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Giorno: 3 Aprile 2021

Il racket delle sorpresine

 

Riccardo Francaviglia

Vagavo per casa con un mal di testa insopportabile dovuto al famigerato virus contratto non si sa come nonostante le precauzioni seguite con estrema ubbidienza. Non riuscivo a leggere né disegnare, figuriamoci! A stento qualche puntata di una serie tv a caso. Non ero abituato a stare senza fare nulla, a rotolare dal letto al divano e dal divano alla sedia della cucina, senza realizzare qualcosa, senza progettare. La condizione di malato mi preoccupava al punto da temere che quell’annullamento dello stimolo creativo perisse del tutto e per sempre rosicchiato dal virus. Sapete, noi inventori di storie nati nel ventesimo secolo, in fondo temiamo che anche questa capacità possa essere a tempo determinato; che un giorno si presenti uno con un impermeabile blu e un cappello e ti revochi la licenza di creare e ciao…

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Coronavirus. L’aggiornamento in Emilia Romagna: 3 aprile 2021.

 

Coronavirus. L’aggiornamento in Emilia-Romagna: su quasi 32mila tamponi effettuati, 1.789 nuovi positivi. 2.509 guariti, calano i casi attivi (-758) e i ricoveri (-122). Vaccinazioni: oltre 932mila somministrazioni

Il 95% dei casi attivi è in isolamento a casa, senza sintomi o con sintomi lievi. L’età media nei nuovi positivi è di 43,5 anni. 38 i decessi. Prosegue nei giorni di festività pasquale la campagna vaccinale

Bologna – Dall’inizio dell’epidemia da Coronavirus, in Emilia-Romagna si sono registrati 341.218 casi di positività, 1.789 in più rispetto a ieri, su un totale di 31.848 tamponi eseguiti nelle ultime 24 ore. La percentuale dei nuovi positivi sul numero di tamponi fatti da ieri è del 5,6%.

Continua intanto la campagna vaccinale anti-Covid, che in questa fase riguarda il personale della sanità e delle Cra, compresi i degenti delle residenze per anziani, in maggioranza già immunizzati, gli ultraottantenni in assistenza domiciliare e i loro coniugi, se di 80 o più anni, e le persone dai 75 anni in su; proseguono le vaccinazioni anche per il personale scolastico e le forze dell’ordine. Nessuna pausa ci sarà per le festività pasquali: gli operatori saranno attivi anche domani, domenica di Pasqua, e il giorno successivo, lunedì dell’Angelo.

Il conteggio progressivo delle somministrazioni effettuate si può seguire in tempo reale sul portale della Regione Emilia-Romagna dedicato all’argomento: https://salute.regione.emilia-romagna.it/vaccino-anti-covid, che indica anche quante sono le seconde dosi somministrate.

Alle ore 14 sono state somministrate complessivamente 932.364 dosi; sul totale, 304.476 sono seconde dosi, e cioè le persone che hanno completato il ciclo vaccinale.
Tutte le informazioni aggiornate sulla campagna vaccinale sono a disposizione sulla pagina https://vaccinocovid.regione.emilia-romagna.it/

Prosegue l’attività di controllo e prevenzione: dei nuovi contagiati, 754 sono asintomatici individuati nell’ambito delle attività di contact tracing e screening regionali. Complessivamente, tra i nuovi positivi 598 erano già in isolamento al momento dell’esecuzione del tampone, 809 sono stati individuati all’interno di focolai già noti.

L’età media dei nuovi positivi di oggi è 43,5 anni.

Sui 754 asintomatici, 502 sono stati individuati grazie all’attività di contact tracing, 105 attraverso i test per le categorie a rischio introdotti dalla Regione, 35 con gli screening sierologici, 11 tramite i test pre-ricovero. Per 101 casi è ancora in corso l’indagine epidemiologica.

La situazione dei contagi nelle province vede Bologna con 370 nuovi casi e Modena con 274; poi Reggio Emilia (204), Rimini (194) e Parma (177), quindi Ravenna (154) e Ferrara (141); seguono Cesena (92), Forlì (86), Piacenza (57) e, infine, il Circondario imolese (40).

Questi i dati – accertati alle ore 12 di oggi sulla base delle richieste istituzionali – relativi all’andamento dell’epidemia in regione.

Nelle ultime 24 ore sono stati effettuati 14.284 tamponi molecolari, per un totale di 4.042.545A questi si aggiungono anche 935 test sierologici e 17.564 tamponi rapidi.

Per quanto riguarda le persone complessivamente guaritesono 2.509 in più rispetto a ieri e raggiungono quota 256.660.

casi attivi, cioè i malati effettivi, a oggi sono 72.480 (-758 rispetto a ieri). Di questi, le persone in isolamento a casa, ovvero quelle con sintomi lievi che non richiedono cure ospedaliere o risultano prive di sintomi, sono complessivamente 68.933 (-636), il 95% del totale dei casi attivi.

Purtroppo, si registrano 38 nuovi decessi: 3 a Parma (due donne di 46 e 86 anni e un uomo di 86); 3 a Reggio Emilia (due donne, di 52 e 77 anni, e un uomo di 90); 10 a Modena (cinque donne di 79, 80, 87, 92 e 97 anni e cinque uomini di 74, 80, 81, 82 e 96 anni); 9 a Bologna (tre donne di 87, 91 e 92 anni e sei uomini di 58, 63, due di 70 – di cui uno residente a Imola – poi 81 e 83 anni); 8 a Ravenna (una donna di 95 anni e sette uomini, di 60, 70, 82, 83, 84, 91 e 92 anni), 2 a Forlì (due uomini di 72 e 79 anni), 1 a Cesena (un uomo di 68 anni) e 2 a Rimini (una donna di 69 anni e un uomo di 82). Nessun decesso a Piacenza e Ferrara.

In totale, dall’inizio dell’epidemia i decessi in regione sono stati 12.078.

I pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 366 (-5 rispetto a ieri), 3.181 quelli negli altri reparti Covid (-117).

Sul territorio, i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono così distribuiti: 8 a Piacenza (+ 1 rispetto a ieri), 30 a Parma (+1), 28 a Reggio Emilia (-2), 69 a Modena (-3), 105 a Bologna (-5), 20 a Imola (+1), 40 a Ferrara (+1), 20 a Ravenna (invariato), 11 a Forlì (+1), 6 a Cesena (-1) e 29 a Rimini (+1).

Questi i casi di positività sul territorio dall’inizio dell’epidemia, che si riferiscono non alla provincia di residenza, ma a quella in cui è stata fatta la diagnosi: 21.902 a Piacenza (+57 rispetto a ieri, di cui 34 sintomatici), 23.722 a Parma (+177, di cui 94 sintomatici), 41.064 a Reggio Emilia (+204, di cui 104 sintomatici), 58.299 a Modena (+274, di cui 169 sintomatici), 73.539 a Bologna (+370, di cui 251 sintomatici), 11.702 casi a Imola (+40, di cui 23 sintomatici), 20.736 Ferrara (+141, di cui 34 sintomatici), 26.743 a Ravenna (+154, di cui 84 sintomatici), 14.126 a Forlì (+86, di cui 62 sintomatici), 16.945 a Cesena (+92, di cui 75 sintomatici) e 32.440 a Rimini (+194, di cui 105 sintomatici).

DIARIO IN PUBBLICO
Questione d’orecchio

 

Sempre attratto dalla fisiognomica mi affiggo a riconoscere le più straordinarie orecchie esibite da personaggi pubblici in questo tempo di pandemia. Ecco che senza ombra di dubbio quelle che eccellono per la loro curva e la loro preponderanza sono quelle di Francesco Paolo Figliuolo, Commissario dell’emergenza Covid e di Pietro Senaldi direttore di Libero. Scendendo poi al livello metaforico si riconosce, a chi è competente in campo musicale, quelli che ‘hanno orecchio’ e a quelli che ne difettano il non averne. Salta immediatamente all’orecchio, dunque, che chi non stona è sicuramente il Figliuolo, mentre a mio parere chi prende terribili stecche è il giornalista.

Rientra poi nell’accezione positiva – sempre se si parla di fisiognomica – anche l’imponenza con cui il militare si presenta: dalla penna sul cappello alla divisa corazzata di mostrine che, mi comunica un finissimo intellettuale come Fernando Rigon, hanno in gergo militare un nome strepitoso. Cito: “Gianpavese  hai superato te stesso nell’articolo su Figliuolo, pelosi e Letta al plurale. Un’integrazione linguistica: le onorificenze pettorali e le medaglie in gergo militare si chiamano ‘banane’. Vezzeggiativo o spregiativo?…”.

Un‘altra non secondaria qualità, che rende umana la figura del nostro Commissario dell’emergenza Covid, è l’esporre il proprio corpo alla curiosità del pubblico, quando decide di vaccinarsi con quello ‘maledetto’, di cui è ormai difficile pronunciare il nome che ora è Vaxzevria, provocando l’analisi satirica strepitosa di Luciana Littizzetto in Che tempo che fa, interessatissima al seno del Commissario. Quello che invece risulta stonato nelle frequentissime apparizioni del Senaldi è la sua vocazione alla pedagogia della critica e del rifiuto. All’aprirsi della bocca le orecchie sembrano mettersi in movimento autonomamente e siglare con imperio le affermazioni pronunciate con tono sempre asseverativo. È logico che queste note vogliono alleviare, se fosse possibile, il difficile momento che stiamo passando.

Circondato da amici straordinari  attenti alle conseguenze linguistiche spaventose che da ormai troppo tempo imperversano sulla nostra infelice cultura riporto, con il suo permesso, una mail che il professor Claudio Cazzola, docente di latino a Unife, ma prima di tutto uno dei miei più cari e amati ‘allievi’ mi ha spedito:
“Mi permetto di cambiare argomento, essendo stato io deliziato dalla pronuncia ‘règime’ adottata dal generale Figliuolo come da te sapientemente segnalato. Proprio in nome di questa delizia, vorrei sottoporti, al rovescio, alcune prelibatezze offerte dai messaggi che sono apparsi in sovraimpressione ieri sera su Telestense durante il commento alla partita della Spal:SPAL, voglio che sei vincente oggi!

  1. Ragazzi, mettiamolaci tutta!
  2. Era gol, non ce la tecnologia in B!
  3. Servon soldi per vincere, altrimenti si va in defolt!
  4. NN vedono CKE Missiroli cammina in campo!

E mi fermo qui. Non mi straccio le vesti, ma è amaro constatare il livello di padronanza della lingua (anche il vocabolo straniero è storpiato…).”

Frattanto mi adopero a rendere meno impervio il cammino dantesco della mia amatissima pro-nipote Isabella, con la quale e con la sua amica Pally in video conferenza passiamo momenti per me confortanti nello spiegare i temi, la storia, le parole di LUI. Mi sembra di tornare indietro nel tempo, quando per 15 anni il mio impegno totale è stato quello di rendere storicamente comprensibile la lezione del Sommo e in questo aiutato, e non lo ringrazierò mai abbastanza, dalla straordinaria qualità delle recite di Roberto Benigni.

Stavamo tranquillamente leggendo (seppure non come Paolo e Francesca), ma come per loro ‘solo un punto fu quel che ci vinse’, quando incontrammo la figura di Farinata degli Uberti. Manente degli Uberti detto Farinata; con aria assorta interloquisce Isabella “perché Farinata?”. Certo tutti noi sappiamo cos’è la farinata tratta dal grano macinato per cui farina, ma perché il terribile condottiero viene così soprannominato?
Febbrilmente mi metto a sfogliare ben 16 commenti all’Inferno dantesco. Tutti imperturbabilmente riferiscono che così era chiamato, ma il perché nessuno lo spiega. Consulto l’Enciclopedia dantesca: nulla. Telefono in Svizzera all’amico Stefano Prandi illustre dantista, ma la risposta è ancora negativa. Quasi vergognandomi telefono a colui che considero il maggior dantista italiano e non solo: l’amico carissimo Marco Ariani. Scoppia in una delle sue inimitabili e fragorose risate, confessandomi che qualche sera prima, sentendo Benigni al Dantedì recitare il poeta, si era posto la stessa domanda ma…anche lui, Marco, non lo sapeva. Mi ha detto che quello sarà l’impegno più stringente che curerà in questi giorni.

Frattanto il mio amatissimo nipote Ludovico fa una ricerca su Google e riporta la notizia che il soprannome deriva probabilmente dal colore dei capelli di Manente ‘biondo platino’ assimilabile al colore della farinata. Mah! sembra una spiegazione applicabile a qualche film storico girato sulle rive del Tevere negli anni Cinquanta. Comunque sia la straordinaria creatività di Durante-Dante, che passa dall’avverbio del suo nome intero a quello verbale del diminutivo, mi rende contento.

E spero anche voi.

Per leggere gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

De Palma: «Utilizzare lo smart working per impiegare temporaneamente i colleghi non vaccinati»

 

Comunicato Stampa Nursing Up.

Sanita’ Nursing Up De Palma: «DL Obbligo vaccinale, no alle pericolose distorsioni di una legge che deve tutelare i malati ma non certo crocifiggere gli infermieri. Utilizzare lo smart working per impiegare temporaneamente i colleghi non vaccinati»

Il Decreto sull’obbligatorietà vaccinale per gli operatori sanitari è stato adottato, pur non essendo a nostro parere necessario, dal momento che già competeva, e compete alla buona capacità organizzativa di un’azienda, il saper adibire ad attività differenti i sanitari non vaccinati, utilizzandoli nell’ambito delle proprie funzioni.  Ciò premesso, parliamo di un provvedimento che si presenta equilibrato sotto il profilo del diritto, seppur con riferimento esclusivo, ovviamente, alle procedure di garanzia in esso previste, dove l’eventuale privazione del compenso potrebbe giungere solo come estrema ratio.L’applicazione delle nuove regole potrebbe celare aspetti complessi che meritano di essere analizzati con calma e raziocinio.

Nello specifico vorremmo evitare di trovarci di fronte a casi di Aziende Sanitarie che dimostrano di non aver compreso il senso del disegno di legge e ne facciano un uso improprio. Non si alzino in alcun modo polveroni e non si minaccino ritorsioni nei confronti degli operatori sanitari, quando invece la norma mette nella condizione di impiegare differentemente quelle poche unità interessate, dirottandole su funzioni diverse non a contatto con i soggetti fragili, in modo da tutelare da una parte i malati, dall’altra li diritti dei singoli sanitari.

Chiediamo che le aziende sanitarie impieghino quindi i colleghi non vaccinati, nel rispetto della legge, prioritariamente nelle attività di smart working e/o in attività che tengano conto delle loro personali competenze e declinazioni.

Guai ad assumere quindi atteggiamenti non equilibrati o persecutori, screditando il sacrificio quotidiano degli infermieri che combattono in prima linea e distogliendo l’attenzione da problematiche ben più gravi.

Così Antonio De Palma, Presidente del Sindacato Nursing Up, approfondendo alcuni aspetti applicativi del DL sull’obbligatorietà dei vaccini per gli operatori sanitari.

Non vorremmo mai che il polverone sollevato nel recente passato da alcune amministrazioni intorno alle scelte personali degli operatori sanitari, fosse destinato più che altro a sviare l’attenzione pubblica da vicende scabrose, come ad esempio quella dei 60 milioni di mascherine non a norma.  Insomma, chi ci dice quanti sono, tra le migliaia di colleghi che si sono ammalati sino ad oggi svolgendo il proprio lavoro, quelli che hanno contratto il virus proprio a causa di questo pericoloso atteggiamento di scarsa attenzione verso ciò che doveva essere il fondamentale mezzo da utilizzare per la loro ed altrui protezione?

Le Aziende Sanitarie si preoccupino piuttosto di utilizzare tutti gli strumenti organizzativi adeguati per impiegare gli infermieri che non si vaccinano, che peraltro rappresentano una sparuta minoranza rispetto alla grande massa, senza ledere la loro dignità, come la legge prevede.

Non serve far finta di non vedere che il DL è arrivato sotto la spinta di una opinione pubblica fuorviata da presunte schiere di infermieri che avrebbero scelto di non vaccinarsi.

Ora siamo pronti a combattere, beninteso, contro chi dovesse fare un uso sbagliato della norma, trasformandola in un cappio verso quelli che fino a ieri erano eroi e che non possono certo diventare immeritatamente untori.

Ci stiamo forse dimenticando che stiamo parlando di quegli stessi professionisti che fino a pochi mesi fa sono stati travolti da lodi ed elogi per la loro abnegazione, malgrado una cronica disorganizzazione li abbia esposti a condizioni di lavoro prive di qualsiasi sicurezza o garanzia (mancanza di mascherine, forniture non conformi, assenza di tute di contenimento etc etc?)

Chi si preoccupava di difendere la loro salute quando le aziende non li sottoponevano a tamponi e li costringevano ad ammalarsi di giorno in giorno a migliaia?

Quale dirigente organizzativo è stato dato in pasto alla gogna mediatica, come oggi si fa con gli infermieri, per aver omesso l’adozione di quelle indispensabili misure, volte a scongiurare contagi e decessi tra gli operatori sanitari? Nessuno.

Ciò nonostante, l’attenzione dell’opinione pubblica continua ad essere dirottata solo sugli infermieri e, in questo momento in particolare, su quei pochi che ancora non si vaccinano piuttosto che su quelle dirigenze ai vari livelli che hanno l’obbligo di provvedere a difendere l’incolumità collettiva con ogni mezzo.

Siamo più che certi che dopo questo provvedimento del Consiglio dei Ministri, molti operatori che erano semplicemente indecisi, comprenderanno che la strada giusta da percorrere è quella di vaccinarsi.

Come Sindacato, i nostri rappresentanti tuteleranno i colleghi che, per attestate ragioni di salute non potranno sottoporsi alle somministrazioni ed ovviamente daranno anche voce e sostegno a chi la pensa diversamente, cioè a quei colleghi che riterranno di operare scelte “differenti”, sempre nel rispetto dei  precetti di legge vigenti, perchè in ogni sistema democratico civile queste persone hanno il sacrosanto diritto di chiedere che le loro istanze godano della considerazione che si deve ai vari livelli istituzionali.

E’ giunto invece il momento in cui, chi è investito delle responsabilità organizzative, piuttosto che orientare l’attenzione del pubblico sulle scelte dei singoli, risponda per le proprie responsabilità, quelle che non hanno saputo impedire il contagio tra gli infermieri e, talvolta, anche le perdite di vite umane.

Nursing Up presidierà sul comportamento delle aziende sanitarie e continuerà ad assistere quei colleghi che dovessero essere discriminati per via delle loro scelte, o che fossero soggetti a vessazioni per gli stessi motivi. Insomma, in un Paese civile ognuno ha diritto di assumersi la responsabilità di rivendicare quelli che avesse motivo di considerare come propri diritti e/o prerogative in un contesto tanto delicato e controverso come quello di sottoporsi ad una vaccinazione. Di fronte a tutto ciò, il Nursing Up continuerà a lottare per dar voce ad ognuna delle singole posizioni, contro qualsiasi forma di strumentalizzazione organizzativa o di atteggiamento discriminatorio».

 

PRESTO DI MATTINA
Il dono dell’aquila

 

La Pasqua non è qui; il sepolcro è vuoto, nessuno dentro; la pietra è ribaltata, le fasce sciolte, il sudario ripiegato in un angolo, quasi lo si fosse riordinato prima di partire per un viaggio. Tanto che viene da chiedersi se la Pasqua, anziché una meta da raggiungere, sia piuttosto l’inizio di un cammino.
Credo proprio di sì.
Come il vangelo è una via, quella di Gesù, così la Pasqua è mettersi in via con Gesù. È lei che detta l’agenda ai discepoli, li incrocia per un momento, per poi sfuggire loro, precedendoli altrove e lasciando solo indizi del suo passaggio, affinché possano di nuovo mettersi sulle sue tracce.
Ma dove cercarla? In quale direzione? Quali avvisaglie ce la rivelano?

Per rispondere basterebbe riflettere sul fatto che la Pasqua altro non è che l’epilogo di quella storia che Gesù scelse per descrivere l’essenza della sua vita: quella del chicco di grano caduto in terra, che se non muore rimane solo, ma se muore porta molto frutto. Per questo sarebbe inutile cercare a Pasqua Gesù nel sepolcro. Come il chicco di grano, la sua vita non è più nella terra, ma è migrata nella spiga e da qui è passata oltre, attraverso la farina e l’acqua e le mani che hanno impastato, entrando nella fornace ardente che l’ha cotta per diventare un fragrante pane. Di più: un pane spezzato che di nuovo continua, di mano in mano, a consegnarsi ad altre mani, dividendosi in frammenti ma restando un solo pane, come una moltiplicazione incontenibile, un fiume di pane come quella prima volta sul monte con tanta gente seduta sull’erba; un dono per tutti, tanto che quella volta ne avanzarono dodici cesti pieni.
È questa la memoria della Pasqua: una consegna che si custodisce disperdendola moltiplicandola, un dono per chi vuole imitare il maestro continuando a frangere pane.

“Per tutti è Pasqua!”, nel suo avanzare audace verso tutti e sorride don Primo Mazzolari sentendosi citato: «Per tutti, anche per i molti che non partecipano al sacramento, il mistero della Pasqua, è una consegna. In tempi neghittosi ci sprona all’audacia: in tempi disamorati ci suggerisce la pietà: in tempi di odio ci inclina al perdono: in tempi folli e disperati ci restituisce al buon senso e ci guida verso la speranza. […] Quando sentono parlare di pace, i cristiani sanno bene di che cosa si parla, poiché il desiderio che è nel cuore di tutti è il dono che è nell’incontro pasquale» (La Pasqua, Vicenza 1964, 54 e 69).
Lo spirito del Risorto è come il vento: soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va. Così è di chiunque è nato dalla Pasqua, (Cf. Gv 3,8).

Pasqua non è più qui, perché vive e testimonia della ridondanza del dono, dell’eccedenza di un evento che non si è concluso, di un gesto di donazione che non ha mai cessato di essere praticato; continua a riversarsi da quella prima Pasqua in ogni altra pasqua in cui la vita si offre. Come le acque che scaturiscono da una sorgente, e all’inizio sono poca cosa, tanto che ad attraversarle ci si bagna appena i piedi, ma poi diventano, di onda in onda, un fiume che attraversi solo navigandolo, così la Pasqua è là dove scorre e arriva il fiume: è là dove giungono le sue acque per risanare e portare nuova vita.

«Egli non è qui ‒ disse l’angelo alle donne ‒ presto andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto”», (Mt 28,6-7): Pasqua è là.
«Yhwh Sâmmâh/ Là è il Signore», (Ez 48,36) è questa l’ultima parola del libro di Ezechiele, profeta e sacerdote del popolo deportato in esilio. Il cuore del suo annuncio, la visione di un ritorno a Gerusalemme, sta tutto in quel “Là è il Signore”, parola chiave per dire tutto il senso del suo messaggio, in cui descrive una nuova dimora per Dio, non più tra le mura ristrette nell’antico tempio, ma in una dimora ampia quanto l’universo e quanto ogni cuore umano: una nuova creazione, là sarà il luogo della sua dimora. Nella sua ultima visione Ezechiele racconta di una fonte simile a quella di Siloe nella città di Gerusalemme, ma non umile e modesta come quella. Simbolo della potenza vivificante di Dio della sua gloria, egli vede una nuova fonte le cui acque, filtrando da sotto la porta del tempio, vanno crescendo enormemente e da rigagnolo diventano fiumana, portando beneficio non solo alla città santa ma così da rendere fertile anche la parte desertica, le regioni dell’Arabia portando vita e pesca nel Mar Morto. Un’acqua così abbondante da far germogliare e crescere e fruttificare alberi da frutta ogni mese e le cui foglie verranno usate come medicine. La Pasqua trova in questa visione la sua forma fluida, il suo dinamismo, lo stesso dell’acqua e dello spirito, dono che è pure un effluvio che discende a generare un cuore nuovo: «vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere» (Ez 36, 26-27).

Come l’acqua in quelle terre mediorientali è preziosissimo dono e non va negata a nessuno, così la Pasqua è dono libero, gratuito per tutti, non privatizzabile, perché la Pasqua generata dallo Spirito del Risorto è un bene pubblico, non finalizzabile a strategie e obiettivi umani. Essa non va nemmeno incanalata, perché più la costringi, più essa esonda dai confini, attraversa i limiti che le gerarchie sociali e anche religiose le vorrebbero imporre. Pasqua dono di grazia manifesta se stessa come gratuità di un amore generativo di una esperienza di reciprocità.

Non è allora difficile intuire quali indizi ci segnalino oggi la presenza della Pasqua. Essa è là dove Cristo sfama ed è sfamato, disseta ed è dissetato, visita ed è visitato in carcere, in ospedale, accoglie ed è accolto ai confini e alle frontiere di terra e di mare. Pasqua è una conversione, un’interruzione del cammino conosciuto verso quello che non so; è un abbandonare il proprio posto, ancorché buono (Jon Sobrino), per lasciarsi condurre dal vangelo, dove Dio vuole essere incontrato “là dove è”; con la sola certezza che stiamo sempre iniziando un nuovo cammino, non da soli ma nella compagnia mite e silenziosa del Risorto.

Vi è una chiesa in uscita perché vi è una Pasqua in uscita.
In questo tempo, chiamiamolo pure di secolarizzazione in cui sembra di stare in balia di un fenomeno regressivo di riduzione dello spirito, di umiliazione della creazione in favore dell’economico, dell’impersonale, di relazioni a bassa intensità di presenza; in questa situazione di una nuova secolarizzazione, dove è in atto una mutazione del processo che ora avviene più in profondità, passa dall’esterno all’interno del vivere, dalle idee alle affezioni più intime sfiduciandole, transita dalle istituzioni sociali alla vita interiore sempre più erosa di tessuto spirituale, di memoria delle origini e quindi della stessa capacità di immaginare un futuro degno e umano; in questo scenario esistenziale la via percorribile per ribaltare le sorti è quella del dono: lo stile dell’umano perdersi e risorgere a Pasqua.

Credo che la strada per far tornare il vento nelle vele, anzi nello spinnaker di poppa del credere e del vivere nello spirito di Gesù, per ritrovare anche una chiesa e il suo dono, chiesa ferita nella sua capacità di immaginazione, di affezione, di pervasività narrativa, educativa e ministeriale, sia la via mistica, un immergersi di nuovo nel mistero pasquale per ricevere e praticare la sua forma.
«Solo recuperando una visione mistica penso che avremo delle energie ecclesiali. Sono stato affascinato dall’idea che la Chiesa possa rifondarsi nella ridondanza del dono. Il problema della Chiesa in uscita è: cosa esce? C’è qualcosa che può uscire? Altrimenti cadiamo nell’ennesima forma retorica ecclesiastica e teologica. La carità che la Chiesa esercita all’esterno non può che essere l’effluvio di una carità esercitata all’interno… La Chiesa media l’ospitalità in Cristo ma chiede accoglienza. Sempre di più penso che mettersi nella condizione dell’ultimo di tutti è ciò che permette che non ci sia solo quel popolo ma tutti i popoli» (Roberto Repole, Chiesa e teologia, https://www.agensir.it/ quotidiano/2021/3/13/). È guardando alla Pasqua sorgente di inesauribile creatività che le nostre comunità cristiane potranno guarire di quella «ferita dell’immaginazione» (Michael Paul Gallagher) e partecipare agli altri il sogno di Dio realizzatosi a Pasqua nella gratuità di un dono.

Nel racconto di Nathan Zach, La grande aquila si narra di un’aquila impagliata, imbalsamata e appesa al muro, come un trofeo. Ma che con l’andare del tempo fu sempre più ignorata da tutti quelli della famiglia in cui era entrata: era ormai come una vecchia e ingiallita stampa alla parete e sentita come qualcosa di ingombrante da disfarsene prima o poi. Tutti tranne che per uno, Yotam, il figlio più piccolo: «Era rimasta fissa al muro della veranda fra la stanza da letto e la cucina le ali spiegate di qua e di là il piumaggio ben teso sul corpo, gli artigli estratti pronti a conficcarsi nella carne del nemico ormai vicino. E invece no. Nessuno pensava più a lei come a un’aquila tutti la consideravano ormai soltanto una specie di arazzo». Pure la domestica aveva paura di toccarla anche soltanto con il piumino. La decisione alla fine venne con le pulizie di Pasqua, imbiancare le stanze, rinnovare gli arredi, togliere ingorbi e le cose che avevano fatto il loro tempo. Così anche il destino dell’aquila fu segnato, ma nessuno per un motivo o per un altro si decideva a prendere l’iniziativa (per i particolari vi rimando al libro: L’omino nel pane ed altre storie, Donzelli, Roma 2003).

Solo Yotam pensava al modo di salvarla dalla rottamazione. Perché una volta si accorse che, guardando all’aquila impolverata, questa guardava lui «tremendamente». Così dapprima prese il piumino per togliere la polvere, ma al vederla così rinsecchita pensò a una doccia «Senza pensarci su due volte, prende uno dei tanti secchi che si ritrova intorno, lo riempie di acqua del rubinetto, dal bagno, e butta addosso all’aquila tutta l’acqua del secchio». Subito, non accadde niente ma all’improvviso: «“improvvisamentissimamente” l’aquila abbassa la sua testa e la affonda dentro il secchio con l’acqua pulita. Questa vecchia aquila beve. Beve un sacco. Beve come non ha mai bevuto in vita sua. Beve come se non sapesse che cosa significa bere». Sentiva sempre più che i suoi occhi lo guardavano. Ma come aiutare un’aquila inchiodata al muro?

Avvicinandosi si accorse però che i chiodi erano con il tempo caduti, solo un poco di colla la tratteneva ancora alla parete. Così la staccò dal muro e lentamente l’aquila cominciò a respirare ed ad ogni respiro il petto si allargava sempre più come un palloncino quando lo gonfi. «Adesso l’aquila muove un po’ la testa, poco poco. Muove la testa verso la finestra chiusa. Di nuovo, senza pensarci su, Yotam va a spalancare la finestra. L’aquila è ormai sul davanzale. Guarda Yotam. Yotam la guarda. Occhi gialli di fronte a occhi castani, scuri scuri, quasi neri. Allora improvvisamente l’aquila dispiega le ali. Ehi, che grandi ali ha quest’aquila, quando non è appiccicata o inchiodata al muro. Un piccolo slancio, e quelle gigantesche ali portano il corpo dell’aquila fuori dalla finestra, ormai. Un colpo d’ali soltanto, ed eccola sopra gli alberi, ormai. Di laggiù, rivolge ancora una volta a Yotam i suoi occhi gialli. Poi, su su là in alto, quasi come un pallone che si è liberato del filo, scompare». Abbassando lo sguardo verso terra Yotam scorse una pozzanghera con all’interno una grande piuma, una piuma d’aquila, una piuma normale, grossa, fantastica. L’aveva lasciata l’aquila, forse come un dono, un grazie, ma anche come traccia di un incontro da non dimenticare, la compagnia di un ricordo che avrebbe reso lieve i passi del suo cammino, come fosse sollevato su ali d’aquila.

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