve nei mari ci sarà più plastica che pesci e che il numero delle specie estinte o in via d’estinzione sarà elevatissimo. Al fine di fare chiarezza su questo tema, i relatori e le relatrici faranno poi vedere come funziona il ciclo della plastica, cioè come questo materiale entri nel nostro ciclo alimentare, in particolare per quanto riguarda le microplastiche, cosa si intenda per biodegradazione degli imballaggi e come essa partecipi ad inquinare il cibo che mangiamo. In conclusione dell’intervento, i Fridays For Future parleranno dei progetti che sono stati attivati, anche in provincia di Ferrara, per fronteggiare questo problema; progetti relativi al recupero della plastica galleggiante, al suo smaltimento e al suo riuso.
In questa lezione di didattica ambientale parlerà l’ecogiurista Marco Falciano, già attivo da diversi anni nel nostro territorio con azioni pratiche e teoriche volte a contrastare l’impatto nocivo delle attività umane sull’ambiente. Alla conferenza parteciperanno anche due giovani attiviste dei Fridays For Future di Ferrara: Teresa Salcuni e Letizia Piras e, insieme a loro, Matteo Moriero della Fipsas sezione di Ferrara, Associazione che collabora con i Fridays nell’ideazione e nella realizzazione delle iniziative a favore della tutela dell’ecosistema.

Talmelli e Minarelli (Pd) rispondono a Fabbri su Cooperative e Accoglienza agli stranieri

 

Da: PD Ferrara

Subito dopo l’apertura delle indagini sull’accoglienza di stranieri nella Provincia di Ferrara, già dal 2019 la posizione di sedici cooperative furono archiviate. È di questi giorni il rinvio a giudizio per una cooperativa che gestiva due strutture di cui una a Poggio Renatico, Comune amministrato anche dalla Lega.

Il Sindaco in realtà apprezza talmente tanto l’organizzazione di accoglienza degli stranieri a Ferrara, che, senza aver cambiato assolutamente nulla di ciò che oggi critica, ha confermato ancora oggi l’ASP come ente gestore per conto della Prefettura inserendo nel bilancio di previsione 2021 di ASP contributi per 5.376.000 euro provenienti dalla Prefettura per emergenza umanitaria oltre ad altri fondi per Minori Stranieri non accompagnati.  QUINDI BASTA CALUNNIE! IL TEMPO DELLA RICREAZIONE È ORAMAI FINITO! Quando si riveste un ruolo Istituzionale così importante come quello di Sindaco, bisogna saper distinguere tra il singolo caso di cui si stanno accertando le eventuali responsabilità ed un mondo di professionisti qualificati che hanno saputo spendere le loro competenze in situazioni estremamente difficili e complesse.
Ancora una volta dove ci sono situazioni complesse da gestire, questa Giunta dimostra di non avere nessuna strategia da proporre proseguendo con la solita propaganda basata sul colore della pelle e sfruttando i soliti ritornelli già sperimentati in precedenza.
Pochi giorni fa è stato pubblicato il risultato della procedura di affidamento della gestione dei servizi di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati; tutti e tre i lotti sono stati aggiudicati alla medesima cooperativa che da decenni gestisce l’immigrazione a Ferrara e non solo.
È evidente come non si possa fare a meno della professionalità e delle competenze acquisite in questi anni su questo tema dal mondo della cooperazione sociale.
Abbiamo fiducia nella magistratura e se verranno accertati definitivamente degli illeciti la giustizia farà il suo corso, ma con questo abbiamo tutti quanti il dovere di non distruggere e calunniare quanto faticosamente si è costruito negli anni, in un settore in cui lavorano molti nostri concittadini.

Alessandro Talmelli, Segretario Unione Comunale PD Ferrara
Nicola Minarelli, Segretario Provinciale PD Ferrara

 

Gli studenti del Montalcini partecipano alle Olimpiadi di filosofia 2021

Da: Prof.ssa Alessandra Ferlini, Addetta stampa IIS RL Montalcini

Gli studenti del Montalcini partecipano alle Olimpiadi di filosofia 2021

Venerdì 19 febbraio 2021 si è tenuta la prova d’istituto delle olimpiadi di filosofia presso IIS RL Montalcini di Argenta.

Dieci, tra studentesse e studenti degli ultimi tre anni del liceo scientifico, hanno potuto scegliere tra quattro tracce che spaziavano dalla morale alla politica, dall’epistemologia all’estetica.

I partecipanti hanno mostrato grande interesse e desiderio di mettersi in gioco, visto e considerato che la prova si è tenuta al pomeriggio (per non incidere sulle attività curriculari) e che il tutto si è dovuto svolgere a distanza, per poter mantenere con maggior rigore le misure di contenimento della pandemia in atto.

Sicuramente passare tre o quattro ore al pomeriggio è segno tangibile di dedizione da parte dei discenti, dopo le settimane passate in DDI e il proseguimento della stessa al 50%.

L’opportunità è stata quella di provare ad argomentare a partire da autori come Putnam e Bloch, Thoreau e Dino Formaggio, per poter esprimere liberamente le proprie capacità critiche e di analisi.

Elementi fondamentale é che le olimpiadi di filosofia sono un’opportunità per dare voce alle riflessioni, alle aspettative e all’immaginazione delle nuove generazioni, fuori dalle strettoie della valutazione scolastica abituale.

Infine, si tratta di un’opportunità ulteriore per affinare le proprie capacità argomentative da valorizzare in sede d’esame e all’università.

La prova è stata coordinata, organizzata valutata dai professori Tommaso Mantovani, Sarah Robinson e Giorgio Stamboulis.

Gli alunni potevano sviluppare una delle tracce proposte sia in lingua inglese sia in italiano, come previsto dal bando nazionale, che prevede due distinte categorie per il concorso.

I due migliori, ed eventualmente chi avesse provato a sviluppare correttamente il proprio ragionamento in lingua straniera, parteciperanno alla fase regionale del 31 marzo, sempre a distanza, mentre si auspica che la prova nazionale possa tenersi in presenza a Roma a fine aprile.

Un’ulteriore momento di crescita che l’Istituto ha voluto offrire ai Propri studenti al fine di sviluppare in loro quel senso critico che dovrebbe contraddistinguere ogni cittadino moderno.

Febbraio 2060

 

I racconti di Costanza Del Re sembrano appartenere a un genere a parte, qualcosa di più o di diverso dai racconti comunemente detti. Il perché sarebbe lungo dire: per rendersene conto, la cosa migliore è ricavarsi un angolo di silenzio e lasciarsi andare alla lettura: entrare nel suo microcosmo familiare (un’altra Macondo) e nella vertigine dello scorrere – avanti e indietro – del tempo. Così, ad esempio, Costanza si è pensata e ha pensato e scritto di un mondo fra quarant’anni. A partire da Gennaio 2060 (questa è la seconda puntata) potrete seguirla tutti i mesi su Ferraraitalia. Buona lettura.
(Effe Emme)

Cosmo-111 è il nostro robot di casa. E’ alto cinquanta centimetri, bianco, con un corpo tozzo, senza gambe, una grande testa e due occhi neri e rotondi che, contenendo le telecamere, gli permettono di vedere con una precisione che corrisponde alle nostre quattordici diottrie.
Ha due braccia meccaniche, snodate e  lunghe quaranta centimetri, con cui fa molte attività.
Quando parla o canta da solo usa una lingua che nessun umano conosce, mentre quando interagisce con noi parla in italiano. Purtroppo adesso comincia ad essere un po’ vecchio e ogni tanto sbaglia e comunica con noi usando un linguaggio a dir poco strano. Usa una sola una vocale per volta e dice frasi intere usando sempre la stessa. Spesso usa solo la “A” e quindi una frase del tipo “Ciao, oggi c’è il sole, voglio pulire i vetri” diventa (sostituendo in maniera sistematica la “A” a tutte le vocali presenti nella frase): “Caaa, agga c’à al sala, vaglaa palara a vatra”.

Io e Luca volevamo portarlo al Centro-Trescia-111 (il presidio di assistenza per i robot), per vedere se lo potevano curare. Ma ad Axilla e Gianblu piace da matti quando parla a quel modo, si divertono e ridono. Hanno imparato a parlare come lui e non lo vogliono portare in assistenza. Quando hanno un po’ di tempo per divertirsi, lo sfidano al “gioco delle vocali” che a casa nostra sostituisce la Playstation e Gugyweek. Ad esempio Gianblu dice a Cosmo-111: “Dai Cosmo, giochiamo al gioco delle vocali. Comincio io. Vediamo chi è il più veloce. Uso solo la U”.

Curu Cusmu,sunu davvuru fulucu chu tu sua cun nuu nun su cusu furummu sunzu du tu” (caro Cosmo sono davvero felice che tu sia con noi, non so cosa faremmo senza di te), e Cosmo-111 risponde “Curtu chu nun suputu sturu sunzu du mu, uu sunu unduspunsubulu u vu uutu sumpru!” (Certo che non sapete stare senza di me, io sono indispensabile e vi aiuto sempre!). E vanno avanti così, seri alla prima frase, sorridendo alla seconda, ridacchiando alla terza, ridendo alla quarta, ridendo sguaiatamente dalla quinta in poi.
Vista la situazione, Cosmo-111 non pensa affatto di essere ammalato ma è convinto di avere una qualità buffa e molto utile, che gli permette di allietare le giornate dei suoi due umani preferiti: quei due bambini ormai cresciuti che corrispondono ai nomi di Axilla e Gianblu.

Guardarli mentre giocano a quel modo, mi fa sempre molto riflettere; a volte le menomazioni possono essere uno svantaggio e a volte si trasformano nell’esatto contrario. E’ così anche nel mondo animale e anche in quello vegetale. La tigre bianca è albina. L’albinsmo è una anomalia congenita. E’ una deficienza causata da un difetto o da un’assenza dell’enzima tirosinasi, enzima che è coinvolto nella sintesi della melanina. Potrebbe quindi essere considerato una malattia. Ci sarebbe un enzima da ripristinare. Eppure la tigre bianca è pregiatissima, considerata bellissima e una rarità. A nessuno verrebbe mai in mente che sia malata.

Anche nel mondo vegetale è così. Il Tambalo, fiore che cresce d’estate in mezzo al granoturco, ha una strana colorazione nera con striature argentate dovuta a un difetto di pigmentazione. Eppure tutti lo raccolgono, lo mettono nei vasi, lo regalano, lo portano addirittura in chiesa. Nessuno vorrebbe il Tambalo di un colore diverso e a nessuno viene in mente di considerarlo una stranezza o una malattia, invece che una eccellente rarità.

Anche nel mondo umano è un po’ così. Ci sono modelle albine, modelle affette da pitiriasi che trasforma la loro pelle in un manto simile a quello delle mucche pezzate (un po’ del colore normale e un po’ bianco candido). Ci sono modelle calve e magrissime. Sono considerate malate? Macchè, sono considerate bellissime.

A volte la malattia si connota per sofferenza a tutti gli effetti, dolore muscolare, osseo, febbre, vomito, cefalea, mal di denti, astenia, stanchezza. Forse tutto questo può essere considerato patologia, anche se bisogna fare dei notevoli distinguo. La diversità, in quanto tale, quando può/deve essere considerata malattia? Quando provoca sofferenza?

Un bambino con i capelli rossi, che si trova in una classe di tutti bambini mori, è ammalato in quanto vive una reiterata situazione di sofferenza causata dal colore dei suoi capelli, che è diverso da quello di tutti gli altri? Credo che la definizione di malattia non sia univoca, che non lo sia la definizione di sofferenza, come non lo è la definizione di normalità.

In questo tempo che ha superato abbondantemente l’inizio degli anni 2000 d.c., io, mio marito e i miei due figli viviamo con Cosmo-111 e ci sembra normale che sia così. Ci mancherebbe se dovesse essere rottamato e soffriremmo della sua assenza. Eppure Cosmo-111 è un assemblaggio di parti meccaniche e elettroniche, non ha di certo un’anima, anche se in maniera semi-empatica (per imitazione), sa rispondere alle sollecitazioni emotive degli umani che vivono con lui e sa piangere, facendo uscire un po’ d’acqua dalle telecamere che ha al posto degli occhi.

Un giorno parlavo con la zia Costanza di Cosmo-111 e degli strani giochi che fanno con lui i ragazzi. Lei, che di solito ha sempre qualcosa da dire, è rimasta pensierosa e poi ha commentato: “E’ davvero strano che ora stia succedendo tutto questo. Sembra fantascienza e invece è realtà. Il bello è che Cosmo-111 piace anche a me. Ci siamo tutti affezionati a esseri che non sono umani e che non appartengono nemmeno al regno animale o a quello vegetale. E’ nato una specie di  “regno di mezzo”, che non so nemmeno se si possa considerare un regno di esseri viventi o un regno “altro”. Sicuramente non lo si può considerare un regno morto. Chi lo dice a Gianblu che Cosmo-111 appartiene a un regno morto? Si arrabbierebbe di sicuro. Questo strano “mondo di mezzo”  lo descriverei come un regno di proiezioni. Un mondo di esseri che vivono grazie ai sentimenti che noi attribuiamo loro, grazie alla componente emotiva traslata dagli esseri umani ai robot. Riconosciamo questa componente emotiva come uguale alla nostra, perché è la nostra. Proprio questo ci fa affezionare a questi esseri che sono come noi, sentono quello che sentiamo noi, reagiscono come noi, sia alle avversità, che alle sorprese. E’ facile stare con loro perché non sono oppositivi, non sono imprevedibili, non vanno controcorrente, sono molto servizievoli. Questo “mondo di mezzo” è la vera novità di questi ultimi decenni, è un luogo di rifugio per le nuove generazioni, è uno spazio che si sta affrancando dalla artificialità e si sta legittimando come possibile, alternativo e in qualche modo “vero”. Mi chiedo dove ci porterà tutto questo. Fino a quando questo “mondo di mezzo” resterà tale. Non mi piacerebbe che questo spazio di proiezioni-umane prendesse il sopravvento sul mondo che conoscevamo prima, fatto di relazioni vere, di sentimenti autentici, di rapporti che nascono crescono e finiscono, ma che non sono mai animati da sentimenti riflessi”.

Come sempre la zia Costanza, che pur avendo ottantotto anni è ancora molto lucida, ha ragione. Ma poi ripenso a Cosmo-111 e mi rendo conto che il mondo è già cambiato, che la “terra di mezzo” è già legittimamente al suo posto.
A cosa porterà tutto questo non lo so, lo scopriremo cammin facendo e, soprattutto, lo scopriranno Axilla e Gianblu che considerano Cosmo-111 una parte della famiglia e che, da questo sentire, non si affrancheranno per tutto il tempo della loro lunga esistenza.

Mentre cerco di immaginare com’era la vita quando mia madre e la zia Costanza avevano vent’anni e i robot erano ancora allo status nascendi, sento il campanello di casa suonare. E’ Axilla che torna dall’università, apre la porta con la sua chiave elettronica, si disinfetta le mani e si toglie il piumino verde con il collo di pelliccia. Poi si siede sullo sgabello all’ingresso e si toglie le scarpe. Cosmo-111 arriva con le ciabatte e le dice: “Maattala sana calda a camada” (mettile sono calde e comode).
“Grazaa, Casma-111, saa straardanaria (Grazie Cosmo-111, sei straordinario)” lo ringrazia Axilla e poi gli dà un bacio sulla testa. Cosmo-111 sorride e poi dice divertito: “Questa volta ti ho fregato, ho usato tutte A solo per farti ridere”. Axilla sorride, ancora più divertita di prima e Cosmo-111 se ne va, cantando la canzone che gli piace tanto, in quella lingua che solo lui conosce, perchè esclusiva degli abitanti del “mondo di mezzo”, che lo accompagna nei momenti solitari e di non-umanità.

Quel modo di parlare e cantare è il sintomo del mondo che cambia, della realtà che si affranca da se stessa per inglobare dento di sé la tecnologia come estensione di un po’ di vita, come paradigma del progresso che cammina, senza troppi pregiudizi, a servizio dell’umanità.
“Saputo, saputo, aku aku, saputo saputo, aku totù!” canta Cosmo-111 e io lo guardo mentre se ne va.

N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.

 

PRESTO DI MATTINA
Come nasce una storia

 

Come nasce una storia? Quale la sua origine, l’ambito del suo germinare, il suo milieu? Quale la ministerialità educante della narrazione, il suo compito pedagogico?
Proviamo a percorrere un sentiero.
Con l’espressione “le blanc des origines”, Pierre Teilhard de Chardin intese designare il concentrato intimo, nel tempo e nello spazio, dell’esperienza originaria del fenomeno umano, nel suo evolversi e divenire. Lo fece a partire da un immensamente piccolo, verso un infinitamente grande, attraverso l’infinitamente complesso: perché «è nella complessità che la coscienza appare» (Lettres Intimes, 11.7.1941 340), come processo di ‘riflessione’ che sale in modo irreversibile. Lo sviluppo evolutivo, non diversamente dal divenire narrativo delle storie, si sostanzia in un processo di complessità-coscienza, un divenire, il cui inizio è puntiforme, ma poi procede attraverso un’articolazione vieppiù differenziata, che si moltiplica, e torna a convergere attraverso passaggi, soglie, punti di maturazione concatenati, sempre più compositi.

Come da un solo fotogramma prende vita un film, così da una parola, un simbolo o un’immagine nascono un planetario testuale, una biblioteca. È un analogo gioco combinatorio, capace di generare lungo la narrazione sempre qualcosa di nuovo: un novum di continuità pur nella diversificazione, all’interno del fenomeno spirituale, sempre in formazione e accrescimento verso una più grande coscienza.

Per dirla con semplicità, le grandi cose cominciano sempre da un piccolo granello, finanche da ciò che appare effimero, impalpabile. Forse per questo Teilhard de Chardin parla del “bianco delle origini”, per ricordarci che l’inizio di tutte le nuove specie è invisibile e introvabile dalla ricerca scientifica. Le fonti restano nascoste, irrintracciabili e troppo piccole per lasciare il segno del loro concepimento. Si potrà allora rispondere alla domanda dell’inizio: le storie, i racconti come la vita cominciano in umiltà, l’umiltà di fronte all’altro: umiltà d’amore. Questo è il luogo della loro nascita. E nel loro dispiegarsi attraverso la narrazione, esse portano con sé la memoria di questa origine, sperimentandola ad un tempo come un perdita e un ritrovamento, come matrice rigenerativa al modo del lievito madre.

Ne La nostalgia del Fronte – descritta da Teilhard in un saggio del 1917 – viene rappresentato simbolicamente questo processo di trasformazione. La linea del fronte che è esperienza di perdita, di disfacimento, di scontro e di morte, diventa ai suoi occhi il “fronte dell’onda” che avanza, il fronte umano che non viene fermato neppure dall’entropia delle guerre, ma va oltre e avanza dopo ogni perdita e ricaduta, per poi riemergere come una nuova linea dell’onda. Così accade anche alle parole originarie, sepolte da quelle venute dopo, e poi riemerse in una nuova, ulteriore diversa nascita.

«Quando ho cominciato a scrivere storie – scrive Italo Calvino – l’unica cosa di cui ero sicuro era che all’origine d’ogni mio racconto c’era un’immagine visuale. Un’immagine che per qualche ragione mi si presenta come carica di significato, anche se non saprei formulare questo significato in termini discorsivi o concettuali. Appena l’immagine è diventata abbastanza netta nella mia mente, mi metto a svilupparla in una storia, o meglio, sono le immagini stesse che sviluppano le loro potenzialità implicite, il racconto che esse portano dentro di sé. Attorno a ogni immagine ne nascono delle altre, si forma un campo di analogie, di simmetrie, di contrapposizioni. … Sarà [poi] la scrittura a guidare il racconto». Narrare allora non è appena uno strumento di conoscenza per se stessi, ma ambito di relazione fuori di sé; un superarsi immedesimandosi nelle storie d’altri per maturare la coscienza della responsabilità e del servizio che è esperienza di trascendenza: «ho sempre cercato nella immaginazione un mezzo per raggiungere una conoscenza extraindividuale, extrasoggettiva… si tratta di processi che anche se non partono dal cielo, esorbitano dalle nostre intenzioni e dal nostro controllo, assumendo rispetto all’individuo una sorta di trascendenza», (Lezioni americane, Milano 1988, 88-89 e 86-87).

Così l’istanza etica nella narrazione non resta fuori dalle storie; non è un optional; è traccia dell’altro, filo rosso che invoca responsabilità; evocativa a sua volta di una trascendenza non solo umana. La stessa che indusse Ulisse a ripartire da Itaca, come gli aveva profetizzato Tiresia con il remo in spalla, verso una nuova odissea, altri mari da navigare, ancora genti da conoscere. Ma rivelativa di una trascendenza altrove, è anche quella che si rivelò ad Abramo per interpellarlo. E di qui subito una storia narrante; storia di un popolo in cammino in compagnia di un libro raccontato e letto sempre di nuovo.

La seduzione con cui Yhwh, il Dio pastore, attira a sé, avviene attraverso la narrazione: «la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore», racconta Osea il profeta innamorato. Yhwh ama le storie degli uomini e in esse tesse anche la sua. Sono storie che educano all’ascolto, che mettono in cammino, lasciando il già noto verso un dove che s’ignora. Sono racconti che narrano di un dono, quello della Parola, e di Agape da cui prende forma la gratuità. Ma non è così anche per le storie? Non si sparpagliano per il mondo senza ricevere compenso alcuno, lasciandosi portare di voce in voce, di pagina in pagina in libertà? Esse non temono i confini né i doganieri, circumnavigano la terra; si lasciano trasportare dalle nubi, dalle onde del mare, attraversano deserti, foreste, montagne e pianure da un continente all’altro prima di giungere a noi.

I racconti dei vangeli, credo, assomigliano a corsi sotterranei che percorrono le storie, parole come perle di mare, nascoste nel sottosuolo. Se si fa silenzio credo che le si odi dire: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,7-8): «un’eco di memoria, come quel buio murmure di mare», direbbe Quasimodo.
Nelle storie si mette in atto un processo di strutturazione della realtà «la narrazione organizza e dà forma alla nostra esperienza».
L’esperienza del narrare, come pure l’esperienza spirituale e quella mistica, non sono un’evasione dal reale; non portano fuori dalla vita ma si sprofondano in essa.

Le parole e i racconti si distanziano e si avvicinano, si differenziano e si uniscono di nuovo, dando forma a un organismo narrativo, un «fabulario arcobaleno» di incontri che cambiano il mondo ed anche noi. Le storie – direbbe Teilhard pure lui narratore di storie – sono potenza spirituale della materia, linfa che sale nell’albero della vita e dunque vanno comprese come generative di un ambiente, strutturantesi e intellegibili con esso. Due suoi testi titolano proprio: Milieu divin e Milieu mystique, quest’ultimo in stile narrativo: «Un suono purissimo si è alzato nel silenzio; un’iride limpida si è diffusa nel cristallo; una luce è passata in fondo agli occhi che amo… Erano tre cose piccole e brevi: un canto, un raggio, uno sguardo… Perciò ho creduto dapprima che entrassero in me per rimanervi e perdersi. Invece, sono state esse a catturarmi e a rapirmi».

Madeleine Barthélemy-Madaule (1911-2001) una studiosa del suo pensiero riconosce al termine milieu un triplice significato. Il primo è quello che richiama l’idea di un ambiente (ciò in cui): l’orizzonte, il luogo e la struttura del formarsi dell’esperienza come polarità dialettica e convergente. Ambiente nel secondo significato si riferire invece a un mezzo (ciò per cui): un legame oppure un’apertura dialettica che fa comunicare l’Assoluto con il creato, il dentro e il fuori, l’in alto e l’in avanti. Un terzo significato, infine, riconosce nel termine milieu un punto (un centro di): la convergenza delle polarità, l’evento dell’incontro, l’attimo del presente in cui si dà la totalità. Anche per le storie il milieu è il limite estremo di ciò che si prova e di ciò che si fa, il punto più profondo della coscienza, dove questa comunica con l’Assoluto e con sé stessa e comprende con il suo sguardo le terre dell’alterità e di tutto il cosmo.

Queste mie domande e riflessioni sono nate da un dono di amicizia di Anita Gramigna. I suoi due ultimi libri: Fabulario arcobaleno. Educazione interculturale con i piccoli e Come nascono le storie. Pedagogia narrativa per i più piccoli sono stati un invito a lasciare la panchina, a rimettermi in gioco come in una partita amichevole. Il suo è stato un assist che non potevo perdere, proprio davanti alla porta; gli altri giocatori li aveva già dribblati tutti lei. Anita Gramigna dirige il laboratorio di epistemologia della Formazione presso la nostra università, insegna pedagogia generale e metodologia della ricerca. Con questi due studi ha inteso narrarci un aspetto della sua ricerca pedagogica interculturale che, condotta attraverso l’analisi e la narrazione di storie incipienti, balbettii infantili, piccoli dialoghi e racconti di altri continenti, rivela la forza educativa ed etica “del linguaggio al suo sorgere”. Una risorsa anche, tanto per i piccoli che nascono alla parola per la prima volta, come per gli adulti che li ascoltano e li assecondano, meravigliandosi di rinascere anche loro a quelle parole germinali. Qui è narrato come nascono le storie e come esse educhino alla interculturalità, intesa come riconoscimento dell’altro e dei suoi valori, della ricchezza che può venire dalla diversità che immunizza dalla pretesa di assolutizzare le proprie idee e valori. Intercultura ha un valenza progettuale, dice il comune impegno per un incontro attivo tra soggetti di estrazioni differenti ma dialoganti, per trasformare e lasciarsi trasformare cercando soluzioni ai problemi che sorgono nel nostro mondo diventato multiculturale e dunque bisognoso di convivere pacificamente.

«Quando nasce una storia prende vita un processo di rappresentazione interiore che contempla elementi cognitivi, emozionali e culturali, come sono gli artefatti linguistici. Quando nasce una storia si accende l’immaginazione interpretante». Pure lei ricorda un testo di Italo Calvino estratto dalle Lezioni americane: “l’immaginazione è un repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere”. Sottolinea che le storie nascenti si esprimono nella forma di un gioco-narrazione, che non è solo oggetto di riflessione ma una tecnica di gioco generativo, di gratuità che educa al dono.

«Il gioco-narrare è azione gratuita, libera dal persegui mento di scopi diretti: in questo senso, è libero, pur possedendo regole rigorose. È libero perché può disancorarsi dalla realtà, magari proprio per fornirne una versione surreale e risponde solo al desiderio di giocare con le parole, (ivi 36)…L’aurora del pre-linguaggio può divenire l’occasione per il pensiero adulto di rinunciare, almeno per il tempo breve di un gioco, alla propria esaustiva sovranità sull’attribuzione di senso alle cose. …il meraviglioso parla a ciascuno di noi infatti, può leggersi a tanti livelli, come è nella natura metaforica della narrazione e, naturalmente, del gioco… La bellezza delle immagini che fioriscono nelle gioco-storie, del ritmo ludico che lì si esprime, della musicalità delle parole, dell’assurdità delle metafore, si dà con un sentimento di dono». (ivi, 11-12; 30-31).

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Gli occhiali sotto casa

 

di Riccardo Francaviglia

Le mie vignette non si occupano, se non occasionalmente, di satira politica, sarebbe come sparare sulla croce rossa. Preferisco sfottere me stesso e con me i miei amici e alla fine tutti noi, la ‘gente comune’, accendendo un faretto che ne illumini le contraddizioni, le paure, le goffaggini e perché no anche le qualità. I protagonisti sono sgargianti individui che non sembrano appartenere al nostro mondo, forse vivono in un mondo variopinto o più probabilmente i loro colori accesi spiccano in un mondo all-white; un avatar del nostro contesto quotidiano, dove ciascuno di loro assomiglia a tutti e non assomiglia a nessuno. In fondo diverte l’idea di identificarsi con sagome fluo col naso a pera, ma voglio credere che anche questo può contribuire a guardarsi “da fuori” per sorridere e riflettere su ciò che siamo e ciò che stiamo diventando.
Riccardo Francaviglia

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